SENTENZA N. 106
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente
Dott. Mario COSATTI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
Dott. Giuseppe VERZÌ
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, recante norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori, e della successiva legge di proroga 1 ottobre 1960, n. 1027, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 24 novembre 1961 dal Pretore di Pisciotta nel procedimento penale a carico di Mautone Giovanni, iscritta al n. 217 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 20 gennaio 1962;
2) ordinanza emessa il 12 luglio 1961 dal Pretore di Ferrara nel procedimento penale a carico di Bruzzo Lorenzo e Bock Cesare, iscritta al n. 224 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18 del 20 gennaio 1962;
3) ordinanza emessa il 14 dicembre 1961 dal Pretore di Salerno nel procedimento civile vertente tra Cappelli Rita e la Ditta Caiafa Alfredo, iscritta al n. 10 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 24 febbraio 1962;
4) ordinanza emessa il 22 febbraio 1962 dal Pretore di Troina nel procedimento penale a carico di Catalani Franco, iscritta al n. 55 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 99 del 14 aprile 1962;
5) ordinanza emessa il 1 febbraio 1962 dal Pretore di Cervaro nel procedimento penale a carico di Monteforte Salvatore iscritta al n. 73 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 9 giugno 1962.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli atti di costituzione in giudizio di Bruzzo Lorenzo, Bock Cesare e Cappelli Rita, nonché di Massari Mario, Greghi Fedoro e Dallamagnana Renzo, parti civili nel procedimento penale a carico di Bruzzo Lorenzo e Bock Cesare;
udita nell'udienza pubblica del 31 ottobre 1962 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi gli avvocati Gian Maria Zignoni e Antonio Sorrentino, per Bruzzo Lorenzo, l'avv. Massimo Severo Giannini, per Massari Mario e Cappelli Rita, l'avv. Vincenzo Mazzei, per Greghi Fedoro, l'avv. Francesco Santoro Passatelli, per Dellamagnana Renzo, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Ferrara la difesa degli imputati sollevò la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 5 e 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, recante "norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori", asserendo che fossero in contrasto con le norme contenute negli att. 76, 39 e 3 della Costituzione. Il Pretore ritenne la questione rilevante e non manifestamente infondata e in conseguenza, con l'ordinanza 12 luglio 1961, sospese il giudizio e rinviò gli atti a questa Corte. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 1962, n. 18.
2. - Degli articoli impugnati, l'art. 1 delega il Governo a emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi "inderogabili di trattamento economico e normativo" nei confronti di tutti gli appartenenti a una medesima categoria, con l'obbligo di "uniformarsi", nell'esercizio della delega, a "tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi ... stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla data di entrata in vigore della ... legge". L'art. 2 specifica che le norme da emanare devono riguardare tutte le categorie per le quali risultano stipulati accordi economici e contratti collettivi "per la disciplina dei rapporti di lavoro, dei rapporti di associazione agraria, di affitto a coltivatori diretti e dei rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni d'opera continuativa e coordinata". L'art. 3 precisa che gli accordi e i contratti ai quali il Governo deve uniformarsi, sono quelli "preventivamente depositati a cura di una delle associazioni stipulanti presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale che ne accerta l'autenticità". L'art. 5 dispone che le norme delegate non possono essere in contrasto con norme imperative di legge. L'art. 8, infine, prevede a carico del datore di lavoro che non adempia gli obblighi derivanti dalle norme delegate, un'ammenda da lire 5.000 a lire 100.000 per ogni lavoratore al quale si riferisce la violazione.
3. - I motivi per i quali le norme ora ricordate sarebbero in contrasto con la Costituzione, sono i seguenti:
1) gli artt. 1, 2 e 3 non conterrebbero i principi e i criteri direttivi richiesti dall'art. 76 per una legittima delegazione di potestà legislativa;
2) gli artt. 1 e 5 priverebbero il Governo, nell'esercizio della delegazione, di ogni potere discrezionale;
3) la legge conferirebbe efficacia legislativa a contratti col lettivi stipulati da sindacati privi dello status richiesto dall'art. 39 della Costituzione e, in conseguenza, violerebbe la libertà sindacale, dato che sottrarrebbe ai sindacati, o a taluni sindacati, il potere di stipulare contratti collettivi aventi efficacia per i rispettivi aderenti e, insieme, priverebbe questo o quel sindacato di concorrere alla stipulazione di contratti collettivi, nell'ipotesi che il Governo si uniformi, nell'esercizio del potere di delega, agli accordi stipulati soltanto da una o da alcune associazioni sindacali;
4) l'art. 8, prevedendo, in caso di inadempienza, sanzioni penali soltanto per una delle parti contraenti, violerebbe il principio dell'eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
4. - Nel presente giudizio si é costituito l'ing. Lorenzo Bruzzo, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea d'Andrea, Gian Maria Zignoni e Francesco Porreca. Le deduzioni sono state depositate il 31 luglio 1961.
Secondo la difesa dell'ing. Bruzzo, la legge impugnata violerebbe, in primo luogo, l'art. 39, quarto comma, della Costituzione, giusta il quale soltanto i contratti collettivi stipulati dai sindacati registrati, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, possono conseguire efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce. Codesta illegittimità non potrebbe essere superata con l'affermazione che la fonte regolatrice dei rapporti di lavoro sia la legge delegata, non già il contratto collettivo, giacché nella sostanza la volontà che determina il regolamento di quei rapporti é quella dei singoli sindacati non registrati. Il che é confermato dalle norme della legge le quali:
a) impongono al Governo di uniformarsi a tutte le clausole dei contratti collettivi (art. 1);
b) rendono l'emanazione delle norme non già una mera facoltà, ma un obbligo del Governo, che diventa attuale in conseguenza del semplice deposito del contratto collettivo da parte di uno dei sindacati stipulanti, violandosi così anche l'art. 71 della Costituzione che regola il potere di iniziativa delle leggi (artt. 2 e 3);
c) stabiliscono che le norme della legge delegata non potranno essere in contrasto con norme imperative di legge (art. 5), conferendo così alla clausola contrattuale una posizione prevalente e assorbente rispetto alla norma.
