Sentenza n. 66 del 1965
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SENTENZA N. 66

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell'E.N.E.L. e dei decreti del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1962, n. 1670, 4 febbraio 1963, n. 36, 25 febbraio 1963, n. 138, e 14 marzo 1963, n. 219, promosso con ordinanza emessa dal Giudice conciliatore di Milano il 16 gennaio 1964 nel procedimento civile vertente tra Costa Flaminio e l'E.N.E.L., iscritta al n. 122 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 212 del 29 agosto 1964.

Visti gli atti di costituzione di Costa Flaminio e dell'E.N.E.L. e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 3 giugno 1965 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi gli avvocati Flaminio Costa e Gian Galeazzo Stendardi, per il Costa, gli avvocati Leopoldo Piccardi, Massimo Severo Giannini e Luigi Galateria, per l'E.N.E.L., ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel procedimento civile pendente dinanzi al Giudice conciliatore di Milano tra l'avvocato Flaminio Costa e l'E.N.E.L. - Ente Nazionale per l'energia elettrica - avente per oggetto il pagamento della somma di lire 1.925, dovuta per la somministrazione di energia elettrica nel mese di settembre 1963, l'attore si riconosceva debitore della predetta somma nei confronti della Società Edisonvolta, a cui intendeva effettuare il pagamento, e non all'E.N.E.L. che aveva emesso la bolletta di pagamento, ed anzi, nella dichiarata sua duplice veste di utente ed azionista della Società Edisonvolta, sollevava la questione di legittimità costituzionale della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell'E.N.E.L., e dei decreti del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1962, n. 1670, 4 febbraio 1963, n. 36, 25 febbraio 1963, n. 138, e 14 marzo 1963, n. 219.

Il vice Conciliatore di Milano, ritenuta la questione non manifestamente infondata in relazione agli artt. 81, 47, 5, 102, 113, 25 e 76 della Costituzione, e rilevante ai fini della decisione della causa, con ordinanza 16 gennaio 1964, facente seguito a precedente ordinanza 10-12 settembre 1963 dello stesso Giudice e tra le stesse parti, sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale.

Con l'ordinanza si denunzia:

1) violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione. La legge istitutiva dell'E.N.E.L. non prevede oneri a carico dello Stato, né le necessarie coperture. L'Ente é stato esentato dalle imposte di R. M., di industria e di società, lasciando scoperto di tali introiti il bilancio dello Stato già gravato per le anticipazioni che di fatto ha dovuto erogare all'E.N.E.L. Inoltre l'E.N.E.L. é autorizzato alla emissione di obbligazioni senza che sia stabilito il criterio per poter coprire tale impegno finanziario.

2) Violazione dell'art. 47 della Costituzione. La legge e i decreti presidenziali impugnati non avrebbero tutelato l'investimento del risparmio in acquisto delle azioni delle società elettriche, in tal modo scoraggiando la formazione del risparmio. Hanno inoltre trasformato gli azionisti in obbligazionisti, ossia il diritto di proprietà in diritto di credito, togliendo al risparmiatore il potere deliberativo e amministrativo della Società di cui é azionista.

3) Violazione degli artt. 102, secondo comma, 113 e 25 della Costituzione. La legge 6 dicembre 1962, n. 1643, all'art. 5, n. 5, ed i decreti presidenziali su indicati, prevedendo la costituzione di una commissione dei ricorsi avverso la liquidazione degli indennizzi alle imprese assoggettate a trasferimento, avrebbero istituito una giurisdizione speciale, in contrasto con il principio costituzionale per cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

4) Violazione dell'art. 76 della Costituzione. I decreti denunziati hanno imposto agli amministratori la funzione di custodi dei beni delle aziende espropriate, alterando e modificando le funzioni, le responsabilità e i poteri degli amministratori e del custode così come risultano fissati dal Codice civile. Hanno omesso di fare cenno dell'obbligo delle aziende di conservare libri e registri in deroga all'art. 2220 dello stesso Codice. Inoltre hanno attribuito, in materia di indennizzi, al Ministro e all'Ufficio tecnico erariale, una competenza che era stata delegata al Governo senza che questo avesse la facoltà di sub-delegarla. Infine gli articoli 2 e 5 della legge del 1962 non delegano al Ministro del Tesoro la facoltà di stabilire la media dei valori di borsa per le società elettriche con azioni quotate in borsa, come invece é stato disposto con gli artt. 1 e 2 del D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138.

