SENTENZA N. 114
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI
Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 239, 240, lettere b) e c), e 241, della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossi
dalla Regione Veneto e dalla Regione Puglia con tre ricorsi notificati il 29
febbraio ed il 27 febbraio - 3 marzo 2016, depositati in cancelleria l’8 ed il
10 marzo 2016 e rispettivamente iscritti ai nn. 17, 18 e 19 del
registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 aprile 2017 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Luca Antonini e Andrea Manzi per la
Regione Veneto, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia e l’avvocato dello
Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 29
febbraio 2016, depositato l’8 marzo e iscritto al reg. ric. n. 17 del 2016 la
Regione Veneto ha impugnato, tra le altre disposizioni, l’art. 1, comma 241,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in
riferimento agli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione,
nonché al principio
di leale collaborazione.
La disposizione censurata incide
sull’art. 57, comma 3-bis, del
decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione
e di sviluppo) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 4 aprile 2012, n. 35 – sopprimendo il richiamo ivi originariamente
contenuto alle modalità previste dall’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni
vigenti in materia di energia), in caso di mancato raggiungimento dell’intesa
con la regione per il rilascio dell’autorizzazione per infrastrutture energetiche
strategiche.
Secondo la ricorrente, la soppressione
operata dalla norma eliminerebbe un meccanismo procedimentale diretto ad
assicurare il coinvolgimento della regione nell’ipotesi di difetto di intesa
nel settore delle infrastrutture ed insediamenti energetici strategici e delle
opere necessarie al trasporto, stoccaggio e trasferimento degli idrocarburi,
rientrante nella materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia».
Ne conseguirebbe l’illegittimità della
norma per violazione dei parametri costituzionali evocati.
2.– Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, deducendo l’infondatezza della questione di legittimità
costituzionale proposta.
Ad avviso del resistente, il
mantenimento, nell’ambito dell’art, 57, comma 3-bis, del d.l. n. 5 del 2012, del residuo richiamo alle modalità di
cui all’art. 14-quater, comma 3,
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – nel
tenore risultante a seguito della sentenza n. 179 del
2012 di questa Corte – consentirebbe di assicurare comunque il ruolo
partecipativo della regione, prevedendo la reiterazione di trattative volte a
superare le divergenze insorte con lo Stato nella ricerca dell’intesa imposta
dal principio di leale collaborazione.
3.– Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza la Regione Veneto rileva come nelle more del giudizio sia
intervenuto l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127
(Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in
attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che, sostituendo
gli artt. 14-quater e 14-quinquies della legge n. 241 del 1990,
avrebbe introdotto una tempistica dimezzata rispetto alla precedente per lo
svolgimento delle trattative volte alla composizione delle divergenze tra Stato
e regioni, depotenziando eccessivamente i meccanismi di coinvolgimento
regionale.
In via subordinata, in caso di mancato
accoglimento della questione, la ricorrente sollecita questa Corte a sollevare
innanzi a sé questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2,
della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), e dell’art. 1, comma 1, del
d.lgs. n. 127 del 2016, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo e quarto
comma, Cost. nonché al principio di leale
collaborazione, nella parte in cui modificano in termini più restrittivi la
procedura di raggiungimento dell’intesa con le regioni.
Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri, dopo aver ricostruito le
vicende normative e giurisprudenziali relative all’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, ribadisce come, anche alla
stregua delle sostituzioni operate dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 127 del
2016, i meccanismi di coinvolgimento regionale nella ricerca dell’intesa
risultino rispettosi del principio di leale collaborazione, con conseguente
cessazione della materia del contendere in ordine alla questione proposta o,
comunque, infondatezza della stessa.
4.– Con ricorso notificato il 27
febbraio, depositato il 10 marzo e iscritto al reg. ric. n. 18 del 2016, la
Regione Puglia ha impugnato l’art. 1, commi 239 e 240, lettere b) e c),
della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 3, 97, 117, primo comma –
in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva
30 maggio 1994, n. 94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi) – secondo comma, lettera s), e terzo comma, e 118 Cost. nonché ai principi di
ragionevolezza e di leale collaborazione.
4.1.– L’art. 1, comma 239, della legge
n. 208 del 2015 sostituisce il secondo ed il terzo periodo dell’art. 6, comma
17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale)
stabilendo che il divieto delle attività di ricerca, di prospezione nonché di
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4,
6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano
energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed
elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali),
all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo
protette per scopi di tutela ambientale «è altresì stabilito nelle zone di mare
poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro
costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e
costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la
durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e
di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione
finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli
impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino
ambientale».
Ad avviso della ricorrente, la norma di
dettaglio, prevalentemente riconducibile alla materia di competenza concorrente
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», si porrebbe in
contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con
il principio di leale collaborazione, in quanto prorogherebbe l’efficacia di
titoli abilitativi già rilasciati senza che sia intervenuta alcuna intesa in
senso forte con la regione interessata, nonostante tale modalità di
partecipazione sia imposta dall’attrazione in sussidiarietà realizzata nella
fattispecie.
La disposizione sarebbe dunque
illegittima «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi rilasciati
siano fatti salvi, previa intesa con le Regioni poste in un raggio di dodici
miglia dalle aree marine e costiere protette e dalla linea di costa».
In secondo luogo, la proroga ex lege dei
titoli abilitativi, realizzando una commistione tra legislazione ed
amministrazione, precluderebbe una nuova ponderazione degli interessi coinvolti
e l’esercizio del potere di autotutela, in contrasto con i principi di buon
andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97
Cost., nonché, sotto un ulteriore profilo, con i già evocati parametri
rappresentati dagli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. e dal
principio di leale collaborazione, determinandosi in re ipsa l’estromissione della regione
nonostante la proroga configuri, alla stregua della giurisprudenza
amministrativa, un nuovo provvedimento.
La disposizione sarebbe pertanto
illegittima anche «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi già
rilasciati possano sì essere oggetto di provvedimenti proroga, ma conformemente
ai procedimenti previsti dalla legge n. 9 [del 1991]». Peraltro, ove si
intendesse che la proroga debba comunque avvenire attraverso l’esperimento dei
citati procedimenti, residuerebbe l’illegittimità derivante dalla mancata
previsione dell’intesa con la regione.
Inoltre, la legificazione
della proroga dei titoli abilitativi determinerebbe la violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera s), e
terzo comma, Cost. Ciò in quanto la regione, nell’ambito della propria
competenza in materia di energia, ben potrebbe dolersi della violazione degli
interessi ambientali funzionalmente collegati all’esercizio di detta competenza
e la proroga dell’efficacia dei titoli abilitativi non determinerebbe la
rinnovazione della procedura di valutazione di impatto ambientale – altrimenti
prevista dalla legislazione statale in conformità al diritto europeo – che
potrebbe anche essere originariamente mancata in ragione della risalenza nel tempo dei titoli medesimi.