- Né l'illegittimità costituzionale potrebbe essere sanata facendo richiamo all'art. 36 della Costituzione, giusta il quale "il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa", perché questa norma si riferirebbe esclusivamente alla retribuzione, laddove la legge ha reso possibile l'estensione obbligatoria erga omnes di tutte le clausole dei contratti collettivi, senza dire che la norma dell'art. 36 sarebbe una norma programmatica che il legislatore deve di volta in volta attuare con un atto legislativo vero e proprio, valutando autonomamente le ragioni che ne giustificano l'emanazione ed assumendone la diretta responsabilità politica.
L'art. 36, prosegue la difesa, non può autorizzare un' elusione dell'art. 39, che é l'articolo il quale regola, "direttamente ed esplicitamente", la materia dei contratti collettivi di lavoro, i modi della loro stipulazione e la loro efficacia.
5. - In secondo luogo, la legge in esame violerebbe il principio della libertà sindacale (art. 39, primo comma, della Costituzione) che comporta necessariamente "il potere contrattuale" dei sindacati: il potere, cioè, di stipulare contratti collettivi a nome e per conto degli associati. La legge, infatti, rendendo possibile che un contratto collettivo stipulato da un singolo sindacato acquisti efficacia erga omnes, toglie a tutti gli altri contratti collettivi ogni efficacia, anche quella, cioè, nei confronti degli associati al sindacato stipulante.
6. - In terzo luogo, la legge violerebbe il terzo comma dell'art. 39 anche in relazione all'art. 3 della Costituzione. Infatti, il congegno costituzionale assicura a tutti i sindacati di partecipare, in proporzione al numero dei propri iscritti, alla contrattazione collettiva, ponendoli tutti in posizione di eguaglianza. É evidente che il principio di eguaglianza viene violato quando si conferisca efficacia erga omnes a un contratto collettivo non formato col concorso di tutti i sindacati.
7. - In quarto luogo la legge violerebbe l'art. 76 della Costituzione perché non determinerebbe i principi e i criteri direttivi ai quali il legislatore delegato deve attenersi, non potendosi ravvisare tale determinazione come implicita nel rinvio ai contratti collettivi. La norma costituzionale, a detta della difesa, imporrebbe che codesta determinazione sia contestuale alla delega e che la legge di delega ne sia la fonte immediata e diretta. Di più, l'indeterminatezza della delega, e di conseguenza la violazione dell'art. 76 della Costituzione, risulterebbe anche dal fatto che non é dato alcun criterio per stabilire a quale contratto collettivo, nell'ipotesi di più contratti collettivi stipulati per la medesima categoria, debba darsi la preferenza: nemmeno quello di un minimo di rappresentatività, in contrasto con lo spirito dell'art. 39 e con gli artt. 2 e 3 della Costituzione. Aggiunge la difesa che il fatto che sia stato affidato ai sindacati l'impulso per "porre in essere il potere-dovere del Governo di rendere obbligatori erga omnes i contratti collettivi" violerebbe l'art. 71 della Costituzione e che il fatto che l'efficacia delle norme delegate rimane subordinata alla validità delle clausole del contratto collettivo ai sensi dell'art. 5 della legge, sarebbe incompatibile con la natura della legge e col principio dell'art. 77 della Costituzione, dal quale risulta che i decreti emanati in forza di delega hanno valore di legge ordinaria.
8. - In quinto e ultimo luogo, l'art. 8 della legge, comminando sanzioni penali soltanto per l'inadempienza ai patti da parte del datore di lavoro e non già del lavoratore, violerebbe l'art. 3 della Costituzione. Non nega la difesa che il legislatore possa valutare diversamente, ai fini della gravità della pena da erogare, il fatto commesso dal datore di lavoro; nega, invece, che il legislatore possa assumere un diverso atteggiamento di fronte a fatti qualitativamente eguali e aggiunge che l'art. 8 sfuggirebbe alla censura di incostituzionalità soltanto se venisse interpretato nel senso che esso contempli unicamente gli obblighi specifici del datore di lavoro, come l'osservanza del minimo di retribuzione, non già gli altri che sono suoi come del lavoratore, quale, ad esempio, l'osservanza del preavviso nel caso di recesso unilaterale.
9. - Si é costituito in giudizio anche l'altro imputato, l'ing. Cesare Bock, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Artelli e Francesco Porreca, depositando l'11 luglio 1961 deduzioni identiche a quelle ora riferite dell'ing. Bruzzo.
10 - Si é costituito anche il sig. Mario Massari, parte civile nel giudizio a quo, rappresentato e difeso dall'avvocato Massimo Severo Giannini, mediante deposito delle deduzioni il 23 luglio 1961.