Nella parte dispositiva dell'ordinanza, inoltre, viene anche denunziata una quinta violazione, quella dell'art. 5 della Costituzione, senza tuttavia che ne siano specificati i motivi.

L'ordinanza, notificata e comunicata alle parti, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle Camere legislative in varie date dal 31 gennaio al 5 giugno 1964, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 29 agosto successivo.

Davanti a questa Corte si sono costituite le parti nel giudizio presso il Conciliatore ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato. Tutti hanno presentato deduzioni e memoria, depositate rispettivamente: per l'avv. Costa il 17 settembre 1964 e il 21 maggio 1965, per l'E.N.E.L. il 10 agosto 1964 e il 21 maggio 1965, per il Presidente del Consiglio dei Ministri il 1 luglio 1964 e il 21 maggio 1965.

L'avv. Flaminio Costa illustra così le questioni sollevate nell'ordinanza:

1) Violazione dell'art. 81 della Costituzione. La legge istitutiva dell'E.N.E.L. avrebbe creato una situazione di fatto e due situazioni giuridiche ciascuna delle quali pone a carico dello Stato nuove e maggiori spese senza che siano stati indicati i mezzi per farvi fronte.

La situazione di fatto risulterebbe dagli anticipi dello Stato all'E.N.E.L., dati o promessi, di cui si sarebbe data pubblica notizia (all'uopo allega due copie del "Corriere della Sera" del 25 febbraio e del 4 settembre 1964 che riportano due articoli sull'E.N.E.L.).

Le situazioni giuridiche sarebbero determinate:

a) la prima, dall'art. 8 della legge 6 dicembre 1962 che ha esentato l'E.N.E.L. dalle tre imposte di R. M. industria e società, che dovranno essere sostituite da un'imposta unica ex art. 1 della legge 27 giugno 1964, n. 452, peraltro ancora non determinata, il cui gettito é previsto in una misura costante e non, come le tre imposte da cui l'E.N.E.L. é stato esentato, in proporzione ai singoli eventi produttivi di imposta. Ma poiché l'ammontare delle tre imposte serviva nel complesso a coprire in bilancio determinate spese, queste rimarranno scoperte oltretutto perché, mentre le spese sono suscettibili di aumento, l'imposta futura a carico dell'E.N.E.L. sarà fissa, e quindi non suscettibile di aumento;

b) la seconda, dall'art. 10 della stessa legge 6 dicembre 1962, in base al quale lo Stato potrà accordare la propria garanzia alle obbligazioni emesse dall'E.N.E.L. e per conto dell'E.N.E.L. il che costituisce un vero e proprio impegno dello Stato cui non corrisponde, nella legge, un criterio circa il reperimento dei relativi mezzi.

2) Violazione dell'art. 47 della Costituzione. L'intera legge 6 dicembre 1962 sarebbe illegittima in quanto con detta legge si sarebbe espropriato un particolare investimento azionario, lo si sarebbe vietato per l'avvenire, si sarebbe procurato ai risparmiatori una perdita certa e ben determinata sia con la diminuzione del valore delle loro azioni sia col pagamento rateale previsto in dieci anni.

La prevista trasformazione delle azioni in obbligazioni rappresenta un sensibile danno per i risparmiatori che verranno a perdere il diritto di partecipare alle assemblee delle società di cui erano divenuti comproprietari e il diritto di percepire gli utili dei dividendi da essi stessi decisi nel voto di assemblea. Ciò ha l'effetto di scoraggiare la formazione del risparmio ponendo in essere una situazione contraria a quella prevista e garantita dall'art. 47 della Costituzione.

