SENTENZA
N. 79
ANNO
2019
Commento alla decisione di
Francesco Lucianò
per g.c. di Federalismi.it
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio
PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt.
1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante
«Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a
norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», promosso dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione terza, nel procedimento
vertente tra Pasquale Mancuso e altri e il Ministero della difesa e altri, con ordinanza
del 19 luglio 2017, iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale,
dell’anno 2017.
Visti l’atto di costituzione di Pasquale Mancuso
e altri, l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché
gli atti di intervento ad adiuvandum di Massimo
Cipullo e altri (ivi compreso Fabrizio Spagnuolo), di David Ambrosini e altri e
di Luigi Siciliano e altri, questi ultimi due fuori termine;
udito nell’udienza pubblica del 5 marzo 2019 il
Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Paolo Leone per Massimo
Cipullo e altri, Salvatore Sfrecola per Fabrizio Spagnuolo, Vincenzo Gigante
per Luigi Siciliano e altri, Francesco Foggia per Pasquale Mancuso e altri e
gli avvocati dello Stato Enrico De Giovanni e Leonello Mariani per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017), il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 8, nonché, anche autonomamente, degli
artt. 5 e 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante
«Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a
norma dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione
degli artt. 1 e 76 della Costituzione,
in relazione all’art.
2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori
usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di
ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione,
di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro
sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro),
nonché per violazione degli artt. 3, 97 e 117 (recte: primo comma), Cost., quest’ultimo in
relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a
Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848.
2.– Il giudice rimettente premette, in
narrativa, che con due ricorsi successivamente riuniti (n. 8540 e n. 8541 del 2016),
entrambi notificati il 21 luglio 2016, numerosi appartenenti al Corpo militare
della Croce Rossa Italiana (da ora in poi: CRI) hanno impugnato dinanzi al TAR
Lazio il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 marzo 2016
(pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 155
del 5 luglio 2016), recante «Criteri e modalità di equiparazione fra i livelli
di inquadramento del personale già appartenente al corpo militare e quelli
previsti dal contratto collettivo relativo al personale civile con contratto a
tempo determinato della associazione italiana della Croce Rossa», adottato
nell’ambito della trasformazione della CRI da ente pubblico non economico ad
associazione dotata di personalità giuridica di diritto privato, la cui entrata
in vigore ha rappresentato, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178
del 2012, il dies a quo del collocamento in congedo
del personale in questione. Nel giudizio principale sono stati altresì
impugnati «"ogni atto presupposto […] o comunque collegato”, ivi compresi i
pareri del Ministero dell’economia (nota n. 7124 del 21 settembre 2015), del
Ministero della difesa (nota n. 36224 del 23 settembre 2015) e della Presidenza
del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica (note n.
54978 del 30 settembre 2015; note DICA 13536 del 23 giugno 2016 e 11614 del 31
maggio 2016)», nonché i conseguenti provvedimenti individuali di congedo, i cui
estremi, tuttavia, il rimettente ammette essere «ancora non conosciuti».
3.– I ricorrenti hanno contestato l’ultima fase
della trasformazione della CRI, avviata con la legge n. 183 del 2010 e portata
a compimento dal d.lgs. n. 178 del 2012 e dai successivi decreti attuativi, tra
cui i provvedimenti di determinazione dei criteri di inquadramento del
personale militare nel ruolo civile e di congedo del medesimo personale dal
Corpo militare. I ricorrenti hanno prospettato, con riferimento a detti
provvedimenti, ritenuti direttamente incidenti sul loro trattamento giuridico
ed economico, varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere,
proponendo altresì eccezioni di illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 178
del 2012, in accoglimento delle quali il giudice a quo ha sollevato le
questioni dianzi indicate.
4.– In punto di rilevanza, il Collegio
rimettente ritiene che il d.P.C.m. 25 marzo 2016,
così come i provvedimenti presupposti e collegati, impugnati nel giudizio a
quo, siano stati adottati in modo conforme all’iter procedurale tracciato dal
d.lgs. n. 178 del 2012, con la conseguenza che l’eventuale declaratoria di
illegittimità del suddetto decreto legislativo condurrebbe, inevitabilmente,
all’accoglimento del ricorso nel giudizio principale, mentre, al rigetto delle
medesime questioni non potrebbe che seguire quello delle domande dei
ricorrenti.
5.– In punto di non manifesta infondatezza, il
rimettente si sofferma anzitutto sulla denunciata violazione dell’art. 76 Cost.
da parte del d.lgs. n. 178 del 2012, osservando che l’art. 2, comma 1, della
legge n. 183 del 2010 avrebbe delegato il Governo «ad adottare [...] uno o più
decreti legislativi, finalizzati alla riorganizzazione degli enti, istituti e
società vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal
Ministero della salute, nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei
predetti Ministeri sugli stessi enti, istituti e società, ferme restando [...]
le funzioni loro attribuite», secondo principi e criteri direttivi così
riassunti dallo stesso rimettente: a) semplificazione e snellimento
dell’organizzazione e della struttura amministrativa, in base ai principi di
efficacia, efficienza ed economicità dell’attività amministrativa, «ferme
restando le specifiche disposizioni vigenti per il […] personale in servizio»;
b) razionalizzazione e ottimizzazione delle spese; c) ridefinizione del
rapporto di vigilanza, in base a indirizzi e direttive delle amministrazioni
vigilanti; d) organizzazione del casellario centrale infortuni; e) obbligo
degli enti e istituti vigilati di adeguare i propri statuti alle disposizioni
dei decreti legislativi emanati in attuazione della medesima legge delega.
5.1.– Il giudice a quo sottolinea come, pur «a
fronte di tali disposizioni – che non sembrano suggerire interventi totalmente
innovativi, né certamente soppressivi, degli enti da riorganizzare – il decreto
legislativo n. 178 del 2012» operi, invece, «un’integrale rinnovazione
strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa Italiana».
Tale riorganizzazione comporta, in base all’art.
2 del medesimo d.lgs., che la CRI, dal 1° gennaio, assuma la denominazione di
«Ente strumentale alla Croce Rossa italiana», mantenendo una personalità
giuridica di diritto pubblico e, in virtù dell’art. 8 del d.lgs. n. 178 del
2012, che, «a far data dal 1° gennaio 2018» detto Ente strumentale sia soppresso
e posto in liquidazione, «con subentro in tutti i rapporti attivi e passivi di
una neo-istituita "Associazione della Croce Rossa italiana”, promossa dai soci
della C.R.I. e dotata di personalità giuridica di diritto privato».
Tale Associazione privata opera come movimento
volontario di soccorso, alla stregua di una onlus, ed è destinataria di una
peculiare disciplina per quanto riguarda il Corpo militare ausiliario delle
Forze armate. L’art. 5 del d.lgs. n. 178 del 2012 riduce, infatti, il Corpo
militare della CRI da oltre 800 a 300 unità, distinguendo, da un lato, il Corpo
militare volontario e, dall’altro, il preesistente Corpo delle infermiere
volontarie della Croce Rossa, caratterizzati entrambi dalla presenza di
personale esclusivamente volontario, sottratto ai codici penali militari e alle
disposizioni in materia militare, fatta eccezione per la categoria del congedo.
5.2.– In base allo stesso art. 5, comma 5, il
personale del pregresso Corpo militare della CRI, costituito da unità già in
servizio continuativo per effetto di provvedimenti di assegnazione a tempo
indeterminato «transita […] in un ruolo ad esaurimento nell’ambito del
personale civile della CRI e successivamente dell’Ente ed è collocato in
congedo, nonché iscritto a domanda nel ruolo» del Corpo militare volontario.
«Resta ferma la non liquidazione del trattamento di fine servizio, in quanto il
transito […] interviene senza soluzione di continuità nel rapporto di lavoro
con la CRI ovvero con l’Ente. Al predetto personale continua ad essere
corrisposta la differenza tra il trattamento economico in godimento,
limitatamente a quello fondamentale ed accessorio avente natura fissa e
continuativa, e il trattamento del corrispondente personale della CRI, come
assegno ad personam riassorbibile in caso di adeguamenti retributivi […]».
5.3.– Il successivo art. 6 del decreto
legislativo censurato prevede, al comma 1, la fissazione di «criteri e […]
modalità di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dal contratto
collettivo relativo al personale civile con contratto a tempo indeterminato
della CRI e quelli del personale di cui all’art. 5 già appartenente al Corpo
militare, nonché tra i livelli delle due predette categorie di personale e
quelli previsti dai contratti collettivi dei diversi comparti della Pubblica
Amministrazione», previa informativa alle organizzazioni sindacali; al comma 3
prevede, inoltre, per il personale «non impiegato nelle convenzioni ed
eccedente l’organico dell’Associazione», l’applicazione delle «disposizioni vigenti
sugli strumenti utilizzabili per la gestione di eccedenze di personale nelle
pubbliche amministrazioni», tramite ricorso a procedure di mobilità, «anche con
riferimento ad amministrazioni con sede in province diverse rispetto a quella
di impiego».
5.4.– Secondo il giudice rimettente appare
«evidente il profondo mutamento di status e di prospettive del personale
militare, costretto ad una scelta obbligata, se impiegato nella precedente
attività […], in quanto l’unica possibile permanenza nel ridotto ruolo militare
è quella dell’opzione per un’attività volontaria, da svolgere a titolo
gratuito». Quanto «all’inevitabile […] passaggio al ruolo civile, non vi è
inoltre garanzia di progressione economica commisurata al grado rivestito
(essendo previsto solo un assegno "ad personam”, destinato al riassorbimento
nell’ambito del successivo sviluppo di carriera nel nuovo ruolo […])» e,
ugualmente, mancano garanzie di conservazione delle funzioni in precedenza
attribuite.
5.5.– Tali aspetti vengono ritenuti contrari a
quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge delega n. 183 del
2010. Non sarebbe infatti riconducibile alla volontà del legislatore delegante,
più che la disposta privatizzazione della CRI, l’assenza di concrete garanzie
di continuità rispetto all’assolvimento di compiti istituzionali
tradizionalmente affidati alla stessa Croce Rossa e fatti espressamente salvi
dalla legge di delega, proprio ai sensi del richiamato art. 2, comma 1.
5.6.– Secondo il rimettente, tale previsione,
riferendosi ad una mera "riorganizzazione” di determinati enti, non potrebbe
estendersi ad interventi di tipo soppressivo come quelli che, nel caso di
specie, hanno invece portato alla liquidazione ed estinzione dell’ente pubblico
della CRI, nonché all’istituzione di una nuova entità in forma associativa e di
natura privata, dai compiti generalmente analoghi, senza, però, alcuna garanzia
di effettiva continuità funzionale. La «smobilitazione delle risorse e di gran
parte del personale» comprometterebbe – a detta del rimettente – la
prosecuzione delle funzioni della CRI.
5.7.– Il TAR Lazio ritiene che il vizio
dell’eccesso di delega riguardi l’intero impianto del d.lgs. n. 178 del 2012
(artt. da 1 a 6 e 8), ad eccezione dell’art. 7, poiché è sostanzialmente nella
sua interezza che tale atto normativo non appare riconducibile alla volontà del
legislatore delegante, i cui obiettivi si limiterebbero al mero riordino del
rapporto di vigilanza degli enti sottoposti al controllo dei ministeri sopra
menzionati. A dimostrazione di ciò, il rimettente richiama alcune
riorganizzazioni avvenute, sempre in forza del medesimo art. 2 della legge n.
183 del 2010, per altri e differenti enti ed istituti (tra cui, gli istituti
zooprofilattici sperimentali, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari
regionali e la Lega italiana per la lotta contro i tumori), nonché alcuni casi
di privatizzazione per legge di Corpi militari (Agenti di custodia e Polizia di
Stato), attraverso cui questi hanno sì mutato la propria natura giuridica, ma senza
depotenziare o disperdere il personale e le relative strutture.
5.8.– A tale riguardo, il giudice a quo ritiene
di non poco rilievo come la legge delega abbia predisposto l’assegnazione delle
risorse finanziarie. Queste sono previste a carico del bilancio dello Stato,
sulla base di criteri la cui determinazione è demandata ai Ministri della
salute, dell’economia e delle finanze, e della difesa, senza il riferimento,
però, a precisi parametri che garantiscano, tramite la copertura finanziaria,
l’effettivo espletamento delle funzioni riconducibili tanto all’Ente
strumentale, quanto alla nuova Associazione privata della CRI. In tale ottica –
secondo il rimettente – «appare ravvisabile una sostanziale, benché parziale,
sub-delega della funzione normativa affidata al Governo, in quanto risulta che
quest’ultimo abbia demandato a scelte ministeriali aspetti essenziali della
nuova disciplina» (viene richiamata la sentenza n. 104 del
2017). È comunque ribadito come nessuna delle disposizioni in materia di
assegnazione delle risorse sia ritenuta sufficiente e adeguata a far assolvere
alla neoistituita Associazione le funzioni e le attività di interesse pubblico,
affidatele anche dall’art. 1 del d.lgs. n. 178 del 2012.
