SENTENZA N. 231
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con ordinanza del 21 marzo 2014 e dalla Commissione tributaria provinciale di Nuoro con ordinanza dell’8 settembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 116 e 223 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29 e n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti gli atti di costituzione di M.A.P. e di V.G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Giuseppe De Vergottini per M.A.P. e per V.G. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 21 marzo 2014 la Commissione tributaria provinciale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 – come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106.
In particolare, l’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010, così come modificato nel 2011, prevede al comma 3-bis, tra l’altro, che i redditi conseguiti dal fondo comune di investimento immobiliare non partecipato esclusivamente dai soggetti istituzionali indicati dal precedente comma 3 e rilevati nei rendiconti di gestione siano imputati «per trasparenza» ai partecipanti non istituzionali che possiedano quote di partecipazione superiori al 5 per cento del patrimonio del fondo, in tale percentuale computandosi anche le partecipazioni detenute dai familiari indicati nell’art. 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), mentre, al comma 4-bis, dispone che i partecipanti non istituzionali che detenevano al 31 dicembre 2010 una quota superiore al 5 per cento determinata secondo i criteri di cui al comma 3-bis debbano corrispondere un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 5 per cento del valore medio della quota posseduta nel periodo d’imposta 2010 risultante nei prospetti periodici redatti in detto periodo.
1.1.– Il rimettente riferisce di essere stato adito da un contribuente – titolare di quote di partecipazione in due fondi comuni di investimento immobiliare per un controvalore di euro 2.044.116,00 – che, dopo aver versato in ragione di ciò a titolo di imposta sostitutiva la somma di euro 102.205,00 ed averne vanamente chiesto il rimborso all’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale n. 1 di Torino, ha proposto ricorso avverso il diniego, deducendo, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010.
Ad avviso del giudice a quo quest’ultima disposizione, insuscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, contrasterebbe anzitutto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto l’imposta sostitutiva sul valore medio della quota posseduta, stravolgendo il regime precedente in cui l’imposta era calcolata sul valore netto del fondo ed essendo applicabile retroattivamente sulle quote possedute nel periodo d’imposta 2010, violerebbe l’affidamento del risparmiatore nella stabilità dell’ordinamento giuridico e nella certezza dei rapporti. Secondo il rimettente, sebbene detto affidamento non sia tutelabile in merito alla spettanza di trattamenti agevolati, la cui attribuzione rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, legittimato a modificare la disciplina dei rapporti di durata anche in senso sfavorevole ai beneficiari, le modifiche apportate non potrebbero comunque trasmodare in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su disposizioni precedenti (quali l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2010, che, a parità di esigenze giustificatrici dell’agevolazione, ancora nel periodo interessato dall’innovazione normativa contestata aumentava l’aliquota di prelievo, ma la applicava al valore netto del fondo). Ciò non sarebbe possibile nemmeno per contingenti esigenze finanziarie, che, per quanto rilevanti, non consentirebbero un intervento lesivo del principio del legittimo affidamento, desumibile altresì dagli artt. 53 e 97 Cost., anch’essi violati.
In punto di rilevanza il giudice a quo evidenzia che, ove la disposizione censurata dovesse essere applicata in quanto esente da vizi di costituzionalità, il rimborso richiesto non sarebbe dovuto.
1.2.– Il rimettente censura altresì l’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010, quale risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 70 del 2011.
In particolare, la norma prescinderebbe dalla capacità contributiva, intesa quale idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione imposta, in quanto «commisura la tassazione del soggetto non già soltanto al suo patrimonio ma anche a quote di patrimonio altrui di cui non gode, non fruisce e che quindi non può essere considerato ai fini della sua capacità contributiva», violando l’art. 53 Cost. La finalità antielusiva che la norma perseguirebbe potrebbe considerarsi prevalente solo nel caso di familiari conviventi e sarebbe discriminatoria, collegando la tassazione ad un elemento del tutto casuale ed esentandone chi non abbia familiari titolari di quote partecipative oppure ne abbia, ma queste non determinino il superamento della soglia del 5 per cento.
La questione sarebbe rilevante in quanto la ricorrente, titolare di una quota partecipativa ai due fondi immobiliari inferiore al 5 per cento, è stata assoggettata all’imposta sostitutiva in ragione del superamento di detta soglia per effetto delle quote di partecipazione ai medesimi fondi da parte del fratello.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate, almeno in parte, inammissibili o, comunque, infondate.
2.1.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, in riferimento all’art. 97 Cost. sarebbe inammissibile in quanto la disposizione non afferirebbe all’organizzazione dei pubblici uffici, cui atterrebbe il parametro evocato.