Nella memoria si osserva che il sistema di indennizzo instaurato dalla legge impugnata sarebbe in contrasto con il concetto e con l'essenza stessa del risparmio, in quanto poiché l'indennità di esproprio, per l'azionista di società elettriche, é determinata sulla base del valore medio dell'azione nel biennio 1 gennaio 1959-31 dicembre 1961, oppure sulla base del capitale netto, sia pure calcolato con rettifiche e conguagli per renderlo meno remoto dalla realtà, l'indennizzo verrebbe corrisposto all'azionista sulla base di un valore nominale o convenzionale, non in base al valore effettivo dell'azienda espropriata, per giunta con pagamento rateale diluito in dieci anni, e cioé con la conseguenza che l'ultima rata di indennizzo verrà corrisposta nel 1973 (la prima dovendo essere corrisposta alla data del 1 luglio 1963) ossia a distanza di undici anni e mezzo dalla data in cui l'azione é stata valutata.

Violerebbe, poi, ugualmente l'art. 47 della Costituzione il divieto imposto dalla legge in esame di corrispondere agli azionisti, per la gestione del 1962, un utile superiore al 5,50 per cento del capitale.

3) Violazione degli artt. 25, 102 e 113 della Costituzione. La Commissione istituita dall'art. 5 della legge e dagli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 138 presso il Ministero dell'industria e del commercio avrebbe la natura, la struttura e il procedimento operativo di una vera e propria giurisdizione speciale di un solo grado di giudizio, sfuggente al controllo della Corte di cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

Nella memoria si sostiene che il fatto che la legge preveda un ricorso in via amministrativa non sarebbe tale, di per sé, da attribuire alla Commissione natura amministrativa e non giurisdizionale; che sarebbe irrilevante, agli stessi fini, l'aver la legge ammesso il ricorso al giudice ordinario contro la decisione della Commissione; che se si trattasse di un organo amministrativo si avrebbe un diritto soggettivo sottoposto al giudizio dell'Amministrazione, cioè una degradazione del diritto a interesse legittimo e una successiva riqualificazione dell'interesse legittimo come diritto soggettivo; il che sarebbe contraddittorio. Si aggiunge che il giudice ordinario, se la Commissione avesse natura amministrativa, non sarebbe chiamato a decidere in grado di appello sulla decisione della Commissione, bensì dovrebbe decidere autonomamente la stessa questione già decisa dalla Commissione, dal che discenderebbe, in violazione dell'art. 113 della Costituzione, una carenza della tutela giurisdizionale della decisione amministrativa dato che questa non risulterebbe suscettibile di impugnazione né di annullamento. La Commissione sarebbe stata istituita allo scopo di limitare i ricorsi all'autorità giudiziaria e di costringere il soggetto ricorrente ad avere un giudice, che non é quello naturale, ordinario od amministrativo, bensì un giudice ad hoc avente una composizione del tutto condizionata dalla natura della controversia ed avente come esclusiva funzione la decisione di detta controversia.

4) Violazione dell'art. 76 della Costituzione. Il D.P.R. 4 febbraio 1963, n. 36, attribuendo obbligatoriamente agli amministratori delle aziende elettriche nazionalizzate (art. 2) la assunzione delle funzioni di custode dei beni, in modo da fare assumere la veste di "custode obbligatorio" ed imponendo alle aziende (art. 5) l'obbligo di conservare libri e scritture, avrebbe creato una figura non prevista dall'art. 12 della legge 6 dicembre 1962, mentre avrebbe stabilito un obbligo non previsto dall'art. 4 della stessa legge; il tutto con eccesso di delega.

Inoltre il D.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138 (agli artt. 1 e 2), demanda al Ministro il potere di stabilire il valore delle azioni e all'Ufficio tecnico erariale la stima delle aziende, trasferendo così ad altri una competenza che era stata attribuita dalla legge al Governo, il quale non avrebbe potuto ulteriormente trasferirla o delegarla.

