Sentenza n. 194 del 2015

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SENTENZA N. 194

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro                      CRISCUOLO                                        Presidente

- Giuseppe                         FRIGO                                                     Giudice

- Paolo                               GROSSI                                                         ”

- Giorgio                            LATTANZI                                                   ”

- Aldo                                CAROSI                                                        ”

- Marta                               CARTABIA                                                  ”

- Mario Rosario                  MORELLI                                                     ”

- Giancarlo                         CORAGGIO                                                 ”

- Giuliano                           AMATO                                                         ”

- Silvana                             SCIARRA                                                     ”

- Daria                                de PRETIS                                                     ”

- Nicolò                              ZANON                                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 96, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), promossi dal Tribunale per i minorenni di Bologna con ordinanza del 5 maggio 2014 e dal Tribunale per i minorenni di Napoli con ordinanze del 25 luglio e del 10 novembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 141 e 210 del registro ordinanze 2014 e al n. 20 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2014 e n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 luglio 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 5 maggio 2014 (r.o. n. 141 del 2014), il Tribunale per i minorenni di Bologna solleva, in riferimento agli artt. 76, 77, 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 96, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), nella parte in cui prevede che «sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile», limitatamente alla previsione che include le controversie contemplate dall’art. 317-bis cod. civ.

Premette il Tribunale rimettente, in punto di fatto, di essere stato investito a seguito di ricorso proposto dai nonni paterni di una minorenne, i quali, lamentando un atteggiamento ostile della nuora, chiedevano di accertare il diritto dei medesimi «a mantenere rapporti assidui e significativi con la nipote minorenne», domandando anche l’adozione dei provvedimenti «idonei ad assicurare l’esercizio effettivo del predetto diritto degli ascendenti, nell’esclusivo interesse della minore, disciplinando i tempi ed i modi di frequentazione della bambina da parte degli stessi».

Stabilisce, infatti, l’art. 317-bis cod. civ., come sostituito dall’art. 42, comma 1, del citato d.lgs. n. 154 del 2013, che «Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma».

Sottolinea il giudice rimettente come la relazione illustrativa della commissione incaricata della predisposizione del testo del richiamato d.lgs. n. 154 del 2013, abbia motivato la scelta di attribuire la competenza al tribunale per i minorenni alla luce dell’orientamento giurisprudenziale prevalente che riconduce simili controversie nell’ambito dell’art. 333 cod. civ. Tale tesi sarebbe resistita da un orientamento contrario, secondo il quale la materia rientrerebbe nel quadro dell’odierno art. 337-ter cod. civ., vale a dire nell’ambito dei provvedimenti che regolano i tempi di frequentazione della prole presso l’uno o l’altro dei genitori.

La disposizione censurata non rinverrebbe dunque base nella legge di delega, la quale non conteneva direttive concernenti la competenza. Il silenzio del legislatore delegante doveva pertanto essere interpretato come una scelta operata dalla stessa legge di delega di attribuire la competenza di tali controversie al tribunale ordinario. Da ciò la lamentata violazione degli artt. 76 e 77 Cost.

«Ad ogni modo» – puntualizza ancora il giudice rimettente – la norma si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. «per una intrinseca irragionevolezza e una rottura del principio di concentrazione processuale, dove questo era all’evidenza da privilegiare». Mentre, infatti, tutti i procedimenti di cui all’art. 333 cod. civ. possono essere trattati dal tribunale ordinario se pendente un procedimento di separazione o divorzio, ex art. 337-bis cod. civ., ciò non potrebbe avvenire per i soli procedimenti di cui all’art. 317-bis cod. civ., derivando da ciò una «frantumazione di una tutela processuale che dovrebbe essere univoca», creandosi, invece, «in danno dei minori, una proliferazione di processi che non tiene affatto conto dell’interesse preminente del minore».

D’altra parte, vi sarebbe l’ulteriore aporia rappresentata dal fatto che, mentre davanti al tribunale per i minorenni viene fatta valere la situazione soggettiva degli ascendenti, davanti al tribunale ordinario viene fatta valere la situazione soggettiva dei nipoti.

Dunque, anche ove si ritenesse che la norma impugnata sia coperta dalla delega, andrebbe valutato il profilo da ultimo accennato e dovrebbe conseguentemente essere «comunque dichiarata l’incostituzionalità della norma, per ripristinare l’euritmia creata nel sistema».

2.− Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque infondata la proposta questione.