La medesima questione sarebbe manifestamente infondata in riferimento al principio del legittimo affidamento, che lo stesso rimettente sembra escludere in capo al contribuente quanto alla stabilità del regime agevolativo, salvo sostenere in modo apodittico che questi, al più, avrebbe potuto aspettarsi che l’imposta sostitutiva, quand’anche aumentata, venisse pur sempre calcolata sul valore netto del fondo e non su quello della quota.
La norma, peraltro, non potrebbe considerarsi retroattiva sol perché relativa ad un imponibile già realizzatosi ma per il quale non sarebbero ancora adempiuti gli obblighi dichiarativi e, comunque, la retroattività sarebbe destinata ad operare entro un breve lasso temporale, circostanza che ne escluderebbe la lesività.
Inoltre, il divieto di introdurre norme retroattive sussisterebbe solo in ambito penale, non al di fuori di esso, salvo il limite della non irragionevolezza e del rispetto degli altri interessi costituzionalmente protetti. In particolare, il legislatore potrebbe modificare in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, senza tuttavia trasmodare in un regolamento irrazionale con riguardo a situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti. Nella fattispecie la disposizione censurata non sarebbe arbitraria, in quanto l’imposta sostitutiva prevista si correlerebbe direttamente all’introduzione della tassazione per trasparenza dei redditi conseguiti dai partecipanti cosiddetti “qualificati” – ossia, titolari di una quota di partecipazione superiore al 5 per cento – anche se non distribuiti. Il passaggio al nuovo regime fiscale avrebbe determinato la necessità di assoggettare ad imposta i proventi conseguiti negli anni precedenti e non ancora distribuiti, che altrimenti sarebbero andati esenti da imposizione. Di qui la previsione di un regime transitorio il quale, una tantum, colpisce il valore della quota dei partecipanti qualificati, determinato anche dall’esistenza degli utili pregressi. La previsione sarebbe dunque tutt’altro che irragionevole ed effettivamente ancorata ad una capacità contributiva tutt’ora esistente e mai sottoposta a tassazione.
2.2.– Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010 sarebbe infondata, in quanto il rapporto di parentela stretta tra i soggetti che detengono quote nel medesimo fondo immobiliare avrebbe un’evidente finalità antielusiva e ben potrebbe costituire base idonea per considerare qualificata la partecipazione al fondo. Peraltro, dall’ordinanza di rimessione non si evincerebbe quali siano i rapporti esistenti tra la ricorrente ed il fratello, ritenuti rilevanti solo ove connotati dalla convivenza, profilo di possibile inammissibilità della questione.
3.– È intervenuta la ricorrente del giudizio a quo, la quale, dopo aver offerto una sintetica ricostruzione dell’avvicendamento normativo che ha riguardato il regime fiscale dei fondi comuni di investimento immobiliare, sostiene che l’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, oltre a ledere il principio di legittimo affidamento – su cui argomenta ulteriormente rispetto al rimettente – violerebbe altresì: a) l’art. 3 Cost. per la disparità di trattamento realizzata a beneficio degli investitori istituzionali, non assoggettati all’imposta sostitutiva del 5 per cento; b) l’art. 41 Cost., per il sovvertimento del calcolo di convenienza posto a base dell’iniziativa imprenditoriale costituita alla partecipazione ai fondi; c) l’art. 53 Cost., in quanto, in virtù della retroattività, la norma individuerebbe un presupposto d’imposta così arretrato da non renderlo più indice di attuale ricchezza; d) gli artt. 77 Cost., 4 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) e 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), in quanto l’imposta sostitutiva sarebbe stata istituita con decreto-legge ed in difetto dei requisiti di necessità, urgenza ed omogeneità di contenuto; e) l’art. 97 Cost., in quanto la retroattività contrasterebbe con i principi di adeguatezza e proporzionalità dell’azione amministrativa; f) l’art. 117, primo comma, Cost., per il rilievo riconosciuto dall’ordinamento comunitario ai principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento.
4.– In prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, evidenziando l’inammissibilità dei profili di censura dedotti dalla ricorrente nel giudizio principale e ribadendo gli argomenti difensivi già svolti nell’atto di intervento.
5.– In prossimità dell’udienza anche la ricorrente nel giudizio principale ha depositato una memoria illustrativa, assumendo, in replica alle difese dell’Avvocatura generale dello Stato, l’ammissibilità delle questioni sollevate dal rimettente e ribadendo quanto già dedotto a sostegno delle censure mosse dal giudice a quo, nonché gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale indicati nell’atto di intervento.