Infine gli artt. 2 e 5 della legge 6 dicembre 1962 avevano attribuito al Governo il potere di emanare norme giuridiche riguardanti i poteri del Ministro per l'industria e per il commercio per quanto attiene alla vigilanza dell'E.N.E.L. Invece il citato decreto n. 138, disponendo, all'art. 1, che il Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per l'industria e per il commercio, possa stabilire la media dei valori di borsa per le società con azioni quotate in borsa e, all'art. 2, che il Ministro per l'industria ed il commercio, di concerto col Ministro per il tesoro, stabilisca il valore dell'indennizzo delle società con azioni non quotate in borsa da determinarsi in base ad un coefficiente di rettificazione, avrebbe dettato norme e criteri non previsti dalla legge.

Da parte dell'Avvocatura generale dello Stato e della difesa dell'E.N.E.L. si sostiene la legittimità della legge e dei provvedimenti legislativi impugnati, con argomentazioni pressoché identiche che possono così riassumersi:

Si ricorda innanzitutto che, con riferimento al primo giudizio proposto con la citata ordinanza 10-12 settembre 1963 dello stesso giudice fra le stesse parti, la Corte costituzionale con decisione 7 marzo 1964, n. 14, dichiarava infondate nel merito le questioni di legittimità costituzionale della stessa legge in relazione agli artt. 67, 43, 4, 41, 3 e 11 della Costituzione.

Si esprimono perplessità in merito alla procedura seguita dal giudice di sollevare questioni di legittimità costituzionale in riferimento agli articoli 5 e 113 della Costituzione, non proposte dalle parti nel corso del giudizio e senza spiegare i motivi per cui, eventualmente, abbia inteso di sollevarle d'ufficio.

In merito al primo motivo di incostituzionalità (violazione dell'art. 81, quarto comma), si controdeduce che detta norma costituzionale riguarda le "nuove o maggiori spese" e non le minori entrate; che nella specie non si tratta di esenzione ma, come si evince dall'art. 8 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, di sostituzione delle tre imposte di R. M. di industria e di società con una imposta unica globale sull'energia elettrica con la quale viene assicurato un gettito globalmente equivalente a quello delle tre imposte; che l'emissione delle obbligazioni non può assolutamente essere considerata "nuova o maggiore spesa", dato che il passivo che essa rappresenta per l'Ente é interamente compensato dalle somme sottoscritte a tale titolo, ed inoltre tale operazione é un'attività economica la cui valutazione é rimessa, dall'art. 7 della stessa legge, al Comitato interministeriale per il credito e per il risparmio; che, infine, l'art. 81, quarto comma, concerne lo Stato, non gli enti pubblici.

Sul secondo motivo di incostituzionalità (violazione dell'art. 47) si sostiene che anzitutto la nazionalizzazione delle imprese é espressamente prevista dall'art. 43 della Costituzione; che é inesatta la affermazione per cui il risparmiatore sarebbe stato trasformato, per giunta senza la sua volontaria adesione, da azionista in obbligazionista giacché la legge prevede oltre a questa possibilità, peraltro attuabile solo a richiesta degli interessati, anche la facoltà di continuare a partecipare all'assemblea degli azionisti delle singole società nazionalizzate, nonché di recedere dalle stesse con conseguente diritto all'indennizzo.

In merito al terzo motivo (violazione degli artt. 102, 113 e 25) si afferma che la legge sull'E.N.E.L. prevede, all'art. 5, n. 5, la istituzione di un organo amministrativo competente a decidere i ricorsi ivi previsti, e non di un organo giurisdizionale; che contro la decisione della Commissione é ammesso il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria e pertanto le norme e i principi costituzionali appaiono evocati fuor di proposito.

Infine, sul quarto ed ultimo motivo di illegittimità (violazione dell'art. 76) si osserva, per quanto attiene alle funzioni ed ai poteri degli amministratori nonché all'obbligo della tenuta delle scritture contabili, che le norme impugnate hanno valore di norme ordinarie e, per ciò, come tali, ben potevano derogare alle norme del Codice civile e, d'altra parte, la deroga, ove effettivamente esistesse, non sarebbe di per sé sufficiente a concretare un contrasto con l'art. 76 della Costituzione. Per quanto riguarda la competenza attribuita dai citati decreti ai Ministri ed agli Uffici tecnici erariali, si fa notare che il compito di individuare materialmente la somma da corrispondersi a titolo di indennizzo, caso per caso, alle imprese espropriate non poteva che essere demandato agli organi amministrativi competenti per materia perché provvedessero con concreti atti amministrativi.