5.9.– Considerazioni analoghe vengono rivolte
anche autonomamente agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, rispetto al
trattamento del personale militare, le cui modalità di smilitarizzazione e
ridefinizione del trattamento economico risultano stabilite – senza alcuna
previsione dettata dal legislatore delegante – in implicita deroga a puntuali
disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice
dell’ordinamento militare) e, in particolare, agli artt. 622, 1757, 1759, 1760
e 1799. L’istituzione di un contingente militare ridotto e non retribuito,
nonché la mobilità del restante personale passato al ruolo civile – senza alcun
preciso riferimento alla professionalità acquisita nel settore di appartenenza
– appaiono al giudice a quo «apertamente confliggenti con i principi e criteri
direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega, che
lasciava "ferme [...] le specifiche disposizioni vigenti per il [...]
personale, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”».
5.10.– I citati artt. 5 e 6, così come gli artt.
da 1 a 4 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012 sono, da ultimo, denunciati come
contrari ad altre disposizioni costituzionali e, precisamente: all’art. 1
Cost., «per adozione, da parte del Governo, di iniziative di rilievo politico,
non riconducibili al legislatore delegante»; agli artt. 3 e 97 Cost., «per
l’irrazionalità di scelte, destinate ad incidere su servizi di assoluta valenza
per la salute, l’incolumità e l’ordine pubblico, senza adeguato bilanciamento
fra le esigenze sottostanti a tali servizi e le contrapposte ragioni di
contenimento della spesa»; all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento
all’art. 1, paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, che
garantisce «i beni delle persone fisiche e giuridiche in una accezione, già
ricondotta dalla giurisprudenza alla titolarità di qualsiasi diritto, o di mero
interesse di valenza patrimoniale, rientrante fra i parametri di
costituzionalità riconducibili […] al citato art. 117, anche per quanto attiene
alle modalità di tutela dei lavoratori, con riferimento agli aspetti
patrimoniali del rapporto di lavoro» (viene citata la sentenza n. 303 del
2011).
6.– Con atto depositato il 30 ottobre 2017, si
sono costituiti Pasquale Mancuso e altri diciotto ricorrenti nel giudizio
principale.
6.1.– In pari data, è stato depositato atto di
intervento ad adiuvandum, dal contenuto pressoché
identico, sottoscritto da otto ricorrenti nel giudizio a quo, nonché da Massimo
Cipullo e altre ventiquattro persone, estranei ad esso.
Questi ultimi affermano di essere stati
dipendenti a tempo indeterminato della CRI, prima, e dell’Ente strumentale alla
CRI, poi, e che per effetto delle norme censurate sono cessati dal proprio
impiego e transitati in mobilità presso altre amministrazioni dello Stato.
Vantano, in quest’accezione, un interesse qualificato per partecipare al
giudizio di legittimità instaurato dinanzi al giudice costituzionale.
6.2.– In entrambi questi atti, le parti e gli
intervenienti «insistono per la conservazione del proprio status di militari in
servizio attivo, nella pienezza dei diritti e delle posizioni sostanziali di
carattere giuridico, economico e professionale collegate a tale tipologia di
impiego, come disciplinate dal Codice dell’Ordinamento militare» e sostengono
il contrasto del d.lgs. n. 178 del 2012 con i principi e le norme
costituzionali. Oltre a riproporre le motivazioni già esposte nell’ordinanza di
rimessione, aggiungono, poi, diverse e nuove argomentazioni a favore
dell’incostituzionalità della norma censurata.
6.3.– Quanto alla violazione dell’art. 76 Cost.,
con riferimento alla trasformazione dello statuto e della natura giuridica
della CRI, i ricorrenti ritengono che dai lavori preparatori della legge delega
n. 183 del 2010 si evinca l’assenza della volontà del Parlamento di disporre la
cessazione dell’ente pubblico della Croce Rossa; e che l’operazione posta in
essere dal Governo non possa ritenersi un «coerente sviluppo ed un
completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante», né tantomeno
che «le scelte del legislatore delegato siano coerenti con gli indirizzi
generali della delega e compatibili con la ratio di questa» (sono richiamate le
sentenze n. 194
del 2015 e n.
182 del 2014). Le privatizzazioni avvenute sarebbero state «specificamente previste
in testi di legge che hanno rubricato il relativo disegno con la chiara
operazione di modificazione della natura giuridica degli enti coinvolti»
(vengono indicati il caso del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante
«Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica», relativo alla
trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA, ENEL, Ferrovie dello
Stato; e quello della legge 8 agosto 2002, n. 178, recante «Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, recante
interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento
della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree
svantaggiate», attinente alla trasformazione dell’ANAS in spa). In tali casi –
affermano i ricorrenti – questa Corte avrebbe «confermato la legittimità della
decisione di sopprimere l’ente, proprio in quanto tale obbiettivo era
specificamente previsto e fissato dal legislatore delegante» (viene citata la sentenza n. 237 del
2013).
6.4.– Sempre con riferimento alla violazione
dell’art. 76 Cost., gli atti di costituzione e di intervento sottolineano,
inoltre, come l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 178 del 2012, prevedendo che «il
Ministro delle salute e, per quanto di competenza, il Ministro della difesa,
adottano atti di indirizzo ed esercitano la funzione di vigilanza sulla CRI e,
successivamente sull’Ente», ometta qualsiasi riferimento ad ogni forma di
vigilanza sulla neoistituita Associazione, benché uno degli scopi essenziali
della delega fosse proprio quello di rafforzare la sfera di controllo dello
Stato sull’organizzazione e sulla gestione degli enti "riformati” ai sensi
dell’art. 2, lettera c), della legge n. 183 del 2010. Parimenti, evocano il
contrasto del d.lgs. n. 178 del 2012 con le norme del d.lgs. n. 66 del 2010
(d’ora in poi, anche: cod. ordinamento militare) e con le Convenzioni
internazionali di Ginevra, ratificate e rese esecutive con legge 27 ottobre
1951, n. 1739, e, segnatamente, con la Convenzione per il miglioramento della
sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna.
In particolare, gli artt. 5 e 6 del censurato
decreto legislativo, non assoggettando il Corpo militare volontario della neoistituita
Associazione della Croce Rossa italiana alle disposizioni del cod. ordinamento
militare, derogherebbero agli artt. 24 e 26 della citata Convenzione, i quali
prevedono che il personale delle società nazionali della Croce Rossa debba
invece essere sottoposto a codici e regolamenti militari per l’espletamento dei
peculiari compiti da svolgere in contesti di crisi internazionale.
6.5.– Le parti e gli intervenienti denunciano,
poi, con particolare riferimento alla procedura di mobilità che ha interessato
il personale militare della CRI, la violazione dei principi di ragionevolezza e
di buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.).
Le modifiche disposte dalla norma censurata non
rappresenterebbero l’esito del tentativo di trovare, per il personale
coinvolto, un impiego effettivamente in linea con la professionalità maturata
nel settore delle emergenze, del soccorso e dell’ausilio alle Forze armate.
A riprova di ciò, viene richiamato il contenuto
del d.P.C.m. 26 marzo 2016, oggetto del giudizio
principale, il quale avrebbe indicato in maniera del tutto tautologica il
criterio per disporre l’equiparazione del personale della CRI ai livelli e alle
qualifiche proprie della contrattazione collettiva di comparto.
6.6.– Gli atti di costituzione e intervento
evocano, infine, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in
riferimento all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. La denuncia
si concentra sul transito disposto per il personale del Corpo militare in ruoli
e funzioni propri del personale civile, senza la previsione di precisi criteri
di equipollenza volti ad evitare disparità di trattamento.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, e in particolare gli
artt. 5 e 6, tramite il collocamento in congedo del personale militare e
attraverso il processo di privatizzazione della CRI, avrebbero determinato
un’ingerenza nei diritti concernenti il trattamento giuridico ed economico dei
lavoratori coinvolti dalla riforma, che ricadrebbero nella nozione di «beni»,
tutelati dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU, come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sono citate, con
riguardo ai crediti salariali nel pubblico impiego, Corte EDU, sentenze 7 maggio 2013, Koufaki e Adedy contro Grecia,
8 novembre 2005, Ketchko contro Ucraina; con riguardo a prestazioni
previdenziali o assistenziali, Corte EDU, grande camera,
sentenza 12 aprile 2006, Stec e altri contro Regno
Unito, Corte EDU,
decisione 30 settembre 2010, Hasani contro Croazia).
In tal senso, la norma sovranazionale viene reputata lesa con riguardo
all’ingerenza dello Stato nel godimento da parte del personale militare della
CRI dei diritti a carattere patrimoniale e non patrimoniale, comunque di
rilievo costituzionale.
7.– In data 12 dicembre 2017 hanno depositato,
fuori termine, atto di intervento ad adiunvandum
David Ambrosini e altre centoquindici persone.
8.– Con atto depositato il 31 ottobre 2017, è
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni
vengano dichiarate inammissibili o infondate.
8.1.– In merito all’ipotizzato eccesso di
delega, che sarebbe limitata alla riorganizzazione e non alla soppressione
degli enti vigilati, l’interveniente sostiene che il legislatore delegato abbia
esercitato i propri poteri entro i limiti posti dal Parlamento.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, per
comprendere la riforma attuata dal d.lgs. n. 178 del 2012 occorre muovere da
una premessa, non richiamata dalle controparti. La CRI versa da decenni in una
situazione di dissesto finanziario, che l’ha costretta ad un lungo periodo di
commissariamento. Il legislatore delegato, nel provvedere a una
riorganizzazione dell’ente, non poteva non considerare quest’aspetto. Più
specificamente, il Governo ha dovuto calare il nuovo assetto associativo della
CRI in un contesto normativo e sociale radicalmente mutato rispetto a quello in
cui nacque. Ciò, peraltro, non contrasta con la giurisprudenza costituzionale che,
in più occasioni, ha invitato ad una lettura sistematica della legge di
delegazione, proprio «alla luce del contesto normativo nel quale essa si
inserisce, nonché della ratio e delle finalità che la ispirano» (è richiamata
la sentenza n.
104 del 2017). Lo scopo perseguito è stato quello di adeguare la struttura
della CRI al rispetto dei principi di efficienza e razionalità che sono a
presidio dell’azione amministrativa, incaricando il Governo di individuare lo
strumento organizzativo migliore per compiere tale riforma. Condivisa anche dal
Parlamento l’inadeguatezza della veste giuridica dell’ente pubblico non
economico, il legislatore delegato si è quindi orientato verso un modello organizzativo
di tipo privatistico, peraltro già largamente utilizzato per l’assolvimento di
funzioni pubblicistiche. Funzioni, queste, che – secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri – non sono messe in discussione dal legislatore
delegato, stante il carattere prevalente della CRI, di associazione di
volontari.
8.2.– L’Avvocatura generale contesta, altresì,
il fatto che il d.lgs. n. 178 del 2012 non offrirebbe garanzie di continuità
per l’assolvimento delle funzioni tradizionalmente affidate alla Croce Rossa.
Il trasferimento alla neoistituita Associazione
della Croce Rossa italiana di tutti i beni mobili e immobili in proprietà del
soppresso ente; così come il subentro di essa in tutti i rapporti attivi e
passivi pendenti; o, ancora, i contributi versati alla stessa da parte dello
Stato, in conseguenza della avvenuta trasformazione, sono fattori che – secondo
l’Avvocatura – dovrebbero consentire alla nuova Associazione, benché
privatizzata, di assolvere quelle attribuzioni di rilievo pubblico che, da sempre,
caratterizzano la sua attività. Numerosi eventi smentirebbero, peraltro, quanto
affermato dal giudice a quo e dai ricorrenti: la nuova Associazione privata, in
più occasioni (terremoti del 2016, valanga di Pescara del 2017, terremoto di
Ischia del 2017), avrebbe svolto tali funzioni in modo più che adeguato, a
riprova «dell’assoluta ragionevolezza delle scelte operate» dal legislatore
delegato.
