SENTENZA N. 29
ANNO 2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge
27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», promosso dal
Consiglio di Stato con ordinanza del 30 gennaio 2015 e dal Tribunale
amministrativo regionale per la Toscana con ordinanze dell’8 maggio 2015 e del
30 giugno 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 173, 205 e 234 del
registro ordinanze del 2015, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 37, 41 e 45, prima serie speciale,
dell’anno 2015.
Visti gli atti di
costituzione della Pro.Mo.Mar. spa, della Marina Cala
de’ Medici spa, della Cala de Medici Cantiere srl, della Marina di Punta Ala
spa, nonché gli atti di intervento di Federturismo Confindustria ed altro e di
UCINA – Unione nazionale dei cantieri e delle industrie nautiche-Confindustria
nautica;
udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2017 il Giudice relatore Giuliano
Amato;
uditi gli avvocati
Giovanni Calugi per Pro.Mo.Mar.
spa, per Marina Cala de’ Medici spa, e per Cala de Medici Cantiere srl, Flavia Pozzolini per Marina
Cala de Medici spa, Filippo Donati per Marina di Punta Ala spa, Rodolfo Barsi per UCINA – Unione Nazionale dei Cantieri e delle
Industrie Nautiche - Confindustria Nautica, Stefano Zunarelli
per Federturismo Confindustria e per Assomarinas-Associazione
italiana porti turistici, e gli avvocati dello Stato Pietro Garofoli
e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 30 gennaio 2015,
il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge 27
dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui
determina – anche con riferimento ai rapporti concessori in corso – la misura
dei canoni per le concessioni di beni del demanio marittimo per la
realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto.
1.1.– Il giudizio a quo ha ad oggetto
l’appello proposto dalla Pro.Mo.Mar. spa, per la
riforma di due sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana,
che hanno rigettato i ricorsi, proposti dalla stessa società, avverso i
provvedimenti con i quali il Ministero dei trasporti e l’Agenzia del demanio,
sulla base della disposizione censurata, hanno disciplinato l’applicazione, per
gli anni 2007, 2008 e 2009, dei nuovi canoni relativi alla concessione
demaniale marittima rilasciata nel 2001 alla Pro.Mo.Mar.
spa, per la durata di cinquant’anni.
1.2.– Il Consiglio di Stato osserva, in primo
luogo, che l’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, ha innovato, a
decorrere dal 1° gennaio 2007, i criteri per la determinazione dei canoni annui
per le concessioni dei beni del demanio marittimo aventi ad oggetto la
realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto. La
disposizione in esame non distingue tra nuove concessioni e rapporti concessori
in corso e sarebbe quindi applicabile, come il precedente comma 251, anche a
questi ultimi.
Il rimettente, premesso di avere già
accolto l’istanza avanzata in sede cautelare dalla parte appellante, ritiene
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006, nella parte
in cui ridetermina il canone per le concessioni per la realizzazione e la
gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, anche con riferimento
ai rapporti concessori in corso.
1.2.1.– Al fine di fornire una compiuta descrizione
della fattispecie concreta, secondo quanto rilevato nella precedente sentenza n. 128 del
2014 di questa Corte, il Consiglio di Stato evidenzia alcune circostanze, a
sostegno della rilevanza della questione.
Il rimettente espone che la concessione
in esame, rilasciata nel 2001, ha la durata di cinquanta anni dal 29 giugno
1998. Essa non contiene clausole volte a disciplinare le sopravvenienze
verificabili per l’aumento dell’importo del canone, salva la previsione
dell’aggiornamento annuale «in base alle disposizioni di Legge».
In particolare, la spesa prevista nel
piano economico¬finanziario per le opere a mare è
pari ad euro 10.705.633 e, per quelle a terra, ad euro 23.498.291,90, con la
previsione di investimenti complessivi pari a euro 48.707.068.
La concessione prevede che, al momento
della cessazione, le opere erette, complete di tutti gli accessori e le
pertinenze, resteranno «in assoluta proprietà dello Stato senza che al
concessionario spetti alcun indennizzo, compenso o rimborso di sorta, ferma la
facoltà da parte dell’Amministrazione di richiedere, ove lo ritenga opportuno,
la demolizione delle opere erette e la riduzione in pristino stato, da farsi a
cura e spese del concessionario, senza che ad esso competa compenso, indennizzo
o rimborso di sorta».
Il Consiglio di Stato rileva che, per
effetto della disposizione censurata, nei cinquanta anni di durata della
concessione, l’importo totale dei canoni aumenterebbe da euro 4.551.869 a euro
19.066.289. In definitiva, tale aumento, applicato dal 2007 alla scadenza nel
2048, renderebbe il margine negativo, ossia pari a euro –8.124.134.
1.2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza,
il giudice a quo sottolinea che le concessioni di cui al comma 251, relative
alle attività turistico-ricreative, sono molto più numerose, comportano di
regola investimenti contenuti a carico del concessionario e sono connotate da
canoni di importo modesto. Nel 2006, con la normativa in esame, il legislatore
è intervenuto sulla misura di tali canoni, al fine di operare un riallineamento
ai valori di mercato.
Del tutto diverse sarebbero, invece, le
concessioni ‒ di cui al successivo comma 252 ‒ aventi ad oggetto la
realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto.
Oltre ad essere numericamente limitate, essendo ristretto il numero dei porti
turistici, esse comporterebbero ingenti investimenti, sia per la realizzazione
delle opere strutturali, destinate ad essere poi acquisite gratuitamente dal
demanio, sia per l’impegno gestionale. Ciò richiede un piano
economico-finanziario di lungo periodo, nell’ambito del quale l’importo del
canone è elemento determinante.
Ad avviso del Consiglio di Stato, la
previsione dell’aumento dei canoni anche per i rapporti concessori in corso,
senza tener conto del fatto che i canoni sono stati determinati avendo riguardo
anche agli investimenti effettuati, sarebbe in contrasto con il principio di
cui all’art. 3 Cost.,
sotto il duplice profilo del trattamento uguale di situazioni disuguali, nonché
della lesione del principio della sicurezza giuridica, costitutivo del
legittimo affidamento.
Quanto alla disparità di trattamento, il
giudice rimettente evidenzia la sostanziale differenza tra le concessioni
rispettivamente previste ai commi 251 e 252, avuto riguardo all’immediata
redditività dei minori investimenti richiesti per le prime, e al più complesso
quadro di lungo periodo per il calcolo di convenienza finanziaria, proprio
delle seconde. Da ciò discenderebbe la necessità di considerare questa
differenza nella modifica dei canoni, in quanto elemento costitutivo di tale
calcolo.
Inoltre, sarebbe leso il legittimo
affidamento ingenerato nei concessionari sulla stabilità dell’equilibrio
economico-finanziario di lungo periodo, attraverso una modifica sostanziale,
che incide su concessioni già rilasciate, tuttora in corso e di lunga durata
nel futuro. Viene richiamata, al riguardo, la sentenza n. 92 del
2013.
La disposizione censurata
determinerebbe, inoltre, la violazione dell’art. 41 Cost., in riferimento alla
libertà di iniziativa economica, poiché scelte imprenditoriali anteriori alla
legge in esame sarebbero irragionevolmente frustrate dalla legge sopravvenuta,
modificativa dei rapporti contrattuali in corso.
1.3.– Nel giudizio è intervenuta la
Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
1.3.1. – La difesa statale deduce, in
primo luogo, che le competenze gestionali in materia di demanio marittimo sono
state conferite dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) agli enti
territoriali, salvo gli introiti, che rimangono in capo allo Stato.
Fino al 2006, i canoni per concessioni
relative alle strutture dedicate alla nautica da diporto sarebbero stati
caratterizzati da norme di favore rispetto a quelli dovuti per le concessioni
per finalità turistico-ricreative. Infatti il decreto-legge 5 ottobre 1993, n.
400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni
demaniali marittime) prevedeva per questa seconda categoria di atti una
quantificazione in misura fissa e tabellare, sulla base di una classificazione
delle aree, delle pertinenze demaniali marittime e degli specchi acquei.
Tuttavia, non avendo le Regioni provveduto alla preliminare classificazione del
territorio costiero, il Ministero dei trasporti e della navigazione, con
circolare del 17 dicembre 1998, ha stabilito che, nella more di tale
classificazione, i canoni per le concessioni demaniali marittime di carattere
turistico-ricreativo venissero ricalcolati applicando le misure unitarie più
basse.
Tale situazione è rimasta invariata sino
all’adozione della legge n. 296 del 2006, che ha sostituito alcune disposizioni
del d.l. n. 400 del 1993. La disposizione denunciata si collocherebbe, quindi,
in un processo già in atto, finalizzato alla tutela e alla valorizzazione di
tutti i beni di proprietà statale. Verrebbe estesa anche ai canoni demaniali
marittimi un’evoluzione che già aveva caratterizzato altri beni pubblici. In
ogni caso, la novella introdotta dalla legge n. 296 del 2006 sarebbe ben
lontana dal determinare dei canoni analoghi a quelli praticati nel libero
mercato.
Per quanto riguarda le concessioni per
la realizzazione e gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, la
difesa statale sottolinea che esse hanno una durata di gran lunga superiore (di
norma, oltre cinquant’anni) rispetto a quella per le attività
turistico-ricreative (di regola, sei anni). Tale maggiore durata sarebbe volta
a riconoscere ai concessionari un più ampio arco temporale in cui ammortizzare
i maggiori investimenti sostenuti e conseguire congrui guadagni dalla gestione
delle strutture.
L’Avvocatura generale dello Stato
evidenzia, inoltre, che, nella vigenza della concessione, i canoni dovuti dai
concessionari in questione verrebbero calcolati applicando non già i valori di
mercato abbattuti (previsti per le concessioni per le attività
turistico-ricreative), bensì i più favorevoli criteri tabellari previsti per
gli specchi acquei, per le aree scoperte e per le aree occupate, i quali non
hanno subito mutamenti rispetto alla precedente disciplina. Infatti, sino al
termine della concessione, la proprietà delle opere realizzate sulle aree
demaniali concesse resta ferma in capo ai concessionari. Pertanto, il pagamento
del canone potrebbe essere esteso solo rispetto all’utilizzo del suolo e non
anche rispetto ai manufatti, sui quali medio tempore lo Stato non vanta alcun
diritto di proprietà.
Infatti, osserva l’Avvocatura generale
dello Stato, ai sensi dell’art. 49 del codice della navigazione, solo al termine
della concessione le strutture inamovibili costruite dai concessionari vengono
incamerate allo Stato. Esse costituiscono pertinenze demaniali marittime, alle
quali sono applicabili i criteri di quantificazione dei canoni commisurati ai
valori di mercato, peraltro mitigati da alcuni accorgimenti. D’altra parte,
tali criteri sono riferibili alle sole pertinenze destinate ad attività
commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi.
La difesa erariale rileva, inoltre, che
la disposizione contestata è inserita all’interno di un quadro omogeneo, quello
della legge finanziaria 2007, nella quale il legislatore ha compiuto una scelta
discrezionale che «valorizza i beni pubblici e mira ad una maggiore redditività
per l’ente proprietario e quindi per la generalità dei cittadini, diminuendo
proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di
concessionari». È parso, infatti, preminente al legislatore lo scopo di
«assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni dei
soggetti che svolgono attività commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e
quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attività, ma assoggettati ai
prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di beni di proprietà privata» (TAR
Toscana, Firenze, 13 maggio 2011, n. 852).
Tale interesse, ad avviso della difesa
statale, sarebbe prevalente rispetto alla tutela del singolo concessionario, a
fortiori con riferimento ad opere che consentono di svolgere una tipica
attività imprenditoriale, come nel caso della gestione di un porto. Infatti, le
concessioni relative a strutture per la nautica da diporto comprendono
pertinenze destinate ad attività commerciali, volte alla produzione di beni e
servizi, dunque capaci di produrre reddito.
L’introduzione dei nuovi criteri di
determinazione dei canoni, applicabili anche alle concessioni in corso, sarebbe
del tutto ragionevole, così come è già stato ritenuto ragionevole il precedente
comma 251 nella sentenza
n. 302 del 2010. Infatti, essi sarebbero finalizzati alla valorizzazione di
un bene pubblico, produttivo di entrate per l’erario.
D’altra parte, non sarebbe ravvisabile
alcuna violazione dell’art. 3 Cost., dovendo
escludersi che la disposizione in esame contrasti con il canone della
ragionevolezza. Al contrario, sarebbe proprio la differenza di trattamento per
le concessioni in corso, auspicata dal Consiglio di Stato, a determinare un
ingiustificato regime preferenziale per le concessioni relative a strutture
destinate alla nautica da diporto, rispetto alle altre concessioni di cui al
precedente comma 251. Sarebbe infatti rimasto indimostrato il «valore maggiore
dell’investimento», richiesto per la prima tipologia di concessioni, e non si
terrebbe conto del fatto che anche per le concessioni con finalità
turistico-ricreative sono sovente richiesti investimenti molto significativi.
L’opzione ermeneutica suggerita dal
Consiglio di Stato sarebbe, inoltre, censurabile proprio per il criterio su cui
si fonda (valore dell’investimento). Essa determinerebbe, infatti, un ulteriore
discrimen tra vecchie e nuove concessioni,
nell’ambito di quelle, appartenenti alla medesima categoria, che comportano il
«medesimo valore d’investimento».
Da ultimo, la difesa dello Stato
contesta la censura relativa alla lesione del principio di cui all’art. 41 Cost., poiché formulata in termini generici e apodittici,
non essendo dimostrata l’irragionevolezza della legge sopravvenuta. Viceversa,
la disposizione censurata sarebbe ispirata proprio alla tutela del libero
esercizio della concorrenza, il quale verrebbe violato se i canoni concessori
fossero effettivamente esigui rispetto ai valori di mercato.
Viene, infine, evidenziato che il
legislatore può e deve mantenere forme di regolazione dell’attività economica
volte a garantire, tra l’altro, il principio costituzionale di tutela delle
finanze pubbliche. In tal senso, la libertà d’iniziativa può essere «anche
‘ragionevolmente limitata’ (art. 41, secondo e terzo comma, Cost.)».
1.4.– Nel giudizio si è costituita la Pro.Mo.Mar. spa, chiedendo l’accoglimento della questione
di legittimità costituzionale.
La parte privata, titolare di
concessione demaniale e parte appellante nel giudizio a quo, ha condiviso le
argomentazioni svolte dal Consiglio di Stato a sostegno dell’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006.
In particolare, la Pro.Mo.Mar.
spa evidenzia che, per effetto della disciplina censurata, i canoni relativi
alla realizzazione e alla gestione dei porti turistici sono equiparati a quelli
previsti per le concessioni con finalità turistico-ricreative e, nel suo caso,
hanno subìto un aumento pari a circa il 500 per cento rispetto a quello
originariamente fissato nella concessione.
Nel caso in esame, tale aumento avrebbe
determinato una variazione del tutto insostenibile al piano finanziario
concordato nel 2001 tra concedente e concessionario. Infatti, l’applicazione
del canone aumentato (durante il periodo di durata residua della concessione,
dal 2007 al 2048) inciderebbe sul margine dell’iniziativa, inizialmente
previsto in euro 11.000.000 circa, tanto da renderlo negativo e pari a euro ‒8.124.134.
La parte privata sottolinea, inoltre,
che da tale aumento deriva, a carico del concessionario, anche l’incremento
dell’imposta sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso di beni
demaniali, che le Regioni possono determinare in misura non superiore al triplo
del canone di concessione.
D’altra parte, osserva la Pro.Mo.Mar. spa, al concessionario non sarebbe consentita
l’interruzione anticipata del rapporto, se non subendo gravissime conseguenze
economiche. Infatti, in caso di rinuncia alla concessione, la società
perderebbe l’intero investimento e le opere realizzate diverrebbero di
proprietà dello Stato, senza che al concessionario spetti alcun indennizzo.
Inoltre, la rinuncia alla concessione comporterebbe anche la perdita di
efficacia nei confronti dell’amministrazione dei contratti con cui il
concessionario ha trasferito a terzi il diritto di godimento su una parte dei
beni costruiti in area demaniale. La parte privata sarebbe, quindi,
inadempiente nei confronti dei suoi aventi causa, che dovrebbero essere
risarciti. Il recesso dalla concessione non sarebbe, quindi, un’ipotesi
percorribile.
A sostegno dell’illegittimità costituzionale,
la società appellante deduce che l’applicazione della nuova disciplina anche
alle concessioni rilasciate prima della sua entrata in vigore sarebbe del tutto
inaspettata: infatti, alle concessioni dedicate alla nautica da diporto non era
applicabile il precedente aumento dei canoni, previsto dall’art. 32, commi 21,
22 e 23, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per
favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici).
Con la disposizione censurata non solo
sarebbe aumentato l’importo unitario dei canoni, ma sarebbe altresì introdotto
un criterio di determinazione (importi maggiori per aree occupate da opere di
difficile rimozione, minore per le altre aree) opposto rispetto al precedente
(canone minore per aree destinate ad opere di difficile rimozione, nonché per
le aree rimaste inedificate). Il nuovo canone sarebbe, quindi, più alto per i
concessionari che hanno investito di più (per realizzare un porto che al
termine della concessione diventa, gratuitamente, di proprietà pubblica) e più
basso per i concessionari che hanno investito di meno. I primi sarebbero oggi
"sanzionati” per avere realizzato quelle opere di difficile rimozione alla
costruzione delle quali il legislatore li aveva incentivati.
La disposizione in esame sconvolgerebbe
l’equilibrio economico-finanziario del rapporto, in violazione degli artt. 3,
41 e 97 Cost. Si osserva che la congruità del canone non è connessa al valore
del bene concesso, che all’inizio del rapporto è pressoché nullo, in quanto la
struttura portuale deve ancora essere realizzata, né sarebbe apprezzabile in
relazione a imprecisati "prezzi di mercato”.
Ad avviso della parte privata, si
determinerebbe, quindi, un’irragionevole disparità di trattamento tra vecchi e
nuovi concessionari, in violazione degli artt. 3 e 41 Cost. Per le imprese che
hanno ottenuto la concessione prima del 2007, i nuovi canoni costituirebbero un
costo sopravvenuto ed imprevedibile, che non potrebbe essere in alcun modo
riequilibrato. Per le imprese che ottengono, invece, la concessione dopo la
legge n. 296 del 2006, il nuovo importo dei canoni non comporterebbe
conseguenze negative, in quanto esso costituisce uno degli elementi che possono
formare oggetto di valutazione da parte degli aspiranti concessionari. In ogni
caso, essi possono rifiutare la sottoscrizione della concessione, mentre i
concessionari precedenti non hanno la possibilità di recedere dal rapporto,
perché ciò comporterebbe la perdita dell’investimento effettuato.
Viene, inoltre, ravvisata
un’irragionevole disparita di trattamento tra i concessionari di porti
turistici ed i titolari di altre concessioni che, per loro natura, consentono
un’immediata redditività con investimenti pressoché nulli e non prevedono la
realizzazione di opere di rilevante interesse pubblico.
La disposizione censurata
contrasterebbe, inoltre, con i principi e le norme (richiamate quali tertia comparationis) di cui agli
artt. 11 e 21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi) e con l’art. 42 cod. nav. Tali disposizioni non attribuiscono
all’amministrazione concedente il potere di modifica unilaterale del contenuto
del rapporto e, laddove consentono l’esercizio di poteri autoritativi,
prevedono un onere di motivazione in ordine all’interesse pubblico perseguito e
la corresponsione di un indennizzo al concessionario.
Sarebbe, inoltre, violato l’affidamento
maturato dai concessionari in relazione all’art. 10 della legge 27 dicembre
1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica) e al
decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 30 luglio 1998, n. 343
(Regolamento recante norme per la determinazione di canoni per concessioni di beni
del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la
realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto).
Tali disposizioni contenevano la disciplina speciale dei canoni per le
concessioni di costruzione e gestione di porti turistici, «al fine di
incentivare la realizzazione delle strutture medesime», con la «previsione di
canoni di minori entità per le iniziative che comportino investimenti»
economicamente più rilevanti.
Dopo avere sottolineato le differenze
tra la disciplina in esame e quella del precedente comma 251, valutata nella sentenza n. 302 del
2010, la difesa della Pro.Mo.Mar. spa deduce,
inoltre, che la disposizione censurata avrebbe attribuito all’amministrazione
concedente il potere di modificare unilateralmente un elemento essenziale della
concessione, senza tuttavia prevedere alcuna comparazione tra interessi
pubblici e privati e senza attribuire alcun rilievo al pregiudizio subìto dal
concessionario. Il pagamento di un canone pari a quattro volte e mezzo quello
originariamente stabilito comporterebbe, infatti, una modifica insostenibile
dei presupposti finanziari dell’iniziativa.
Tale stravolgimento dell’equilibrio
economico-finanziario della concessione si porrebbe, inoltre, in contrasto con
l’interesse pubblico alla migliore gestione del porto turistico. Infatti, le
condizioni di sofferenza economico-finanziaria, in cui le imprese
concessionarie dei porti turistici di recente realizzazione sarebbero costrette
ad operare, ne comprometterebbe l’efficienza gestionale.
Da ciò deriverebbe il pregiudizio
dell’interesse pubblico alla tutela della sicurezza della navigazione, cui
risponde la realizzazione di un sistema di approdi turistici diffusi lungo le
coste. Inoltre, l’attività cantieristica è un settore trainante dell’industria
manifatturiera e la nautica da diporto è decisiva nello sviluppo dell’economia
turistica del territorio costiero. Sarebbero altresì violati i principi
costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
1.5.– Il 1° ottobre 2015 l’UCINA – Unione
Nazionale dei Cantieri e delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica ha
depositato atto di intervento, nel quale ha chiesto l’accoglimento della
questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Stato.
1.5.1.– In via preliminare, la parte
interveniente ha illustrato le ragioni dell’ammissibilità del proprio
intervento, sebbene la stessa non rivesta la qualità di parte nel giudizio a
quo.
A sostegno della propria legittimazione,
l’UCINA evidenzia di proporsi, quale finalità statutaria, oltre a quella di
favorire il progresso e la competitività del settore nautico nazionale, quella
di rappresentare nelle sedi competenti gli interessi dei soci e di svolgere
tutte le attività opportune per tutelare e difendere gli interessi del settore
e per promuovere il settore della nautica italiana.
1.5.2.– Nel merito, la difesa dell’UCINA
propone, in primo luogo, un’interpretazione della disposizione censurata, tale da
evitare il contrasto con i principi costituzionali.
Essa ritiene, in particolare, che siano
tuttora vigenti e compatibili entrambi i sistemi di determinazione dei canoni
concessori delineati rispettivamente dal d.m. n. 343
del 1998 e dalla legge n. 296 del 2006. Il primo sarebbe applicabile ai
concessionari che realizzino le strutture dedicate alla nautica da diporto,
mentre il secondo sarebbe riferibile ai titolari di concessioni relative ad
aree "occupate” da impianti già realizzati da terzi, e già divenuti di
proprietà statale. Sarebbe, dunque, coerente con i principi di logica e
imparzialità che la pretesa statuale di canoni più onerosi sia riferita ad
opere già realizzate da precedenti concessionari e acquisite al patrimonio
erariale, e non già ad opere realizzate dal concessionario, ma non ancora
acquisite al patrimonio statuale.
Osserva la difesa della parte
interveniente che – mentre la precedente disciplina dei canoni delle
concessioni per finalità turistico-ricreative è stata interamente abrogata
dall’art. 1, comma 251 della legge n. 296 del 2006 – un’analoga abrogazione non
è stata prevista per il d.m. n. 343 del 1998. Ne
consegue che, pur essendo stata innovata la misura dei canoni delle concessioni
relative alle strutture portuali, sarebbero rimaste in vigore le disposizioni
di cui al d.m. n. 343 del 1998.
In questa prospettiva, la nuova
disciplina dei canoni dovrebbe intendersi così ripartita: 1) canoni delle
concessioni per finalità turistico-ricreative, totalmente innovate con
abrogazione espressa di tutta la disciplina precedente; 2) canoni per
concessione di strutture portuali interamente di proprietà statale, per le
quali trova applicazione il comma 252 (in sostituzione del precedente art. 1,
comma 1, del d.m. n. 343 del 1998); 3) canoni per
concessione di strutture realizzate dal concessionario e non ancora venute a
scadenza, per le quali troverebbe tuttora applicazione il d.m.
n. 343 del 1998.
1.5.3.– In via subordinata, qualora tale
interpretazione non fosse condivisa, l’UCINA chiede che la disposizione
censurata, in quanto applicabile a tutte le concessioni (a quelle in corso e a
quelle nuove, a quelle caratterizzate dalla realizzazione delle strutture da
parte del concessionario e a quelle nelle quali le strutture siano di proprietà
statale) sia dichiarata illegittima in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il
profilo della disparità di trattamento, dell’irragionevolezza e della lesione
del legittimo affidamento.
Non sarebbero applicabili i principi
affermati dalla Corte nella sentenza n. 302 del
2010, che ha ritenuto legittimi gli incrementi dei canoni concessori,
rilevando che i relativi importi erano fermi da decenni e che si rendeva
necessaria una valorizzazione dei beni pubblici. Infatti, tali presupposti
difetterebbero nel caso in esame, in cui i beni non appartengono allo Stato, ma
al privato che li ha realizzati. Infatti, ai sensi dell’art. 49 cod. nav., essi diverranno pubblici solo alla scadenza della
concessione originaria e solo da allora lo Stato, divenuto proprietario dei beni,
potrà richiedere il canone che riterrà più adeguato.
1.5.4.– Quanto alla denunciata violazione
dell’art. 41 Cost., l’UCINA evidenzia che, per effetto del repentino e
rilevantissimo aumento del canone (sino al 500 per cento del precedente),
l’attività imprenditoriale, nelle concessioni di lunga durata, verrebbe
illegittimamente penalizzata dallo stravolgimento del sinallagma contrattuale e
sarebbero così scoraggiati gli investimenti finalizzati alla valorizzazione dei
beni demaniali.
1.6.– Il 6 ottobre 2015 le associazioni
Federturismo Confindustria e Assomarinas ‒
Associazione italiana porti turistici, hanno depositato atto di intervento, nel
quale hanno chiesto l’accoglimento della questione sollevata dal Consiglio di
Stato.
1.6.1.– In via preliminare, le parti
intervenienti hanno illustrato le ragioni dell’ammissibilità del proprio
intervento, sebbene esse non rivestano la qualità di parte nel giudizio a quo.
A sostegno della propria legittimazione,
viene evidenziato che l’associazione Federturismo Confindustria riunisce
imprese dell’industria del turismo, proponendosi come scopo statutario la
tutela delle loro attività sul piano legislativo, economico, produttivo e
sindacale, con particolare riguardo ai soggetti istituzionali ai quali sono
affidate le scelte fondamentali della politica turistica italiana.
D’altra parte, Assomarinas-Associazione
italiana porti turistici riunisce le imprese che gestiscono porti turistici e
si prefigge la promozione dell’interesse collettivo di cui è portatrice, imperniato
sulla tutela degli interessi dei consociati e sulla rappresentanza sindacale
nei rapporti con enti ed istituzioni, al fine di favorire lo sviluppo e la
crescita delle imprese turistiche e della nautica da diporto. Entrambe le parti
intervenienti deducono, quindi, di essere titolari di un interesse diretto ed
immediato all’esito del giudizio, tale da giustificare la loro legittimazione
all’intervento.
1.6.2.– Nel merito, la difesa delle due
associazioni illustra e sviluppa gli argomenti a sostegno dell’illegittimità
costituzionale della disposizione censurata, sia sotto il profilo
dell’irragionevole equiparazione delle concessioni in esame a quelle per
finalità turistico-ricreative, sia per la lesione del legittimo affidamento dei
concessionari nella stabilità del rapporto di concessione, sia, infine, per
violazione dell’art. 41 Cost., anche con riferimento all’art. 43 della
direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio
2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.
L’irragionevolezza e la disparità di
trattamento della disposizione censurata troverebbero conferma nella previsione
di cui all’art. 143, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice
dei contratti pubblici), applicabile anche alla costruzione e gestione di
strutture dedicate alla nautica da diporto. In particolare, tale disposizione
tutela l’affidamento del privato e prevede l’avvio di un’istruttoria al fine di
contemperare gli interessi del soggetto inciso dalla sopravvenienza, insistente
sul rapporto di durata, garantendone la partecipazione al procedimento.
Ad avviso delle parti intervenienti,
sarebbe, invero, paradossale che il privato che realizza un’opera pubblica,
nell’ambito di un rapporto regolato dalla legge sui contratti pubblici, sia
tutelato sotto il profilo della stabilità degli obblighi economici regolati
dalla concessione, mentre chi realizza un’opera nell’ambito di un rapporto
regolato da una concessione di cui al d.P.R. 2 dicembre 1997, n. 509
(Regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del
demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da
diporto, a norma dell’articolo 20, comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59), sia
soggetto all’unilaterale ed arbitraria alterazione del proprio piano
economico-finanziario.
Quanto alla violazione dell’art. 41 Cost., la difesa delle parti intervenienti rileva che l’art.
43 della direttiva n. 2014/23/UE, sull’aggiudicazione dei contratti di
concessione, indica tassativamente le ipotesi, ed i limiti, nei quali
l’amministrazione concedente può modificare il regolamento concessorio.
Il concessionario deve, pertanto, essere tenuto indenne, per tutta la durata
della concessione, dal cosiddetto "rischio regolatorio”,
essendo illegittima ogni modifica dei termini della concessione che non sia
determinata da circostanze eccezionali ed imprevedibili da parte di
un’amministrazione diligente (art. 43, lettera c), punto i), della direttiva).
È, inoltre, prevista la necessità di una nuova procedura di scelta del
contraente quando siano apportate modifiche sostanziali ai principali elementi
del contratto, tali da dimostrare l’intenzione delle parti di rinegoziarlo.
L’unilaterale modificazione di un
elemento essenziale del rapporto concessorio, quale
il canone, violerebbe quindi la regola della tendenziale immodificabilità del
contratto, senza neppure prevedere alcun correttivo in relazione alla durata
della concessione, la quale sarebbe concepita proprio per rendere effettivo il
recupero degli investimenti sostenuti dalla parte privata.
La determinazione legislativa di
significative modificazioni del sinallagma contrattuale determinerebbe la
lesione del principio di ragionevolezza, fino a compromettere la libertà di
iniziativa economica privata e la sua destinazione a fini sociali e di pubblica
utilità.
2.– Con ordinanza dell’8 maggio 2015, il
TAR Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., questione
di legittimità costituzionale della medesima disposizione di cui all’art. 1,
comma 252, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui si applica alle
concessioni già rilasciate alla data della sua entrata in vigore.
2.1.– Il giudizio a quo ha ad oggetto i
ricorsi proposti da quattro società, contitolari di concessione demaniale
marittima per la realizzazione di un porto turistico, al fine di ottenere
l’annullamento dei provvedimenti con i quali il Comune di Rosignano ha
determinato, per gli anni dal 2007 al 2014, la misura dei nuovi canoni di
concessione.
Il giudice rimettente ritiene che i
principi affermati nella sentenza n. 302 del
2010 non siano riferibili al caso in esame ed è a conoscenza della
precedente ordinanza di rimessione n. 173 del 2015, con cui il Consiglio di
Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.,
questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione (art. 1,
comma 252, della legge n. 296 del 2006). La stessa questione sarebbe rilevante
e non manifestamente infondata anche nel giudizio sottoposto al suo esame.
In particolare, con riferimento al
requisito della rilevanza, il TAR riferisce che la concessione demaniale della
quale sono titolari le parti ricorrenti è stata rilasciata nel 1999, per la
durata di cinquant’anni. Scopo della concessione è, per il concessionario, la
costruzione e la gestione di un porto turistico. La convenzione prevede che
alla scadenza del rapporto, ovvero in caso di decadenza o di rinuncia da parte
del concessionario, le opere realizzate, con accessori e pertinenze, restino in
proprietà dello Stato. In questo caso, al concessionario nulla sarà dovuto e
l’amministrazione potrà decidere di demolire le opere e rimettere in pristino
stato i luoghi a cura e spese del concessionario, senza per questo
corrispondergli alcunché.
Il giudice rimettente evidenzia,
inoltre, che le parti ricorrenti hanno depositato un’analisi
economico-finanziaria delle conseguenze dell’aumento dei canoni, dalla quale
emerge un incremento dei costi, rispetto alle previsioni fatte all’epoca del
rilascio della concessione, pari a euro 5.381.003, commisurato alla complessiva
durata dell’investimento. Tali circostanze, dedotte dalle ricorrenti e non
contestate dalle amministrazioni resistenti, sarebbero sufficienti a dare conto
della rilevanza della disposizione censurata, nella parte in cui si applica
alle concessioni già rilasciate alla data della sua entrata in vigore.
Dopo avere sottolineato le differenze
tra le concessioni di beni demaniali con finalità turistico-ricreative e le
concessioni di beni demaniali finalizzate alla realizzazione e gestione di
infrastrutture per la nautica da diporto, il TAR osserva che la finalità di
evitare che i titolari di concessioni del secondo tipo operino in condizioni di
sofferenza economico-finanziaria risponderebbe anche ad esigenze di rilievo
pubblicistico, sia per le rilevanti spese di manutenzione da affrontare, a
salvaguardia della sicurezza della navigazione e dell’incolumità pubblica, sia
per l’importanza delle infrastrutture destinate alla nautica da diporto per il
rilancio del turismo e, quindi, per l’economia.
La precedente disciplina dei canoni
concessori teneva conto di tali esigenze e, lungi dal prevedere un
ingiustificato regime di favore, consentiva di effettuare investimenti per la
realizzazione di opere di difficile rimozione. Il canone era determinato in
misura inversamente proporzionale alla rilevanza delle opere stesse. Viceversa,
nella disciplina introdotta dalla legge n. 296 del 2006 il criterio si è
capovolto, con la previsione di un incremento del canone per le opere di
difficile rimozione, che sono proprie delle concessioni per la nautica da
diporto.
È ravvisata la violazione dell’art. 3 Cost., in primo luogo, sotto il profilo dell’irragionevole
parità di trattamento di situazioni diseguali. L’irragionevolezza sarebbe,
inoltre, accentuata dalla mancata previsione di meccanismi graduali, al fine di
salvaguardare, in rapporto agli investimenti fatti, l’equilibrio
economico-finanziario dell’impresa.
L’art. 3 Cost. sarebbe,
inoltre, violato sotto il profilo del legittimo affidamento, per l’imprevista e
imprevedibile inversione di tendenza in materia di canoni concessori. Le
finalità incentivanti per il settore della nautica da diporto sarebbero,
infatti, vanificate dall’improvviso aumento dei canoni, applicati anche alle
concessioni demaniali in corso, e sarebbero sconvolte le previsioni di
stabilità dell’equilibrio economico-finanziario pianificato per il lungo
periodo, nell’aspettativa di un congruo tempo di ammortamento degli
investimenti effettuati.
Infine, è denunciato il contrasto con
l’art. 41 Cost., in riferimento al principio di libera
iniziativa economica, in quanto l’applicazione della disposizione censurata
alle concessioni anteriori al 2007 produrrebbe l’effetto irragionevole di
frustrare le scelte imprenditoriali, modificando gli elementi costitutivi dei
rapporti contrattuali in corso.
2.2.– Nel giudizio è intervenuta la
Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
2.2.1.– La difesa statale riconosce che l’art.
1, comma 252, della legge n. 296 del 2006 estende l’applicazione dell’aumento
dei canoni anche alle concessioni concernenti l’attività nautica da diporto.
Tuttavia, nella vigenza della concessione, i canoni dovuti da tali
concessionari andrebbero calcolati applicando non già i valori di mercato
abbattuti (previsti per le concessioni per le attività turistico-ricreative),
bensì i più favorevoli criteri tabellari previsti per gli specchi acquei, per
le aree scoperte e per le aree occupate. Inoltre, considerato che sino al
termine della concessione resta ferma in capo ai concessionari la proprietà
delle opere realizzate sulle aree demaniali concesse, il pagamento del canone
riguarderebbe solo l’utilizzo del suolo e non anche i manufatti, sui quali
medio tempore insiste la proprietà superficiaria dei concessionari. A questo
riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che è solo al termine
della concessione che le strutture inamovibili costruite dai concessionari
vengono "incamerate” allo Stato, ai sensi dell’art. 49 cod. nav.,
assumendo così la natura di pertinenze demaniali marittime, rispetto alle quali
potranno, in seguito, trovare applicazione i criteri di quantificazione dei
canoni commisurati ai valori di mercato.
Con riferimento alla denunciata
violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo
dell’uguale trattamento di situazioni diverse, la difesa statale osserva che la
differente «immediata redditività» delle due tipologie di concessioni – ciò che
secondo il rimettente imporrebbe di riservare un trattamento eterogeneo alle
stesse – varrebbe a giustificare la differente durata delle concessioni, ma non
imporrebbe una diversità dei criteri di determinazione del canone.
Pertanto, in difetto di indicazioni di
segno diverso – in ogni caso non approfondite dall’ordinanza di rimessione – le
due variabili dei costi iniziali e del periodo di ammortamento (entrambi
reputati più bassi per le attività turistico-ricreative e più alti per le altre
concessioni, destinate alla nautica da diporto) finirebbero reciprocamente per
controbilanciarsi. L’asserita disparità economica tra le due tipologie di
concessioni sarebbe, quindi, ad avviso della difesa statale, più teorica che
reale e non potrebbe, comunque, essere affermata in termini tanto perentori e
generali da sostenere una valutazione di irragionevolezza della parificazione
dei canoni.
Quanto all’illegittimità dell’estensione
dell’aumento dei canoni anche all’attività nautica da diporto, la difesa
statale ritiene che, al di là della genericità degli argomenti sulle ricadute
negative di tale misura, il giudice rimettente si sia limitato a prospettare
una propria declinazione delle scelte che dovrebbero guidare la regolazione del
settore, senza tuttavia dimostrare l’effettiva irragionevolezza della scelta
che ha ispirato il legislatore del 2006 e senza considerare, d’altra parte, che
l’adozione delle necessarie misure di sicurezza – diversamente da quanto sembra
ritenere la parte privata – è obbligatoria in ragione di specifiche
disposizioni normative e prescinde da calcoli di convenienza economica degli
operatori.
In riferimento alla denunciata lesione
del principio del legittimo affidamento, l’Avvocatura generale dello Stato
ritiene che – lungi dall’essere imprevisto o imprevedibile – l’aumento dei
canoni è stato solo una delle tappe di un percorso di valorizzazione dei beni
demaniali, avviato già da anni. Viene richiamata, al riguardo, la
giurisprudenza costituzionale secondo la quale «interessi pubblici sopravvenuti
possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche
su posizioni consolidate, con l’unico limite della proporzionalità della
incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti» (sentenza n. 56 del
2015).
Infine, quanto alla denunciata lesione
dell’art. 41 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato
osserva da un lato che, laddove gli aumenti concessori non fossero applicabili
anche alle concessioni in corso, si verificherebbe un’ingiustificata disparità
di trattamento tra i nuovi ed i vecchi concessionari, in contrasto con il
principio di parità concorrenziale. Inoltre, un ulteriore ed ingiustificato
vantaggio competitivo si produrrebbe se i concessionari di beni demaniali
destinati alla nautica da diporto dovessero sostenere canoni di importo
irragionevolmente basso. La valorizzazione dei beni pubblici risponderebbe
anche all’esigenza di perequare le situazioni degli imprenditori che si
avvalgono di beni demaniali e quelle degli imprenditori assoggettati ai prezzi
di mercato per l’utilizzazione di immobili di proprietà privata. Verrebbe, in
questo modo, ridimensionato il vantaggio di chi usufruisce di concessioni
demaniali, rispetto a chi, invece, deve rivolgersi al mercato immobiliare.
2.3.– Nel giudizio si sono costituite le
società Marina Cala de’ Medici spa e Cala de’ Medici Cantiere srl, chiedendo
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
Le parti private, contitolari di
concessione demaniale e parti ricorrenti nel giudizio a quo, hanno richiamato
le argomentazioni sviluppate dal TAR Toscana a sostegno della denunciata
illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del
2006.
In particolare, ad avviso delle società
ricorrenti, la disciplina in esame, applicata alle concessioni per la
costruzione e gestione di porti turistici, rilasciate prima della sua entrata
in vigore, sarebbe del tutto inaspettata e violerebbe l’affidamento maturato
dai concessionari in relazione all’art. 10 della legge n. 449 del 1997 e al d.m. n. 343 del 1998, che contenevano la disciplina
speciale dei canoni per questa tipologia di concessioni.
Ad avviso delle parti private, la
disposizione censurata non soltanto aumenta l’importo unitario dei canoni, ma
introduce un criterio (importi maggiori per aree occupate da opere di difficile
rimozione, minori per le altre aree) inedito ed opposto al precedente (canone
minore per le aree destinate ad opere di difficile rimozione; maggiore per le
aree non edificate). Ne consegue che il nuovo canone è aumentato per i
concessionari che hanno investito di più (al fine di realizzare un’opera
destinata a divenire di proprietà pubblica al termine della concessione), e
ridotto per i concessionari che hanno investito di meno.
Verrebbe così sconvolto l’equilibrio economico-finanziario
del rapporto. Si osserva, in particolare, che la congruità del canone non
sarebbe connessa al valore del bene concesso (che all’inizio del rapporto è
pressoché nullo, non essendo il porto ancora costruito), né sarebbe
apprezzabile in relazione a imprecisati prezzi di mercato. L’elemento centrale
del rapporto è dato dal valore e dalla natura delle opere che il concessionario
si impegna a realizzare (e che verranno devolute gratuitamente allo Stato), e
dalla durata del rapporto (in relazione alla quale l’ingente investimento
compiuto può essere ammortizzato).
Si sottolinea che, viceversa, per le
concessioni successive all’entrata in vigore della disposizione censurata, i
nuovi canoni non comporterebbero conseguenze negative. Essi sarebbero valutabili
dagli aspiranti concessionari, i quali avrebbero la possibilità di rifiutare la
sottoscrizione della concessione. Viceversa, i titolari di concessioni
precedenti non potrebbero recedere dal rapporto, perché ciò comporterebbe la
perdita dell’investimento effettuato.
Del tutto irragionevole sarebbe,
inoltre, la parità di trattamento tra concessionari di porti turistici ed i
titolari di altre concessioni che, per loro natura, consentono un’immediata
redditività con investimenti pressoché nulli, e non prevedono la realizzazione
di opere di rilevante interesse pubblico.
La disposizione censurata si porrebbe in
contrasto con le disposizioni degli artt. 11 e 21-quinquies della legge n. 241
del 1990 e dell’art. 42 cod. nav. Esse non attribuiscono all’amministrazione
concedente il potere di modifica unilaterale del contenuto del rapporto e,
nelle ipotesi in cui consentono l’esercizio di poteri autoritativi, impongono
un onere di motivazione in ordine all’interesse pubblico perseguito e la
corresponsione di un indennizzo al concessionario.
Sarebbe, poi, del tutto irrilevante il
richiamo ai valori del mercato immobiliare, in quanto non esisterebbe un
mercato delle aree private trasformabili in porti turistici, trattandosi
necessariamente di aree demaniali poste sul mare.
3.– Con ordinanza del 30 giugno 2015, il
TAR Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., questione
di legittimità costituzionale della medesima disposizione di cui all’art. 1,
comma 252, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui si applica alle
concessioni per la realizzazione e la gestione di infrastrutture per la nautica
da diporto già rilasciate alla data della sua entrata in vigore.
3.1.– Il giudizio a quo ha ad oggetto il
ricorso proposto dalla Marina di Punta Ala spa, titolare, sin dal 1976, di
concessione demaniale marittima per la realizzazione di un porto turistico, al
fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con cui l’amministrazione
concedente ha richiesto il pagamento di canoni di concessione, determinati ai
sensi dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006.
Il TAR ritiene preliminarmente
necessaria la valutazione della legittimità costituzionale di tale
disposizione, evidenziando che la piena tutela delle situazioni giuridiche
azionate dalla ricorrente potrebbe essere conseguita solo con l’accoglimento di
tale questione.
Il rimettente è a conoscenza che il
Consiglio di Stato, con ordinanza del 30 gennaio 2015, e lo stesso TAR Toscana,
con ordinanza dell’8 maggio 2015, hanno già sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 41 Cost., questione di legittimità
costituzionale della medesima disposizione.
Con riferimento al requisito della
rilevanza, il TAR evidenzia che, nel caso in esame, la società ricorrente ha
realizzato, in forza della concessione del 1976, imponenti infrastrutture
necessarie alla gestione del porto turistico. La concessione verrà a scadenza
il 15 giugno 2033 e prevede che, alla scadenza del rapporto, ovvero in caso di
decadenza o di rinuncia da parte del concessionario, le opere realizzate, con
accessori e pertinenze fisse e in buono stato di manutenzione, resteranno in
proprietà dello Stato ed al concessionario nulla sarà dovuto. Nella relazione
del Direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ‒
SIIT Servizio integrato infrastrutture e trasporti della Toscana e Umbria, il
valore complessivo delle opere realizzate dalla concessionaria è stato stimato
in euro 47.673.946,05.
Il rimettente deduce che l’applicazione
dei nuovi canoni concessori, previsti dalla disposizione impugnata, ha
comportato un aumento di euro 1.783.182,61 delle somme a tale titolo dovute
dalla società ricorrente. Ciò varrebbe a dimostrare l’alterazione, subita dalla
ricorrente, dell’equilibrio economico-finanziario del rapporto concessorio.
Con riferimento alla non manifesta
infondatezza, il rimettente richiama i principi affermati dalla sentenza n. 302 del
2010, con riferimento ai canoni per le concessioni demaniali marittime di
carattere turistico-ricreativo, ma ritiene che gli stessi non siano riferibili
alle concessioni demaniali destinate alla realizzazione e gestione di
infrastrutture per la nautica da diporto, in considerazione delle differenze
che distinguono le due tipologie concessorie: le
prime, infatti, sarebbero caratterizzate dall’immediata redditività dei minori
investimenti richiesti, mentre le seconde, destinate a durare decenni, si
baserebbero su un più complesso quadro di lungo periodo per il calcolo di
convenienza finanziaria, tenuto conto della rilevanza degli investimenti e
dell’impegno gestionale. In questo caso, infatti, le imprese concessionarie
devono approntare un quadro economico-finanziario nel cui ambito, come già
osservato dal Consiglio di Stato, è determinante il criterio di fissazione
dell’importo del canone, individuato all’atto della concessione tenendo conto
della rilevanza degli investimenti.
D’altra parte, il rimettente ravvisa
esigenze di rilievo pubblicistico che imporrebbero di evitare che le imprese
concessionarie di beni demaniali operino in condizioni di sofferenza
economico-finanziaria, dovendo esse affrontare notevoli spese di manutenzione e
innovazione tecnologica, a salvaguardia della sicurezza della navigazione e
dell’incolumità pubblica.
Sino alla legge finanziaria per il 2007,
lo stesso legislatore avrebbe tenuto conto di tali differenze, prevedendo
canoni di minore entità per le iniziative che comportassero investimenti per
realizzare opere di difficile rimozione. Infatti, il canone era fissato in
misura inversa alla maggiore rilevanza delle opere stesse (art. 10, comma 4,
della legge n. 449 del 1997 e art. 1, commi 1 e 3, del d.m.
n. 343 del 1998). Viceversa, tale criterio sarebbe stato sovvertito dalla
disciplina censurata, la quale prevede canoni più elevati per le opere di
difficile rimozione, proprie delle concessioni per la nautica da diporto.
La violazione dell’art. 3 Cost. viene, quindi, ravvisata, in primo luogo, sotto il profilo
dell’irragionevole equiparazione di situazioni diseguali. Lo stesso art. 3
Cost. sarebbe, inoltre, violato sotto il profilo del
principio della sicurezza giuridica, costitutivo di legittimo affidamento, in
considerazione dell’imprevista e imprevedibile inversione di tendenza della
disciplina dei canoni concessori, dapprima ispirata da finalità incentivanti
per le imprese operanti nel settore della nautica da diporto, ed in seguito
contrassegnata dall’improvviso e notevole aumento dei canoni, i quali vengono
applicati anche alle concessioni demaniali già rilasciate. Ciò avrebbe
sconvolto le previsioni di stabilità dell’equilibrio economico-finanziario
pianificato in precedenza e per il lungo periodo, sulla legittima aspettativa
di un congruo periodo di ammortamento degli investimenti effettuati.
L’irragionevole equiparazione dei
rapporti concessori in corso ai nuovi rapporti concessori esporrebbe i titolari
di concessioni rilasciate prima del 2007 ad una rilevante modifica dei calcoli
di convenienza calibrati sulla precedente disciplina. Viceversa, le imprese
titolari di concessioni successive al 2007 avrebbero la possibilità di
ponderare adeguatamente tali effetti.