6.– Con ordinanza dell’8 settembre 2014 anche la Commissione tributaria provinciale di Nuoro ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 – come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011 – in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost.
6.1.– Il rimettente riferisce di essere stato adito da un contribuente – titolare di una quota di partecipazione qualificata in un fondo comune di investimento immobiliare per un controvalore di euro 16.657.789,00 – che, dopo aver versato in ragione di ciò a titolo di imposta sostitutiva la somma di euro 832.894,00 ed averne chiesto il rimborso all’Agenzia delle entrate, ha proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza, deducendo, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010.
L’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 viene censurato in riferimento a parametri e per profili coincidenti con quelli proposti dall’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Torino, mentre in punto di rilevanza il rimettente evidenzia come il ricorrente nel giudizio a quo sia titolare di una quota di partecipazione al fondo superiore alla soglia del 5 per cento, in virtù della quale è stato assoggettato al pagamento dell’imposta sostitutiva, e che, ove la disposizione censurata dovesse essere applicata in quanto esente da vizi di costituzionalità, il rimborso richiesto non sarebbe dovuto.
6.2.– Il rimettente censura altresì l’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010, quale risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 70 del 2011.
In particolare, la norma prescinderebbe dalla capacità contributiva, intesa quale idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione imposta, in quanto, essendo retroattiva, individuerebbe un presupposto così significativamente arretrato rispetto alla sua entrata in vigore da impedire di ritenere che esso sia attuale indice di ricchezza.
La disposizione, inoltre, realizzerebbe, in aggiunta alla discriminazione già denunciata dall’ordinanza di rimessione della Commissione tributaria provinciale di Torino, anche quella con gli investitori istituzionali.
7.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con argomentazioni in larga misura coincidenti con quelle spese nell’intervento spiegato in relazione all’ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Torino, che le questioni sollevate siano dichiarate, almeno in parte, inammissibili o, comunque, infondate.
Con specifico riguardo alle censure mosse all’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia ulteriormente l’inammissibilità della questione in parte per l’inapplicabilità della norma alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, il contribuente essendo direttamente ed autonomamente titolare di una quota di partecipazione al fondo superiore al 5 per cento, ed in parte per la mancata indicazione dei motivi di irragionevolezza della discriminazione rispetto agli investitori istituzionali. La loro situazione, peraltro, non sarebbe comparabile con quella degli investitori qualificati non istituzionali, sia per la diversa natura giuridica sia per il fatto che solo i secondi sono assoggettati a tassazione per trasparenza, al cui regime l’imposta sostitutiva si ricollega, con conseguente infondatezza della questione.
8.– È intervenuto il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che l’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 – come modificato dal d.l. n. 70 del 2011 – sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, riservando ad una successiva memoria lo sviluppo delle argomentazioni difensive.
Con memoria depositata in prossimità dell’udienza la parte, oltre a sostenere i profili di censura di cui all’ordinanza di rimessione, ne ha proposti di ulteriori, deducendo anche la violazione degli artt. 41, 77, 97 e 117, primo comma, Cost. nonché degli artt. 4 della legge n. 212 del 2000 e 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, per motivi coincidenti con quelli indicati nell’atto di intervento spiegato dalla ricorrente del giudizio pendente davanti alla Commissione tributaria provinciale di Torino.
9.– Nel corso dell’udienza pubblica la difesa dei ricorrenti dei giudizi principali ha lamentato anche che il tributo sostitutivo delle imposte sui redditi previsto in via transitoria sia stato ancorato ad una base imponibile patrimoniale piuttosto che reddituale, così violando in modo sostanziale l’affidamento dei ricorrenti sul regime vigente al momento della scelta negoziale di investimento.
Considerato in diritto
1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe la Commissione tributaria provinciale di Torino e la Commissione tributaria provinciale di Nuoro hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 – come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106.
In particolare, l’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010, così come modificato nel 2011, prevede, al comma 3-bis, che i redditi conseguiti dal fondo comune di investimento immobiliare non partecipato esclusivamente dai soggetti istituzionali indicati dal precedente comma 3 e rilevati nei rendiconti di gestione siano imputati «per trasparenza» ai partecipanti non istituzionali che possiedano quote di partecipazione superiori al 5 per cento del patrimonio del fondo, in tale percentuale computandosi anche le partecipazioni detenute dai familiari indicati nell’art. 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» (TUIR), mentre, al comma 4-bis, dispone che i partecipanti non istituzionali che detenevano al 31 dicembre 2010 una quota superiore al 5 per cento determinata secondo i criteri di cui al comma 3-bis debbano corrispondere un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 5 per cento del valore medio della quota posseduta nel periodo d’imposta 2010 risultante nei prospetti periodici redatti in detto periodo.
Entrambi i rimettenti, aditi da contribuenti che hanno chiesto il rimborso di quanto versato a titolo di imposta sostitutiva in ragione della titolarità di partecipazioni in fondi comuni di investimento immobiliare per una percentuale che, autonomamente considerata o assommandosi a quella di un familiare, superava la soglia del 5 per cento, ritengono che il comma 4-bis violi gli artt. 3, 53 e 97 Cost. Ciò in quanto l’imposta sostitutiva sul valore medio della quota posseduta, stravolgendo il regime precedente in cui essa era calcolata sul valore netto del fondo ed essendo applicabile retroattivamente sulle quote possedute nel periodo d’imposta 2010, violerebbe il principio dell’affidamento del risparmiatore nella stabilità dell’ordinamento giuridico e nella certezza dei rapporti.
La Commissione tributaria provinciale di Torino censura altresì il comma 3-bis del medesimo art. 32, in quanto, in violazione dell’art. 53 Cost., commisurerebbe la tassazione non già soltanto al patrimonio del singolo contribuente, ma anche a quote di titolarità altrui, ossia del familiare – prescindendo, dunque, dalla capacità contributiva del soggetto – e realizzerebbe una discriminazione rispetto al quotista privo di congiunti la cui partecipazione determini il superamento della soglia di rilevanza.
Anche la Commissione tributaria provinciale di Nuoro censura il menzionato comma 3-bis in riferimento all’art. 53 Cost., in quanto, individuando un presupposto d’imposta così significativamente arretrato rispetto alla sua entrata in vigore da impedire di ritenerlo attuale indice di ricchezza, la norma prescinderebbe dalla capacità contributiva del partecipante qualificato. Inoltre, in aggiunta alla discriminazione già denunciata dall’ordinanza di rimessione del giudice torinese, ne realizzerebbe una ulteriore rispetto agli investitori istituzionali.
Sono intervenute le parti ricorrenti nei due giudizi principali, deducendo la violazione anche di parametri diversi rispetto a quelli evocati dalle ordinanze di rimessione ed indicando ulteriori profili di censura.
2.– Va disposta la riunione dei giudizi, in ragione delle affinità delle questioni proposte e della identità delle norme impugnate.
3.– In via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità delle deduzioni svolte dalla difesa delle parti private costituite in entrambi i giudizi, dirette ad estendere il thema decidendum – come fissato nelle rispettive ordinanze di rimessione – alla violazione di parametri o a profili di illegittimità ivi non contemplati.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, «l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione. Pertanto, non possono essere presi in considerazione ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze» (ex plurimis, sentenza n. 83 del 2015).
4.– Prima di procedere allo scrutinio delle questioni sollevate, è opportuna una sintetica disamina dell’evoluzione del regime fiscale previsto per i proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi comuni di investimento immobiliare.
4.1.– Detto regime, al momento dell’introduzione delle norme censurate, prevedeva per tutti i partecipanti – ai sensi dell’art. 7 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 novembre 2001, n. 410 – una ritenuta del 20 per cento sull’ammontare dei proventi riferibili a ciascuna quota distribuiti in costanza di partecipazione nonché sulla differenza tra il valore di riscatto o di liquidazione delle quote ed il costo di sottoscrizione o di acquisto.
Limitatamente ai partecipanti non istituzionali titolari di quote superiori al 5 per cento del patrimonio del fondo (cosiddetti “qualificati”), computandosi ai fini del raggiungimento della soglia anche le partecipazioni dei familiari, il comma 3-bis dell’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010 – ivi inserito dall’art. 8, comma 9, lettera b), del d.l. n. 70 del 2011 – ha sostituito il descritto regime impositivo agevolativo con quello più penalizzante, definito dal legislatore «per trasparenza», secondo cui i redditi conseguiti dal fondo e rilevati nei rendiconti di gestione sono imputati, in proporzione alle quote di partecipazione ancorché non distribuiti, e concorrono alla formazione del reddito complessivo del partecipante, come precisato dal successivo comma 4.
In tal modo il legislatore intende scongiurare il rischio – che si anniderebbe specificamente nelle fattispecie in cui il fondo sia partecipato da pochi soggetti, anche collegati tra loro da vincoli di famiglia – di un utilizzo dei fondi immobiliari in grado di trasformarlo, attraverso forme di coordinamento tra i sottoscrittori, da strumento di gestione collettiva del risparmio ad interposta intestazione o amministrazione di beni, finalizzata ad un improprio godimento di benefici fiscali concepiti per diverse fattispecie.
