Ordinanza n. 114 del 2014

ORDINANZA N. 114

ANNO 2014

 

Commenti alla decisione di

 

I. Antonio Ruggeri, Colpi di maglio della Consulta sul meccanismo di controllo delle leggi siciliane (“a prima lettura” di Corte cost. n. 114 del 2014), in questa Rivista, Studi 2014

 

II. Felice Giuffrè, Verso la fine della giustizia costituzionale 'alla siciliana', in Federalismi.it

 

III. Giovanni Moschella, Antonio Ruggeri, Disapplicazione, in nome della clausola di maggior favore, delle norme dello statuto siciliano relative all’impugnazione delle leggi regionali ed effetti sui ricorsi pendenti, in questa Rivista, Studi 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                      SILVESTRI                           Presidente

-           Luigi                           MAZZELLA                           Giudice

-           Sabino                        CASSESE                                      ”

-           Giuseppe                    TESAURO                                    ”

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             ”

-           Giuseppe                    FRIGO                                           ”

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                ”

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Sergio                         MATTARELLA                            ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 579-607, stralcio I-623 (Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 19 novembre 2013, promosso dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana con ricorso notificato il 27 novembre 2013, depositato in cancelleria il 5 dicembre 2013 ed iscritto al n. 100 del registro ricorsi 2013.

Udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Sergio Mattarella.

Ritenuto che, con ricorso notificato il 27 novembre 2013 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 5 dicembre 2013, il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 51, 81, quarto comma, 97, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della delibera legislativa relativa al disegno di legge n. 579-607, stralcio I-623 (Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie), approvata dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 19 novembre 2013;

che il ricorrente Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugna la disposizione richiamata, asseritamente definita di interpretazione autentica dell’art. 38 della legge della Regione siciliana 15 maggio 2013, n. 9 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2013. Legge di stabilità regionale), lamentando che essa avrebbe natura innovativa ed efficacia retroattiva, determinando un ampliamento indefinito e indefinibile della platea dei destinatari della disciplinata prosecuzione del rapporto di lavoro;

che il ricorrente lamenta che il richiamato art. 38 della legge reg. Sicilia n. 9 del 2013 avrebbe infatti autorizzato la prosecuzione dei contratti di lavoro a tempo determinato fino al 31 dicembre 2013 soltanto per coloro i quali avessero un rapporto di lavoro in essere alla data del 30 novembre 2012, in conformità a quanto previsto dall’art. 1, comma 400, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013), il quale consente di prorogare soltanto i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 30 novembre 2012 che superavano il limite di 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi di cui all’art. 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), previo accordo decentrato con le organizzazioni sindacali rappresentative del settore interessato;

che, ad avviso del ricorrente, da quanto detto seguirebbe che la norma impugnata, fornendo un’interpretazione della disposizione statale nel senso di includervi anche i contratti di lavoro «assistiti» – termine, secondo il ricorrente, non riconducibile ad una precisa categoria giuridica – amplierebbe, in misura non predeterminabile, l’elenco dei soggetti beneficiari della proroga, con ciò consentendo l’instaurarsi ope legis di nuovi rapporti di lavoro subordinato e violando gli artt. 3, 51 e 97 Cost., in tema di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione e di selezione pubblica in condizioni di eguaglianza per l’accesso ai pubblici uffici;

che, con un secondo ordine di doglianze, il ricorrente deduce anche la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., atteso che la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale della materia di potestà concorrente «coordinamento della finanza pubblica» posto dall’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, che fissa limiti precisi circa l’instaurazione di nuovi rapporti di lavoro, nonché dell’art. 81, quarto comma, Cost., non avendo il legislatore regionale quantificato l’ammontare della spesa derivante dalla norma impugnata, né le risorse finanziarie con cui provvedere alla relativa copertura;

che, successivamente all’impugnazione, la delibera legislativa in questione è stata promulgata e pubblicata (Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 6 dicembre 2013, n. 54, supplemento ordinario n. 30) come legge della Regione siciliana 5 dicembre 2013, n. 21 (Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie) – i cui lavori preparatori sono riferiti al disegno di legge n. 579-607, stralcio I-623, approvato dall’Assemblea regionale siciliana nella seduta del 19 novembre 2013 – con omissione della disposizione oggetto di censura;

che dal contenuto di detta legge regionale si evince che la disposizione impugnata nel presente giudizio di costituzionalità – ovvero l’art. 4 della delibera legislativa relativa al richiamato disegno di legge – risulta essere stata omessa «in quanto impugnata dal Commissario dello Stato ai sensi dell’art. 28 dello Statuto».