Con le successive memorie le tesi svolte vengono ulteriormente ribadite.

Da parte della difesa dell'E.N.E.L. si osserva che la legittimità costituzionale della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, venne già ampiamente esaminata da questa Corte con la citata sentenza n. 14 del 7 marzo 1964. Si fa notare inoltre che il Vice conciliatore di Milano aveva ritenuto che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall'avv. Costa potessero avere una rilevanza soltanto ai fini della individuazione del titolare del credito per consumo di energia elettrica rispetto al quale l'attore aveva la veste di debitore, ma non si era invece occupato dell'altro titolo, vantato dal Costa, di azionista della Società Edisonvolta, titolo che, secondo la difesa dell'E.N.E.L., non risultava essere stato provato e sul quale non pare che fossero basate domande di competenza del conciliatore.

Da ciò conseguirebbe che il giudice a quo avrebbe omesso l'esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità sollevate dall'attore, cosa che del resto sarebbe provata dal fatto che nell'ordinanza di rinvio il giudice non avrebbe dedicato alcuna motivazione circa la concreta rilevanza di ogni questione sollevata dall'attore, essendosi limitato ad esporre le questioni proposte dal Costa nei termini in cui da questi furono formulate, senza manifestare su di esse un suo personale avviso.

Per tali due ultime considerazioni l'E.N.E.L. conclude chiedendo, in rapporto alla prima, che la Corte voglia dichiarare, in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 9, comma secondo, delle Norme integrative, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale e, in via subordinata, in rapporto alla seconda, rinviare gli atti al giudice a quo per la valutazione, da parte sua, delle questioni suddette, sotto il profilo della rilevanza e della non manifesta infondatezza.

 

Considerato in diritto

 

1. - Alle eccezioni riguardanti l'ammissibilità delle questioni si può rispondere in senso identico a quello in cui eccezioni analoghe furono respinte con la precedente sentenza del 7 marzo 1964, n. 14.

Il Conciliatore ha ravvisato, anche questa volta, la necessità della definizione di alcune questioni di legittimità costituzionale al fine di stabilire se l'E.N.E.L. fosse da considerarsi legittimo contraddittore nella causa pendente in quella sede. Esatto o non esatto che sia questo modo di vedere, esso attiene al giudizio di rilevanza. E poiché dal contesto dell'ordinanza si evince che il giudice a quo si é dato ragione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni, non si può non procedere all'esame di esse. Anche questa volta l'esame sarà fatto nei limiti delle enunciazioni contenute nell'ordinanza, scartando tutte le numerose amplificazioni che sono state prospettate in questa sede. Così pure sarà omesso qualsiasi esame relativo ad una violazione dell'art. 5 della Costituzione, in ordine alla quale nell'ordinanza non si trova alcun cenno che giustifichi il richiamo fatto a tale norma nel dispositivo.

2. - Circa la violazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, é da rilevare che nell'ordinanza si denunzia la mancata copertura sotto tre aspetti: primo, per le anticipazioni che lo Stato avrebbe di fatto erogato all'E.N.E.L.; secondo, perché l'Ente sarebbe stato esentato dalle imposte di "ricchezza mobile, di industria e di società"; terzo, perché l'Ente é autorizzato all'emissione di obbligazioni senza che sia stabilito il criterio per poter coprire tale impegno finanziario.

Nell'ordinanza non si parla affatto della mancata copertura per la garanzia che potrà essere accordata dallo Stato alle obbligazioni emesse dall'E.N.E.L. Di tale questione quindi la Corte non si occuperà, essendo essa fuori della controversia.