La difesa del sig. Massari eccepisce preliminarmente che le norme rilevanti nel giudizio a quo sarebbero non già quelle contenute nell'articolo citato della legge di delegazione, ma quelle contenute nell'art. 1 della legge delegata 28 agosto 1960, n. 1360, che conferisce efficacia normativa al contratto collettivo 16 settembre 1958 per gli addetti all'industria saccarifera, e negli artt. 10 e 11 di questo stesso contratto collettivo, norme rispetto alle quali l'ordinanza di rimessione non solleverebbe alcuna questione di costituzionalità. Si verrebbe così a creare una situazione, dice la difesa, "alquanto confusa per l'incompletezza della fattispecie normativa ... portata al giudizio della Corte", stante il principio secondo il quale i limiti della cognizione della Corte costituzionale, nel giudizio incidentale di costituzionalità, sono segnati dall'ordinanza di rimessione. La difesa su questo punto, peraltro, conclude rimettendosi "a quanto vorrà la Corte ritenere".
11. - Nel merito, la difesa del Massari sostiene che l'ordinanza sottoporrebbe alla Corte questioni già sollevate in relazione al disegno di legge, ma non più significative oggi che la legge é stata approvata in forma sostanzialmente diversa da quella del disegno.
Così non sarebbero fondate le censure mosse alla legge ex art. 76 della Costituzione, in quanto la legge delegata conferisce la delega per un periodo di tempo limitato su un oggetto definito (il minimo di trattamento economico e normativo per tutti i lavoratori) e con principi e criteri direttivi (obbligo del Governo di uniformarsi a tutte le clausole contenute nei contratti, di riferirsi anche ai contratti e accordi intercategoriali, di assumere contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge, di esercitare la delega per tutte le categorie per le quali risultino stipulati accordi e contratti collettivi che abbiano un certo oggetto, di ispirarsi nella scelta al fine di assicurare i minimi inderogabili di trattamento economico e normativo). Né sarebbe esatto che la violazione dell'art. 76 si avrebbe per il fatto che al legislatore delegato sia negato l'esercizio di qualsiasi discrezionalità. Un giudizio di opportunità, che si concreta in un potere di scelta tra più soluzioni possibili, si avrebbe almeno in due ipotesi: a) quando esista per una stessa categoria di lavoratori una pluralità di contratti col lettivi e di accordi economici; b) quando si debba espungere da un contratto collettivo o da un accordo economico una clausola che si ritenga in contrasto con norme imperative di legge (art. 5).
12. - Non avrebbero nemmeno fondamento le censure mosse alla legge ex art. 39 della Costituzione. Sostiene, infatti, la difesa del Massari che quelle censure riposano tutte sull'errato concetto che la legge impugnata sia la legge sindacale prevista dall'art. 39 della Costituzione. La legge in esame, viceversa, vuole assicurare soltanto un minimo inderogabile di trattamento economico e normativo ai lavoratori delle varie categorie. I contratti collettivi e gli accordi economici avrebbero, pertanto, nel sistema della legge, un valore meramente strumentale. L'articolo della Costituzione nel quale si iscrive la legge non é l'art. 39, bensì l'art. 36.
13. - Infine, non sarebbe fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge; con la norma contenuta in questo articolo il legislatore ha voluto tutelare la parte del rapporto che si trova in posizione di particolare debolezza e proprio in omaggio a un principio di giustizia distributiva.
14. - Si é costituito, altresì, mediante deposito delle deduzioni il 23 agosto 1961, il sig. Fedoro Greghi, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Cavallari e Filippo Baraldi.
La difesa del Greghi sostiene che la legge non viola le norme che regolano la delegazione legislativa, né sotto il profilo dei criteri e dei principi direttivi, né sotto l'altro della discrezionalità del legislatore delegato. Sostiene, inoltre, l'infondatezza delle censure mosse alla legge sulla base dell'art. 39 della Costituzione:
1) perché la legge non ha voluto attuare questo art. 39, ma stabilire transitoriamente trattamenti normativi ed economici in favore dei lavoratori e in applicazione dell'art. 36;
2) perché i sindacati non sono stati privati del potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale, perché essi di tale potere sono privi fino a quando la norma dell'art. 39 della Costituzione non sarà stata attuata;
3) perché nessuna disparità di trattamento é stata fatta ai sindacati, in quanto il Governo si é impegnato, ed ha mantenuto l'impegno, di non esercitare la delega in casi di pluralità di contratti.
Non può dirsi, infine, violato il principio di eguaglianza in relazione all'art. 8 della legge, essendo ovvio che una legge la quale mira a tutelare i lavoratori, non avrebbe potuto introdurre "ipotesi di punibilità penale a carico della parte protetta".
15. - Argomentazioni identiche o analoghe esibisce il sig. Renzo Dallamagnana, rappresentato e difeso dall'avvocato Aurelio Becca, che ha depositato le sue deduzioni il 23 agosto 1961.
16. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'atto di intervento é stato depositato il 2 ottobre 1961.
L'Avvocatura sostiene che le censure mosse alla legge ex art. 76 della Costituzione sono infondate perché il legislatore delegato deve osservare quanto meno due criteri direttivi: dettare norme uniformi alle clausole dei contratti collettivi; escludere dalla ricezione le clausole che porrebbero le norme di legge delegata in contrasto con disposizioni di legge imperative.
In secondo luogo, il legislatore delegato non sarebbe privo di un certo potere discrezionale, in quanto anche la relatio a un testo preformato consente, quanto meno, di non esercitare la delega e di risolvere le incertezze che possano sorgere nella sua attuazione, senza dire che sarebbe pacifica la possibilità di una delegazione con riferimento a un testo già precostituito ed altrettanto pacifico che il legislatore delegato, nell'esercizio del suo potere, non incontri altri limiti se non quelli del legislatore ordinario.