8.3.– L’Avvocatura generale contesta altresì le
affermazioni del TAR Lazio e della difesa dei ricorrenti, con riferimento
all’ipotizzato eccesso di delega e alla asserita lesione degli artt. 3 e 117
Cost. (in riferimento all’art. 1 Prot. addiz. CEDU),
per supposta reformatio in peius del trattamento
giuridico ed economico del personale appartenente al Corpo militare della Croce
Rossa.
Quanto alla modalità di tutela dei lavoratori,
la difesa dello Stato evidenzia il rispetto dei principi e dei criteri
direttivi contenuti nella legge n. 183 del 2010. L’art. 2, comma 1, lettere a)
e b), di tale legge ha previsto la «riorganizzazione» degli enti e «la
razionalizzazione e l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento».
Tra questi obiettivi, rientrerebbe necessariamente anche la riorganizzazione
del personale, essendo «impensabile che si possa procedere ad una nuova
configurazione o assetto di un soggetto, e non importa se pubblico o privato,
senza che il personale dipendente sia coinvolto in un simile meccanismo».
L’Avvocatura evidenzia comunque che «la Croce Rossa Italiana ha sempre
previsto, nella propria compagine associativa, la presenza di due Corpi
ausiliari alle Forze armate, denominati, rispettivamente, Corpo delle
infermiere volontarie e Corpo militare. […] Sebbene assoggettato al codice
militare, il personale del Corpo militare non ha alcun legame di appartenenza
con le Forze armate e stante la prevista e delegata riorganizzazione dell’ente,
la riduzione dell’organico del personale militare in servizio attivo ben può
essere considerato rientrante appieno nell’esercizio di quei poteri che ben potevano
essere esercitati anche in mancanza di una specifica previsione della legge di
delegazione». In questo senso, viene precisato, inoltre, che la dotazione
organica del personale del Corpo militare della CRI viene demandata dal cod.
ordinamento militare (art. 1627, comma 4) ad uno strumento amministrativo, un
decreto del Ministro della difesa adottato d’intesa con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sulla base di una relazione fornita dal
Presidente dell’Associazione della CRI. Sarebbe perciò evidente come la
possibilità di razionalizzare tale categoria di personale, non appartenente
alle Forze armate («per il quale invece, ai sensi dell’articolo 792 del Codice
dell’ordinamento militare, opera una riserva assoluta di legge»), prescinda da
una preventiva disposizione del legislatore delegante.
Nell’ottica di una razionalizzazione delle
spese, poi, il Governo ha previsto una sostanziale equiparazione del Corpo
militare al Corpo delle infermiere volontarie, denominandolo Corpo militare
volontario e disponendo la sopravvivenza degli appartenenti a questo organismo
quale categoria in congedo che presta servizio volontariamente e gratuitamente.
Ciò non innoverebbe particolarmente la realtà del Corpo militare, considerando
che tale categoria di personale già esiste nella posizione del "congedo” e
costituisce il bacino da cui la CRI da sempre attinge per i cosiddetti richiami
temporanei in servizio (artt. 1668 e seguenti del d.lgs. n. 66 del 2010).
8.4.– Quanto alla pretesa deroga ad alcune norme
del cod. ordinamento militare, l’Avvocatura generale ritiene che il giudice a
quo abbia ricostruito erroneamente la vicenda relativa alla perdita dello
status di militare da parte del personale del Corpo militare volontario in
congedo. Con la trasformazione del Corpo militare in Corpo militare volontario,
ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012, il personale in congedo,
«all’atto del transito nei ruoli del personale civile dell’Associazione o di
altra amministrazione», non è stato privato del grado che, per ciascun
militare, al di fuori di specifici casi (di cui all’art. 622 del d.lgs. n. 66
del 2010) estranei a quello in esame, ha carattere permanente. Detto personale,
nonostante il trasferimento «in altre amministrazioni», conserverebbe la
qualità di militare in congedo e, ai sensi dell’art. 1668 cod. ordinamento
militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio, conservando il grado
rivestito all’atto del collocamento in congedo e la possibilità di avanzamento
a gradi superiori. L’unica modifica derivante dalla riforma in esame sarebbe
quindi attinente al rapporto di servizio attivo, che perderebbe il connotato
"militare”, ma senza alcuna ricaduta sullo status del personale coinvolto. La
censura sarebbe immotivata, secondo l’Avvocatura, anche rispetto al trattamento
economico. Al personale del Corpo militare dipendente della CRI compete il
trattamento di cui all’art. 1757, comma 3, cod. ordinamento militare, «ovvero
quello determinato dalla presidenza dell’Associazione in analogia con quanto
previsto per il personale militare e delle amministrazioni statali». La
disciplina di cui al d.lgs. n. 178 del 2012 non avrebbe disatteso tale
disposizione, ma, anzi, l’avrebbe confermata prevedendo, indipendentemente dal
trattamento economico dell’amministrazione di destinazione, che il personale
militare oggetto delle procedure di mobilità mantenesse il trattamento in
godimento mediante un assegno ad personam, riassorbibile solo in caso di
adeguamenti retributivi. Contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza di
rimessione, nessun dipendente militare della CRI, al pari del personale civile,
avrebbe subito nocumento sul piano economico o sarebbe costretto a fornire
prestazioni professionali da lavoro dipendente a titolo gratuito.
Quanto alla lamentata assenza di «garanzia di
progressione economica commisurata al grado», l’Avvocatura precisa che, alla
data di adozione del d.lgs. n. 178 del 2012, la progressione economica era
bloccata dall’art. 9, commi 1 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122.
In corrispondenza di tale blocco delle classi e degli scatti stipendiali, il
legislatore delegato non avrebbe certamente potuto adottare misure maggiormente
favorevoli per il personale della CRI, dovendo altresì considerarsi che non
esiste, secondo la giurisprudenza amministrativa, un «vero e proprio obbligo in
capo alla PA di avviare procedure d’avanzamento, così come non esiste –
conseguentemente – un diritto soggettivo del dipendente alla valutazione atteso
che "le promozioni dei pubblici dipendenti sono disposte nel prevalente
interesse dell’Amministrazione alla migliore utilizzazione del personale e alla
più razionale organizzazione dei suoi uffici”».
8.5.– Quanto all’asserita mancanza di garanzie
rispetto alle funzioni svolte precedentemente dal personale coinvolto dalla
riforma, in riferimento ai criteri di equipollenza di cui all’art. 6 del d.lgs.
n. 178 del 2012, l’Avvocatura generale evidenzia che le tabelle di
equiparazione tengono conto dei dati oggettivi riferibili a ciascun dipendente
militare. Tra questi, la suddivisione in gradi risponde ad un principio
immanente ad ogni organizzazione militarmente ordinata, in quanto funzionale
alla determinazione dell’ordine gerarchico, pur non individuando ambiti
funzionali precisi assimilabili a quelli previsti per il personale civile. Non
esisterebbe – secondo l’Avvocatura – una declinazione normativa o regolamentare
delle mansioni che competono a ciascun grado o a ciascuna categoria, il che non
renderebbe possibile nemmeno astrattamente l’individuazione di ambiti
funzionali omogenei per il personale militare e civile dell’Associazione.
Inoltre, nel corso dell’adozione del d.P.C.m. 26
marzo 2016 si è accertata l’impossibilità di prendere in considerazione, quale
criterio per l’equiparazione, le mansioni precedentemente svolte dal personale
oggetto di riorganizzazione, a causa di una estrema diversità e disomogeneità dei
servizi ai quali, nell’ambito delle numerose attività riconducibili alla Croce
Rossa, vengono adibiti militari di pari grado. Ciò premesso, l’Avvocatura
ricorda comunque che nell’ordinamento militare lo svolgimento di mansioni
diverse o superiori rispetto a quelle previste per il grado rivestito non
comporta né il passaggio, né l’automatica progressione al grado superiore,
conseguendone che lo svolgimento di mansioni diverse da quelle astrattamente
imposte ad un dato grado non assumerebbe alcuna rilevanza ai fini del
collocamento effettuato al momento del transito.
9.– Con memoria depositata il 7 febbraio 2019, i
ricorrenti del giudizio principale, riproponendo in parte argomenti già
esposti, hanno inteso replicare all’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri, insistendo per la fondatezza delle questioni sollevate.
9.1.– Ad avviso delle parti, la consapevolezza
del Parlamento circa la situazione di dissesto economico-finanziario della CRI
non giustificherebbe l’intervento disposto dal Governo, bensì avvalorerebbe le
ragioni dell’ordinanza di rimessione, sostenute dai ricorrenti. Afferma la
difesa dei ricorrenti che, «qualora il Parlamento, conscio della difficile
situazione economica dell’Associazione Italiana della Croce Rossa, avesse
inteso disporre la privatizzazione dell’ente pubblico, […] lo avrebbe
chiaramente disposto con la legge di delega».
9.2.– Viene contestata, altresì, la fondatezza
delle argomentazioni utilizzate dall’Avvocatura generale dello Stato per
dimostrare la continuità, da parte della neoistituita Associazione di diritto
privato, delle funzioni tradizionalmente attribuite alla CRI. I riferimenti ad
una adeguata gestione delle calamità che hanno colpito l’Italia negli ultimi
anni non sarebbero – secondo la memoria – completi ed esaurienti. Fino
all’ottobre del 2018, infatti, tali emergenze sono state gestite dall’Ente
strumentale alla CRI (oggi in liquidazione coatta amministrativa), il quale
avrebbe beneficiato di un contingente di 300 unità formato dal personale del
Corpo militare, che, però, dal 1° ottobre 2018 ha cessato la sua esistenza per
effetto del d.lgs. n. 178 del 2012. I componenti del Corpo militare sono quindi
cessati dal servizio attivo e collocati in congedo, destinati all’impiego in
altre amministrazioni pubbliche e non più a disposizione per future situazioni
emergenziali. Queste ultime, se nazionali, potranno comunque beneficiare di
mezzi e personale della Protezione civile o dei Vigili del Fuoco; in campo
internazionale, al contrario, resteranno del tutto senza ausilio le Forze
armate.
10.– In data 12 febbraio 2019, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato una memoria, insistendo per
l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza delle questioni sollevate.
10.1.– Preliminarmente, la difesa del Presidente
del Consiglio dei ministri eccepisce la tardività dell’intervento ad adiuvandum, depositato in data 12 dicembre 2017 da David
Ambrosini e altre centoquindici persone. Osserva, inoltre, che l’intervento di
Massimo Cipullo e altri, depositato il 30 ottobre 2017, è parimenti
inammissibile, considerato che nell’atto non si fa riferimento alla
partecipazione di costoro al giudizio principale, né appare sussistere un
interesse qualificato che consenta loro di intervenire nel giudizio incidentale.
10.2.– Sempre in via preliminare, l’Avvocatura
generale eccepisce la carenza della rilevanza in riferimento alla «questione di
costituzionalità dell’intero decreto legislativo» di riorganizzazione della
Croce Rossa.
In particolare, osserva come l’ordinanza di
rimessione impugni l’intero testo del d.lgs. n. 178 del 2012, tralasciando il
contenuto dell’impugnativa del giudizio principale. Quest’ultimo, infatti, ha
un oggetto circoscritto alla legittimità dei criteri per l’equiparazione del
personale (già) appartenente al Corpo militare a quello civile; a questi fini
non assumerebbe quindi rilievo l’intero testo legislativo impugnato, né,
specificamente, rileverebbe la norma che dispone la privatizzazione della CRI.
Il giudice a quo sarebbe chiamato a dare applicazione alle sole norme
concernenti il personale dipendente e queste ultime, «pur essendo contenute nel
medesimo testo legislativo, costituiscono […] una componente concettualmente e
giuridicamente autonoma e distinta».
In tal senso, l’Avvocatura esclude che il
decreto legislativo, oggetto della censura, «presenti quell’omogeneità di
contenuto che, sola, consente, secondo la giurisprudenza [costituzionale], di
sollevare questione di legittimità costituzionale dell’intero corpus
normativo».
10.3.– Un ulteriore profilo di inammissibilità
discenderebbe dal carattere perplesso della questione concernente la violazione
dell’art. 76 Cost.: da un lato, infatti, il rimettente lamenta l’assenza di non
meglio definite garanzie di continuità per l’assolvimento dei compiti
istituzionali; dall’altro lato, si duole della circostanza che la delega non
potesse estendersi ad interventi di tipo soppressivo dell’Ente e
all’istituzione di una nuova entità, in forma associativa e di natura privata.