La disposizione sarebbe dunque
illegittima anche «nella parte in cui non prevede che i titoli abilitativi già
esistenti siano fatti salvi, a condizione che siano stati oggetto di
valutazione di impatto ambientale in sede di rilascio e che, comunque, questa
venga rinnovata in sede di proroga».
Infine, la norma violerebbe il principio
di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che ridonderebbe nella violazione
della competenza regionale in materia di energia e governo del territorio per
l’incidenza che le attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli
idrocarburi avrebbero in detti ambiti.
In particolare, prorogando tutti i
titoli abilitativi – dunque, non solo le concessioni di coltivazione, ma anche
i permessi di prospezione e ricerca, ad esse funzionali, già rilasciati – la
norma frustrerebbe irragionevolmente l’affidamento del soggetto che,
quand’anche rinvenisse un giacimento suscettibile di coltivazione a termini di
legge, non potrebbe vedersi riconosciuta la concessione che tanto legittimi,
visto che non possono comunque essere rilasciati "nuovi” titoli abilitativi.
Dunque, sarebbe inutile prorogare i permessi di prospezione e ricerca per la
durata di vita utile del giacimento, peraltro non ancora accompagnati,
diversamente dalle concessioni di coltivazione, da significativi investimenti e
da concreto sfruttamento del giacimento che abbiano altrimenti alimentato un
legittimo affidamento del beneficiario.
La disposizione, quindi, sarebbe
illegittima «nella parte in cui fa salvi tutti i titoli abilitativi, anziché le
sole concessioni di coltivazione».
4.2.– L’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 abroga
l’art. 38, comma 1-bis, del
decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, secondo cui «Il
Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un piano
delle aree in cui sono consentite le attività di cui al comma 1. Il piano, per
le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa con la Conferenza
unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si provvede con le
modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n.
239. Nelle more dell’adozione del piano i titoli abilitativi di cui al comma 1
sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data di entrata in
vigore della presente disposizione».
Secondo la ricorrente, l’abrogazione
della disposizione in considerazione si porrebbe anzitutto in contrasto con
l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3,
paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, che imporrebbero agli
Stati membri l’obbligo della preventiva pianificazione delle aree aperte alle
attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La soppressione
del cosiddetto piano delle aree oggetto della disposizione abrogata ad opera di
quella censurata violerebbe dunque detti parametri, ridondando sulla competenza
concorrente in materia di energia, visto che, in ragione di essa, la regione
avrebbe dovuto essere coinvolta nella predisposizione del piano.
Inoltre, ad avviso della ricorrente,
l’abrogazione violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost.,
nonché il principio di leale collaborazione, atteso che le attività di
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma
avrebbero potuto eseguirsi solo nelle aree individuate dal piano da adottarsi
previa intesa con la Conferenza unificata quale momento di raccordo con le
regioni, ora viceversa private del relativo coinvolgimento.
4.3.– L’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015
sostituisce l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, statuendo che «Le attività
di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte con le
modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del rilascio di un
titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di lavori
articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a cui
seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed
economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo
economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo
l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».
Ad avviso della ricorrente, la norma in
considerazione, richiamando il regime previsto dalla legge n. 9 del 1991 e
quello, originariamente destinato a sostituirlo, del cosiddetto titolo
concessorio unico, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma,
Cost. nonché il principio di leale collaborazione, in quanto non prevederebbe che i titoli abilitativi inerenti a
prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare siano adottati
d’intesa con le regioni interessate, così come disposto per la terraferma, non
potendosi escludere – in via di principio e conformemente a quanto ritenuto
dalla giurisprudenza amministrativa – l’interessamento della fascia di tutela
delle dodici miglia marine anche quando le attività in questione si svolgano
oltre la stessa.
Dunque, la disposizione sarebbe
illegittima «nella parte in cui non prevede che anche per il mare i titoli
abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991 oppure i titoli concessori unici
debbano essere preceduti dall’intesa con la Regione (prospiciente)
interessata».
Inoltre, secondo la ricorrente, la norma
violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. – con
ridondanza nella lesione della competenza regionale in materia di energia – in
quanto, a seguito della modifica apportata alla disposizione al fine di
inertizzare le richieste referendarie avanzate da dieci Consigli regionali e
volte a colpire la prorogabilità del titolo concessorio unico, introdurrebbe,
senza ragione, un regime di efficacia temporale diversificato a seconda della
tipologia di titolo abilitativo: i titoli di cui alla legge n. 9 del 1991
avrebbero durata prorogabile a differenza di quello concessorio unico.
La disposizione sarebbe quindi
costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non prevede [che] il limite
temporale ivi stabilito (6 anni per la ricerca e 30 anni per la coltivazione)
si applichi anche ai titoli abilitativi di cui alla legge n. 9 del 1991».
La descritta differenza, infine,
indurrebbe ad optare sempre per la tipologia di atti da ultimo citata,
frustrando, a fronte dell’attrazione in sussidiarietà, l’interlocuzione
regionale, ammessa solo in occasione del primo rilascio per quanto riguarda le
attività sulla terraferma, con conseguente violazione del principio di leale
collaborazione.
In via subordinata, pertanto, la
disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima «nella parte in cui non
prevede che la proroga del titolo abilitativo ai sensi della legge n. 9 del
1991 avvenga previa (nuova) intesa con la Regione».
5.– Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate
infondate.
Quanto alle censure rivolte all’art. 1,
comma 239, della legge n. 208 del 2015, il resistente evidenzia anzitutto che
la disposizione andrebbe ricondotta alla materia «tutela dell’ambiente» di cui
alla competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., da
considerarsi comunque prevalente nelle ipotesi in cui si sovrapponga con altri
ambiti competenziali. Inoltre, la norma si sarebbe
limitata a riformulare in senso più restrittivo la precedente, mai censurata,
senza minimamente innovare la disciplina relativa al rilascio dei titoli
abilitativi all’esercizio delle attività minerarie – anche riguardo alla
proroga, non disposta ex lege, ma destinata ad intervenire nel rispetto delle
procedure altrimenti previste in ossequio al principio costituzionale della
tutela del legittimo affidamento che la normativa in materia fonderebbe – ed al
loro svolgimento. Alla luce di tali considerazioni non sarebbe configurabile
alcuna lesione delle competenze regionali e del principio di leale
collaborazione, considerato peraltro che, in ogni caso, alla luce della
giurisprudenza costituzionale (si citano le sentenze n. 112 del
2011 e n. 21
del 1968), dovrebbe escludersi qualsivoglia competenza regionale in ordine
a ricerca e coltivazione degli idrocarburi in mare.
In ordine all’impugnativa dell’art. 1,
comma 240, lettera b), della legge n.
208 del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri nega che la direttiva n.