È altresì denunciato il contrasto della
disposizione censurata con l’art. 41 Cost., in
riferimento al principio di libera iniziativa economica. In quanto applicato
alle concessioni rilasciate prima del 2007, il comma 252 produrrebbe l’effetto
irragionevole di frustrare le scelte imprenditoriali, modificando gli elementi
costitutivi dei rapporti contrattuali in essere.
3.2.– Nel giudizio è intervenuta la
Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
La difesa statale ha svolto le medesime
argomentazioni già illustrate nel giudizio avente ad oggetto l’ordinanza dello
stesso TAR Toscana dell’8 maggio 2015.
3.3.– Nel giudizio si è costituita la Marina
di Punta Ala spa, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale.
Dopo avere illustrato il quadro
normativo anteriore al 2007, la difesa della Marina di Punta Ala spa ha
richiamato ed ulteriormente illustrato le argomentazioni svolte dal Consiglio
di Stato nell’ordinanza del 30 gennaio 2015, in relazione all’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 252, della legge n. 296 del 2006.
In particolare, in punto di fatto, la
società ricorrente ha evidenziato che, per effetto dei nuovi canoni concessori,
introdotti dalla disposizione censurata, l’importo dovuto a questo titolo nel
periodo 2007-2015 ha avuto un incremento pari ad euro 1.738.182,61.
La ricorrente ritiene che l’aumento dei
canoni relativi alle concessioni di strutture per la nautica da diporto violi
l’art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto di
ragionevolezza, in quanto tale previsione prescinde da qualsiasi considerazione
degli investimenti dei concessionari. È, inoltre, denunciata la lesione del
legittimo affidamento, atteso il carattere improvviso, repentino ed
imprevedibile dell’incremento dei canoni in questione, nonché l’irragionevole
disparità di trattamento tra vecchi e nuovi concessionari.
Con riferimento al denunciato contrasto
con l’art. 41 Cost., la società ricorrente evidenzia che, per effetto dei nuovi
canoni, gli oneri ai quali sono assoggettati i titolari di concessioni per la
realizzazione e gestione di porti turistici, sarebbero tali da alterare in modo
irreversibile il loro piano economico-finanziario, non potendo essere
recuperati se non attraverso un aumento delle tariffe portuali, con conseguente
perdita di competitività dei porti turistici italiani rispetto alla strutture
ubicate in altri Stati membri dell’Unione europea (in particolare Francia,
Spagna e Grecia). Pertanto, ad avviso della Marina di Punta Ala spa, la
disposizione censurata, nel penalizzare gli operatori italiani a danno degli
operatori di altri Stati membri, si porrebbe, altresì, in contrasto con il
principio di non discriminazione stabilito dall’art. 21 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea – proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e con
i principi stabiliti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli
artt. 18 (non discriminazione), 49 (libertà di stabilimento) e 56 (libertà di
prestazione dei servizi).
Considerato in diritto
1.– Il Consiglio di Stato ed il Tribunale
amministrativo regionale per la Toscana hanno sollevato – in riferimento agli
artt. 3 e 41 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2007)», nella parte in cui determina – anche con riferimento ai rapporti
concessori in corso – la misura dei canoni per le concessioni di beni del
demanio marittimo per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla
nautica da diporto.
2.– Le tre ordinanze di rimessione pongono
questioni identiche, o tra loro strettamente connesse, in relazione alla
normativa censurata.
Ed invero, tutti i giudici rimettenti –
ravvisando la violazione dei medesimi parametri costituzionali – censurano la
disposizione sopra indicata, che disciplina la misura dei canoni per le
concessioni di beni del demanio marittimo, nella parte in cui essa si applica
anche ai rapporti in corso.
I giudizi, pertanto, vanno riuniti per
essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.
3.– In via preliminare, va confermata l’ordinanza
dibattimentale, allegata alla presente sentenza, con la quale è stato
dichiarato inammissibile l’intervento dell’UCINA – Unione Nazionale dei
Cantieri e delle Industrie Nautiche - Confindustria Nautica, e delle associazioni
Federturismo Confindustria e Assomarinas ‒
Associazione italiana porti turistici.
4.– Va, inoltre, rilevata
l’inammissibilità delle deduzioni svolte dalla difesa della Pro.Mo.Mar.
spa, in riferimento alla violazione dell’art. 97 Cost., e dalla difesa della
Marina di Punta Ala spa, in riferimento al contrasto con il principio di non
discriminazione stabilito dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea – proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, e con i principi
stabiliti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),
sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957, ed in particolare con l’art. 18 (non
discriminazione), l’art. 49 (libertà di stabilimento) e l’art. 56 (libertà di
prestazione dei servizi).
Tali censure sono inammissibili, in
quanto volte ad estendere il thema decidendum, quale definito nelle ordinanze di rimessione.
Infatti, per costante giurisprudenza di
questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via
incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle
ordinanze di rimessione; non possono, pertanto, essere presi in considerazione,
oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di
costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal
giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto
delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 96 del
2016; n. 231
e n. 83 del 2015).
5.– La questione sollevata in riferimento
agli artt. 3 e 41 Cost. non è fondata.
5.1.– La disposizione censurata sostituisce
il previgente comma 3 dell’art. 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400
(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali
marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494.
Essa prevede che: «3. Le misure dei
canoni di cui al comma 1, lettera b), si applicano, a decorrere dal 1° gennaio
2007, anche alle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare
territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture
dedicate alla nautica da diporto». Vengono, quindi, estesi alle concessioni di
strutture per la nautica da diporto i medesimi criteri di determinazione dei
canoni dettati per le concessioni aventi finalità turistico-ricreative.
5.2.– I giudici a quibus
dubitano della legittimità costituzionale di siffatta estensione, ravvisando il
contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione dell’affidamento
ingenerato rispetto ai rapporti concessori in corso, per l’incremento rilevante
e repentino della misura dei canoni delle concessioni per la realizzazione e la
gestione di infrastrutture per la nautica. È, inoltre, denunciata
l’irragionevole equiparazione delle concessioni già rilasciate a quelle nuove,
nonché delle concessioni di strutture per la nautica da diporto a quelle per
finalità turistico-ricreative.
Ad avviso dei giudici rimettenti, la
disposizione in esame si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 41 Cost., poiché determinerebbe «l’effetto irragionevole di
frustrare le scelte imprenditoriali modificando gli elementi costitutivi dei
relativi rapporti contrattuali in essere».
5.3.– Va, innanzitutto, rilevato che la nuova
disciplina dettata dalla legge finanziaria 2007 modifica il precedente impianto
normativo, contenuto nell’art. 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400
(Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali
marittime), prevedendo una nuova modulazione dei criteri di quantificazione dei
canoni. Accanto al canone cosiddetto tabellare, che continua ad applicarsi per
le concessioni previste dall’art. 03, comma 1, lettera b), n. 1, è introdotto
un canone commisurato al valore di mercato, sia pure mitigato da alcuni
accorgimenti e abbattimenti (art. 03, comma 1, lettera b, n. 2.1).
La previsione del canone commisurato al
valore di mercato costituisce un elemento di novità, particolarmente
significativo, introdotto dai commi 251 e 252 della legge n. 296 del 2006. Come
già osservato nella sentenza n. 302 del
2010, la ratio di tale innovazione consiste nel perseguimento di obiettivi
di equità e razionalizzazione dell’uso dei beni demaniali, senza trascurare
determinate categorie di utilizzatori, per le quali sono previste specifiche
misure agevolative (art. 03, comma l, lettera c, del d.l. n. 400 del 1993).
In particolare, sono soggette
all’applicazione del canone commisurato al valore di mercato le concessioni
comprensive di strutture costituenti «pertinenze demaniali marittime destinate
ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e
servizi» (art. 03, comma 1, lettera b, n. 2.1, del d.l. n. 400 del 1993). Il
riferimento testuale è, pertanto, alle opere costituenti pertinenze demaniali
marittime, come qualificate dall’art. 29 del codice della navigazione.
5.4.− Nel sostenere la censura di
irragionevolezza dell’estensione di tale disciplina alle concessioni per la
nautica da diporto, le tre ordinanze di rimessione si fondano su comuni presupposti
ermeneutici, i quali debbono essere sottoposti a verifica.