10.4.– Nel merito delle questioni, l’Avvocatura
generale dello Stato si sofferma, dapprima, sulle censure rivolte all’«intero»
d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7), per affrontare, poi, le
eccezioni di incostituzionalità degli artt. 5 e 6 della medesima norma.
10.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
ritiene innanzitutto infondata la tesi – prospettata dal Tribunale rimettente –
secondo cui il d.lgs. nella sua interezza avrebbe violato l’art. 76 Cost., in
ragione dell’intervento soppressivo dell’ente pubblico. Analogamente al
passato, la riforma in esame non avrebbe previsto alcuna soppressione
dell’Associazione italiana della Croce Rossa, operante sin dal 1864: «ben
diversamente – e molto più semplicemente, – è stato stabilito il solo venir
meno della personalità di diritto pubblico ed il contestuale acquisto di quella
di diritto privato». E ciò analogamente a quando, nel 1980, la stessa CRI fu
oggetto di una trasformazione da associazione di diritto privato a «ente
privato di diritto pubblico, sotto l’alto patrocinio del Presidente della
Repubblica». In quell’occasione, «benché i criteri direttivi della legge di
delegazione 23 dicembre 1978, n. 833 […] nulla specificassero al riguardo, il
legislatore delegato si è […] ritenuto autorizzato […] a ritirare la
personalità di diritto pubblico e a riconoscere contestualmente l’ente come
ente di diritto privato (art. 1 d.P.R. n. 613 del 1980)». Lo stesso sarebbe
avvenuto anche in altri casi (su tutti, si richiama il «trasferimento alle
Regioni delle funzioni esercitate da enti pubblici nazionali e interregionali,
disposto dalla legge di delegazione legislativa 22 luglio 1975, n. 382»).
10.6.– L’infondatezza della questione di
legittimità in riferimento all’art. 76 Cost. emergerebbe anche sotto un altro
profilo, tramite cui si dimostrerebbe come l’intervento governativo abbia
trovato in realtà «legittimazione e copertura, anche costituzionale, nelle
leggi successive».
Il decreto legislativo censurato dal TAR Lazio
sarebbe – secondo l’Avvocatura – il frutto di una serie di novelle disposte dal
legislatore ordinario (intervenuto, in materia, con il decreto-legge 31 agosto
2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi
di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con
modificazioni, nella legge 30 ottobre 2013, n. 125, e con il decreto-legge 31
dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2015, n.
11). Tali atti hanno differito il termine entro il quale sarebbe dovuto
avvenire il trasferimento delle funzioni dell’associazione della CRI – persona
giuridica di diritto pubblico – alla costituenda persona giuridica di diritto
privato (dapprima disposto al 1° gennaio 2015 e, poi, al 1° gennaio 2016). In
tal modo, il Parlamento avrebbe così manifestato «una volontà che non può
essere logicamente limitata al solo differimento del termine entro il quale
avrebbe dovuto aver luogo il trasferimento […], ma che deve logicamente intendersi
estesa al fatto, in sé e per sé considerato, del trasferimento delle funzioni
dal precedente ente pubblico alla associazione privata».
10.7.– Parimenti prive di fondamento vengono
ritenute anche le censure che l’ordinanza di rinvio muove all’intero testo del
decreto legislativo (ad eccezione dell’art. 7), sotto il profilo
dell’insufficienza dei mezzi apprestati per l’esercizio delle funzioni
trasferite all’associazione di diritto privato. In primo luogo l’Avvocatura
denuncia la possibile inammissibilità di una simile censura, considerando che
l’ordinanza, rivolgendosi all’intero testo dell’atto e dolendosi per
l’omissione di un contenuto normativo costituzionalmente necessario, non
indicherebbe i termini dell’addizione richiesta. Inoltre, si chiederebbe così a
questa Corte di compiere scelte ritenute tipicamente riservate alla
discrezionalità del legislatore.
Ad avviso dell’Avvocatura, il giudice a quo,
quando afferma che il d.lgs. n. 178 del 2012 non contiene alcuna specifica
disposizione a tutela dell’assegnazione a regime di risorse sufficienti
all’Associazione Croce Rossa Italiana, non spiega la ragione di tale
inadeguatezza ai fini dell’assolvimento delle funzioni attribuite alla stessa,
né viene formalmente contestato come la smobilitazione delle risorse di gran
parte del personale abbia compromesso la prosecuzione della CRI. Fermo restando
che, secondo l’Avvocatura, non vi sarebbero insufficienti risorse per la CRI,
la totale infondatezza della censura sarebbe dimostrata dalle molteplici
attività di interesse pubblico poste in essere dalla neoistituita Associazione,
riepilogate in un documento che viene allegato alla memoria, denominato
«Appunto relativo alle attività svolte dall’Associazione Croce Rossa italiana a
seguito dell’attuazione del d.lgs. 28 settembre 2018, n. 28». Da questo
emergerebbe «in modo assolutamente evidente ed inconfutabile il fatto che dopo
la sua privatizzazione, l’Associazione della Croce Rossa italiana ha aumentato
il numero complessivo dei servizi garantiti, a fronte di una riduzione dei
costi e di un incremento dell’efficienza delle attività di pubblico interesse
svolte per legge, senza alcuna soluzione di continuità rispetto al pregresso».
10.8.– L’Avvocatura contesta, infine, la
fondatezza delle autonome censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178
del 2012.
10.9.– Quanto al processo di smilitarizzazione e
di ridefinizione del trattamento economico del personale militare in servizio,
attuato asseritamente in deroga al cod. ordinamento militare, la difesa
dell’interveniente contesta la ricostruzione data dall’ordinanza di rimessione.
Sin dal regio decreto 10 febbraio 1936, n. 484
(Norme per disciplinare lo stato giuridico, il reclutamento, l’avanzamento ed
il trattamento economico ed amministrativo del personale della Croce Rossa
Italiana), era stabilito (art. 1) che «[p]er il
funzionamento dei suoi servizi del tempo di pace e del tempo di guerra la Croce
rossa italiana» arruolasse un proprio personale direttivo (ufficiali) e di
assistenza (sottufficiali e truppa), che costituisse «un corpo speciale
volontario, ausiliario delle forze armate dello Stato». In virtù di tale
disciplina (ora ricalcata dal cod. ordinamento militare) si prevedevano
appositi ruoli di anzianità nei quali il personale volontario della Croce Rossa
veniva iscritto e dai quali erano tratti i nominativi di coloro che venivano
chiamati in servizio per lo svolgimento delle funzioni dell’associazione. Le
chiamate, secondo la disciplina del 1936, rimasta in vigore sino all’entrata in
vigore del d.lgs. n. 66 del 2010, erano disposte con precetto autorizzato dal
«presidente Generale» (art. 29 del r.d. n. 484 del
1936, oggi ricalcato dall’art. 1668 del d.lgs. n. 66 del 2010).
L’Avvocatura generale dello Stato illustra come,
nella logica del personale ausiliario, alla chiamata in servizio
corrispondesse, al venire meno delle esigenze che l’avevano giustificata, il
collocamento in congedo con corresponsione della retribuzione limitata al tempo
dell’effettivo servizio.
È però avvenuto che, a fronte di casi di
servizio prolungato, si siano succedute una serie di leggi che hanno condotto
«ad una consistenza del Corpo militare della Croce Rossa di più di 800 unità in
servizio continuativo». Si spiegherebbe allora il motivo dell’intervento del
legislatore delegato, che ha voluto ripristinare il carattere originario
dell’apporto del Corpo militare fondato sul principio della chiamata in
servizio in dipendenza e in funzione delle contingenti esigenze di soccorso e
di aiuto umanitario. Tale processo non comporterebbe un "allontanamento” o una
"esclusione” dalle Forze armate di personale militare di carriera, che in
queste è entrato in seguito ad ordinarie procedure concorsuali di reclutamento,
bensì la perdita di uno status giuridico solo assimilato a quello militare ai
fini dell’adeguamento a specifiche previsioni delle Convenzioni di Ginevra.
Quest’ultima, infatti, impone al personale delle società nazionali della Croce
Rossa di essere sottoposto a leggi e regolamenti militari. In forza di tale
vincolo, l’Italia, da tempo risalente, prevede che gli iscritti nei ruoli
dell’Associazione, una volta "chiamati in servizio”, diventino "militari”; e da
qui deriva anche la scelta del legislatore nazionale di considerare il
personale in questione parte di un apposito Corpo militare. Ciò premesso, il
personale della Croce Rossa che fa parte di tale corpo «non è dunque "militare”
perché appartiene alle Forze armate, ma perché fa parte di un corpo speciale
volontario ausiliario delle Forze armate, costituito dalla Croce rossa italiana».
È dunque a tutti gli effetti appartenente a quest’ultima e, conformemente a
ciò, il d.lgs. n. 178 del 2012 mantiene il «Corpo militare volontario»
costituito esclusivamente da personale in congedo il cui servizio è reso
gratuitamente.
10.10.– L’Avvocatura generale dello Stato nega,
da ultimo, che vi sia un contrasto tra la riforma oggetto di censura e la
protezione della proprietà apprestata dall’art. 1 Prot. addiz.
CEDU. Sarebbe pacifico che le ingerenze nei «beni» tutelati da detta
disposizione sono consentite a condizione che siano legali e proporzionate
rispetto ai fini che si pone l’intervento pubblico. Nel caso di specie, queste
condizioni sarebbero «pienamente soddisfatte dal momento che l’intervento del
quale si discute è stabilito sulla base della legge, nell’ottica del migliore
bilanciamento delle esigenze di riorganizzazione e di risparmio della pubblica
amministrazione con la tutela della posizione del personale già in servizio
presso l’Ente oggetto di riforma». Prova ne è – continua l’Avvocatura – che,
pur incidendo sullo stato giuridico dei lavoratori, la riforma ne salvaguarda
la posizione economica, attraverso un assegno ad personam riassorbibile solo in
caso di adeguamenti retributivi.
11.– In prossimità dell’udienza pubblica, in
data 25 febbraio 2019, hanno depositato, fuori termine, atto di intervento ad adiuvandum Luigi Siciliano e altre due persone.
Considerato
in diritto
1.– Con ordinanza del 19 luglio 2017 (reg. ord. n. 137 del 2017), il Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 8, nonché, anche autonomamente, degli
artt. 5 e 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante
«Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma
dell’articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», per violazione degli
artt. 1 e 76 della Costituzione, in relazione all’art. 2 della legge 4 novembre
2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione
di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di
servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di
occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni
in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), nonché per violazione
degli articoli 3, 97 e 117 (recte: primo comma) della
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale
alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4 agosto
1955, n. 848.
2.– Il rimettente censura, in sostanza, sia
l’impianto complessivo del d.lgs. n. 178 del 2012 (e, quindi, il decreto
legislativo nella sua interezza, ad eccezione dell’art. 7), sia le specifiche
disposizioni che attengono alla riorganizzazione del corpo militare della Croce
Rossa italiana. A suo avviso, l’art. 2 della legge n. 183 del 2010 avrebbe
conferito al Governo una delega di riordino, che non avrebbe consentito in
alcun modo interventi innovativi o soppressivi degli enti da riorganizzare. Il
d.lgs. n. 178 del 2012 avrebbe invece operato «un’integrale rinnovazione
strutturale per quanto riguarda la Croce rossa Italiana», con soppressione e liquidazione
dell’ente pubblico e contestuale istituzione di una persona giuridica di
diritto privato, che ha preso il nome di Associazione della Croce Rossa
italiana. A tal riguardo, e con particolare riferimento alle modalità di
finanziamento della neoistituita Associazione, definite sulla base di criteri
adottati dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze e con il Ministro della difesa, in assenza di precisi parametri
che garantiscano, tramite la copertura finanziaria, l’effettivo espletamento
delle funzioni, il citato decreto legislativo sarebbe illegittimo anche per
aver realizzato una parziale sub-delega della funzione normativa affidata al
Governo, demandando ad atti ministeriali aspetti essenziali della nuova disciplina.
2.1.– In senso analogo, gli artt. 5 e 6 del
d.lgs. censurato, che sanciscono la smilitarizzazione e la ridefinizione del
trattamento economico del personale del Corpo militare della CRI, in implicita
deroga ad alcune disposizioni del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66
(Codice dell’ordinamento militare), si porrebbero in irrimediabile contrasto
«con i principi e criteri direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a)
della legge delega, che lascia "ferme [...] le specifiche disposizioni vigenti
per il [...] personale, in servizio alla data di entrata in vigore della
presente legge”».