Quanto ai rilievi formulati contro la legge in relazione all'art. 39 della Costituzione, l'Avvocatura sostiene, in primo luogo, che le leggi delegate non conferirebbero efficacia alle clausole di un contratto collettivo, ma detterebbero un trattamento minimo salariale e normativo utilizzando queste clausole sciolte così dal nesso che allevano col potere autonomo del sindacato; in secondo luogo, che non esisterebbe l'ipotesi di una scelta del contratto collettivo da recepire, né il divieto di stipulare nuovi contratti, che incontrerebbero l'unico limite nel rispetto del trattamento minimo assicurato ai lavoratori dalla legge.
Aggiunge l'Avvocatura che, anche se si potesse ritenere stabilita dall'art. 39 della Costituzione una riserva normativa in favore dei sindacati, questa potrebbe divenire operante soltanto quando saranno costituiti i soggetti dell'autonomia collettiva sindacale con efficacia generale. Il che significa che codesta autonomia non potrà essere esercitata fino a quando non esisteranno sindacati registrati.
Infine, l'art. 3 della Costituzione non sarebbe stato violato dall'art. 8 della legge, perché sarebbe ovvio che la legge, la quale stabilisce un minimo di trattamento in favore dei lavoratori, può essere violata soltanto da chi si sottragga all'obbligo di corrisponderlo.
17. - Hanno depositato deduzioni in cancelleria il 12 settembre 1961 la Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (C.I.S.L.) e la Federazione Italiana dei Liberi Lavoratori dello Zucchero e dell'Alcool (F.I.L.L.Z.A.), rappresentate e difese dagli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Benedetto Bussi.
La difesa delle associazioni sindacali ora nominate sostiene che non potrebbe essere negata l'ammissibilità dell'intervento dei sindacati nel giudizio intorno a una legge che ha "a suo presupposto e a matrice necessaria" un contratto collettivo, cioè uno strumento "posto in essere dai sindacati per la realizzazione dell'interesse collettivo professionale". Vero é che la legge in esame tutela un interesse pubblico, quello di assicurare un trattamento minimo a tutti i lavoratori appartenenti alle diverse categorie professionali, ma é vero anche che tale minimo la legge desume dai contratti collettivi esistenti: sicché dovrebbe essere consentito ai sindacati, segnatamente a quelli che stipularono i contratti collettivi, di far valere nel giudizio di costituzionalità la propria valutazione delle conseguenze che derivano dalla legge all'interesse collettivo di settori rappresentati non dallo Stato, ma dai sindacati. Le stesse ragioni, insomma, che spiegano come la valutazione dell'interesse pubblico nel giudizio é affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, giustificano che quella dell'interesse collettivo implicato nello speciale procedimento previsto dalla legge di delega sia affidata all'organizzazione sindacale libera.
18. - La difesa dell'ing. Bruzzo ha depositato una memoria il 18 di questo mese, nella quale, in primo luogo, si oppone alla domanda di intervento delle sopra ricordate associazioni sindacali. L'intervento del Presidente del Consiglio, al quale é stato fatto riferimento per giustificare codesta domanda, é previsto dalla legge e ha carattere obiettivo e autonomo rispetto all'interesse direttamente coinvolto nella causa. Nessun parallelo perciò si può stabilire, a detta della difesa, con l'intervento di associazioni o categorie sotto specie del loro particolare collegamento con l'interesse tutelato dalla legge.
19. - In secondo luogo, la difesa dell'ing. Bruzzo respinge l'eccezione di inammissibilità della questione di costituzionalità della legge di delegazione, essendo evidente che un'eventuale dichiarazione di illegittimità di questa si ripercuoterebbe, per un rapporto di mera consequenzialità, sulla legge delegata.
20. - Nel merito, la difesa sostiene che ho stesso iter di formazione della legge mostrerebbe come l'originaria incostituzionalità del disegno di legge sia stata superata soltanto formalisticamente; insiste sulla mancanza di principi e criteri direttivi e sulla inconcepibilità di una delega che non lasci alcun margine alla libera determinazione del legislatore delegato; respinge l'accusa di contraddittorietà di queste due censure, sottolineando che esse, in definitiva, costituiscono aspetti di un medesimo vizio sostanziale, la mancanza di criteri direttivi essendo conseguenza necessaria della funzione affidata al legislatore delegato, che é quella, in sostanza, di procedere alla registrazione dei contratti collettivi e degli accordi economici. Al Governo non sarebbe stata delegata la funzione legislativa né in senso formale né in senso materiale, stante che verrebbe riconosciuta ai contratti collettivi efficacia nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria, non già forza vincolante di legge.
Ribadisce, poi, la tesi dell'incostituzionalità ex art. 39, respingendo l'altra, che dichiara formalistica, che la legge avrebbe come fine di garantire un trattamento minimo economico e normativo e che l'estensione erga omnes dell'efficacia dei contratti collettivi sarebbe soltanto un mezzo per raggiungere codesti fini. Nega che le censure mosse alla legge possano essere ricondotte sotto la figura dell'eccesso di potere legislativo, stante che, viceversa, esse configurerebbero una precisa violazione di precetti costituzionali; ritiene, comunque, che, anche se si trattasse di eccesso di potere, le censure dovrebbero essere accolte e l'incostituzionalità dichiarata, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte.
- 21. - La difesa del sig. Fedoro Greghi ha depositato il 18 ottobre una memoria nella quale sono ribadite e svolte le tesi già prospettate nelle deduzioni. La difesa insiste sul fatto che la legge conterrebbe principi e criteri direttivi nella norma che impone al legislatore delegato di uniformarsi alle clausole dei contratti ad eccezione di quelle che contrastano con norme imperative di legge; che un margine di attività non vincolante sarebbe assicurato al Governo che deve procedere a una serie di giudizi accertativi e valutativi relativamente all'autenticità e alla regolarità formale delle contrattazioni collettive e relativamente all'esistenza o meno del contrasto tra le singole clausole e le norme di legge imperative; e che deve procedere a una scelta nell'ipotesi dell'esistenza di più contratti collettivi per una medesima categoria.
L'infondatezza, poi, delle censure mosse alla legge ex art. 39 risulterebbe, in primo luogo, dal carattere stesso di legge transitoria che é della legge impugnata, e dal fatto che essa non attribuisce efficacia erga omnes ai contratti collettivi, ma utilizza i risultati della contrattazione collettiva passata per raggiungere i fini assegnati dal legislatore delegante e ciò senza violare la libertà sindacale, perché i sindacati non possono essere stati privati di un diritto - quello di concorrere alla stipulazione di contratti collettivi con efficacia obbligatoria generale - che ad essi non compete nell'attuale loro posizione giuridica.
22. - In una memoria depositata il 18 ottobre l'Avvocatura dello Stato, chiariti i fini della legge e sottolineati i benefici che essa avrebbe assicurato, respinge ancora una volta la tesi della violazione o della elusione dell'art. 39 della Costituzione. La legge, a suo avviso, avrebbe assicurato "un trattamento minimo cristallizzato" a favore di tutti i lavoratori e avrebbe a oggetto l'interesse generale dello Stato a che esistano queste garanzie minime inderogabili; laddove i contratti collettivi avrebbero lo scopo di determinare un trattamento contrattuale temporaneo e a oggetto "la volontà dei sindacati di disciplinare l'interesse collettivo di categoria". Ripete che la legge non conferisce efficacia ai contratti collettivi, ma ne utilizza le clausole ai suoi fini, né viola la libertà sindacale che potrà essere esercitata col solo rispetto dei minimi garantiti dalla legge. Ribadisce la tesi dell'esistenza di principi e criteri direttivi, nonché di un potere discrezionale del Governo nell'esercizio della delega, e riconferma l'altra della legittimità della norma contenuta nell'art. 8 della legge impugnata.
23. - Con l'ordinanza 24 novembre 1961, il Pretore di Pisciotta, ritenuta non manifestamente infondata la questione, sollevata dalla difesa dell'imputato sig. Giovanni Mautone, sulla legittimità costituzionale dell'intera legge 14 luglio 1959, n. 741, ha sospeso il giudizio e inviato gli atti a questa Corte. L'ordinanza é stata ritualmente notificata e comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 18 del 20 gennaio 1962.
La parte privata non si é costituita.
É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. L'atto di intervento é stato depositato il 23 dicembre 1961.
L'Avvocatura respinge le censure, articolate in dieci punti, che la difesa del Mautone enunciò nel sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge davanti al Pretore e che danno luogo a questioni di costituzionalità analoghe a quelle prospettate nel giudizio promosso dal Pretore di Ferrara: mancanza, cioè, di principi direttivi; in più del termine di tempo per l'esercizio della delega; introduzione, con l'art. 5, di una fonte normativa sui generis, una delegazione legislativa, cioè, fornita di minore efficacia dell'ordinaria in quanto non conferisce il potere di modificare norme di legge imperative preesistenti; violazione contrattuale della disciplina dei rapporti di lavoro, stabilita dall'art. 39 della Costituzione; violazione, con l'art. 8, dell'art. 3 della Costituzione per il quale tutti i cittadini sono eguali dinanzi alla legge.
24. - Il Pretore di Salerno ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata nel corso di un procedimento civile vertente tra la signora Rita Cappelli e l'impresa Alfredo Caiafa, della legge 14 luglio 1959, n. 741, e della successiva legge di proroga lo ottobre 1960, n. 1027. L'ordinanza, emessa il 14 dicembre 1961, é stata ritualmente notificata e comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 24 febbraio 1962.
Secondo l'ordinanza i vizi di costituzionalità della legge deriverebbero:
1) dal fatto che l'art. 39 potrebbe essere interpretato nel senso che "la facoltà normativa" in materia di regolamentazione collettiva dei rapporti di lavoro sarebbe sottratta al legislatore e riservata esclusivamente ai sindacati con la conseguenza che la legge di delegazione mirerebbe ad eludere "il procedimento costituzionalmente delineato per il conferimento dell'obbligatorietà per tutti dei contratti collettivi";
2) dalla mancanza di un oggetto definito e di principi e criteri direttivi, come sarebbe confermato dalla vastità della materia che può essere recepita nei decreti delegati; dalla indeterminatezza della formula "assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo"; dall'impossibilità che i principi e i criteri possano ritenersi fissati implicitamente col richiamo alle norme dei contratti collettivi, non fosse altro per la circostanza che codesti contratti possono essere stati stipulati anche nel periodo che corre tra l'applicazione della legge e la sua entrata in vigore;
3) dal fatto infine, che l'emanazione della legge delegata sarebbe subordinata all'arbitrio delle associazioni stipulanti che possono non depositare il contratto collettivo.
25. - Nel giudizio si é costituita la signora Rita Cappelli, rappresentata e difesa dagli avvocati Aurelio Becca, Massimo Severo Giannini e Antonio Siniscalco. Le deduzioni sono state depositate il 14 marzo 1962.