94/22/CE del 1994 – recepita dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625
(Attuazione della direttiva 94/22/CEE relativa alle condizioni di rilascio e di
esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di
idrocarburi) – imponga la preventiva pianificazione delle aree disponibili per
le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi,
rimettendo agli Stati membri la scelta in tal senso. Lo Stato italiano – nei
cui confronti non sarebbe stata promossa alcuna procedura di infrazione ad
opera della Commissione europea per mancato corretto recepimento della
direttiva – avrebbe quindi legittimamente optato per l’individuazione
preventiva delle aree solo con riferimento al mare e non anche per quelle
insistenti sulla terraferma.
Infine, in merito alle censure mosse
all’art. 1, comma 240, lettera c),
della legge n. 208 del 2015, la norma non avrebbe capacità innovativa se non
limitatamente all’eliminazione delle possibilità di proroga per il titolo
concessorio unico ed alla previsione della coesistenza con i titoli abilitativi
singoli, precedentemente contemplati. Il coinvolgimento delle regioni sarebbe
previsto dalla normativa altrimenti vigente e, comunque, la rilevanza dei
valori coinvolti nel settore energetico giustificherebbe l’assunzione delle
funzioni regionali in capo allo Stato, cui andrebbe riconosciuto un ruolo
fondamentale, a maggior ragione nel caso in cui le attività minerarie riguardino
il mare territoriale e la piattaforma continentale.
Né la norma sarebbe irragionevole,
essendo finalizzata a mettere ordine in un contesto normativo in cui, per
effetto dell’eliminazione del piano delle aree, potevano insorgere dubbi sulla
disciplina applicabile, con la conseguente esigenza di chiarire la coesistenza
di entrambe le tipologie di titoli abilitativi, la cui diversa durata – che non
aveva dato adito a dubbi di legittimità neppure prima della modifica introdotta
dalla norma censurata – si spiegherebbe alla stregua dell’ontologica differenza
tra dette tipologie di provvedimento quanto a regime giuridico.
6.– Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza la Regione Puglia replica alle difese erariali, evidenziando come
l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 vada ricondotto
prevalentemente alla materia energetica e non a quella esclusiva dello Stato,
atteso che derogherebbe al generale divieto di attività minerarie entro le
dodici miglia marine posto a tutela dell’ambiente. Inoltre, la ricorrente nega
che a livello costituzionale si possa ravvisare una differenza tra le attività
energetiche sulla terraferma e quelle in mare e rimarca che la norma avrebbe
determinato una proroga automatica dei titoli abilitativi già rilasciati.
Infine, la ricorrente richiama gli argomenti addotti a sostegno delle censure
rivolte all’art. 1, comma 240, lettere b)
e c), della legge n. 208 del 2015,
sottolineando l’irragionevolezza della mancanza di una preventiva
pianificazione generale delle aree disponibili per le attività di ricerca e
coltivazione degli idrocarburi.
Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce la
riconducibilità dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 alla competenza
esclusiva dello Stato in materia di ambiente, escludendo conseguentemente la
configurabilità di un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà e l’esigenza di
coinvolgere le regioni attraverso l’intesa. Evidenzia, inoltre, che la
disposizione andrebbe ragionevolmente interpretata nel senso di consentire sia
la ricerca mineraria che, in caso di esito favorevole, la coltivazione del
giacimento rinvenuto. Rileva, infine, che, pur in assenza del piano delle aree,
il coinvolgimento regionale sarebbe garantito dall’istituto della conferenza
dei servizi, attivabile in tutte le ipotesi in cui la decisione riguardi una
molteplicità di interessi riconducibili ad una pluralità di soggetti.
7.– Con un secondo ricorso, notificato
il 3 marzo 2016, depositato il 10 marzo 2016 e iscritto al reg. ric. n. 19 del
2016, la Regione Veneto ha impugnato anche l’art. 1, commi 239 e 240, lettere b) e c),
della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 117, primo comma –
in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva
n. 94/22/CE del 1994 – secondo comma, lettera s), terzo e quarto comma, e 118 Cost. nonché ai principi di
ragionevolezza e leale
collaborazione.
Le censure proposte coincidono con
quelle rivolte alle medesime norma dalla Regione Puglia, con la sola
precisazione che l’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 viene impugnato anche perché,
confermando la disciplina del titolo concessorio unico, attribuirebbe i poteri
concessori antecedentemente alla scoperta del giacimento e perché il programma
dei lavori da predisporre prima dell’attività di ricerca difficilmente potrebbe
specificare le aree da essa interessate. Ciò dimostrerebbe l’irragionevolezza
della disciplina, in contrasto con gli artt. 3, 9 e 97 Cost., che ridonderebbe
nella violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., incidendo in
materia di protezione civile, governo del territorio, produzione dell’energia e
valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
8.– Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dal’Avvocatura generale dello Stato, proponendo
argomentazioni difensive coincidenti con quelle svolte in merito al ricorso
della Regione Puglia.
9.– Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza la Regione Veneto replica alle difese del Presidente del Consiglio
dei ministri, svolgendo argomenti coincidenti con quelli sviluppati nella
memoria illustrativa della Regione Puglia.
Con memoria depositata in prossimità
dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha svolto argomentazioni
coincidenti con quelle sviluppate nella memoria depositata in relazione al
ricorso della Regione Puglia.
Considerato in diritto
1.– Con tre distinti ricorsi (iscritti
al reg. ric. n. 17, n. 18 e n. 19 del 2016) la Regione Veneto e la Regione
Puglia hanno impugnato l’art. 1, commi 239, 240, lettere b) e c), e 241, della
legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», in
riferimento agli artt. 3, 9, 97, 117, primo comma – in relazione agli artt. 2,
paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 30 maggio 1994, n. 94/22/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di
rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi) – secondo comma, lettera s), terzo e quarto comma, e 118, primo comma, della Costituzione,
nonché ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.
1.1.– Secondo le ricorrenti, l’art. 1,
comma 239, della legge n. 208 del 2015 – stabilendo che i già rilasciati titoli
abilitativi all’esercizio delle attività di ricerca, prospezione e coltivazione
di idrocarburi entro le dodici miglia dalle linee di costa e dal perimetro
esterno delle aree marine e costiere protette sono fatti salvi per la durata di
vita utile del giacimento – violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo
comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione. Ciò in quanto
prorogherebbe automaticamente l’efficacia dei provvedimenti senza intesa con la
regione interessata, nonostante tale modalità di partecipazione sia imposta
dall’attrazione in sussidiarietà realizzata nella fattispecie. La norma
contrasterebbe anche con i principi di buon andamento ed imparzialità di cui
all’art. 97 Cost., realizzando una commistione tra legislazione ed
amministrazione e precludendo una nuova ponderazione degli interessi coinvolti,
nonché l’esercizio del potere di autotutela. Infine, il comma 239 violerebbe
l’art. 117, secondo comma, lettera s),
e terzo comma, Cost. – in quanto la proroga dell’efficacia dei titoli minerari
impedirebbe la rinnovazione della procedura di valutazione di impatto
ambientale (VIA), che potrebbe anche essere originariamente mancata in ragione
della loro risalenza nel tempo – ed il principio di
ragionevolezza, in quanto prorogherebbe pure i permessi di prospezione e
ricerca, sebbene, ove fosse rinvenuto un giacimento, non potrebbe rilasciarsi
la concessione di coltivazione.