Inoltre, il processo di riorganizzazione della
Croce Rossa italiana nel suo complesso avrebbe leso gli artt. 3 e 97 Cost., a
causa della notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all’Ente strumentale
(e, poi, all’Associazione della Croce Rossa italiana), di svolgere le attività
di interesse pubblico indicate dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del
2012. Con riguardo alla riorganizzazione del personale militare (e, dunque,
agli artt. 5 e 6 del decreto legislativo censurato), il trasferimento al ruolo
civile del personale militare sarebbe causa di illegittimità costituzionale per
l’assenza di «progressione economica commisurata al grado rivestito», e di «garanzie
di conservazioni delle funzioni in precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe
costituzionalmente illegittima la sua destinazione ad altra amministrazione, in
caso di mancata inclusione nel personale della nuova Associazione, a seguito
delle procedure di mobilità, «senza alcun richiamo a comparti o settori
dell’amministrazione stessa, in cui si svolgano attività comparabili con quelle
del personale di cui trattasi, in possesso di specifica professionalità per
situazioni di emergenza».
2.2.– In chiusura, il rimettente evoca l’art.
117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 1, Prot. addiz. CEDU, il quale garantirebbe «i beni delle persone
fisiche e giuridiche in una accezione, già ricondotta dalla giurisprudenza alla
titolarità di qualsiasi diritto, o di mero interesse di valenza patrimoniale
[…], anche per quanto attiene alle modalità di tutela dei lavoratori, con
riferimento agli aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro».
3.– In via preliminare, in accoglimento delle
eccezioni sollevate dalla Avvocatura generale dello Stato, va ribadita, per le
ragioni esposte nell’ordinanza letta nel
corso dell’udienza pubblica del 5 marzo 2019 e allegata alla presente sentenza,
la dichiarazione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum
di David Ambrosini e altri centoquindici soggetti privati, spiegato il 12
dicembre 2017, oltre il termine previsto dall’art. 4, comma 4, delle Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nonché,
limitatamente a Massimo Cipullo e altri ventiquattro soggetti che non risultano
parti del giudizio principale, dell’intervento depositato il 30 ottobre 2017.
4.– Deve essere segnalato che, successivamente
al deposito dell’ordinanza di rimessione, il censurato d.lgs. n. 178 del 2012 è
stato modificato dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n.
148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili),
convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n. 172. Le
modifiche hanno riguardato il procedimento di liquidazione dell’Ente
strumentale, i soggetti incaricati della gestione liquidatoria, l’estinzione
dei residui attivi e passivi dei comitati territoriali, il passaggio di proprietà
dei beni dall’Ente strumentale all’Associazione, mentre è rimasta inalterata
l’indicazione della sua liquidazione con relativo dies
a quo (1° gennaio 2018).
Inoltre, i commi 1-bis e 1-ter del menzionato
art. 16, pur non modificando direttamente l’atto impugnato, hanno aggiunto
ulteriori possibili destinazioni per il personale eccedente soggetto a
procedure di mobilità, consentendo agli appartenenti all’area professionale e
medica di essere collocato, a domanda, «nel rispetto della disponibilità in
organico e delle facoltà assunzionali previste a
legislazione vigente, nell’ambito della dirigenza delle professionalità
sanitarie del Ministero della salute e dell’Agenzia italiana del farmaco,
nell’ambito della dirigenza medica dell’Istituto nazionale per la promozione
della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della
Povertà limitatamente al personale appartenente all’area medica di seconda
fascia di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale
dirigente dell’area VI per il quadriennio 2002-2005, nonché nell’ambito della
dirigenza medica e della professione infermieristica dell’Istituto superiore di
sanità-Centro nazionale per i trapianti (CNT) e Centro nazionale sangue (CNS),
e delle qualifiche di ricercatore e tecnologo degli enti di ricerca» (comma
1-bis). È stato altresì specificato che «[i]l personale della CRI, di cui al
comma 1-bis, che abbia svolto compiti e funzioni nell’ambito della sanità
pubblica può essere inquadrato nelle amministrazioni di destinazione anche se è
in possesso di specializzazione in disciplina diversa da quella ordinariamente
richiesta per il predetto inquadramento» (comma 1-ter).
4.1.– Come si evince dal tenore delle citate
modifiche, il menzionato ius superveniens
non incide sulla sostanza delle questioni prospettate, né giustifica una
pronuncia di restituzione atti al rimettente. Come questa Corte ha già
affermato, «non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa
incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità
richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di
ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non
manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal
giudice rimettente» (sentenza n. 125 del
2018).
Ciò che rileva, infatti, è che «permang[a]no le valutazioni del giudice rimettente in
termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione», in misura
tale da non «mutare i termini della questione così come è stata posta dal
giudice a quo» (sentenza
n. 125 del 2018; nello stesso senso le sentenze n. 194
e n. 33 del 2018).
Le censure promosse dal rimettente, avanzate per eccesso di delega e violazione
del buon andamento della pubblica amministrazione, non sono interessate dalle
modifiche intervenute, le quali lasciano intatto il significato delle
disposizioni impugnate rispetto agli evidenziati profili di illegittimità
costituzionale.
5.– Prima di entrare nel merito delle questioni
sollevate dal rimettente, occorre soffermarsi sulle eccezioni di
inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
5.1.– In primo luogo, la difesa dell’interveniente
sostiene, nella sua memoria illustrativa, che le questioni promosse sull’intero
testo del d.lgs. n. 178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7) sarebbero
inammissibili per difetto di rilevanza. Il giudice a quo sarebbe chiamato ad
applicare solo la normativa relativa al personale del corpo militare, che
rappresenta una parte settoriale e piuttosto specifica del decreto legislativo
volto alla trasformazione della CRI.
5.1.1.– L’eccezione non è fondata.
Non vi è dubbio che, nel giudizio principale, il
rimettente debba pronunciarsi sulla legittimità del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 25 marzo 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, serie generale n. 155 del 2016), recante «Criteri e modalità di
equiparazione fra i livelli di inquadramento del personale già appartenente al
Corpo militare e quelli previsti dal contratto collettivo relativo al personale
civile con contratto a tempo determinato della associazione italiana della
Croce Rossa», adottato nell’ambito della trasformazione della CRI da ente
pubblico non economico ad associazione dotata di personalità giuridica di
diritto privato, la cui entrata in vigore ha rappresentato, ai sensi dell’art.
5, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012, il dies a quo
del collocamento in congedo e del trasferimento nel ruolo civile del personale
appartenente al Corpo militare della CRI, previsti dagli artt. 5 e 6 del
medesimo d.lgs.
Ciò nonostante, il trasferimento al ruolo civile
del personale militare si trova in connessione teleologica rispetto al processo
di trasformazione disposto dal d.lgs. n. 178 del 2018. Le disposizioni del
censurato decreto sono tutte avvinte dalla finalità complessiva di rivedere e
razionalizzare la struttura pubblicistica dell’ente, per cui anche le disposizioni
censurate che non attengono alla riorganizzazione del Corpo militare
influenzano la definizione dello status dei ricorrenti, oggetto di
contestazione nel giudizio principale. Non può contestarsi, dunque, che
l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale
prospettate dal rimettente abbia l’effetto di ripercuotersi sulla sfera
giuridica delle parti del processo a quo (sentenze n. 337 del
2008 e n.
303 del 2007).
5.2.– Il Presidente del Consiglio ha proposto
una ulteriore eccezione di inammissibilità, ritenendo che la questione
sollevata sull’intero decreto legislativo per violazione dell’art. 76 Cost. sia
perplessa. Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il rimettente
lamenterebbe, da un lato, l’intervenuta privatizzazione, dall’altro l’assenza
di non meglio definite «garanzie di continuità per l’assolvimento dei compiti
istituzionali».
5.2.1.– L’eccezione non è fondata.
L’asserita violazione dell’art. 76 Cost. è
argomentata univocamente dal giudice a quo, il quale insiste a più riprese sul
sospetto eccesso di delega realizzato dal complessivo intervento di riforma
della CRI rispetto all’art. 2 della legge n. 183 del 2010. Il rimettente
ritiene chiaramente che la decisione di trasformare l’ente in una persona
giuridica di diritto privato si ponga al di fuori del novero delle scelte
consentite dal Parlamento.
Di qui la non fondatezza della prospettata
eccezione di inammissibilità.
6.– Questa Corte non può invece esimersi dal
rilevare, d’ufficio, l’inammissibilità delle censure rivolte dal rimettente
all’«intero» d.lgs. n. 178 del 2012, nonché agli artt. 5 e 6 del medesimo
decreto, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.
1 Prot. addiz. CEDU, per genericità e insufficiente
motivazione circa l’asserito contrasto con il parametro interposto.
Tali censure, riportate in chiusura
dell’ordinanza di rimessione, sono prive di un adeguato supporto argomentativo.
Il principio di diritto, che il rimettente trae dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU, è riportato in via assertiva, senza alcun
riferimento alle plurime accezioni che il termine «beni» è suscettibile di
assumere nel sistema convenzionale e alle modalità lesive che le disposizioni
impugnate avrebbero portato alla garanzia convenzionale. Non risulta motivata,
dunque, la non manifesta infondatezza delle questioni prospettate (ex multis, sentenze n. 160
e n. 27 del 2018
e ordinanza n.
191 del 2018).
7.– Nel merito, è opportuno sintetizzare i
tratti salienti della evoluzione normativa che ha interessato la CRI, nonché il
contenuto della riforma operata dal d.lgs. n. 178 del 2012.
7.1.– Organizzazione dai notevoli trascorsi
storici, la CRI fu fondata nel 1864 (e denominata Associazione italiana della
Croce Rossa) nell’ambito di un movimento di opinione che aveva portato, appena
un anno prima, alla fondazione a Ginevra di una associazione di diritto
privato, regolata dal diritto civile svizzero, che prese il nome di Comitato
internazionale per il soccorso dei feriti e dei malati (ribattezzato, a partire
dal 1876, Comitato internazionale della Croce Rossa, soggetto che oggi concorre
a formare, insieme alle società nazionali della Croce Rossa e della Mezzaluna
Rossa e alla Federazione internazionale, ente di coordinamento delle società
nazionali, il Movimento internazionale della Croce Rossa).
La Croce Rossa fu eretta in ente morale con il
regio decreto 7 febbraio 1884, n. 1243 (che erige in Corpo morale
l’Associazione italiana della Croce Rossa), e posta sotto la sorveglianza dei
«ministri della guerra e della marina» (art. 1). Poteva così mantenere la
natura di persona giuridica di diritto privato e sottrarsi alla trasformazione
delle opere pie in istituzioni pubbliche di beneficienza, e quindi in enti
pubblici, effettuata qualche anno dopo dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972
(Sulle Opere Pie), più volte riformata negli anni successivi.
Durante il regime fascista, furono adottate
normative che ne misero sempre più in ombra la vocazione associativa fino a
favorirne la collocazione tra gli enti pubblici parastatali: in tale direzione
si mossero il regio decreto-legge 10 agosto 1928, n. 2034 (Provvedimenti
necessari per assicurare il funzionamento della Croce Rossa Italiana), cui
seguirà il regio decreto 21 gennaio 1929, n. 111 (Approvazione dello statuto
organico dell’Associazione italiana della Croce Rossa); ma già prima il regio
decreto-legge 6 maggio 1926, n. 870 (Provvedimenti relativi agli atti di alcuni
istituti parastatali e di altri Enti), nel disciplinare in via generale
l’efficacia degli atti di alcuni enti pubblici, annoverava, tra questi, anche
la CRI.
Nel dopoguerra, in un contesto fortemente
segnato dagli eventi bellici del secondo conflitto mondiale, il decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 novembre 1947, n. 1256 (Compiti
dell’Associazione italiana della Croce Rossa in tempo di pace), si limitava a
ridefinire i compiti dell’ente in tempo di pace, ma in una prospettiva che ne
valorizzava la funzione sussidiaria di assistenza.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, le
quali hanno contribuito a delineare l’intelaiatura fondamentale del diritto
internazionale umanitario, ratificate e rese esecutive dalla legge 27 ottobre
1951, n. 1739, firmate a Ginevra l’8 dicembre 1949 (Convenzione relativa al
trattamento dei prigionieri di guerra; Convenzione per il miglioramento della
sorte dei feriti e dei malati delle Forze armate in campagna; Convenzione per
il miglioramento della sorte dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle Forze
armate di mare; Convenzione relativa alla protezione delle persone civili in
tempo di guerra), facevano riacquistare alla CRI una spiccata dimensione
internazionale. In tempo di guerra, infatti, quale società nazionale della
Croce Rossa, riconosciuta e autorizzata dallo Stato di appartenenza, essa è
chiamata a svolgere attività umanitaria in favore dei militari feriti, ammalati
o nei confronti dei naufraghi, porta legittimamente l’emblema del Movimento
internazionale e beneficia, di conseguenza, di tutte le immunità riconosciute
alle formazioni sanitarie degli eserciti belligeranti (art. 26 della
Convenzione per il miglioramento della sorte dei feriti e dei malati delle
Forze armate in campagna; art. 64 della Convenzione relativa alla protezione
delle persone civili in tempo di guerra).