Considerato che, ai fini dell’esame della questione relativa al richiamato art. 4, come definita dal ricorso che ha instaurato il presente giudizio, è preliminarmente necessario affrontare il profilo dell’ammissibilità dell’impugnazione, in via principale, da parte del Commissario dello Stato per la Regione siciliana delle norme delle delibere legislative approvate dall’Assemblea regionale siciliana, allo stesso pervenute ai sensi dell’art. 28 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), il quale dispone che «Le leggi dell’Assemblea regionale sono inviate entro tre giorni dall’approvazione al Commissario dello Stato, che entro i successivi cinque giorni può impugnarle davanti l’Alta Corte»;

che la figura del Commissario dello Stato è prevista dall’art. 27 dello statuto speciale di autonomia, a tenore del quale «Un Commissario, nominato dal Governo dello Stato, promuove presso l’Alta Corte i giudizi di cui agli artt. 25 e 26»;

che gli indicati artt. 27 e 28 del medesimo statuto sono stati formulati nel quadro del sistema di controllo delle leggi delineato dal medesimo statuto;

che il regime da questo previsto era contrassegnato dai seguenti caratteri principali: competenza dell’Alta Corte, composta di membri «nominati in pari numero dalle Assemblee legislative dello Stato e della Regione» (art. 24), a giudicare «sulla costituzionalità»: a) «delle leggi emanate dall’Assemblea regionale», b) «delle leggi e dei regolamenti emanati dallo Stato, rispetto al presente statuto ed ai fini della efficacia dei medesimi entro la Regione» (art. 25); competenza dell’Alta Corte a giudicare «dei reati compiuti dal Presidente e dagli Assessori regionali nell’esercizio delle funzioni di cui al presente Statuto, ed accusati dall’Assemblea regionale» (art. 26); competenza del Commissario dello Stato a promuovere «presso l’Alta Corte» i giudizi su leggi e regolamenti dello Stato, sulle leggi regionali, sulle accuse a Presidente e Assessori regionali (art. 27); termini molto brevi per il controllo delle leggi regionali: cinque giorni per l’impugnazione da parte del Commissario dello Stato e venti giorni per la decisione dell’Alta Corte, con facoltà di promulgazione, trascorsi trenta giorni dall’impugnazione, da parte del Presidente della Regione (artt. 28 e 29); termini più ampi (trenta giorni) per il Commissario dello Stato e il Presidente della Regione per impugnare le leggi e i regolamenti dello Stato (art. 30);

che detto quadro di controllo sulle leggi è stato profondamente mutato dalla giurisprudenza di questa Corte;

che, infatti, con la sentenza n. 38 del 1957, in base al principio dell’unità della giurisdizione costituzionale, questa Corte ha ritenuto assorbite nella propria competenza  a giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi, statali e regionali, le competenze per l’innanzi esercitate sulle medesime materie dall’Alta Corte, relativamente ai rapporti tra lo Stato e la Regione siciliana;

che, con le sentenze n. 38 e n. 112 del 1957 e con la sentenza n. 9 del 1958,  questa Corte ha ripetutamente statuito che il termine di venti giorni di cui al primo comma dell’art. 29, ai fini della definizione del giudizio di costituzionalità, ha carattere meramente ordinatorio;

che, con la sentenza n. 6 del 1970, sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi gli artt. 26 e 27 dello statuto della Regione siciliana, relativamente alla residua competenza penale dell’Alta Corte circa i reati del Presidente e degli Assessori regionali – peraltro, sino a quel momento, mai concretamente esplicatasi – affermando, tra l’altro, che «contrastano con la Costituzione, nel loro insieme, tutte le norme relative all’Alta Corte, perché in uno Stato unitario, anche se articolantesi in un largo pluralismo di autonomie (art. 5 della Costituzione), il principio della unità della giurisdizione costituzionale non può tollerare deroghe di sorta»;

che, con la sentenza n. 545 del 1989, questa Corte, accogliendo l’eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del ricorso proposto dal Commissario dello Stato per la Regione siciliana avverso una disposizione contenuta in un decreto-legge, ha ritenuto non più operante la competenza – sino a quel momento, peraltro, mai esercitata – di impugnare leggi e regolamenti dello Stato a tutela del rispetto dello statuto siciliano, secondo gli artt. 27 e 30 dello statuto speciale, ritenendo caducato quello speciale potere di impugnativa a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e del conseguente assorbimento delle attribuzioni conferite dallo statuto speciale all’Alta Corte nella competenza generale assegnata dalla stessa Costituzione alla Corte costituzionale;

che, nella decisione da ultimo richiamata, questa Corte ha tra l’altro affermato che detto potere di impugnativa «se si poteva ben giustificare nella fase di primo impianto dell’ordinamento siciliano, quando, in assenza di un sistema di garanzie definitivamente fissate in sede costituzionale, si tendeva ad individuare nel Commissario il garante imparziale del “patto di autonomia” tra l’ordinamento siciliano e l’ordinamento statale – non si giustifica certamente più nell’ambito di un ordinamento costituzionale quale quello attuale, dove il quadro dei rapporti tra Stato e Regioni, ordinarie e speciali, risulta completamente delineato e regolato nonché garantito attraverso un sistema di giustizia costituzionale ispirato a principi unitari»;

che – dopo le ricordate decisioni di questa Corte – ciò che residuava del sistema di controllo sulle leggi disegnato dallo statuto speciale era costituito dal carattere preventivo del controllo sulle leggi regionali, dal Commissario dello Stato quale titolare del potere di loro impugnazione, dal termine di cinque giorni per esercitarlo e dalla facoltà del Presidente della Regione di promulgare la legge decorsi trenta giorni dall’impugnazione senza che, entro venti giorni, sia intervenuta decisione di questa Corte;

che, pertanto, il regime di controllo delle leggi della Regione siciliana era divenuto, quanto agli aspetti principali, sostanzialmente analogo a quello allora previsto per le leggi delle altre Regioni ad autonomia speciale e ordinaria, tutte soggette a un sistema di controllo preventivo;

che il regime relativo alle leggi siciliane presentava, peraltro, alcuni spazi di maggiore autonomia, non essendo previsto il rinvio all’organo legislativo regionale per un secondo esame ed essendovi, per il Presidente della Regione, la possibilità di promulgare le leggi decorsi trenta giorni dalla loro impugnazione;

che la condizione del controllo delle leggi delle Regioni ad autonomia speciale è mutata, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, per effetto dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il quale prevede che «Sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite»;

che, alla stregua della richiamata disposizione costituzionale, la giurisprudenza di questa Corte ha progressivamente esteso il regime di controllo sulle leggi delle Regioni ordinarie previsto dall’art. 127 Cost. alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, atteso che «la soppressione del meccanismo di controllo preventivo» e l’applicazione della disciplina costituzionale richiamata «si traduce in un ampliamento delle garanzie di autonomia» (sentenza n. 408 del 2002; nonché ordinanza n. 377 del 2002) e «realizza una forma più ampia di autonomia» (sentenza n. 533 del 2002);

che la questione del controllo sulle leggi regionali siciliane è stata, successivamente, esaminata da questa Corte alla stregua dell’indicata «clausola di maggior favore», prevista dal citato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, con la sentenza n. 314 del 2003, che, affrontando, riguardo alla Regione siciliana, la questione degli effetti della previsione di applicazione del sistema introdotto dal richiamato art. 127 Cost., ha deciso in difformità da quanto, nel corso dell’anno precedente, era stato affermato per gli altri enti ad autonomia speciale;

che, con la sentenza da ultimo citata, questa Corte ha concluso per la perdurante applicabilità del sistema statutario di controllo delle leggi siciliane sull’assunto che quest’ultimo non fosse comparabile con quello previsto dall’art. 127 Cost. e che, quindi, non potesse essere individuato il regime più favorevole fra i due;

che, peraltro, la sentenza n. 314 del 2003 è stata emessa nel periodo immediatamente successivo all’approvazione del citato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 (che aveva disposto in attesa dell’adeguamento degli statuti speciali) e in costanza dell’elaborazione di una proposta di revisione dello statuto della Regione siciliana da parte dell’Assemblea regionale di quella Regione, rivolta al Parlamento, revisione che non è intervenuta;

che, in realtà, il sistema di controllo vigente per le leggi della Regione siciliana, anche in base alla consolidata interpretazione come meramente ordinatorio del termine statutario di venti giorni per la definizione del giudizio, si configura come preventivo e, quindi, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, sembra caratterizzato da un minor grado di garanzia dell’autonomia rispetto a quello previsto dall’art. 127 Cost.;

che, sulla base della richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale, appare necessario, per effetto del ricordato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, estendere anche alla Regione siciliana, il sistema di impugnativa delle leggi regionali previsto dal riformato art. 127 Cost., atteso che detto regime, alla stregua della summenzionata «clausola di maggior favore», verrebbe a configurare una «forma di autonomia più ampia» rispetto al sistema di impugnazione attualmente in vigore per le leggi siciliane (sentenze n. 408 e n. 533 del 2002, nonché ordinanza n. 377 del 2002);

che, invero, alla stregua dell’indicata giurisprudenza della Corte costituzionale sul controllo di costituzionalità delle leggi delle Regioni a statuto speciale, la «soppressione del meccanismo di controllo preventivo» si traduce comunque in «un ampliamento delle garanzie di autonomia», realizzandone una forma più ampia;

che il profilo dell’ammissibilità dell’impugnazione, in via principale, da parte del Commissario dello Stato per la Regione siciliana delle norme delle delibere legislative approvate dall’Assemblea regionale siciliana, allo stesso pervenute ai sensi dell’art. 28 dello statuto speciale di quella Regione, è rilevante in quanto assume carattere pregiudiziale ai fini della risoluzione della questione di legittimità costituzionale come prospettata dal ricorso introduttivo del presente giudizio;

che l’art. 31 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) – il quale, al comma 2, dispone che, «Ferma restando la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana, il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere, ai sensi dell’articolo 127, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della legge regionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione» – suscita dubbi di legittimità costituzionale e, pertanto, la relativa questione appare non manifestamente infondata;

che, in particolare, detta norma, nella parte in cui esclude le leggi della Regione siciliana dalla più favorevole forma di controllo prevista dall’art. 127 Cost., costituisce disposizione che appare non conforme alla norma costituzionale di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, che, nella sua previsione, include l’estensione del regime di controllo sulle leggi regionali previsto dall’art. 127 Cost., alle Regioni ad autonomia speciale, così come affermato dalle citate decisioni di questa Corte (sentenze n. 408 e n. 533 del 2002 e ordinanza n. 377 del 2002);

che pertanto questa Corte non può esimersi, ai fini della definizione del presente giudizio, come sopra prospettata, dal risolvere pregiudizialmente il problema della legittimità costituzionale della disposizione di legge ordinaria, di cui al richiamato art. 31, comma 2, della legge n. 87 del 1953 (come sostituito dal comma 1 dell’art. 9 della legge n. 131 del 2003), che fa salvi l’impugnazione da parte del Commissario dello Stato e il relativo regime di controllo sulle leggi della Regione siciliana, rispetto all’obbligo costituzionale di estendere il sistema di controllo delle leggi regionali, regolato dall’art. 127 Cost., alle Regioni a statuto speciale, sulla base della «clausola di maggior favore» prevista dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001;

che, secondo quanto richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 2, della legge n. 87 del 1953 (come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge n. 131 del 2003), che contiene la disposizione richiamata, si configura come pregiudiziale e strumentale per definire la questione di legittimità costituzionale principale (tra le tante, sentenza n. 195 del 1972; nonché ordinanze n. 42 del 2001; n. 197 e n. 183 del 1996; n. 297 e n. 225 del 1995; n. 294 del 1993; n. 378 del 1992).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) solleva, disponendone la trattazione innanzi a sé, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 127 della Costituzione e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dell’art. 31, comma 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), limitatamente alle parole «Ferma restando la particolare forma di controllo delle leggi prevista dallo statuto speciale della Regione siciliana»;

2) sospende il presente giudizio fino alla definizione della questione di legittimità costituzionale di cui sopra;

3) ordina che la cancelleria provveda agli adempimenti di legge, ivi comprese le notifiche al Commissario dello Stato e alla Regione siciliana.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Sergio MATTARELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2014.