1.2.– Le Regioni Puglia e Veneto
impugnano anche l’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015, il quale, abrogando l’art. 38,
comma 1-bis, del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164 – e, dunque, sopprimendo il piano
delle aree, ivi previsto, in cui consentire le attività minerarie – violerebbe
l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3,
paragrafi 2 e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, che imporrebbero agli
Stati membri l’obbligo della preventiva pianificazione delle aree disponibili
per le citate attività. Inoltre, la norma contrasterebbe con gli artt. 117,
terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché con il principio di leale
collaborazione, atteso che, sulla terraferma, dette attività avrebbero potuto
svolgersi solo nelle zone individuate dal piano da adottarsi previa intesa con
la Conferenza unificata quale momento di raccordo con le regioni, ora private
di ogni coinvolgimento.
1.3.– Le ricorrenti impugnano altresì la
lettera c) del medesimo comma 240,
secondo cui le attività minerarie in considerazione possono svolgersi o con le modalità
di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano
energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed
elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali),
o a seguito del rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un
programma generale di lavori articolato in una fase di ricerca, per la durata
di sei anni, cui segue, in caso di rinvenimento di un giacimento coltivabile,
la fase di coltivazione della durata di trent’anni. La norma violerebbe
anzitutto gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché il
principio di leale collaborazione, in quanto non prevederebbe
che, con riguardo al mare, i titoli abilitativi siano adottati d’intesa con le
regioni interessate. Inoltre, la disposizione contrasterebbe con il principio
di ragionevolezza – introducendo senza giustificazione un regime di efficacia
temporale diversificato a seconda della tipologia di titolo minerario – nonché,
in via subordinata, con il principio di leale collaborazione, in quanto il
diverso regime di prorogabilità indurrebbe ad optare sempre per gli atti
prorogabili, frustrando, a fronte dell’attrazione in sussidiarietà,
l’interlocuzione regionale, ammessa solo in occasione dell’originario rilascio
per le attività sulla terraferma. Infine, secondo la Regione Veneto, la norma
violerebbe gli artt. 3, 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost., perché,
confermando la disciplina del titolo concessorio unico, attribuirebbe i poteri
concessori ancora prima della scoperta del giacimento e perché il programma dei
lavori da predisporre antecedentemente all’attività di ricerca difficilmente
potrebbe specificare le aree interessate.
1.4.– In ultimo, la Regione Veneto
impugna, tra le altre disposizioni, l’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del
2015, che, espungendo dall’art. 57, comma 3-bis,
del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazione e di sviluppo) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 4 aprile 2012, n. 35 – il richiamo ivi originariamente
contenuto alle modalità di cui all’art. 1, comma 8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore
energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni
vigenti in materia di energia), per superare l’inerzia regionale
nell’addivenire all’intesa, violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, escludendo il
meccanismo procedimentale diretto ad assicurare il coinvolgimento della regione
in un ambito materiale rientrante nella materia concorrente «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
2.– I tre ricorsi hanno parzialmente ad
oggetto le stesse disposizioni e, comunque, avanzano censure identiche o
analoghe, onde l’opportunità di riunione dei relativi giudizi, riservando a
separate pronunce la decisione delle questioni di legittimità costituzionale
relative alle altre disposizioni della legge n. 208 del 2015 impugnate dalla
Regione Veneto con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17 del 2015.
3.– L’art. 1, comma 239, della legge n.
208 del 2015 concerne il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare – vale a dire all’interno
del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste
entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero
nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree protette – contenuto
nell’art. 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale). In particolare, sostituendone il secondo ed il terzo
periodo, la norma censurata impedisce le deroghe al menzionato divieto
originariamente previste al fine di far salvi alcuni procedimenti concessori in
corso (nonché quelli conseguenti e connessi anche ai fini di eventuali
proroghe), confermando solo la parte della disposizione che mantiene fermi i
titoli abilitativi già rilasciati, con la precisazione, però, che essi sono
fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento e comunque nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale.
Le doglianze delle ricorrenti si
appuntano specificamente sulla sostanziale proroga automatica dei titoli
minerari già rilasciati, prevista dalla norma e riscontrata dall’Ufficio
centrale per il referendum della Corte di cassazione (Corte di cassazione –
Ufficio centrale per il referendum,
ordinanza del 7 gennaio 2016) nel disporre il trasferimento dell’originaria
richiesta referendaria relativa all’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del
2006, cosiddetto codice dell’ambiente, sulla versione della disposizione quale
risultante a seguito della sostituzione operata dall’art. 1, comma 239, della
legge n. 208 del 2015.
3.1.– Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità
delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239, della
legge n. 208 del 2015 in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
Quanto al primo parametro, «non è
concesso alla Regione di dedurre, a fondamento di un proprio ipotetico titolo
di intervento, una competenza primaria riservata in via esclusiva allo Stato,
neppure quando essa si intreccia con distinte competenze di sicura appartenenza
regionale: saranno, semmai, queste ultime a poter essere dedotte a fondamento
di un ricorso di legittimità costituzionale in via principale promosso da una
Regione» (sentenza
n. 116 del 2006; nello stesso senso, sentenza n. 202 del
2016).
Quanto alla dedotta violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., la censura è inammissibile
per difetto di adeguata motivazione. La ricorrente, infatti, deducendo
l’elusione della VIA attraverso la legificazione
della proroga, si limita ad argomentare l’asserito contrasto della norma con il
parametro attributivo della competenza statale, lasciando sostanzialmente
sguarnita di motivazione la pretesa violazione di quello regionale.
3.2.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 in riferimento agli artt.
117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale
collaborazione, non sono fondate.
Le ricorrenti sostengono che la norma,
prorogando ex lege
i titoli abilitativi già rilasciati, integri una fattispecie di chiamata in
sussidiarietà, attraendo a sé e regolando una funzione amministrativa nella
materia concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» senza al contempo prevedere l’intesa con la regione interessata.
Secondo il costante orientamento di
questa Corte, lo Stato può ricorrere alla chiamata in sussidiarietà al fine di
allocare e disciplinare una funzione amministrativa «quando la materia, secondo
un criterio di prevalenza, appartenga alla competenza regionale concorrente,
ovvero residuale» (ex plurimis, sentenza n. 7 del
2016), mentre ne difettano i presupposti quando si verta in materia di
competenza esclusiva statale, anche solo prevalente (sentenze n. 62 del
2013 e n. 80
del 2012).