Circa la copertura per le sovvenzioni che sarebbero state date all'E.N.E.L. e che risulterebbero dalla stampa periodica, é da osservare che se una legge, come quella istitutiva dell'E.N.E.L., non prevede tali sovvenzioni, la contraddizione non consente che si accusi la legge di incostituzionalità per non avere provveduto alla copertura di una spesa che la legge stessa non prevedeva e non consentiva. É superfluo aggiungere che se, per avventura, delle erogazioni fossero fatte senza autorizzazione di legge, le questioni che ne nascerebbero non potrebbero riferirsi alla legge istitutiva dell'E.N.E.L. bensì ad altre disposizioni, concernenti la contabilità dello Stato.

In ordine alla mancata copertura corrispondente alla diminuzione di entrate tributarie, é da osservare che nella specie la questione non si pone: quindi essa resta impregiudicata.

Non é esatto quanto si legge nell'ordinanza, che l'E.N.E.L. sia stato "esentato dalle imposte di ricchezza mobile, di industria e di società". A queste tre imposte é stata sostituita, a norma dell'art. 8 della legge istitutiva dell'E.N.E.L., una imposta unica, che assicuri fino al 31 dicembre 1964 un gettito, che, nel complesso, non sarà inferiore a quello precedente, cosa, del resto, confermata con l'art. 1 della legge 27 giugno 1964, n. 452. E poiché lo stesso art. 8 dispone che la determinazione dell'aliquota da applicarsi per il periodo successivo al 31 dicembre 1964 sarà fatta con legge ordinaria, saranno le successive leggi quelle che adegueranno le aliquote dell'imposta unica alle future situazioni.

In terzo luogo é da osservare che, a prescindere dalla questione generale (la cui soluzione non giova ai fini del presente giudizio) se l'art. 81 valga anche per il bilancio di tutti gli Enti pubblici o di alcune categorie di tali Enti, nel caso attuale non potrebbe parlarsi di mancanza di copertura.

L'emissione di prestiti obbligazionari prevista dall'art. 7 della legge 6 dicembre 1962 costituisce un'attività di carattere economico esercitabile dall'Ente mediante l'utilizzazione delle risorse del proprio patrimonio e della propria gestione.

Comunque, non si vede come la legge istitutiva potesse disporre l'allocazione nei futuri bilanci dell'Ente di stanziamenti destinati al servizio delle future emissioni di obbligazioni o quali altre disposizioni potesse dettare al fine di assicurare la copertura degli oneri finanziari relativi, che l'Ente avrebbe assunto nell'avvenire.

3. - Secondo l'ordinanza, la legge istitutiva dell'E.N.E.L. ed i successivi decreti presidenziali non hanno tutelato l'investimento che i risparmiatori hanno fatto nelle azioni elettriche, perché hanno scoraggiato il risparmio nella formazione dei capitali azionari e perché hanno trasformato gli azionisti in obbligazionisti, cioè in semplici creditori estranei alla gestione sociale.

Se con questa censura si volesse sostenere che il Parlamento non potrebbe mai applicare l'art. 43 della Costituzione tutte le volte in cui si tratti di imprese con capitale azionario, la tesi sarebbe manifestamente arbitraria. Un divieto di tal genere non é desumibile dall'art. 47 sotto nessun aspetto, né esegetico, né storico, né sistematico.

Se l'ordinanza si riferisce ad una deficienza del sistema adottato dalla legge in esame per quanto attiene al trattamento degli azionisti delle società elettriche, é da ricordare che tali società possono continuare a svolgere la loro attività, mutando l'oggetto sociale, ed i loro azionisti sono liberi o di tener ferma la propria partecipazione a tali società o di recedere dalle stesse con conseguente diritto all'indennizzo o di chiedere la trasformazione delle proprie azioni in obbligazioni dell'E.N.E.L.

Questo sistema mostra che il legislatore ha predisposto una serie di garanzie volte alla tutela degli interessi degli azionisti. Ma sarebbe una indagine di merito quella che tendesse a stabilire se tali garanzie siano state pienamente idonee. Quando le garanzie non siano, come non sono nel caso presente, una mera apparenza, sul contenuto di esse non é ammissibile un ulteriore sindacato in questa sede di legittimità.