Gli argomenti addotti per sostenere la tesi della non fondatezza della sollevata questione di costituzionalità non sono diversi da quelli fatti valere nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Ferrara e già riferiti. É, tuttavia, opportuno aggiungere che, secondo la difesa, il fatto che la delega non possa essere esercitata senza il previo deposito del contratto collettivo, non costituisce, contrariamente a quanto si sostiene ex avverso, violazione degli artt. 70 e 71 della Costituzione, in quanto codesto deposito rappresenterebbe "un presupposto all'esercizio della delega voluto e prescritto dal legislatore quale onere a cui é subordinata l'emanazione del decreto delegato relativo".
26. - É intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato l'atto di intervento il 19 gennaio 1962, nel quale vengono brevemente ripresi gli argomenti fatti valere nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Ferrara.
27. - Il Pretore di Troina, con ordinanza 22 febbraio 1962, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della ripetuta legge 14 luglio 1959, n. 741. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 14 aprile 1962.
Anche per il Pretore di Troina la legge violerebbe l'art. 39 della Costituzione, in quanto conferirebbe efficacia erga omnes a contratti collettivi stipulati da enti e con procedura diversa da quella indicata nel citato articolo della Costituzione; nonché l'art. 76, perché non indicherebbe i principi e i criteri ai quali deve essere subordinato l'esercizio della potestà delegata e non definirebbe nemmeno l'oggetto della delega che sarebbe, secondo il Pretore, "il criterio di come scegliere il contratto collettivo da convertire in norma obbligatoria".
28. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, nell'atto di intervento depositato il 21 marzo 1962, ha fatto riferimento alle tesi già svolte negli atti difensivi del giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Ferrara.
29. - Analogamente, il Pretore di Cervaro ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, sollevata dalla difesa del sig. Salvatore Monteforte e, con l'ordinanza 1 febbraio 1962, ha sospeso il giudizio e rinviato gli atti a questa Corte. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 145 del 9 giugno 1962.
Secondo il Pretore di Cervaro le norme contenute negli artt. 1, 2 e 3 della legge non indicherebbero i principi e i criteri direttivi della delegazione e gli artt. 1 e 5 priverebbero il legislatore delegato di ogni potere discrezionale quanto al contenuto delle emanande norme delegate, violando cosi l'art. 76 della Costituzione. La norma, poi, dell'art. 8 della legge sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto prevede, in caso di inadempienza, sanzioni penali solo per una delle parti contraenti.
30. - Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, nell'atto di intervento depositato il 17 marzo 1962, ha ribadito il punto di vista già espresso nel giudizio promosso dal Pretore di Ferrara.
31. - All'udienza del 31 ottobre 1962, dove le cause sono state discusse congiuntamente, le difese delle parti costituite nei giudizi hanno brevemente riassunto le loro tesi e confermato le loro conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Le cause, che hanno ad oggetto le medesime questioni di legittimità costituzionale, vanno decise con un'unica sentenza.
2. - L'eccezione pregiudiziale di non rilevanza, sollevata dalla difesa del sig. Massari nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Ferrara, deve essere respinta. Al fine é sufficiente richiamare la giurisprudenza di questa Corte sulla competenza del giudice a quo per quanto attiene alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Tuttavia, nel caso presente, si può notare, anche perché ciò giova ad una migliore definizione delle questioni sottoposte a questa Corte, che, in primo luogo, la legge di delegazione viene direttamente in questione con l'art. 8, che contiene la norma sanzionatrice per l'inosservanza delle clausole contenute nei decreti delegati e che, in secondo luogo, il nesso, il quale lega la legge di delegazione a quella delegata (e l'una e l'altra al precetto contenuto nell'art. 76 della Costituzione) é tale che l'esame della legittimità della legge di delegazione, della quale si assuma l'incostituzionalità, é pregiudiziale a quello della legge delegata, che, com'é evidente, non potrebbe trovare applicazione se la fonte, da cui trae la sua efficacia normativa, fosse costituzionalmente illegittima.
3. - La prima delle questioni sottoposte all'esame della Corte sorge dal contrasto, che si asserisce esistente, tra la legge impugnata e l'art. 39 della Costituzione, e, più specificamente, la norma contenuta nel quarto comma di questo articolo, giusta la quale i sindacati registrati, e forniti, pertanto, di personalità giuridica, "possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce".
Occorre subito avvertire che la Corte non ritiene fondata la tesi, richiamata da quasi tutte le ordinanze di rimessione e sostenuta dalla difesa delle parti interessate, secondo la quale l'ora richiamato art. 39 contiene una riserva, normativa o contrattuale, in favore dei sindacati, per il regolamento dei rapporti di lavoro. Una tesi siffatta, segnatamente se enunciata in termini così ampi, contrasterebbe con le norme contenute, ad esempio, nell'art. 3, secondo comma, nell'art. 35, primo, secondo e terzo comma, nell'art. 36, e nell'art. 37 della Costituzione, le quali - al fine di tutelare la dignità personale del lavoratore e il lavoro in qualsiasi forma e da chiunque prestato e di garantire al lavoratore una retribuzione sufficiente ad assicurare una vita libera e dignitosa - non soltanto consentono, ma insieme impongono al legislatore di emanare norme che, direttamente o mediatamente, incidono nel campo dei rapporti di lavoro: tanto più facilmente quanto più ampia é la nozione che la società contemporanea si é costruita dei rapporti di lavoro e che la Costituzione e la legislazione hanno accolta.
Tuttavia, in codesti suoi interventi il legislatore non può agire senza l'osservanza di limiti che la Costituzione medesima ha fissato per la tutela di altri interessi, assunti anch'essi nell'ambito della legge fondamentale dello Stato e dei principi che ne sono alla base. Pertanto, l'attività legislativa deve svolgersi, in questo e negli altri casi analoghi, in guisa tale che l'attuazione dei precetti costituzionali e il conseguimento delle finalità segnate, in questo settore, dalla Costituzione, non avvengano col sacrificio di altri precetti e di altre finalità, ma nel rispetto dell'armonica unità del sistema posto dalla legge fondamentale della Repubblica.