È dunque dirimente identificare l’ambito
materiale cui ricondurre la norma censurata, rammentando che a ciò si deve
procedere alla stregua della ratio
che ispira la disciplina, del suo contenuto precettivo e dell’oggetto specifico
della regolamentazione adottata (sentenze n. 175 del
2016 e n.
245 del 2015). Tenuto conto della complessità del fenomeno sociale su cui
interviene il legislatore, in fattispecie come la presente, nella quale
l’intervento riguarda una fitta trama di relazioni ove è difficile isolare un
singolo interesse, «questa Corte non si può esimere dal valutare, anzitutto, se
una materia si imponga alle altre con carattere di prevalenza (sentenze n. 50 del
2005 e n.
370 del 2003), ove si tenga presente che, per mezzo di una simile
espressione, si riassume sinteticamente il proprium del giudizio, ovvero
l’individuazione della competenza di cui la disposizione è manifestazione» (sentenza n. 278 del
2010).
Alla luce di tale premessa, a differenza
di altre occasioni in cui disposizioni relative a prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi sono state ascritte alla materia concorrente
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art.
117, terzo comma, Cost. (tra le altre, sentenze n. 39 del
2017 e n.
117 del 2013), la norma censurata deve ritenersi riconducibile in via
prevalente, per più ordini di ragioni, alla competenza esclusiva dello Stato in
materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Anzitutto, dal punto di vista sistematico
è utile osservare come l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 incida
proprio sulla normativa contenuta nel codice dell’ambiente ed in particolare
sull’art. 6, che concorre a dettare la disciplina in tema di VIA e di
valutazione ambientale strategica (VAS), riconducibile alla materia della
tutela ambientale (ex plurimis, sentenze 117 del
2015 e n.
197 del 2014).
In secondo luogo, la norma impugnata
riguarda una disposizione che vieta le attività minerarie in determinate aree –
quelle marine e costiere a qualsiasi titolo protette «per scopi di tutela
ambientale», nonché quelle poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo
l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette
aree – «[a]i fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
Infine, anche l’ambivalente formulazione
del comma in esame – il quale, da un lato, inasprisce il menzionato divieto e
dall’altro, tuttavia, proroga l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati
– è espressione dell’esercizio in via prevalente della competenza riservata
allo Stato in materia di «tutela dell’ambiente», in quanto realizza un
bilanciamento non implausibile tra la sua
salvaguardia, precludendo l’adozione di nuovi titoli minerari, ed il
soddisfacimento di altri interessi rilevanti ‒ quali la piena
valorizzazione delle iniziative imprenditoriali in essere, ancora
economicamente utili, ed il generale beneficio in termini occupazionali,
finanziari e fiscali da esse derivante ‒ attraverso la proroga per la
durata di vita utile del giacimento.
Poiché, dunque, l’art. 1, comma 239,
della legge n. 208 del 2015 va ricondotto prevalentemente alla competenza
esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
difettano gli estremi dell’attrazione in sussidiarietà, con conseguente
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento
ai parametri che la presidiano.
3.3.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, in riferimento all’art. 97
Cost., non sussistono dubbi circa l’ammissibilità delle censure per contrasto
con un parametro di legittimità costituzionale diverso da quelli che
sovrintendono al riparto delle competenze tra Stato e regioni. La ridondanza su
tali attribuzioni, esplicitamente indicate dalle ricorrenti, non è impedita
bensì si correla alla natura "trasversale” della materia cui è riconducibile in
via prevalente la norma, in quanto, «[d]ata
l’ampiezza e la complessità delle tematiche afferenti alla tutela
dell’ambiente, i principi e le regole elaborati dallo Stato in subiecta
materia coinvolgono altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o
aspetti del bene ambiente, ma concernenti diversi interessi giuridicamente
tutelati nell’ambito di altre competenze legislative ripartite secondo i canoni
dell’art. 117 Cost.» (sentenza
n. 278 del 2012), interessi di cui sono portatrici anche le regioni.
Nel merito, tuttavia, le questioni non
sono fondate.
La norma impugnata proroga i titoli
minerari già rilasciati ed integra così una fattispecie di legge-provvedimento,
atteso che, con una previsione di contenuto particolare e concreto, incide su
un numero limitato di destinatari, attraendo alla sfera legislativa quanto
normalmente affidato all’autorità amministrativa (sulla nozione di legge-provvedimento,
ex plurimis,
sentenza n. 214
del 2016).
Dunque, la denunciata impossibilità di
concreta ponderazione degli interessi coinvolti e di esercizio del potere di
autotutela da parte dell’amministrazione è effetto consustanziale proprio della
natura legislativa rivestita dalla disposizione di proroga.
Poiché questa Corte ha più volte
ribadito «la compatibilità della legge provvedimento con l’assetto dei poteri
stabilito dalla Costituzione, in quanto nessuna disposizione costituzionale
comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a
contenuto particolare e concreto (sentenze n. 275 del
2013, n. 85
del 2013 e n.
143 del 1989), pur ribadendo, al contempo, che le leggi provvedimento
devono soggiacere ad uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili
della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del
legislatore (sentenze
n. 20 del 2012, n. 429 del 2002
e n. 2 del 1997)»
(ex multis,
sentenze n. 64
del 2014), si deve escludere che la norma contrasti con l’art. 97 Cost. sotto i profili nella fattispecie dedotti dalle ricorrenti,
non ravvisandosi i vizi che in passato avevano consentito di dichiarare
l’illegittimità costituzionale di disposizioni di analoga natura provvedimentale.
3.4.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio
di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. non sono
fondate, nei sensi e nei limiti di seguito precisati.
Prima dell’entrata in vigore della norma
censurata, l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 faceva «salvi i
procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991
in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010,
n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori
conseguenti e connessi, nonché l’efficacia dei titoli abilitativi già
rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di
ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi,
delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori
e concessori conseguenti e connessi». L’ampia portata normativa consentiva non
solo il rilascio dei permessi e delle concessioni di coltivazione in esito ai
procedimenti pendenti alla data indicata, ma anche che al titolare del
permesso, che avesse rinvenuto un giacimento di idrocarburi tecnicamente ed
economicamente suscettibile di sviluppo, fosse accordata la concessione di
coltivazione, così come previsto dall’art. 9, comma 1, della legge n. 9 del
1991.
Per effetto della sostituzione operata
dalla norma censurata, l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone
che «I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita
utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale».
Dal raffronto tra le due versioni
normative si evince che non è più consentito il rilascio dei titoli minerari di
cui alla legge n. 9 del 1991 all’esito dei procedimenti in corso, mentre il
testo della disposizione come sostituita non è chiaro quanto alla sorte dei
permessi di prospezione e ricerca già rilasciati.