Il comma 4-bis dell’art. 32 – inserito dall’art. 8, comma 9, lettera c), del d.l. n. 70 del 2011 – ha onerato in via transitoria i medesimi partecipanti qualificati, tali al 31 dicembre 2010, del pagamento una tantum di un tributo sostitutivo delle imposte sui redditi, nella misura del 5 per cento del valore medio delle quote possedute nel 2010 quale risultante dai prospetti periodici redatti in corso di anno. Ciò al fine di definire l’onere tributario per il passato, con riferimento ai redditi maturati e non ancora distribuiti, e di rideterminare il valore fiscalmente riconosciuto per l’applicazione della disciplina speciale sulle partecipazioni qualificate possedute alla data del 1° gennaio 2011. La finalità è quella di conferire certezza al momento del trapasso da un regime all’altro, adeguando il valore di acquisto o sottoscrizione delle quote, sia ai fini della determinazione delle plusvalenze da realizzo ex art. 67, comma 1, del TUIR, sia ai fini dell’applicazione della ritenuta in occasione della liquidazione delle quote alla scadenza del fondo o dell’annullamento totale delle stesse ex art. 67, comma 1-quater, del TUIR.
4.2.– Tanto chiarito, le questioni di legittimità dell’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010 in riferimento all’art. 53 Cost. – come ricavate dalle diffuse argomentazioni delle ordinanze di rimessione, peraltro non riprese espressamente nelle conclusioni – sono inammissibili.
A differenza del successivo comma 4-bis del medesimo art. 32 il quale riguarda direttamente, disciplinando il regime transitorio, lo scrutinio della domanda di rimborso di quanto pagato dai ricorrenti a titolo di imposta sostitutiva, il comma 3-bis, riferendosi alla tassazione per trasparenza “a regime”, non viene in rilievo, atteso che gli importi di cui è stata chiesta la restituzione non sono stati versati in virtù della norma stessa. Ne consegue che l’accoglimento o la reiezione delle domande dei giudizi a quibus non dipende dalla fondatezza o meno delle relative questioni.
Non dovendo i rimettenti fare applicazione della norma, le questioni relative al comma 3-bis sono dunque inammissibili. Non è infatti rilevante in quella sede la dedotta reformatio in peius del regime fiscale, questione che pure avrebbe meritato uno scrutinio di legittimità in relazione ai suoi effetti su scelte negoziali inscindibilmente connesse al contesto agevolativo in cui sono maturate e per di più collegate a soglie di applicazione così basse e riferite anche alle partecipazioni dei familiari, tali da rendere problematica la presunzione di elusività che accompagna l’innovazione normativa in esame.
4.3.– Anche le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost. sono inammissibili.
Come già evidenziato, la norma censurata ha natura transitoria, strumentale all’introduzione del regime fiscale per «trasparenza», ed è funzionale al passaggio a quest’ultimo dal precedente, fondato sulla tassazione “per cassa” dei redditi derivanti dal fondo.
Ove la norma venisse dichiarata incostituzionale, il suo venir meno ex tunc produrrebbe di rendere definitivamente esenti da imposizione i redditi eventualmente generati prima dell’introduzione del nuovo regime e non ancora distribuiti. In tal modo sarebbero privilegiati, senza plausibile ragione, i titolari di quote di partecipazione qualificata rispetto agli altri in palese contraddizione con le finalità della novella legislativa.
Si verrebbe così a realizzare un regime di diritto transitorio il quale si scosterebbe, in modo irragionevole, sia dal regime precedente (per cassa), sia da quello successivo (per trasparenza). Ne deriverebbe un esito manipolativo non costituzionalmente obbligato (sentenza n. 274 del 2011) in un ambito – quello delle norme intertemporali – connotato da ampia discrezionalità del legislatore (ex plurimis sentenza n. 217 del 1998 ed ordinanza n. 327 del 2001). Le questioni sono, pertanto, inammissibili e neppure possono essere esaminati i profili dedotti, ultra petutim iudicis, dalle parti private in relazione al collegamento del regime transitorio sostitutivo di un’imposizione reddituale ad una base imponibile non collegata al reddito bensì ad una situazione patrimoniale, ed a quello della sua operatività obbligatoria, a prescindere dalla esistenza e dalla dimensione dei redditi distribuibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 3-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e dalla Commissione tributaria provinciale di Nuoro con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e dalla Commissione tributaria provinciale di Nuoro con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 ottobre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2015.