Queste considerazioni offrono motivi sufficienti per dichiarare infondata la questione sollevata in riferimento all'art. 47 della Costituzione. Ogni altra amplificazione che é stata innestata su questo punto, al di là dell'ordinanza, non é da prendere in esame.

4. - É palese l'infondatezza della censura relativa alla illegittimità delle norme che avrebbero istituito un organo di giurisdizione speciale per decidere sui ricorsi contro le liquidazioni dell'E.N.E.L.

É esatto che non basta che il legislatore qualifichi come amministrativo un ricorso per escludere, solo per questo, il carattere giurisdizionale di un certo rimedio. Ma nella specie é chiara la natura amministrativa del ricorso e dell'organo chiamato a deciderlo.

La legge in esame ha seguito un sistema non in contrasto con quello adottato dal legislatore in vari settori dell'ordinamento, secondo cui, prima di sottoporre una controversia al giudice ordinario o amministrativo, l'interessato debba rivolgersi ad un organo dell'Amministrazione per provocarne la decisione. Questo previo esame in sede amministrativa non fa degradare il diritto ad interesse né menoma la tutela dei diritti, giacché costituisce esso stesso una forma di tutela, che si inserisce nel procedimento predisposto dalla legge per realizzare tale tutela senza alcuna invasione nella sfera dei poteri dell'organo giurisdizionale competente.

Non sussiste, pertanto, contrasto con l'art. 25 della Costituzione. Non é stato violato l'art. 102, secondo comma, essendo la commissione dei ricorsi un organo amministrativo, le cui decisioni non hanno carattere né effetto giurisdizionale. A seguito di tali decisioni, che non vincolano il giudice competente, costui avrà pienezza di cognizione e di statuizione per la tutela dei diritti. Con che sarà anche in tutto rispettato il precetto dell'art. 113 (si veda in senso conforme la sentenza di questa Corte n. 47 del 1964 e le numerose decisioni precedenti ivi richiamate).

5. - Ugualmente infondate sono le censure riguardanti l'eccesso di delega.

Non é rilevante ciò che é stato denunziato in relazione ad un preteso contrasto tra la legge ed i decreti presidenziali ed alcune disposizioni del Codice civile. Tale contrasto non attiene alla sfera della legittimità costituzionale in una materia come questa in cui le norme della legge e quelle emanate in base alla sua delegazione hanno lo stesso valore di quelle del Codice civile.

Rilevante sarebbe stata la questione se fosse stato accertato un eccesso delle norme delegate rispetto alla legge delegante. Ma tale eccesso non sussiste giacché tutte le norme relative alla presa di possesso ed alla gestione delle aziende rispondono ai criteri dettati dalla legge delegante.

Del pari prive di fondamento sono le censure riguardanti le norme circa i provvedimenti che sono stati affidati ai Ministri per l'industria e per il commercio e per il tesoro ed agli Uffici tecnici erariali, rispettivamente agli effetti della determinazione del valore delle azioni e delle aziende cedute e della facoltà di stabilire la media dei valori di borsa delle azioni.

Non sussiste eccesso di delega, giacché il Governo non era stato chiamato a determinare direttamente i valori delle azioni, delle aziende e la media dei valori di borsa, ma a dettare le norme in base alle quali queste determinazioni si dovessero compiere. Nell'affidare alla normale competenza dei Ministri per l'industria e per il commercio e per il tesoro e degli Uffici tecnici erariali le attribuzioni inerenti alle suddette determinazioni, i decreti delegati non si sono discostati dai poteri e dalle direttive provenienti dalla legge delegante.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e dei decreti presidenziali 15 dicembre 1962, n. 1670, 4 febbraio 1963, n. 36, 25 febbraio 1963, n. 138, e 14 marzo 1963, n. 219, in riferimento agli artt. 81, quarto comma, 47, 25, 102, secondo comma, 113 e 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 12 luglio 1965.