Se la locuzione «titoli abilitativi» è
sufficientemente ampia da includere anche tali permessi tra quelli prorogati,
deve tuttavia concludersi che l’art. 6, comma 17, del d.lgs. n. 152 del 2006 si
riferisca ora esclusivamente alle concessioni di coltivazione.
Anzitutto, si deve evidenziare come la
norma impugnata, sopprimendo anche il riferimento ai procedimenti concessori di
cui all’art. 9 della legge n. 9 del 1991 in corso, abbia precluso il rilascio
delle concessioni di coltivazione a seguito dell’esaurimento dell’attività di
ricerca utilmente eseguita, evenienza in cui il grado di affidamento
ingeneratosi nel titolare del permesso è particolarmente elevato, visto che il
comma 1 del citato art. 9 gli riconosce un accesso privilegiato, se non
addirittura un diritto alla concessione in caso di invenzione del giacimento.
Se, dunque, è precluso il rilascio di
titoli abilitativi alla coltivazione anche nel caso di avvenuto rinvenimento di
idrocarburi, sarebbe evidentemente irragionevole interpretare la disposizione
censurata nel senso che, di contro, essa abbia inteso mantenere in vita i
permessi che semplicemente consentono prospezione e ricerca – allo stato ancora
infruttuose e potenzialmente destinate a rimanere tali, dunque fondanti un
affidamento meno intenso – i quali hanno senso logico ed economico solo se
potenzialmente suscettibili di condurre al rilascio della concessione di
coltivazione.
D’altra parte, la più ampia dizione
precedentemente utilizzata, che permetteva il completo sviluppo della sequenza provvedimentale permesso di prospezione e
ricerca-concessione di coltivazione, non è stata riprodotta in occasione della
sostituzione normativa.
Infine, l’interpretazione restrittiva
della disposizione trova conforto nel dato letterale, laddove la proroga viene
accordata «per la durata di vita utile del giacimento», termine ultimo che si
attaglia specificamente solo alla concessione di coltivazione, sia perché le
attività di prospezione e ricerca ad essa funzionali sono scollegate
dall’effettiva esistenza di un giacimento – che potrebbe anche non essere
rinvenuto – sia perché appaiono di per sé inidonee ad incidere
significativamente sulla consistenza dello stesso, erodendolo.
Alla luce delle considerazioni che
precedono, si deve concludere che l’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del
2015 si riferisca alle sole concessioni di coltivazione. Ne consegue l’infondatezza
della questione di legittimità costituzionale della norma «nella parte in cui
fa salvi tutti i titoli abilitativi, anziché le sole concessioni di
coltivazione».
4.– L’art. 1, comma 240, lettera b), della legge n. 208 del 2015 abroga l’art. 38, comma 1-bis, del d.l. n. 133 del 2014, il quale
prevedeva che «Il Ministro dello sviluppo economico, con proprio decreto,
sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
predispone un piano delle aree in cui sono consentite le attività di cui al
comma 1. Il piano, per le attività sulla terraferma, è adottato previa intesa
con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa, si
provvede con le modalità di cui all’articolo 1, comma 8-bis, della legge 23
agosto 2004, n. 239. Nelle more dell'adozione del piano i titoli abilitativi di
cui al comma 1 sono rilasciati sulla base delle norme vigenti prima della data
di entrata in vigore della presente disposizione».
L’abrogazione ha determinato la
soppressione del piano – peraltro, mai concretamente adottato – delle aree
disponibili per le attività minerarie.
4.1.– Le censure relative all’asserita violazione del
riparto interno, tra Stato e regioni, delle competenze legislative assumono
carattere pregiudiziale, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto alle
censure intese a denunciare la violazione dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario, che investono i contenuti delle scelte
legislative concretamente operate (ex plurimis, sentenza n. 209 del
2013). Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240,
lettera b), della legge n. 208 del
2015 in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, non sono
fondate.
Secondo le ricorrenti, in base alla
norma abrogata le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli
idrocarburi sulla terraferma avrebbero potuto eseguirsi solo nelle aree
individuate dal piano da adottarsi previa intesa con la Conferenza unificata
quale momento di raccordo con le regioni, ora private di ogni interlocuzione.
La censura è destituita di fondamento in
quanto, abrogando l’art. 38, comma 1-bis,
del d.l. n. 133 del 2014 e sopprimendo il piano delle aree ivi previsto, nonché
la disciplina per la sua adozione ed il regime transitorio da applicarsi ai
titoli minerari fino a tale momento, il legislatore statale ha sostanzialmente
rinunciato all’attrazione in sussidiarietà – presidiata dai parametri evocati
dalle ricorrenti – che la norma realizzava, presupposto per il coinvolgimento
regionale attraverso l’intesa.
D’altra parte, la disposizione censurata
non ha prodotto l’effetto di estromettere le regioni da ogni decisione
afferente alle attività minerarie sulla terraferma, atteso che, per il rilascio
dei relativi titoli abilitativi, sia, in generale, l’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004, sia,
con specifico riguardo al titolo concessorio unico, l’art. 38, comma 6, lettera
b), del d.l. n. 133 del 2014
richiedono l’intesa con la regione interessata.
4.2.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 240, lettera b),
della legge n. 208 del 2015, in riferimento all’artt. 117, primo comma, Cost. ed in relazione agli artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2
e 3, della direttiva n. 94/22/CE del 1994, non sono fondate.
Diversamente da quanto dedotto dalle
ricorrenti, dalle evocate disposizioni della citata direttiva non si evince
affatto l’esistenza di un obbligo in capo allo Stato di preventiva
pianificazione delle aree aperte alle attività di prospezione, ricerca e
coltivazione degli idrocarburi, di certo non esplicitamente affermato, nemmeno
nei "considerando”.
In particolare, l’art. 2, paragrafo 1,
della direttiva prevede che «Gli Stati membri mantengono il diritto di
determinare, all’interno del loro territorio, le aree da rendere disponibili
per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi».
Sia che la disposizione si intenda nel
senso che gli Stati membri sono liberi di stabilire dove consentire l’esercizio
delle attività minerarie –
«considerando che gli Stati membri hanno sovranità e diritti sovrani sulle
risorse di idrocarburi che si trovano nel loro territorio» (IV considerando
della direttiva n. 94/22/CE del 1994) – sia, a maggior ragione, che la si legga
nel senso di riconoscere loro la facoltà di determinare preventivamente o meno
le aree da rendere disponibili, la pianificazione non risulta implicitamente
imposta dalla disposizione in considerazione.
Peraltro, l’impiego del verbo
«mantengono» dimostra che sul punto la direttiva non ha inteso alterare la
situazione precedente, come si verificherebbe con l’introduzione dell’obbligo
di pianificazione che le ricorrenti pretendono di ricondurre al suo intervento.