4. - I limiti che l'attività legislativa incontra in materia di rapporti di lavoro possono essere rintracciati in numerosi principi e norme della Costituzione, ma di essi non occorre fare in questa sede una compiuta rassegna, essendo sufficiente che la Corte indichi quelli che sorgono dall'art. 39, che le ordinanze di rinvio ritengono violato dalla legge impugnata.
L'art. 39 pone due principi, che possono intitolarsi alla libertà sindacale e alla autonomia collettiva professionale. Col primo si garantiscono la libertà dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libertà delle associazioni che ne derivano; con l'altro si garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti.
Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che é una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima.
Né si può dire che la questione di costituzionalità, posta in questi termini, possa essere superata col richiamo alla norma contenuta nel primo comma dell'art. 36 della Costituzione. Al di là della intitolazione della legge e delle intenzioni che il legislatore si é attribuite, o che sono state attribuite al legislatore, vale la realtà delle norme contenute nella legge di delegazione e il modo col quale la delegazione é stata esercitata: l'una e l'altro non lasciano dubbi sul fatto che la legge abbia inteso di conferire e abbia in effetti conferito efficacia generale a contratti collettivi e ad accordi economici con forme e procedimento diversi da quelli previsti dall'art. 39 della Costituzione.
5. - Senonché, la Corte non può ignorare che le forme e il procedimento previsti dalle norme costituzionali non sono ancora applicabili. La Corte non deve ricercare i motivi di questa inadempienza costituzionale, ma non può non prendere atto della carenza legislativa che ne deriva e delle conseguenze che essa provoca nel campo dei rapporti di lavoro. In questa situazione la legge impugnata assume il significato e compie la funzione di una legge transitoria, provvisoria ed eccezionale, rivolta a regolare una situazione passata e a tutelare l'interesse pubblico della parità di trattamento dei lavoratori e dei datori di lavoro. In questo senso, e soltanto in questo senso, può ritenersi fondata l'osservazione che ricorre ripetutamente nelle difese svolte davanti alla Corte, che con la legge impugnata non si sia voluto dare attuazione al sistema previsto dall'art. 39 della Costituzione, del quale, anzi, si può aggiungere, si presuppone imminente l'attuazione. Del che pare conferma la norma contenuta nell'art. 7, secondo comma, che limita l'efficacia delle norme delegate fino al momento in cui non siano intervenuti accordi e contratti validi per tutti gli appartenenti alla categoria: sicché si può dire che la legge miri a collegare il regime dei contratti di diritto comune con l'altro dei contratti con efficacia generale, a mezzo di un regolamento transitorio: circostanza che la pone al riparo dal contrasto con l'art. 39 della Costituzione.
6. - Ma queste medesime ragioni, che inducono la Corte a dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, impongono, viceversa, di dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge 1 ottobre 1960, n. 1027: più esattamente, dell'art. 1 di questa legge, il quale conferisce al Governo il potere di emanare norme uniformi alle clausole degli accordi economici e dei contratti collettivi stipulati entro i dieci mesi successivi alla data di entrata in vigore della richiamata legge n. 741. Questa norma, infatti, estende il campo di applicazione della delega oltre la data del 3 ottobre 1959 e ne allarga l'efficacia agli accordi e ai contratti stipulati dopo questa data. É da ritenere, infatti, che anche una sola reiterazione della delega (a tale riducendosi la proroga prevista dall'art. 1 della legge impugnata), toglie alla legge i caratteri della transitorietà e dell'eccezionalità che consentono di dichiarare insussistente la pretesa violazione del precetto costituzionale e finisce col sostituire al sistema costituzionale un altro sistema arbitrariamente costruito dal legislatore e pertanto illegittimo.
La stessa cosa non si può dire del successivo art. 2, che, preso da sé, si limita a prorogare di quindici mesi l'esercizio della delega, che, pertanto, il Governo dovrà esercitare soltanto con riferimento ai contratti collettivi stipulati entro il termine fissato dalla prima legge di delegazione.
7. - La seconda questione nasce dall'affermato contrasto tra la legge di delegazione e le norme contenute nell'art. 76 della Costituzione. Si sostiene che la legge non contenga i principi e i criteri direttivi e non si riferisca a un oggetto definito: una delle ordinanze fa cenno anche alla mancanza del "tempo limitato", entro il quale deve essere esercitata la delega secondo la ricordata norma costituzionale, ma si tratta di una evidente svista.
Anche questa seconda questione deve ritenersi infondata. Non nega la Corte che l'oggetto e la particolare finalità della delega abbiano indotto nella legge singolarità che, a un primo esame, possono apparire in contrasto con le norme della Costituzione, ma ritiene anche che una considerazione più approfondita delle norme impugnate persuade che codeste peculiarità, mentre da un lato confermano il fine che il legislatore si é prefisso, quello, vale a dire, di conferire efficacia generale agli accordi economici e ai contratti collettivi stipulati entro un certo termine, dall'altro non sono tali da trasformarsi in violazioni della Costituzione. Così non si può dire che la delega si riferisca a un oggetto non definito, non potendosi qualificare tale quello di "emanare norme giuridiche, aventi forza di legge, al fine di assicurare minimi indederogabili di trattamento economico e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti a una medesima categoria"; così, pure, non si può dire che manchino i principi e i criteri direttivi per l'esercizio della delega, dato che il Governo deve uniformarsi a "tutte le clausole dei singoli accordi economici e contratti collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni sindacali anteriormente alla data di entrata in vigore della ... legge". Del che é riprova, come é stato notato, il fatto che la censura, che così si muove alla legge di delegazione, trapassa nell'altra, contraria e opposta, secondo la quale il legislatore delegato troverebbe nell'esercizio della delegazione limitazioni tali da escludere del tutto una sua attività discrezionale. Le due censure finiscono così per eliminarsi a vicenda: ma com'é infondata la prima, così non pare fondata la seconda. La limitazione rigorosa dei poteri del legislatore delegato si giustifica con le finalità della delega e non é tale, ad ogni modo, da costituire una violazione dell'art. 76 della Costituzione, che impone al legislatore di non delegare i suoi poteri se non con limiti precisi e che, pertanto, non si può ritenere violato se queste condizioni e questi limiti siano posti con molto rigore. Stabilire qual'é il punto nel quale codesto rigore é tale da escludere affatto che si sia in presenza di una delega é quanto mai difficile e ad ogni modo non può riflettersi sulla legittimità delle norme di delegazione il modo col quale il legislatore delegato abbia esercitato la delegazione, e che sia, in ipotesi, tale da precludere ogni margine di attività libera.
8. - Ancor meno sono fondate le censure che si muovono alla legge ex art. 71 della Costituzione: per superarle é sufficiente affermare che l'onere del deposito entro un mese, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, degli accordi economici e dei contratti collettivi a cura di una delle associazioni stipulanti, non può significare trasferimento dell'"iniziativa delle leggi" ai sindacati. Esso é e resta soltanto un onere che si pone alle associazioni sindacali per rendere più agevole al Governo l'accertamento, che il legislatore gli ha delegato, dell'esistenza di validi e autentici contratti collettivi.
9. - Nemmeno da accogliere sono le censure mosse all'art. 5, secondo il quale le norme delegate non possono essere in contrasto con norme imperative di legge. Si sostiene che una norma siffatta conferirebbe al Governo il potere di emanare norme di efficacia inferiore a quelle aventi forza di legge e di creare così, con violazione dell'art. 77 della Costituzione, norme di un'efficacia particolare o, come si é detto, norme di legge affievolite, che si porrebbero nella gerarchia delle fonti al disotto delle norme della legge ordinaria.
La tesi non é fondata. Anche qui occorre tener presente il fine che il legislatore ha perseguito con la delega, quello cioè di conferire transitoriamente efficacia generale a contratti collettivi. Codesto conferimento non vuole alterare o modificare l'efficacia propria delle clausole dei contratti collettivi, non vuole cioè che le clausole contrarie a norme di legge imperative si trasformino in norme aventi vigore di legge. Nell'operare in una materia istituzionalmente riservata all'autonomia collettiva professionale, il legislatore si é proposto di rispettare il più possibile codesta autonomia, assumendo a contenuto delle norme il contenuto dei contratti collettivi e degli accordi economici e nei limiti in cui questi possono acquistare efficacia generale nel sistema tradizionale della contrattazione collettiva. Perciò l'art. 5 si pone fuori dei confini della delega, non ne rappresenta un limite. Esso agisce direttamente sui contratti ai quali il Governo deve conformare le proprie norme, non ha come destinatario il Governo. Si potrebbe dire, in un certo senso, che esso é logicamente anteriore alla delega. Dal che consegue che, qualora le clausole siano comprese nei decreti delegati, la loro inserzione si deve ritenere inoperante e incapace perciò di conferire ad esse forza di legge; e, pertanto, non può essere configurata quale vizio della legge delegata, cioè quale eccesso di delega. Ne consegue che spetta al giudice ordinario di accertare volta per volta se sussista il contrasto di queste clausole contrattuali con le norme imperative di legge e, in caso affermativo, di disapplicarle.
10. - Infine, non può configurarsi come vizio della legge la circostanza che essa non indichi il criterio che il Governo deve adottare nel caso di più contratti collettivi o di più accordi economici relativi alla medesima categoria. Anche ammesso, infatti, che si tratti di un'omissione del legislatore, non se ne può dedurre l'illegittimità costituzionale della legge. Altra questione é quella degli effetti che codesta pretesa omissione esercita sui poteri del legislatore delegato, ma é una questione che non viene nel presente giudizio e deve, pertanto, rimanere impregiudicata.
11. - La terza questione di legittimità costituzionale é quella della norma contenuta nell'art. 8 della legge, che prevede a carico del datore di lavoro il quale non adempia gli obblighi derivanti dalle norme delegate, "un'ammenda da lire cinquemila a lire centomila per ogni lavoratore cui si riferisca la violazione". La tesi che, così disponendo, la legge abbia violato il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione, non é fondata. La norma impugnata, infatti, nel prevedere sanzioni soltanto a carico del datore di lavoro, ha considerato, non arbitrariamente, la particolare posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro e l'ha ritenuta meritevole di una particolare tutela penale. É propria anzi dell'applicazione del principio di eguaglianza, come l'ha interpretato la Corte, la configurazione di ipotesi legislative che, apparentemente discriminatrici nei confronti di categorie o gruppi di cittadini, nella sostanza ristabiliscono l'eguaglianza delle condizioni di queste categorie o gruppi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme contenute negli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 8 della legge 14 luglio 1959, n. 741, recante "norme transitorie per garantire minimi di trattamento economico e normativo ai lavoratori" in riferimento agli artt. 3, 39, 71, 76 e 77 della Costituzione;
dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 1 della legge 1 ottobre 1960, n. 1027.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1962.
Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1962.