La CRI, originariamente composta da un comitato
centrale, dai comitati provinciali e dai sottocomitati, veniva posta nel 1962
sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. In particolare, la
legge 13 ottobre 1962, n. 1496 (Modifiche all’ordinamento dell’Associazione
italiana della Croce Rossa) ne riformava il vertice, consistente in un
consiglio direttivo composto dal presidente generale (che la stessa legge si
premurava di equiparare, come rango, al grado di generale di corpo d’armata) e
da dodici consiglieri, nominati, per la metà, su proposta del Ministro della
sanità di concerto con il Ministro della difesa.
Solo nel 1978, con la legge 23 dicembre 1978, n.
833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), il legislatore tentava di
superare l’assetto ancipite dell’ente pubblico, ma a base associativa,
delegando al Governo il compito di ristrutturare l’associazione italiana della
Croce Rossa, in conformità con il principio volontaristico dell’associazione
stessa e in «relazione alle finalità statutarie e agli adempimenti commessi
dalle vigenti convenzioni e risoluzioni internazionali e dagli organi della
Croce Rossa internazionale alle società di Croce Rossa nazionali» (art. 70,
terzo comma). La stessa legge poneva altresì le basi per una articolazione
regionale dell’ente, disponendo la gratuità e l’elettività delle cariche.
In conseguenza della citata legge delega n. 833
del 1978, il d.P.R. 31 luglio 1980, n. 613, recante «Riordinamento della Croce
Rossa italiana (art. 70 della legge n. 833 del 1978)», che ha disciplinato
l’ente fino al decreto legislativo oggetto dell’odierno giudizio di
costituzionalità, pur accentuando i compiti di direzione e vigilanza sull’ente
in capo al Ministro della sanità, definiva la Croce Rossa, nell’ottica di una
valorizzazione della componente volontaristica e associativa, quale «ente privato
di interesse pubblico», stabilendo altresì che la rinnovata trasformazione
privatistica sarebbe intervenuta «a seguito dell’approvazione del nuovo
statuto» (art. 1). Tale statuto, che avrebbe dovuto essere approvato entro il
30 giugno 1981 (art. 3), tuttavia non è mai stato approvato e nel 1995 la CRI è
tornata ad essere un «ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico»
(per effetto della modifica apportata all’art. 1 del d.P.R. n. 613 del 1980
dall’art. 7 del decreto-legge 20 settembre 1995, n. 390, recante «Provvedimenti
urgenti in materia di prezzi di specialità medicinali, nonché in materia
sanitaria», convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 1995, n.
490).
7.2.– Le vicende che hanno segnato
l’organizzazione della CRI interessano anche la disciplina dei rapporti di
impiego instaurati nell’ambito dell’ente e, in particolare, l’assetto del
personale militare ausiliario. Tradizionalmente, all’interno della CRI, il
personale era organizzato in due sotto-ordinamenti particolari e derivati.
Il primo di questi, non modificato dal censurato
d.lgs. n. 178 del 2012, ricomprende il Corpo delle infermiere volontarie (in
origine regolato dall’art. 8 del r.d.l. n. 2034 del
1928), che presta servizio non retribuito; in aggiunta ad esse, l’ente si è
avvalso di infermiere professionali, assunte mediante contratto di lavoro di
diritto privato e perciò retribuite.
Il secondo sotto-ordinamento ricomprendeva il
personale mobilitato per servizio della Croce Rossa in tempo di guerra o in
occasione di pubbliche calamità (in origine disciplinato dall’art. 7 del r.d.l. n. 2034 del 1928 e dal regio decreto 10 febbraio
1936, n. 484, recante «Norme per disciplinare lo stato giuridico, il
reclutamento, l’avanzamento ed il trattamento economico ed amministrativo del
personale della Croce Rossa Italiana»). In dette circostanze straordinarie, la
CRI disponeva di un «potere di arruolamento» per i necessari servizi sanitari e
assistenziali, chiamando a sé un apposito personale volontario formato
essenzialmente da cittadini esenti da obblighi di leva o di chiamata per i
servizi di guerra.
Gli arruolati della CRI costituivano un corpo speciale
volontario, ausiliario delle forze sanitarie militari dello Stato, i cui
componenti rivestivano i gradi secondo l’importanza delle loro funzioni,
risultavano sottoposti alla disciplina militare e al codice penale militare di
guerra e si distinguevano in «ufficiali» (personale direttivo) e in
«sottufficiali e truppa» (personale sanitario). Le chiamate in servizio
venivano effettuate con precetto del «presidente generale» della CRI (art. 29
del r.d. n. 484 del 1936), e il servizio prestato in
tempo di guerra o di calamità nella CRI veniva equiparato, ai fini civili e
amministrativi, al servizio prestato nelle Forze armate dello Stato, dando
luogo alle corrispondenti qualifiche degli appartenenti all’esercito
combattente.
7.2.1.– Tale assetto, basato sia su apporti
volontari sia su personale delle Forze armate temporaneamente assegnato (spesso
proveniente dai ranghi della "Sanità militare” delle tre Armi), ha subito negli
anni Ottanta del secolo scorso un progressivo mutamento quando, a fronte di casi
di servizio prolungato, vennero approvate numerose norme che provvedevano a
incardinare, ope legis, il personale (militare e
civile) che aveva prestato servizio temporaneo nella CRI nell’organico del
medesimo ente. Tra esse, l’art. 6, comma 17, della legge 28 febbraio 1986, n.
41, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge finanziaria 1986)»; l’art. 12 della legge 28 ottobre 1986,
n. 730, recante «Disposizioni in materia di calamità naturali»; l’art. 24, comma
8, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)»; il
decreto del Ministro della sanità del 12 febbraio 1988, recante «Affidamento
all’Associazione italiana della Croce Rossa del servizio di pronto soccorso
sanitario negli aeroporti civili ed in quelli aperti al traffico civile
direttamente gestiti dallo Stato».
I beneficiari di tali misure sono stati così
progressivamente incardinati nella CRI, tanto che questa Corte, sotto la
vigenza del d.P.R. n. 613 del 1980, adita nell’ambito di un procedimento
attivato da alcuni sottoufficiali dell’ente per ottenere la «perfetta
equiparazione giuridica ed economica» al personale delle Forze armate, ha
affermato che «il personale militare della Croce rossa italiana non appartiene
alle Forze armate o alle Forze di polizia dello Stato […], essendo […]
personale non dello Stato, ma di un ente» (ordinanza n. 273
del 1999). Infatti, il «corpo militare della CRI, corpo speciale
volontario, ausiliario delle Forze armate, […] non facente parte integrante
delle stesse Forze armate ancorché sottoposto alle norme del regolamento di
disciplina militare ed a quelle sostanziali del codice penale militare ed
obbligato al giuramento, ha mantenuto – in forza del disposto degli artt. 10 e
11 del d.P.R. n. 613 del 1980 – la sua […] collocazione», confermata dalla
«dipendenza dell’autorità di vertice del corpo direttamente dal presidente
nazionale dell’Associazione, salvo che nei periodi di mobilitazione» (ordinanza n. 273
del 1999).
7.2.2.– La normativa relativa al Corpo militare
ausiliario della CRI è stata poi riordinata dal d.lgs. n. 66 del 2010 (d’ora in
poi anche: cod. ordinamento militare), che ha riguardato anche l’Associazione
dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di Malta, entrambi corpi
ausiliari delle Forze armate ma non inquadrati nelle stesse. Tale codice, come
si vedrà, continua ad applicarsi al Corpo militare volontario, per quanto non
diversamente disposto dal decreto legislativo censurato (art. 5, comma 2, del
d.lgs. n. 178 del 2012).
Il cod. ordinamento militare ha previsto un
duplice ruolo (normale e speciale) per il Corpo militare ausiliario,
distinguendo, in coerenza con la previgente normativa, il personale stabilmente
assunto dalla CRI dal personale richiamato in servizio dall’ente per specifiche
esigenze. Sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del
presente giudizio, quindi, solo il primo poteva dirsi collocato stabilmente
alle dipendenze dell’ente e incardinato nella relativa pianta organica.
7.3.– Tale evoluzione normativa – non sempre
lineare – ha di certo contribuito alle disfunzioni mostrate dalla CRI negli
ultimi decenni.
7.3.1.– Come emerso dall’indagine conoscitiva
disposta dalla Commissione Igiene e Sanità del Senato nel corso della XVI
Legislatura, e come sostenuto anche dal Presidente del Consiglio dei ministri
nel suo intervento, la CRI ha realizzato, negli anni, pesanti diseconomie che
l’hanno condotta a un commissariamento di durata ventennale. Oltre alla perenne
situazione di precarietà contabile, dovuta alla mancata approvazione dei
bilanci degli enti decentrati (solo nel 2011 la CRI ha approvato il consuntivo
nei termini previsti dal d.P.R. n. 613 del 1980) e alla poco accorta gestione
dell’importante patrimonio immobiliare, la CRI si è trovata a stipulare
convenzioni con soggetti pubblici (relative sia ai servizi di trasporto infermi
– con atti sottoscritti tra le aziende sanitarie locali e le unità territoriali
della CRI – sia ai servizi sociali ed assistenziali, da ultimo quelli afferenti
alla gestione dei centri di accoglienza con atti sottoscritti tra dette unità
territoriali e le prefetture), impegnandosi a prestare un’elevata offerta di
servizi dietro corrispettivi economici irrisori e difficilmente esigibili.
Inoltre, forti problemi sono sorti rispetto ai
costi del personale: la CRI, prima del processo di riforma innescato dal
decreto legislativo in esame, nel suo complesso impiegava, nel servizio civile,
risorse umane pari a 4.049 unità, di cui 1.281 unità a tempo indeterminato,
1.574 unità a tempo determinato; nel Corpo militare ausiliario, 848 unità in
servizio continuativo e 346 unità di personale delle Forze armate, assegnate in
servizio temporaneo e per esigenze straordinarie.
L’indagine conoscitiva ha messo in luce come
tale organico abbia portato ad aggravare le dispendiose inefficienze
organizzative e finanziarie.
7.4.– Il d.lgs. n. 178 del 2012, oggetto del
presente giudizio, è quindi intervenuto in tale contesto, sulla scorta
dell’art. 2 della legge n. 183 del 2010, così tentando di rimediare alle citate
disfunzioni. Esso ha disposto la graduale trasformazione della CRI da ente
pubblico, sia pure a base associativa, in persona giuridica di diritto privato,
ancorché di interesse pubblico ed ausiliaria dei pubblici poteri nel settore
umanitario. Detta persona giuridica, denominata «Associazione della Croce Rossa
italiana», è iscritta nel registro nazionale del "Terzo settore”, posta sotto
l’alto patronato del Presidente della Repubblica (art. 1, comma 1) e abilitata
ad operare nell’ambito della Federazione internazionale delle società di Croce
Rossa e Mezzaluna Rossa (art. 1, comma 2). Nel contempo sono individuate le
attività svolte dalla Croce Rossa, anch’esse qualificate di «interesse
pubblico» (art. 1, commi 4, 5 e 6).
Al fine di realizzare la trasformazione della natura
giuridica dell’ente, il decreto legislativo censurato ha disposto un percorso
graduale e transitorio, che passa per l’istituzione di un Ente strumentale
(art. 2), soggetto-ponte volto a favorire il subentro della neoistituita
Associazione al preesistente ente pubblico (art. 3), del quale sono
disciplinati contestualmente la liquidazione e i relativi rapporti
giuridico-patrimoniali, il trasferimento dei beni e del personale
(rispettivamente, artt. 4, 5, 6 e 8) con le modalità di finanziamento della nuova
associazione (artt. 1, comma 6, 2, comma 5, e 8, comma 2). Ha disposto, infine,
un mutamento del rapporto di impiego del personale militare della CRI.
7.4.1.– In particolare, le disposizioni che
riguardano detto personale sono contenute negli artt. 5 e 6 del menzionato
decreto legislativo, il quale si muove lungo due direttrici fondamentali:
volontarietà e gratuità del servizio prestato nel Corpo militare volontario e
trasferimento del personale militare a ruoli civili, con mantenimento delle
principali voci retributive.
Ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 178
del 2012, a decorrere dall’entrata in vigore del d.P.C.m.
(previsto dal successivo art. 6, comma 1), che fissa i criteri di equiparazione
tra il personale militare e quello civile della CRI, il personale del Corpo
militare transita in un ruolo ad esaurimento nell’ambito del personale civile
della CRI, è collocato in congedo ed è iscritto, a domanda, nel Corpo militare
volontario.
Lo stesso art. 5, comma 5, si preoccupa poi di
salvaguardate le due voci principali del trattamento retributivo del personale
militare privatizzato, riconoscendo la differenza tra il trattamento economico
in godimento, limitatamente a quello fondamentale ed accessorio, e il
trattamento del corrispondente personale civile.
Il successivo art. 6 consente al personale una
duplice opzione: rimanere nei ruoli della nuova Associazione della Croce Rossa
italiana nei limiti dell’organico definito dal Presidente di essa (comma 2);
oppure essere collocato in mobilità, in conformità agli «strumenti utilizzabili
per la gestione di eccedenze di personale nelle pubbliche amministrazioni»
(art. 6, comma 3), con conseguente applicazione delle procedure di mobilità
volte a favorire il riassorbimento del personale delle Province (art. 7, comma
2-bis, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante «Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella
legge 27 febbraio 2015, n. 11, che rinvia all’art. 1, commi da 424 a 428, della
legge n. 190 del 2014).
7.4.2.– Quanto al Corpo militare della CRI,
l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo in esame, stabilisce che assuma la
denominazione di Corpo militare volontario e, insieme al Corpo delle infermiere
volontarie, costituisca un Corpo ausiliario delle Forze armate, chiamato a
prestare servizio gratuito. I suoi appartenenti sono individuati tra il
«personale volontario in congedo, iscritto in un ruolo unico […]».
7.4.3.– In sintesi, il d.lgs. n. 178 del 2012 ha
provveduto a congedare e a trasferire al ruolo civile tutto il personale
militare della CRI, con salvaguardia del relativo trattamento retributivo
(fondamentale ed accessorio). Parte di esso può scegliere, purché rientrante
nei citati limiti di organico stabiliti dal Presidente della CRI, di rimanere
alle dipendenze dell’Associazione; coloro che non optano per tale soluzione, o
non rientrino nei limiti di organico, sono messi in mobilità con destinazione
ad altre amministrazioni, con applicazione, come dianzi detto, della normativa
prevista per i trasferimenti dei dipendenti delle amministrazioni provinciali.
I componenti del personale militare, così
privatizzato, possono chiedere di entrare a fare parte del Corpo militare
volontario, ove però svolgono servizio gratuito in un ruolo unico. A tali
soggetti non si applicano i codici penali militari, mentre continua ad
applicarsi il cod. ordinamento militare, ad eccezione delle disposizioni in
materia di disciplina militare (art. 5, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 178 del
2012).
8.– Ciò premesso, è possibile affrontare le
questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’intero d.lgs. n.
178 del 2012 (ad eccezione dell’art. 7), sollevate in riferimento agli artt. 1
e 76 Cost. e all’art. 2 della legge n. 183 del 2010.
Non essendo diversamente motivato, il
riferimento all’art. 1 Cost. – peraltro inusuale – non ha alcuna significativa
autonomia, ma appare come rafforzativo della censura riferita alla disposizione
di cui all’art. 76 Cost., volta a garantire al Parlamento, in quanto espressione
della rappresentanza popolare, un nucleo incomprimibile di esercizio
dell’attività legislativa.
Muovendo dal presupposto secondo il quale questa
disposizione avrebbe conferito al Governo una delega di mero riordino degli
enti vigilati dal Ministero della salute, secondo il ricorrente l’esercizio
della funzione legislativa delegata non avrebbe potuto spingersi, quindi, verso
una così integrale rinnovazione dell’assetto della CRI.
8.1. – Le questioni di legittimità
costituzionale non sono fondate.
Non v’è dubbio che la Costituzione, all’art. 76,
ponga una duplice direttiva normativa nei confronti di Parlamento e Governo,
protagonisti del procedimento bifasico ivi disciplinato.
8.1.1.– Per un verso, il Parlamento è tenuto a
circoscrivere i margini di azione dell’esecutivo; come questa Corte ha già
affermato, l’individuazione dei principi e criteri direttivi, la delimitazione
dell’oggetto e la fissazione del termine mirano a «circoscrivere il campo della
delega» al fine di «evitare che essa venga esercitata in modo divergente dalle
finalità che l’hanno determinata» (sentenza n. 198 del
1998; nello stesso senso, sentenza n. 3 del
1957). La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore delegato e la
conseguente inammissibilità di "deleghe in bianco” si giustificano alla luce
dell’assetto generale delle attribuzioni disegnato dalla Costituzione, la quale
assegna la funzione legislativa alle Camere (art. 70 Cost.). Il ruolo centrale
del Parlamento, nei processi di produzione normativa, impone allo stesso di non
delegare l’esercizio della funzione legislativa se non con limiti precisi (sentenza n. 106 del
1962), che non si riducano a clausole di stile prive di adeguata efficacia
precettiva.
8.1.2.– Per altro verso, le condizioni fissate
dal delegante, ai sensi dell’art. 76 Cost., rappresentano un confine invalicabile
per il Governo, che proprio nel contenuto della delega trova la misura della
propria azione. Non a caso, questa Corte ha più volte sancito che, soprattutto
nel caso di deleghe destinate al riordino normativo, «al legislatore delegato
spetta un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni
innovative, le quali devono attenersi strettamente ai principi e ai criteri
direttivi enunciati dal legislatore delegante» (sentenza n. 250 del
2016; nello stesso senso, sentenze n. 94,
n. 73, n. 50 e n. 5 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012).
In queste ipotesi, si impone una verifica
rigorosa sui contenuti della decretazione legislativa, richiesta dall’essere la
legislazione su delega una legislazione vincolata dai principi e criteri
direttivi posti dal Parlamento.
8.2.– Questa Corte è tuttavia consapevole che il
procedimento delineato dall’art. 76 Cost. attiene pur sempre alla produzione di
atti legislativi. Per tale ragione, il delegante non è onerato di fornire una
descrizione tassativa delle norme suscettibile di guidare il delegato,
risultando anzi consentito «il ricorso a clausole generali, ferma la necessità
che queste siano accompagnate dall’indicazione di precisi principi» (sentenza n. 250 del
2016; nello stesso senso, sentenza n. 159 del
2001); né il Governo è tenuto a una attività di mera esecuzione o
automatico riempimento dei disposti cristallizzati nella delega. Per costante
giurisprudenza di questa Corte, infatti, i confini del potere legislativo
delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei
principi e criteri direttivi, unitariamente considerati.
Entro questa cornice – emergente da
un’interpretazione anche sistematica e teleologica della delega – «deve essere
inquadrata la discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a
sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega» (sentenza n. 104 del
2017). Se, dunque, la «legge delega, fondamento e limite del potere
legislativo delegato, non deve contenere enunciazioni troppo generali o
comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato»,
essa può essere «abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità,
e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente
svolgere la propria attività di "riempimento” normativo, la quale è pur sempre
esercizio delegato di una funzione "legislativa”» (sentenze n. 198 del
2018 e n.
104 del 2017).
9.– Tenute presenti tali coordinate
ermeneutiche, possono risolversi le questioni poste dal rimettente. In
particolare, si tratta di verificare se, alla luce di una interpretazione
sistematica e teleologica dell’art. 2 della legge n. 183 del 2010, il
Parlamento abbia conferito al Governo un mero compito di riordino normativo e
se, di conseguenza, il delegato abbia oltrepassato i limiti imposti dalla
delega.
9.1.– Questa Corte ritiene di dare risposta
negativa a tale quesito.
L’art. 2 della legge n. 183 del 2010 identifica
l’oggetto della delega nella «riorganizzazione degli enti, istituti e società
vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero
della salute nonché alla ridefinizione del rapporto di vigilanza dei predetti
Ministeri sugli stessi enti, istituti e società rispettivamente vigilati».
Posto che è espressamente menzionata la Croce Rossa italiana nel comma 2 di
detto articolo, dai lavori preparatori si trae ulteriore conferma
dell’intenzione di intervenire sull’ente pubblico attraverso una complessiva
revisione della sua struttura organizzativa. Infatti, l’originario disegno di
legge (art. 24 del d.d.l. Atto Camera 1441, poi
stralciato nel d.d.l. Atto Camera 1441-quater, XVI
Legislatura) indicava la Croce Rossa tra gli organismi da riorganizzare, e,
solo durante l’esame al Senato, la 1ª e la 11ª Commissione riunite allargarono
l’oggetto della delega, al fine di estendere il processo di riforma a tutti gli
enti o società vigilati dal Ministero del lavoro fra cui l’Istituto per lo
sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e la società
Italia lavoro spa.
9.2.– Non è fondata la censura di eccesso di
delega se si guarda ai principi e criteri direttivi della stessa. Le lettere a)
e b) dell’art. 2, comma 1, della legge n. 183 del 2010 fanno riferimento alle esigenze
di «semplificazione e snellimento dell’organizzazione della struttura
amministrativa degli enti […]», e alla «razionalizzazione e ottimizzazione
delle spese e dei costi di funzionamento, previa riorganizzazione dei relativi
centri di spesa». Attraverso tali direttive, il delegante ha lasciato aperta
una pluralità di soluzioni, tutte egualmente rimesse alla discrezionalità del
Governo nell’attuazione della legge di delega, secondo un disegno procedurale
coerente con l’art. 76 Cost.
Può ritenersi, dunque, che il legislatore
delegato, attraverso la riorganizzazione della CRI, non abbia valicato
l’oggetto, gli obiettivi e le finalità posti dalla legge delega, in quanto,
muovendosi all’interno della pluralità di opzioni consentitegli, ha inteso
perseguire il fine della «semplificazione e snellimento […] della struttura
degli enti» indicato dal delegante. In tal senso, il complessivo intervento di
riforma, lungi dal realizzare una mera soppressione della CRI, come pure
adombrato dal rimettente, interviene sulla sua struttura confermando le
rilevanti attività, di interesse pubblico, che essa ha storicamente svolto nel
contesto interno e internazionale (art. 1, commi 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 178
del 2012), disponendo il subentro della nuova Associazione in tutte le
convenzioni stipulate dalla CRI (art. 3, comma 4), assicurando la prevalenza di
finanziamenti pubblici per il suo sostentamento e riconoscendo l’Associazione
della CRI quale «unica Società nazionale di Croce Rossa» autorizzata a far
parte della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna
Rossa (art. 1, comma 2). In tal senso, il mutamento della natura giuridica
dell’organismo altro non è se non lo strumento individuato dal delegato per
raggiungere e soddisfare la finalità indicata dal delegante.
9.2.1.– La scelta del Governo di tornare alla
originaria struttura associativa della Croce Rossa non può, quindi, dirsi
estranea agli obiettivi di riorganizzazione perseguiti dalla delega.
Rinsaldano questa conclusione, sia l’indagine
circa l’intenzione originaria del Parlamento nel procedimento che ha portato
all’approvazione della legge delega, sia l’iter parlamentare che ha
accompagnato il varo del decreto legislativo censurato e, in particolare, il
parere espresso dalle competenti commissioni parlamentari. Nella stessa
direzione si muovono la complessa evoluzione normativa della Croce Rossa dalla
fondazione alla legge di riforma sanitaria e i vincoli internazionali in favore
di una struttura "non governativa” delle Croci rosse e delle Mezzelune rosse.
Del resto, come più volte affermato da questa Corte, il contenuto di una delega
legislativa deve essere identificato tenendo conto, oltre che del dato
testuale, della lettura sistematica delle disposizioni che la prevedono, anche
alla luce del contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonché della
ratio e delle finalità che la ispirano (ex plurimis, sentenze n. 104 del
2017; nello stesso senso, sentenze n. 250 del
2016, n. 210
del 2015 e n.
229 del 2014).