Non depone nel senso da esse invocato
nemmeno l’art. 3 della direttiva, il quale si occupa dei procedimenti autorizzatori.
In particolare, il paragrafo 2 di detto
articolo prevede che il procedimento sia avviato mediante avviso – frutto di
iniziativa delle autorità competenti (lettera a) o di un soggetto («ente») che abbia presentato domanda (lettera b) – che indichi «l’area o le aree
geografiche che sono o possono essere, in parte o interamente, oggetto di
domanda».
Tale previsione non implica
necessariamente la precedente e generale determinazione delle aree disponibili
per le attività minerarie, ammettendo che esse vengano identificate di volta in
volta – d’altra parte, l’avviso potrebbe riguardare anche solo una singola area
o una sua porzione – a seguito dell’autonoma iniziativa dell’amministrazione o
della domanda dell’interessato, salvo comunque, in quest’ultimo caso, che lo
Stato individui la zona interessata come disponibile per le attività minerarie
in considerazione («fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1»).
Indiretto avallo a quanto fin qui
illustrato deriva dal paragrafo 3 del medesimo art. 3, il quale, nel
disciplinare un procedimento autorizzatorio alternativo a quello del paragrafo
2, prevede sì, nei casi indicati dalle lettere a), b) e c),
un’individuazione generale e preventiva delle aree disponibili per le quali
manifestare interesse, disponendo la «pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
delle Comunità europee di un avviso» avente tale contenuto. Tuttavia, il rilievo
che nella fattispecie vi sia una prescrizione espressa, viceversa non
rinvenibile con riferimento a quelle contemplate dal paragrafo 2, e la
circostanza che l’applicazione del paragrafo 3 sia rimessa all’intenzione in
tal senso dello Stato membro – «Uno Stato membro che intenda applicare il
presente paragrafo provvede […] alla pubblicazione […]» – dimostrano
ulteriormente l’insussistenza dell’obbligo di pianificazione dedotto dalle
ricorrenti.
Sebbene la pianificazione appaia
strumento capace di favorire il buon andamento dell’amministrazione, alla luce
delle considerazioni svolte le disposizioni della direttiva evocate a parametro
interposto non impongono un siffatto obbligo, con conseguente infondatezza
delle questioni proposte.
Gli argomenti illustrati impediscono
l’insorgenza di dubbi circa la corretta esegesi della normativa europea, onde
l’insussistenza degli estremi per un rinvio pregiudiziale alla Corte di
Giustizia (sentenza
n. 110 del 2015; ordinanze n. 207
del 2013 e n.
103 del 2008).
5.– L’art. 1, comma 240, lettera c), della legge n. 208 del 2015 ha
sostituito l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014, statuendo che «Le
attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono svolte
con le modalità di cui alla legge 9 gennaio 1991, n. 9, o a seguito del
rilascio di un titolo concessorio unico, sulla base di un programma generale di
lavori articolato in una prima fase di ricerca, per la durata di sei anni, a
cui seguono, in caso di rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed
economicamente coltivabile, riconosciuto dal Ministero dello sviluppo
economico, la fase di coltivazione della durata di trent’anni, salvo
l’anticipato esaurimento del giacimento, nonché la fase di ripristino finale».
In tal modo, da un lato, ha previsto la
coesistenza delle due tipologie di titoli abilitativi e, dall’altro, ha escluso
la prorogabilità del titolo concessorio unico – come si desume dal raffronto
con il precedente testo della disposizione, che la consentiva – viceversa
possibile per i titoli abilitativi rilasciati ai sensi della legge n. 9 del
1991.
5.1.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 240, lettera c),
della legge n. 208 del 2015, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118,
primo comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, non sono
fondate.
Sebbene la disposizione sia
astrattamente riconducibile alla materia concorrente «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», occupandosi dei titoli che abilitano
alle attività minerarie nel settore degli idrocarburi, non si ravvisano i
presupposti per la chiamata in sussidiarietà, la quale implica, come detto, la
sussistenza di una competenza regionale. Le regioni, infatti, non hanno alcuna
competenza con riguardo alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione
degli idrocarburi in mare (di recente, sentenza n. 39 del
2017). Ne consegue l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti di
coinvolgimento regionale, attraverso l’intesa, nel rilascio dei titoli
abilitativi a dette attività che ivi dovrebbero svolgersi.
5.2.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 240, lettera c),
della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio di ragionevolezza di
cui all’art. 3 Cost. sono inammissibili.
La circostanza che le attività minerarie
nel settore degli idrocarburi siano suscettibili di proroga o meno se poste in
essere, rispettivamente, sulla base dei titoli abilitativi di cui alla legge n.
9 del 1991 ovvero del titolo concessorio unico non rende l’addizione richiesta
dalle ricorrenti – vale a dire l’estensione del regime di improrogabilità di
quest’ultimo ai primi – costituzionalmente obbligata (ex plurimis, sentenza n. 30 del
2014), visto che la possibilità di proroga non è di per sé
costituzionalmente illegittima e le ricorrenti non spendono alcun argomento al
riguardo (sentenza
n. 134 del 2016).
5.3.– Le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 240, lettera c),
della legge n. 208 del 2015 in riferimento al principio di leale collaborazione
– proposte in via subordinata rispetto a quelle di cui al punto precedente –
sono inammissibili.
Le ricorrenti non spiegano la ragione
per cui, nonostante l’art. 1, comma 7, lettera n), della legge n. 239 del 2004 preveda che «le determinazioni»
inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi siano
adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate, ritengono
che il provvedimento di proroga dei titoli abilitativi di cui alla legge n. 9
del 1991 non la richieda. La mancata considerazione del contesto normativo in
cui si colloca la norma censurata determina una carenza argomentativa che
inficia l’ammissibilità delle questioni per oscurità della motivazione (ex multis, sentenza n. 40 del
2016).
5.4.– La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 240, lettera c),
della legge n. 208 del 2015 promossa dalla sola Regione Veneto in riferimento
agli artt. 3, 9, 97 e 117, terzo e quarto comma, Cost. è
in parte inammissibile ed in parte infondata.
Sono inammissibili le censure con le quali
la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 9, 97 e 117, terzo e quarto
comma, Cost. senza offrire adeguata motivazione a
supporto dell’asserita illegittimità, limitandosi ad evocare i relativi
parametri.
Quanto alla dedotta violazione del
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.,
la questione non è fondata.