Osserva l’Avvocatura generale che l’art. 2, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), nel prevedere l’obbligo di coordinamento per il legislatore delegato, necessariamente attribuiva allo stesso anche il compito di individuare il giudice competente, sicché l’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni è stata disposta nella logica della migliore tutela del minore. E ciò in considerazione del fatto che l’azione proposta dagli ascendenti non può dirsi necessariamente connessa ad un’azione di separazione. Al contrario, il giudice minorile sarebbe quello meglio attrezzato per «conoscere delle effettive esigenze del minore e della situazione familiare, sì da regolare con il suo prudente apprezzamento e con maggiore conoscenza della materia, rispetto al giudice ordinario, il delicato rapporto tra il minore e i nonni materni o paterni».

3.− Con ordinanze di identico contenuto, del 25 luglio 2014 (r.o. n. 210 del 2014) e del 10 novembre 2014 (r.o. n. 20 del 2015), anche il Tribunale per i minorenni di Napoli ha sollevato una questione identica a quella appena descritta, trascrivendo e facendo proprie – dopo aver affermato la rilevanza della questione – le considerazioni svolte dal Tribunale per i minorenni di Bologna nella riferita ordinanza di rimessione.

4.− Nei relativi giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, la quale ha ugualmente concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione.

La questione sollevata con la ordinanza r.o. n. 210 del 2014 sarebbe, anzitutto, di dubbia rilevanza, in quanto presso il medesimo Tribunale già pendevano due procedure de potestate (la minore era stata vittima di abusi sessuali da parte del padre), procedure rispetto alle quali sussisteva per il giudizio a quo una connessione che radicava la competenza del Tribunale per i minorenni.

Pure in questi giudizi, comunque, si osserva che la delega conferiva al legislatore delegato anche il potere di coordinamento, rendendo legittima la previsione della competenza funzionale del tribunale per i minorenni.

A proposito, poi, della ratio sottesa a tale scelta, si riportano ampi stralci della relazione predisposta dalla cosiddetta “Commissione Bianca”, illustrativa dei princìpi di fondo che si è inteso salvaguardare e delle posizioni della giurisprudenza sui vari profili coinvolti nella riforma.

Quanto alla questione subordinata, si osserva che la scelta del legislatore di attribuire la competenza al tribunale per i minorenni anche in caso di pendenza di un giudizio di separazione o divorzio tra i genitori, si sottrae ad ogni censura di irragionevolezza «perché muove dalla mancanza di legittimazione degli ascendenti ad intervenire nelle controversie in parola […] e risponde all’esigenza di garantire il principio costituzionale di ragionevole durata di siffatti giudizi».

Considerato in diritto

1.− Il Tribunale per i minorenni di Bologna solleva, in riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 96, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), «nella parte in cui prevede che “sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile”, limitatamente alla parte in cui include l’art. 317-bis».

Al riguardo, il giudice rimettente osserva che, come emergerebbe dalla relazione illustrativa redatta dalla commissione ministeriale incaricata di predisporre il testo del provvedimento attuativo della delega − vale a dire il predetto d.lgs. n. 154 del 2013 −, l’individuazione del tribunale per i minorenni come giudice competente per le controversie contemplate dal nuovo articolo 317-bis cod. civ. sarebbe scaturita dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, secondo il quale simili controversie andrebbero ricondotte nell’alveo dell’art. 333 cod. civ., con competenza, per l’appunto, del giudice minorile; tesi, questa, contrastata da diverso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le controversie in questione andrebbero, invece, attratte nel perimetro dell’art. 337-ter cod. civ., e cioè nel quadro dei provvedimenti che riguardano i tempi di frequentazione della prole presso i genitori a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili del matrimonio o all’esito dei procedimenti riguardanti i figli nati fuori del matrimonio, di competenza del giudice ordinario.

La disposizione censurata si porrebbe, dunque, in violazione degli artt. 76 e 77 Cost., «in stridente contrasto con la delega legislativa, eccedendo dalla cornice disegnata dalla legge delega», non contenendo questa direttive riguardanti la competenza. Come osservato dai primi commentatori, «“il silenzio del legislatore delegante doveva essere interpretato come precisa scelta di metodo”», nel senso che lo stesso «“equivaleva ad istituire la competenza del tribunale ordinario”».

La disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 111 Cost., in quanto determinerebbe un’irragionevole frattura nell’unità dei procedimenti, con correlativa compromissione del principio di concentrazione processuale. Mentre, infatti, tutti i procedimenti di cui all’art. 333 cod. civ. possono essere trattati unitariamente davanti al tribunale ordinario, ove davanti a questo sia pendente un procedimento di separazione o di divorzio, il medesimo “cumulo processuale” non potrebbe realizzarsi per i procedimenti di cui all’art. 317-bis cod. civ., determinandosi una proliferazione di processi in danno dei minori, malgrado la delega avesse indicato il preminente interesse di questi come criterio per le scelte legislative. Per altro verso, si genererebbe l’ulteriore irrazionalità di sistema rappresentata dal fatto che, mentre davanti al tribunale per i minorenni verrebbe fatta valere la situazione soggettiva degli ascendenti, davanti al tribunale ordinario sarebbe fatta valere la «situazione giuridica soggettiva dei nipoti».

2.− Con due ordinanze di identico contenuto anche il Tribunale per i minorenni di Napoli ha sollevato la medesima questione, affermatane la rilevanza, richiamando integralmente le medesime censure e la medesima motivazione poste a fondamento della questione sollevata dal Tribunale per i minorenni di Bologna.

3.– Avendo ad oggetto un’identica questione, tutti i giudizi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

4.− La questione non è fondata.

4.1.– Quanto al lamentato vizio di eccesso di delega, l’asserita mancata previsione, nella legge di delegazione, di un’apposita e specifica direttiva a proposito del giudice competente per il contenzioso in discorso non può affatto reputarsi interpretabile come una sorta di implicito e necessario “vincolo” alla sua devoluzione al giudice non specializzato; e ciò neppure sulla base del criterio “generale” stabilito all’art. 38, secondo comma, disp. att. cod. civ. novellato.

La tesi dei rimettenti, secondo la quale alcune incertezze interpretative orienterebbero verso la “opportunità” di lasciare il tema al dibattito giurisprudenziale o a futuri interventi legislativi, non appare sostenuta da alcun elemento univocamente indicativo circa un supposto “vincolo” per il legislatore delegato, apparendo, anzi, del tutto coerente che, proprio allo scopo di prevenire eventuali contrasti o incertezze di giurisprudenza, il legislatore delegato abbia avvertito la necessità di chiarire expressis verbis il punto, facendo leva, in linea generale, sull’indiscusso potere “integrativo” che la legge di delega gli aveva conferito.

Come è noto, infatti, la giurisprudenza costituzionale in tema di eccesso di delega è da tempo consolidata nell’affermare che la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo. Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve, così, svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criteri direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell’attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d’altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell’oggetto indicato dalla legge di delega, fino all’estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse (sentenze n. 229, n. 182 e n. 50 del 2014).

Il tutto non senza sottolineare come, attesa l’ampia discrezionalità e l’insindacabilità delle scelte legislative adottate nella disciplina degli istituti processuali (ex plurimis, sentenza n. 243 del 2014 e la già citata sentenza n. 182 del 2014), la questione della conformità alla delega di una specifica disposizione prevista dal provvedimento delegato in assenza di puntuali e dettagliate direttive – come, nel caso, quella della “competenza funzionale” o del “cumulo processuale” – debba necessariamente plasmarsi in funzione delle soluzioni attuative che il legislatore delegato è chiamato ad effettuare in relazione alle discipline di diritto sostanziale cui la stessa delega si sia, invece, espressamente riferita.

Appare, così, ragionevole, nella specie, che il legislatore delegato, avendo introdotto, conformemente alla delega, una previsione del tutto innovativa, quale quella di cui all’art. 317-bis cod. civ. (secondo cui, tra l’altro, l’ascendente impedito nell’esercizio del suo diritto «può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore»), ne abbia definito, con la disposizione denunciata, anche i “contorni” processuali, adeguatamente individuando il giudice competente in quello “specializzato”.

D’altra parte – e tale rilievo sembra assumere portata dirimente – l’art. 2, comma 2, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali) aveva espressamente affidato al legislatore delegato il compito di apportare, con gli emanandi decreti legislativi, «le occorrenti modificazioni e integrazioni normative, il necessario coordinamento con le norme da essi recate delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e delle altre norme vigenti in materia, in modo da assicurare il rispetto dei princìpi e criteri direttivi»: fra i quali ultimi assume qui specifico risalto, per l’appunto, quello di cui all’art. 2, comma 1, lettera p), ove, come si è detto, si è stabilita la «previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori».

Né sarà superfluo rimarcare come questa specifica delega per l’“adeguamento” delle disposizioni processuali sia stata disposta dallo stesso legislatore che, all’art. 3, comma 1, della medesima legge, aveva già direttamente provveduto a modificare e, anzi, a sostituire il vecchio testo dell’art. 38 disp. att. cod. civ., senza, naturalmente, prevedere alcunché a proposito delle materie delegate.

4.2.− Del pari non persuasivi appaiono i motivi di censura proposti in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.: parametro, quest’ultimo, in ordine al quale, peraltro, non viene fornita espressa motivazione e che parrebbe verosimilmente evocato in relazione al principio del “giusto processo”, sotto il profilo della “ragionevole durata”.

La logica del “cumulo processuale” – che, come si è detto, ha orientato i giudici rimettenti a reputare incongrua la denunciata e contraria scelta del legislatore delegato – si fonda, invero, su criteri che non appaiono tali da compromettere la ragionevolezza, costituzionalmente rilevante, della specifica soluzione normativa all’esame.

È, infatti, del tutto evidente che, ai sensi del secondo periodo del primo comma dell’art. 38 disp. att. cod. civ., i procedimenti di cui all’art. 333 cod. civ. – di regola attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni – siano affidati, invece, alle cure del tribunale ordinario quando «tra le stesse parti» penda un giudizio di separazione o di divorzio. È peraltro noto che la disciplina di cui all’art. 333 cod. civ. riguardi, a sua volta, le ipotesi di condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori nei confronti del figlio, con la possibilità che il giudice adotti i “provvedimenti convenienti” e perfino disponga gli opportuni allontanamenti dalla residenza familiare.

Il “cumulo processuale” si giustifica, dunque, in primo luogo, in relazione alla circostanza per cui le parti coinvolte in giudizio siano soggettivamente “le stesse” (vale a dire i genitori in fase di separazione o divorzio e i figli minori); e, inoltre, in relazione alla necessità che il giudice possa adottare, in costanza di una crisi coniugale aggravata da comportamenti genitoriali pregiudizievoli per i figli, le misure più opportune per la migliore tutela degli interessi di questi ultimi.

Identico discorso vale, ovviamente, anche per la vis attrattiva disposta a favore del tribunale ordinario ove, sempre «tra le stesse parti», penda giudizio ai sensi dell’art. 316 cod. civ., per il caso di contrasto tra i genitori su questioni di particolare importanza in tema di responsabilità genitoriale sui figli minori.

Si tratta, quindi, di una “concentrazione” processuale che presenta una ratio evidentemente non irragionevole e non certo riconducibile a mere esigenze di speditezza processuale. La quale ratio, tuttavia, non impone affatto di adottare una medesima soluzione regolativa per l’ipotesi, del tutto differente, del contenzioso introdotto da parte degli ascendenti che lamentino un pregiudizio per il loro diritto di mantenere con i nipoti minorenni «rapporti significativi», quando sia stato loro impedito di esercitarlo.

Come è del tutto evidente, in quest’ipotesi sarebbero, infatti, soggettivamente diverse le “parti” in giudizio, così come diversi sarebbero gli interessi in contesa, atteso che si tratterebbe di assicurare tutela a una sfera di affettività suscettibile di essere compromessa anche del tutto indipendentemente da vicende di crisi coniugale; senza contare che il cumulo di questo contenzioso con quello della separazione finirebbe inevitabilmente per introdurre, anche fra gli stessi coniugi, un ulteriore elemento di conflittualità, potenzialmente eccentrico rispetto a quelli già presenti. La stessa “comune” audizione dei minori (nel cui «esclusivo interesse» vanno, in ogni caso, come si è evidenziato, adottati i provvedimenti di cui all’art. 317-bis cod. civ.) avverrebbe, del resto, secondo una prospettiva destinata a risultare, per così dire, “strabica”: da un lato, infatti, essa sarebbe volta a valutare a quale dei genitori affidare i minori e, dall’altro lato, a valutare, invece, come l’interesse materiale e spirituale di questi ultimi possa essere contemperato con l’autonomo diritto degli ascendenti.

È, comunque, decisivo il rilievo secondo cui non può certo apparire irragionevole la scelta di attribuire a un giudice specializzato – e da considerarsi “naturale” per la tutela degli interessi dei minori – anche la competenza in discorso, fermo restando che qualsiasi altro e diverso livello di criticità delle soluzioni adottate dal legislatore non può che legittimamente rientrare – specie, come si è ricordato, nella materia processuale – nell’ambito della discrezionalità di cui esso gode.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 96, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 111 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna e dal Tribunale per i minorenni di Napoli con le ordinanze descritte in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2015.