Già in passato il Parlamento aveva indicato la
strada della ristrutturazione della CRI «in conformità del principio
volontaristico della Associazione stessa», come sancito dal criterio direttivo
di cui all’art. 70, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, cui fece seguito
il d.P.R. n. 613 del 1980, la cui applicazione si arenò – come prima
sottolineato – per la mancata adozione dello statuto della costituenda
associazione. Ed è in questa medesima direzione che si colloca la volontà del
legislatore delegante espressa nel 2010 con la legge n. 183, come confermato
dalle commissioni parlamentari permanenti chiamate a rendere parere sullo
schema di decreto legislativo, le quali hanno avallato la scelta della persona
giuridica di diritto privato compiuta dal Governo.
9.2.2.– A tale riguardo, meritano di essere
segnalati i pareri resi dalla 12ª Commissione (Igiene e sanità) del Senato
della Repubblica, la quale, di fronte a un primo schema di decreto legislativo
(XVI Legislatura, atto del Governo, n. 424) che qualificava la Croce Rossa
«ente pubblico non economico su base associativa» e confermava gran parte della
precedente struttura dell’ente, aveva espresso parere contrario, ritenendo che
lo schema non risolvesse i problemi e non rispondesse alle esigenze emersi durante
la menzionata indagine conoscitiva precedentemente disposta dalla medesima
Commissione. Essa invitava perciò il Governo a presentare un nuovo progetto di
riforma che recepisse le linee d’intervento indicate nel documento conclusivo
della citata indagine (XVI Legislatura, parere della Commissione Igiene e
sanità del Senato della Repubblica sull’atto del Governo n. 424).
9.2.3.– A seguito del nuovo schema di decreto
legislativo (XVI Legislatura, atto del Governo n. 491) che ha previsto la
natura associativa dell’Ente, la Commissione Igiene e sanità del Senato della
Repubblica ha espresso parere favorevole, seppur enunciando una serie di
osservazioni. Eguale parere favorevole è stato espresso dalle altre commissioni
permanenti della Camera e del Senato (Difesa, Bilancio, Affari costituzionali,
Affari sociali), a testimonianza del fatto che il processo di riforma,
realizzato dal Governo, è stato complessivamente condiviso dagli organi
parlamentari.
10.– Il rimettente indica, nel prosieguo
argomentativo dell’ordinanza, un profilo di illegittimità costituzionale
relativo alla presunta sub-delega che il delegato avrebbe attuato con riguardo
alle modalità di finanziamento della Associazione della Croce Rossa italiana.
In particolare, l’art. 2, comma 5, del censurato
d.lgs. n. 178 del 2012, nell’assegnare le risorse finanziarie secondo criteri
rimessi alla determinazione dei Ministri della salute, dell’economia e delle
finanze e della difesa, avrebbe «demandato a scelte ministeriali aspetti
essenziali della nuova disciplina».
L’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 178 del 2012,
prevedendo che «[l] e risorse finanziarie a carico del bilancio dello Stato […]
sono attribuite […] con decreti del Ministro della salute, del Ministro
dell’economia e delle finanze e del Ministro della difesa, ciascuno in
relazione alle proprie competenze, senza determinare nuovi o maggiori oneri per
la finanza pubblica […]», evidentemente si limita a disciplinare le modalità di
erogazione, affidando all’atto fonte secondario solo il compito esecutivo di
assegnazione materiale delle risorse.
La censura non è fondata.
La soluzione adottata nell’art. 2 non si pone in
contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, la quale consente al decreto
delegato il conferimento agli organi dell’esecutivo della funzione «di emanare
normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del
1966), disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del
1967) o atti amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176
del 1998; per ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del
1965 e n.
103 del 1957)» (sentenza n. 104 del
2017).
11.– Alla luce delle considerazioni che
precedono, anche le censure rivolte agli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del 2012
devono essere dichiarate non fondate.
11.1.– Gli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del
2012 si collocano, come visto, all’interno della riorganizzazione del Corpo
militare della CRI. Non è manifestamente incoerente con la finalità complessiva
della riforma, in un’ottica di razionalizzazione delle spese, stabilire un
diverso inquadramento del personale ausiliario, a maggior ragione laddove, come
nel caso di specie, il delegato opti, quale strumento di attuazione del compito
affidatogli dal delegante, per la trasformazione dell’ente pubblico in persona
giuridica di diritto privato. D’altronde, è la stessa legge di delega ad aver
indicato al Governo la necessità di garantire la razionalizzazione e
l’ottimizzazione delle spese e dei costi di funzionamento, obiettivi
coerentemente perseguiti dal legislatore delegato tramite il trasferimento del
personale militare ausiliario al ruolo civile.
Il giudice a quo deduce l’eccesso di delega delle
norme sul personale ausiliario anche per contrasto «con i principi e criteri
direttivi, di cui all’art. 2, comma 1, lettera a) della legge delega», che
lascerebbe ferme «le specifiche disposizioni vigenti per il [...] personale, in
servizio alla data di entrata in vigore della [medesima] legge».
Il presupposto interpretativo da cui muove il
rimettente è palesemente errato, non trovando riscontro nel tenore letterale
della richiamata disposizione. La necessità di mantenere «le specifiche
disposizioni vigenti per il relativo personale in servizio alla data di entrata
in vigore della […] legge» n. 183 del 2010 è, infatti, espressamente riferita
al processo di riordino dell’ISFOL e della società Italia Lavoro spa e ai
rapporti di impiego instaurati con detti istituti e non riguarda, invece, la
CRI.
12.– Il rimettente lamenta, altresì, che il
d.lgs. n. 178 del 2012 violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost perché, avendo operato
«una integrale rinnovazione strutturale per quanto riguarda la Croce Rossa
Italiana», con soppressione e liquidazione dell’ente pubblico e istituzione di
una persona giuridica di diritto privato, avrebbe contestualmente determinato
una notevole riduzione di risorse, che impedirebbe all’Ente strumentale (e,
poi, all’Associazione), di svolgere le «delicate ed importanti funzioni di
interesse pubblico», elencate dall’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 178 del 2012.
12.1.– Dette questioni di legittimità
dell’«intero decreto» legislativo (ad eccezione dell’art. 7), promosse con
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., non sono fondate.
L’attribuzione della personalità giuridica di
diritto privato è senz’altro coerente con la vocazione solidaristica della
neoistituita Associazione della Croce Rossa italiana, associazione di
volontariato chiamata a svolgere rilevanti funzioni di interesse generale, a
livello nazionale e internazionale. Il decreto legislativo censurato trova anzi
una diretta copertura costituzionale nell’art. 118, quarto comma, Cost., che in
una ottica di sussidiarietà orizzontale impegna la Repubblica a favorire
«l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale».
12.2.– Peraltro è da tenere presente, come
sottolineato dall’Avvocatura dello Stato in udienza pubblica, che il nuovo
modulo organizzativo della Croce Rossa italiana allinea il nostro ordinamento
ad altre esperienze, in particolare (ma non solo) europee, le quali disegnano
le rispettive società nazionali di Croce Rossa quali associazioni di diritto
privato di interesse pubblico, formate da volontari e da personale civile in
regime di impiego privatistico; osservazione non priva di significato per una
organizzazione destinata ad aderire ad una federazione transnazionale di
«società non governative» (come recita il preambolo dello statuto della
Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna rossa).
Tale constatazione vale non solo per il Regno
Unito (la British Red Cross, ricevuto il riconoscimento regio nel 1908, è una voluntary aid society, ausiliaria
rispetto alle autorità pubbliche), ma anche per i sistemi giuridici
continentali. Si pensi alla Croix-Rouge française,
associazione senza scopo di lucro, riconosciuta di utilità pubblica; al Bundesverband des Roten Kreuzes tedesco,
associazione registrata ai sensi degli artt. 21 e seguenti del codice civile
tedesco; alla Cruz Roja spagnola, associazione civile
di rilievo pubblico composta solo da volontari civili (e non più, come in
passato, anche da militari di carriera).
12.3.– Infine, quanto alle risorse messe a
disposizione dell’Associazione della Croce Rossa italiana, l’ordinanza si
limita ad affermarne solo genericamente la strutturale inadeguatezza, rendendo
per quest’aspetto la censura inammissibile.
12.4.– Il giudice a quo solleva specifiche
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 178 del
2012, sempre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
Ad avviso del rimettente, il trasferimento al
ruolo civile del personale militare, previsto da detti articoli, sarebbe causa
di illegittimità costituzionale per l’assenza di «progressione economica
commisurata al grado rivestito», e di «garanzie di conservazione delle funzioni
in precedenza attribuite». Inoltre, sarebbe costituzionalmente illegittima la
scelta di ricorrere alle procedure di mobilità e la destinazione ad altra
amministrazione «senza alcun richiamo a comparti o settori dell’amministrazione
stessa, in cui si svolgano attività comparabili con quelle del personale di cui
trattasi, in possesso di specifica professionalità per situazioni di
emergenza».
12.4.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale sollevate nei termini sopra prospettati non sono fondate.
Il d.lgs. n. 178 del 2012, agli artt. 5 e 6, non
realizza la soppressione del Corpo militare ausiliare, ma ne revisiona la
struttura in coerenza con la generale riorganizzazione della CRI e con la
rinnovata struttura associativa della stessa.
Il decreto delegato ha infatti disposto la
sopravvivenza degli appartenenti al citato organismo quale categoria in congedo
che presta servizio volontariamente e gratuitamente (non diversamente da quanto
accade, oltre che per il Corpo delle infermiere volontarie, per la prima citata
Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare Ordine di Malta,
disciplinata dagli artt. 1761 e seguenti del cod. ordinamento militare).
Peraltro, come sottolineato dalla difesa statale, il pregresso Corpo militare
già da tempo utilizzava personale con tali caratteristiche come bacino da cui
la CRI poteva attingere per i richiami temporanei in servizio (artt. 1668 e
1669 cod. ordinamento militare).
Del resto, anche il personale trasferito in
altre amministrazioni, pur perdendo la qualifica di militare in servizio
attivo, mantiene la qualifica di militare in congedo e, ai sensi dell’art. 1668
cod. ordinamento militare, potrebbe sempre essere richiamato in servizio,
conservando il grado rivestito all’atto del collocamento in congedo.
In tale quadro, il trasferimento al ruolo civile
del personale del Corpo militare della CRI non si pone in contrasto con gli
artt. 3 e 97 Cost.
Il trasferimento al ruolo civile del personale
militare risulta anzi coerente con la trasformazione del regime giuridico della
CRI, posto che il nuovo inquadramento nel rapporto di impiego accede alla
diversa configurazione del datore di lavoro, che da soggetto pubblico muta in
associazione di diritto privato regolata dal Libro I, Titolo II, Capo II, del
codice civile.
Tali scelte di fondo comportano inevitabilmente
modifiche delle modalità di sviluppo delle carriere, che perciò stesso si
sottraggono alle dedotte censure.
12.4.2.– Quanto alle procedure di mobilità,
adottate nell’ambito dei processi di riforma che hanno interessato le
amministrazioni provinciali, ma che, come detto, trovano applicazione nella
vicenda oggetto dell’attuale giudizio, si è recentemente pronunciata questa
Corte, sottolineando come esse consentano di garantire un equilibrato
contemperamento di due esigenze costituzionalmente rilevanti: per un verso, il
mantenimento dei rapporti di lavoro, rendendo così «effettivo il diritto al
lavoro di cui all’art. 4 Cost.» (sentenze n. 202 del
2016 e n.
388 del 2004); per un altro, la discrezionalità legislativa connessa al
processo di riordino dello Stato e degli enti pubblici. In contesti simili, è
sicuramente auspicabile che ad un «rilevante riassetto organizzativo-funzionale
segua un’adeguata riqualificazione del personale» (sentenza n. 159 del
2016). Non può essere escluso che in sede di applicazione di detta
normativa possano verificarsi vizi nei conseguenti atti amministrativi, che
spetterà eventualmente sindacare solo agli organi giurisdizionali competenti.
Di qui la non fondatezza, anche sotto tali
profili, delle questioni prospettate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3,
4, 5, 6 e 8 del decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, recante
«Riorganizzazione dell’Associazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.) a norma
dell’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183», sollevate, in riferimento
all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del
Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e
ratificato con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale amministrativo del
Lazio, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4,
5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 1 e
76 Cost., in relazione all’art. 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe
al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di
congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per
l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione
femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di
lavoro pubblico e di controversie di lavoro), dal TAR Lazio, con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4,
5, 6 e 8 del d.lgs. n. 178 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e
97 Cost., dal TAR Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 aprile 2019.
Allegato:
Ordinanza letta
all'udienza del 5 marzo 2019