In primo luogo, i rimettenti ritengono
che i nuovi canoni commisurati ai valori di mercato debbano essere applicati
anche ai rapporti concessori in corso alla data di entrata in vigore della
legge n. 296 del 2006.
L’impostazione dei giudici rimettenti fa
leva, inoltre, su un ulteriore assunto, relativo all’applicabilità dei medesimi
canoni anche alle opere realizzate dal concessionario in esecuzione del
rapporto concessorio, prima che le stesse siano
acquisite in proprietà da parte dello Stato e abbiano, quindi, formalmente
assunto la qualità di pertinenze del demanio marittimo.
Tuttavia, nella loro assolutezza, gli
assunti sui quali si fondano l’interpretazione dei rimettenti e la denunciata
illegittimità costituzionale non possono essere condivisi.
5.5.– Va preliminarmente evidenziato che −
con riferimento alle concessioni demaniali per attività turistico-ricreative −
la legittimità dei nuovi criteri di calcolo dei canoni è già stata riconosciuta
da questa Corte nella sentenza n. 302 del
2010.
In questa pronuncia è stato rilevato, in
particolare, che «gli interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di
godimento dei beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una maggiorazione delle
entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in
favore di locatori privati (sentenza n. 88 del
1997). Del resto, un consistente aumento dei canoni in questione era già
stato disposto dall’art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. La concreta applicazione
degli aumenti disposti dalle norme citate è stata successivamente rinviata sino
a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 256) ha disposto la loro
abrogazione, mentre contestualmente introduceva i nuovi criteri di calcolo.
Questi ultimi hanno sostituito gli aumenti generalizzati dei canoni annui per
concessioni demaniali marittime, disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003,
con un nuovo meccanismo, che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive
di reddito, cioè quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attività
commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi. Non si
può dire pertanto che l’aumento dei canoni, disposto dalla previsione
legislativa censurata, sia giunto inaspettato, giacché esso si è sostituito ad
un precedente aumento, di notevole entità, non applicato per effetto di
successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a
favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura. Né l’incremento può
essere considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da
indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo politico-economico,
che sfugge, in via generale, ad una valutazione di legittimità costituzionale».
La possibilità di trasferire tali
principi, la cui perdurante validità non è neppure in discussione, alle
concessioni per la nautica da diporto è esclusa dai rimettenti, i quali
evidenziano l’«ontologica differenza» delle stesse,
rispetto a quelle per attività turistico-ricreative, già esaminate dalla
sentenza ora richiamata.
Gli elementi differenziali delle prime
sarebbero costituiti dalla maggiore durata di tali rapporti, dalla loro
consistenza numericamente limitata e − soprattutto − dalla notevole
entità degli investimenti sostenuti dal concessionario per la realizzazione
delle opere che ne costituiscono l’oggetto. Tali elementi varrebbero ad
escludere la ragionevolezza dell’equiparazione, introdotta dalla disposizione
censurata, delle due tipologie concessorie ai fini
dell’applicabilità dei nuovi criteri di determinazione dei canoni.
5.6.− Al riguardo, va osservato che i primi
due elementi (maggiore durata e numero limitato di tali concessioni) appaiono
ininfluenti ai fini della valutazione della censurata irragionevolezza.
Da un lato, la maggiore durata del
rapporto concessorio, in quanto volta a consentire di
ammortizzare l’investimento del concessionario su un orizzonte temporale più
ampio, vale a bilanciare, diluendoli nel tempo, gli effetti dell’incremento
degli oneri a carico dei concessionari.
Dall’altro lato, il numero relativamente
esiguo delle concessioni per la nautica da diporto appare circostanza in sé
estranea alla valutazione in ordine alla ragionevolezza dell’incremento dei
canoni, in quanto incidente sull’equilibrio economico finanziario del rapporto.
Pertanto, seguendo la prospettazione dei
giudici a quibus, l’unico tratto distintivo rilevante
delle due tipologie di concessioni interessate dagli aumenti introdotti dalla
legge n. 296 del 2006 è rappresentato dall’entità degli investimenti richiesti
(soprattutto, ma non in via esclusiva) ai titolari di concessioni per la
nautica da diporto, laddove queste abbiano ad oggetto opere che debbano essere
realizzate a cura del concessionario. Gli effetti discriminatori ed
irragionevoli censurati attengono, infatti, alla modifica del calcolo di
convenienza economica derivante dall’incremento dei canoni, in quanto applicati
a quelle opere che il concessionario si sia impegnato a realizzare in epoca
antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina.
5.7.− Tuttavia, con riferimento a tale
specifica categoria di rapporti concessori, risulta possibile e doverosa
un’interpretazione della disposizione del comma 252 che porta ad escludere
l’applicabilità, generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati ai valori
di mercato a tutte le concessioni di strutture dedicate alla nautica da
diporto, rilasciate prima della entrata in vigore della disposizione in esame.
Si lamenta, infatti, che, per effetto
dell’applicazione dei canoni indicati anche ai rapporti concessori in corso,
verrebbe onerato del medesimo canone, sia chi abbia ricevuto un bene demaniale,
sul quale realizzi a proprie spese un’infrastruttura o un impianto di difficile
rimozione, sia chi, invece, abbia ricevuto in concessione un bene su cui
insista una struttura già realizzata da terzi.
Tuttavia, l’irragionevolezza insita in
tale prospettazione è esclusa laddove la commisurazione del canone venga
parametrata alle concrete caratteristiche dei rapporti concessori, nonché dei
beni demaniali che ne formano l’oggetto.
Invero, l’art. 03 del d.l. n. 400, nel
testo sostituito dall’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, prevede
che il criterio della media dei valori indicati dall’Osservatorio del mercato
immobiliare si applica alle concessioni demaniali marittime comprensive di
strutture permanenti costituenti «pertinenze demaniali marittime destinate ad
attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi».
Nel delimitare l’ambito applicativo dei
nuovi canoni commisurati ai valori di mercato, il tenore letterale della
disposizione in esame fa espresso riferimento, dunque, ad opere costituenti
pertinenze demaniali marittime che, pertanto, già appartengono allo Stato.
Al fine di stabilire la proprietà
statale dei beni di difficile rimozione edificati su suolo demaniale marittimo
in concessione, è determinante la scadenza della concessione, essendo questo il
momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualità
demaniale.
I criteri di calcolo dei canoni
commisurati ai valori di mercato, in quanto riferiti alle opere realizzate sul
bene e non solo alla sua superficie, risultano applicabili, quindi, soltanto a
quelle che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni
demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario,
ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della
medesima.
La stessa giurisprudenza del Consiglio
di Stato ha riconosciuto che «non tutti i manufatti insistenti su aree
demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione
demaniale – della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa
dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la
legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione: definizione
che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli
immobili pertinenziali sono o possono essere, di per sé, rimovibili con
facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la
qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata
della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di
superficie» (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308; nello stesso
senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307 e Consiglio di
Stato, sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196).
Come osservato anche dalla difesa
statale, nelle concessioni che prevedono la realizzazione di infrastrutture da
parte del concessionario, il pagamento del canone riguarda soltanto l’utilizzo
del suolo e non anche i manufatti, sui quali medio tempore insiste la proprietà
superficiaria dei concessionari e lo Stato non vanta alcun diritto di
proprietà.
Un’interpretazione costituzionalmente
corretta della disposizione in esame impone, quindi, la necessità di
considerare la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione,
quali erano all’avvio del rapporto concessorio, nonché
delle modifiche successivamente intervenute a cura e spese dell’amministrazione
concedente. Mentre con riferimento agli aumenti dei canoni tabellari (art. 03,
comma 1, lettera b, n. 1, del d.l. n. 400 del 1993) valgono i principi
affermati nella sentenza
n. 302 del 2010, viceversa va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri
commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che
prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del
concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007.
In definitiva, la non adeguata
utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice
rimettente porta a ritenere la non fondatezza della presente questione di
legittimità costituzionale (sentenze n. 219,
n. 95 e n. 45 del 2016;
n. 262 e n. 221 del 2015).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2007)», promossa dal Consiglio di Stato e dal Tribunale
amministrativo regionale per la Toscana con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2017
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio
2017.
Allegato:
ordinanza
letta all'udienza del 10 gennaio 2017