Dalla lettura della disposizione risulta
evidente come i poteri afferenti alla coltivazione, che trovano fondamento nel
titolo concessorio unico, siano esercitabili subordinatamente alla scoperta del
giacimento coltivabile, visto che l’art. 38, comma 5, del d.l. n. 133 del 2014
espressamente prevede che la fase di coltivazione segua solo «in caso di
rinvenimento di un giacimento tecnicamente ed economicamente coltivabile,
riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico». Con la conseguenza che,
in un’ottica acceleratoria e semplificatoria, non è di per sé irragionevole –
né la ricorrente spende particolari argomenti al riguardo – attribuire i poteri
ex ante solo per il caso in cui
effettivamente sia scoperto un giacimento suscettibile di sviluppo, situazione
in cui potranno essere concretamente esercitati. Ciò rende infondato il primo
profilo di censura.
Quanto al secondo, giova rilevare come
qualunque attività di prospezione e ricerca degli idrocarburi postuli
necessariamente l’identificazione delle zone in cui svolgerla, a prescindere
dalla tipologia di provvedimento che a ciò abiliti. Dunque, l’eventuale
difficoltà di specificazione delle aree interessate dal programma generale di
lavori, sulla base del quale rilasciare il titolo concessorio unico secondo la
norma censurata, non è esclusivamente correlata alla modalità ivi prevista
bensì connaturata alle attività minerarie in sé. Ne consegue che la denunciata
difficoltà, preteso indice di irragionevolezza, costituisce un mero
inconveniente di fatto, «che secondo la giurisprudenza di questa Corte non è
idoneo ad introdurre il giudizio di legittimità di una norma (sentenza n. 117 del
2012 e ordinanza
n. 362 del 2008)» (ordinanza n. 158
del 2014) in quanto non direttamente riferibile alla previsione normativa,
ma ricollegabile, invece, «a circostanze contingenti attinenti alla sua
concreta applicazione (sentenza n. 270 del
2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità (sentenza n. 295 del
1995)» (sentenza
n. 157 del 2014).
6.– L’art. 1, comma 241, della legge n.
208 del 2015 ha soppresso nell’art. 57, comma 3-bis, del d.l. n. 5 del 2012 il richiamo all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004, con la
conseguenza che, per le autorizzazioni relative alle infrastrutture strategiche
ed alle opere di cui, rispettivamente, ai commi 1 e 2 del menzionato art. 57, «[i]n caso di mancato raggiungimento
delle intese si provvede con le modalità di cui all’articolo 14-quater, comma
3, della legge 7 agosto 1990, n. 241».
Sia l’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004 che
l’art. 14-quater, comma 3, della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990,
come sostituito dall’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2016,
n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di
servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) –
dettano procedure volte a superare l’eventuale stallo nel raggiungimento
dell’intesa tra Stato e regioni; tuttavia, la prima disposizione «disciplina
gli effetti di "condotte meramente passive delle amministrazioni regionali,
concretanti esse stesse ipotesi di mancata collaborazione” (sentenza n. 239 del
2013), mentre l’art. 14-quater,
comma 3, della legge n. 241 del 1990 trova applicazione quando la Regione non
si è sottratta alle trattative ma l’intesa ugualmente non è stata raggiunta, a causa
di un motivato dissenso» (sentenza n. 142 del
2016).
6.1.– Tanto premesso, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 241, della legge n. 208 del 2015 promossa dalla
Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118
Cost., nonché al principio di leale collaborazione, è inammissibile.
La ricorrente, infatti, oltre ad evocare
l’art. 117, quarto comma, Cost. senza addurre alcuna motivazione – considerato
che, a suo stesso dire, la norma andrebbe ricondotta alla competenza
concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» – non spiega la ragione per cui, pur permanendo la necessità
dell’intesa (art. 57, comma 2, del d.l. n. 5 del 2012), l’eliminazione della
procedura che consente di superare l’inerzia della regione in ordine al suo
raggiungimento ne pregiudichi il coinvolgimento, indebolendone la posizione
piuttosto che rafforzarla.
Quand’anche la ricorrente intenda
dolersi del fatto che l’eliminazione del richiamo all’art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239 del 2004
determinerebbe l’estensione della procedura di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del
1990 anche alle ipotesi di inerzia regionale, non solo non illustra il percorso
esegetico che supporta tale conclusione, ma omette completamente di indicare le
ragioni per le quali la procedura dettata dall’art. 14-quater, comma 3 – vigente
prima di essere sostituita da quella di cui all’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 per effetto del d.lgs. n. 127
del 2016 – sarebbe costituzionalmente illegittima.
Il riscontrato difetto argomentativo non
può essere colmato dalla memoria illustrativa depositata dalla Regione in
prossimità dell’udienza, con la quale non è possibile ovviare a precedenti
carenze motivazionali (sentenze n. 202 del
2016, n. 423
e n. 286 del
2004).
Infine, non può essere accolta la
richiesta (contenuta nella memoria regionale) con cui la ricorrente sollecita
questa Corte a rimettere dinanzi a sé la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 1, del d.lgs. n. 127 del 2016 e 2, comma 2,
della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). Per scrutinare le questioni
proposte, infatti, questa Corte non è chiamata a fare applicazione della
disciplina dettata dalle due disposizioni, l’una relativa alla nuova procedura
per superare il dissenso regionale in sede di intesa, l’altra afferente alle
modalità procedimentali di adozione del decreto delegato che la introduce, le
quali non contemplano l’intesa con le Regioni ma solo il parere della
Conferenza unificata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori
questioni di legittimità costituzionali promosse con il ricorso iscritto al
reg. ric. n. 17 del 2016;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016),
promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione,
dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n.
19 del 2016 indicati in epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 239,
della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 97, 117, terzo
comma, e 118, primo comma, Cost., nonché al principio
di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i
ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;
3) dichiara
non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, promosse,
in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i
ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 240,
lettera b), della legge n. 208 del
2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, primo comma – in relazione agli
artt. 2, paragrafo 1, e 3, paragrafi 2 e 3, della direttiva 30 maggio 1994, n.
94/22/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle
condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi) – e terzo comma, e 118, primo comma,
Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Puglia e
Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati
in epigrafe;
5)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 240, lettera c), della legge
n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118,
primo comma, Cost., nonché al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n.
18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in epigrafe;
6) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
240, lettera c), della legge n. 208
del 2015, promosse, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., dalle Regioni Puglia e Veneto
rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19 del 2016 indicati in
epigrafe;
7) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
240, lettera c), della legge n. 208
del 2015, promosse, in riferimento principio di leale collaborazione, dalle
Regioni Puglia e Veneto rispettivamente con i ricorsi n. 18 del 2016 e n. 19
del 2016 indicati in epigrafe;
8) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
240, lettera c), della legge n. 208
del 2015 promossa, in riferimento agli artt. 9, 97 e 117, terzo e quarto comma,
Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso n. 19 del
2016 indicato in epigrafe;
9)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 240, lettera c), della legge
n. 208 del 2015 promossa, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso
n. 19 del 2016 indicato in epigrafe;
10) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
241, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 117,
terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché al principio
di leale collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso n. 17 del 2016
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 aprile 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 maggio 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA