Ordinanza n. 197 del 1996

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ORDINANZA N. 197

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del decreto-legge 18 novembre 1995, n. 489 e dell'art. 7-ter del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39), introdotto dall'art. 7, comma 3, del decreto-legge 18 novembre 1995, n. 489, nonché dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 18 gennaio 1996, n. 22, promossi con ordinanze emesse il 25 novembre 1995, il 29 novembre 1995, il 1° dicembre 1995, il 29 novembre 1995 (n. 2 ordinanze), l'11 dicembre 1995 (n. 2 ordinanze) e il 24 novembre 1995 (n. 2 ordinanze) dal Pretore di Roma, il 16 dicembre 1995 dal Pretore di La Spezia, il 27 novembre 1995 (n. 3 ordinanze) dal Pretore di Roma e il 19 febbraio 1996 dal Pretore di Genova, rispettivamente iscritte al n. 936 del registro ordinanze del 1995 ed ai nn. 27, 28, 29, 30, 240, 241, 252, 253, 265, 346, 347, 348 e 365 del registro ordinanze del 1996 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 3, 6, 12, 13, 17 e 19, prima serie speciale, dell'anno 1996.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 giugno 1996 il Giudice relatore Enzo Cheli.

RITENUTO che con tre ordinanze di identico contenuto (R.O. n. 936 del 1995, nn. 240 e 241 del 1996), emesse, nel corso di altrettanti procedimenti penali conseguenti all'arresto in flagranza di cittadini stranieri, a seguito della richiesta di applicazione della misura dell'espulsione dal territorio dello Stato prevista dall'art. 7-ter del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39), inserito dall'art. 7, comma 3, del decreto-legge 18 novembre 1995, n. 489 (Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei Paesi non appartenenti all'Unione europea), il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale del suddetto decreto-legge n. 489 del 1995 e, in particolare, del citato art. 7-ter del decreto-legge n. 416 del 1989, come introdotto dall'art. 7, comma 3, del decreto-legge n. 489 del 1995, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 25 e 77 della Costituzione;

che il giudice a quo osserva che la norma impugnata stabilisce che, su richiesta del pubblico ministero, il giudice è tenuto a disporre l'espulsione dello straniero arrestato in flagranza, anche se nei confronti dello stesso non venga applicata alcuna misura cautelare, senza prevedere alcun elemento valutativo, ai fini della decisione, tranne le inderogabili esigenze processuali;

che, ad avviso del rimettente, la misura dell'espulsione prevista dall'art. 7-ter impugnato costituisce una nuova misura cautelare personale, applicabile esclusivamente nei confronti degli stranieri, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dal momento che essa comporta per lo straniero un'ingiustificata disparità di trattamento, tenuto anche conto del fatto che l'applicazione della misura in questione risulta sganciata dalle esigenze cautelari, di cui all'articolo 274 del codice di procedura penale, nonché della circostanza che la norma censurata non prevede alcun termine massimo in ordine alla durata della misura;

che, inoltre, ad avviso del giudice rimettente, la possibilità che lo straniero, anche se incensurato, sia assoggettato alla misura dell'espulsione risulta in contrasto con i doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione, considerato anche che tra i soggetti sottoponibili ad espulsione sono compresi gli stranieri regolarmente residenti in Italia da meno di cinque anni o conviventi con cittadini italiani diversi dai parenti entro il quarto grado;

che, in riferimento alla violazione dell'art. 24 della Costituzione, il giudice a quo afferma che la norma impugnata, prevedendo l'espulsione su richiesta del pubblico ministero in assenza di qualunque presupposto, diverso dalla condizione di straniero arrestato in flagranza o sottoposto a custodia cautelare, preclude l'esercizio del diritto di difesa rispetto all'adozione della suddetta misura, mentre, nell'ipotesi in cui - a seguito dell'arresto in flagranza - si proceda immediatamente al giudizio direttissimo a norma dell'art. 566, comma 6, del codice di procedura penale, la stessa norma impedisce la partecipazione dell'imputato al dibattimento;

che, infine, nell'ordinanza si dubita della legittimità della norma impugnata con riferimento agli artt. 25 e 77 della Costituzione, osservandosi che il principio della riserva di legge in materia penale comporta che le scelte di politica criminale siano monopolio esclusivo del Parlamento, e che, nella specie, non sussistevano i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall'art. 77, dal momento che l'esigenza di razionalizzazione normativa, in relazione al fenomeno dell'immigrazione, era già da tempo esistente;

che con tre ordinanze di identico contenuto (R.O. nn. 346, 347 e 348 del 1996), emesse in analoghe circostanze processuali, il Pretore di Roma ha sollevato la stessa questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, nonché agli artt. 11 e 113 (recte, 13 e 111) della Costituzione;

che, in relazione a questi due ulteriori parametri, il giudice a quo ritiene che, ove si interpreti la norma nel senso che in presenza dei presupposti indicati il pubblico ministero debba chiedere l'espulsione, la motivazione del provvedimento del giudice sarebbe solo formale; ove, invece, si interpretasse la norma nel senso che il pubblico ministero possa chiedere l'espulsione, la violazione dei citati articoli della Costituzione discenderebbe dalla mancata specificazione dei presupposti che consentono l'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale;

che con quattro ordinanze di identico contenuto (R.O. nn. 27, 28, 29 e 30 del 1996), emesse in analoghe circostanze processuali, il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7-ter, commi 1, 3 e 4, del decreto-legge n. 416 del 1989, in riferimento agli artt. 3, 13, primo e secondo comma, 24, secondo comma, e 27, secondo e terzo comma, della Costituzione;

che in riferimento alle censure relative agli artt. 3 e 24, le argomentazioni coincidono sostanzialmente con quelle proposte nelle ordinanze già menzionate, mentre in riferimento alla violazione dell'art. 13, primo e secondo comma, della Costituzione, il giudice a quo ritiene che la disposizione in questione preveda una misura che incide sulla libertà personale, applicata sul solo presupposto dell'arresto in flagranza dello straniero, in violazione del principio della riserva di legge e di giurisdizione in materia di limitazioni della libertà personale;

che in relazione al contrasto con l'art. 27, secondo e terzo comma, della Costituzione, nelle ordinanze si osserva che l'applicazione della misura dell'espulsione, prima che sia accertata la colpevolezza dell'arrestato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile, determina l'equiparazione della notizia di reato al giudizio di colpevolezza;

che con due ordinanze di identico contenuto (R.O. nn. 252 e 253 del 1996), emesse in analoghe circostanze processuali, il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7-ter della legge n. 39 del 1990 (recte, del decreto-legge n. 416 del 1989, da essa convertito), in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 3 e 25, terzo comma, della Costituzione;

che, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già esaminate, il giudice a quo lamenta la lesione del diritto di difesa e la violazione del principio della riserva di legge in materia penale;

che nel corso di un procedimento penale a carico di uno straniero, arrestato ai sensi dell'art. 7-septies, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 416 del 1989 (inserito dal decreto-legge n. 489 del 1995), il Pretore di La Spezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7-ter, commi 1, 3 e 4, della legge n. 39 del 1990 (recte, del decreto-legge n. 416 del 1989, da essa convertito), in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione (R.O. n. 265 del 1996) rilevando, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già esaminate, la violazione del principio di eguaglianza, del diritto di difesa e dell'obbligo di accertamento della colpevolezza ai fini dell'adozione di un provvedimento sostanzialmente definitivo quale l'espulsione;

che, infine, anche il Pretore di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 7-ter della legge n. 39 del 1990 (recte, del decreto-legge n. 416 del 1989, da essa convertito), inserito dall'art. 7, comma 3, del decreto-legge 18 gennaio 1996, n. 22, in riferimento all'art. 3 della Costituzione (R.O. n. 365 del 1996), osservando, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle già esaminate, che la norma pone in essere un'ingiustificata discriminazione tra gli stranieri e i cittadini italiani;

che nei giudizi iscritti nel Registro Ordinanze ai nn. 936 del 1995, 27, 29, 30, 240, 241, 252, 253, 265, 348 e 365 del 1996 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate.

CONSIDERATO che tutte le ordinanze di rimessione riguardano le disposizioni relative all'espulsione dal territorio dello Stato dello straniero arrestato in flagranza di reato o sottoposto a custodia cautelare, e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente;

che oggetto del presente giudizio sono le questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 18 novembre 1995, n. 489 (Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini dei Paesi non appartenenti all'Unione europea) - e, in particolare, della disposizione prevista dall'art. 7, comma 3, dello stesso decreto, inserita all'art. 7-ter del decreto-legge 30 novembre 1989, n. 416, convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39 - nonché dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 18 gennaio 1996, n. 22, che ha reiterato il precedente, questioni sollevate con riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, 25, 27, 77 e 111 della Costituzione;

che il decreto-legge n. 489 del 1995 non è stato convertito in legge entro il termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione - come risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 14 del 18 gennaio 1996 - e pertanto ha perso efficacia sin dall'inizio;

che il suddetto decreto-legge è stato reiterato dai decreti-legge 18 gennaio 1996, n. 22, e 19 marzo 1996, n. 132 - che hanno perso anch'essi efficacia fin dall'inizio in quanto non convertiti entro il termine di sessanta giorni dalla rispettiva pubblicazione, come risulta dai comunicati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 19 marzo 1996, e n. 115 del 18 maggio 1996 - nonché dal decreto-legge 17 maggio 1996, n. 269, attualmente in vigore;

che questa Corte, con la sentenza n. 84 del 1996, ha affermato che "la norma contenuta in un atto avente forza di legge vigente al momento in cui l'esistenza nell'ordinamento della norma stessa è rilevante ai fini di una utile investitura della Corte, ma non più in vigore nel momento in cui essa rende la sua pronunzia, continua ad essere oggetto dello scrutinio alla Corte stessa demandato quando quella medesima norma permanga tuttora nell'ordinamento - con riferimento allo stesso spazio temporale rilevante per il giudizio - perché riprodotta, nella sua espressione testuale o comunque nella sua identità precettiva essenziale, da altra disposizione successiva, alla quale dunque dovrà riferirsi la pronunzia" (v. anche, nello stesso senso, ordinanza n. 108 del 1996);

che, pertanto, anche nel presente giudizio, allo scopo di identificare la disciplina da sottoporre all'esame della Corte, è necessario verificare preliminarmente il contenuto del decreto-legge 17 maggio 1996, n. 269 - e, in particolare, dell'art. 7, comma 3, di tale decreto - onde stabilire la sussistenza dei requisiti che consentono, secondo la citata sentenza n. 84 del 1996, il trasferimento del giudizio di costituzionalità alla disciplina in vigore;

che, al fine di compiere tale verifica, assume rilievo pregiudiziale per l'esame della Corte la valutazione della legittimità della reiterazione dei decreti-legge n. 489 del 1995 e nn. 22 e 132 del 1996, attraverso cui la richiamata disciplina in vigore, prevista dal decreto-legge n. 269 del 1996, è stata introdotta nell'ordinamento;

che questa Corte dubita, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, della legittimità costituzionale del decreto-legge n. 269 del 1996, in quanto lo stesso, mediante reiterazione, ha rinnovato l'efficacia di norme decadute a seguito della mancata conversione, nel termine fissato dalla norma costituzionale, di un precedente decreto-legge che le prevedeva;

che il dubbio relativo alla lesione della richiamata disposizione costituzionale va nella specie valutato anche in relazione all'ambito nel quale intervengono le norme impugnate, che, disciplinando una particolare forma di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, attengono alla sfera dei diritti fondamentali della persona e sono suscettibili di produrre effetti irreversibili in tale sfera.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dispone la trattazione innanzi a sé della questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 77 della Costituzione, del decreto-legge 17 maggio 1996, n. 269 (Disposizioni urgenti in materia di politica dell'immigrazione e per la regolamentazione dell'ingresso e soggiorno nel territorio nazionale dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione Europea);

ordina il rinvio del presente giudizio, per poter trattare le questioni relative congiuntamente a quella di cui al capo precedente;

ordina che la cancelleria provveda agli adempimenti di legge;

ordina che la presente ordinanza sia pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 giugno 1996.