Sentenza n. 6 del 2019

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SENTENZA N. 6

ANNO 2019

 

Commenti alla decisione di

1. Flavio Guella, Incostituzionalità per insufficienza: la Corte censura la non previamente concertata quantificazione statale dei maggiori spazi di spesa regionale, con una sentenza additiva di principio che nondimeno abbisogna di futuro accordo, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

2. Emanuele Talarico,  Quando le sentenze costituzionali limitano la discrezionalità delle politiche di bilancio del legislatore. Note alla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2019, per g.c.  di Diritto & Conti

3. Clemente Forte, Marco Pieroni, Le sentenze n. 101/2018 e n. 6/2019 della Corte costituzionale: il rapporto tra legge e bilancio e gli effetti delle pronunce sui saldi di finanza pubblica, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

4. Daniela Morgante, Consulta: incostituzionalità del primato della ragione erariale e criteri di determinazione dei contributi spettanti alle autonomie speciali, per g.c. de La Rivista della Corte dei conti

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dalla Regione autonoma Sardegna, con ricorso notificato il 27 febbraio-5 marzo 2018, depositato in cancelleria l’8 marzo 2018, iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Regione autonoma Sardegna, con ricorso spedito per la notifica il 27 febbraio 2018, ricevuto il 5 marzo 2018 e depositato l’8 marzo 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio2018-2020», per violazione degli articoli 3, 5, 116, 117 e 136 della Costituzione e degli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna».

L’art. 1, comma 851, della legge n. 205 del 2017 stabilisce che «[n]ell’anno 2019, nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione Sardegna che tenga conto, tra l’altro, delle sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017, anche in considerazione del ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità, è riconosciuto alla Regione Sardegna un contributo pari a 15 milioni di euro».

1.1.− La ricorrente premette che nella medesima legge di bilancio per il 2018 sono presenti altre disposizioni che hanno regolato i rapporti economici tra lo Stato ed altre autonomie speciali e che sarebbero chiaro indice di un trattamento di maggior favore accordato dallo Stato a dette autonomie. Si tratterebbe dell’art. 1, comma 815, secondo il quale «a decorrere dall’anno 2018 alla Regione Friuli-Venezia Giulia non si applicano le disposizioni in materia di patto di stabilità interno di cui all’art. 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228», che fissano importanti contributi alla finanza pubblica da parte delle Regioni ad autonomia speciale; dell’art. 1, comma 816, che prevede lo stanziamento di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, affinché lo Stato possa ridefinire l’accordo di finanza pubblica sottoscritto in data 23 ottobre 2014 con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, valevole per un triennio; dell’art.1, comma 817, che ha riformato il regime di compartecipazione fissa alle entrate erariali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ampliandone il numero e le aliquote rispetto al regime precedente, a vantaggio della Regione; infine, dell’art. 1, comma 841, ove si prevede che, «nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione autonoma della Valle d’Aosta che tenga conto, tra l’altro, delle sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017, gli accantonamenti a carico della Regione autonoma della Valle d’Aosta a titolo di concorso alla finanza pubblica sono ridotti di 45 milioni di euro per l’anno 2018, 100 milioni di euro per l’anno 2019 e 120 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2020».

La ricorrente rammenta inoltre che la Regione Siciliana e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le due Province autonome avevano già beneficiato di un ampliamento degli spazi finanziari, in ragione rispettivamente delle previsioni di cui all’art. 1, comma 509, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) e di cui all’art. 1, commi 406 e seguenti della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».

Inoltre, il Ministero dell’economia e delle finanze e la Regione autonoma Sardegna hanno stipulato in data 21 luglio 2014 un «accordo in materia di finanza pubblica», con il quale è stato regolato il rapporto economico-finanziario tra lo Stato e la Regione e successivamente, il 10 dicembre 2015, lo Stato e la Regione sono addivenuti ad un ulteriore «accordo [...] per il coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del procedimento di attuazione dell’art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 [...]». Contestualmente, la «commissione paritetica», istituita ai sensi dell’art. 56 dello Statuto d’autonomia, ha licenziato il testo delle norme di attuazione del novellato art. 8 del medesimo Statuto, recepito dal decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma Sardegna - legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali).

Nondimeno, prosegue la Regione autonoma Sardegna, appena diciassette mesi dopo la stipula e quindici mesi dopo il suo recepimento da parte del legislatore statale, l’art. 1, comma 680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», senza essere preceduto da alcuna revisione dei predetti accordi, avrebbe imposto nuovi contributi di finanza pubblica a carico della Regione autonoma Sardegna, e tale obbligo sarebbe stato ulteriormente aggravato con l’art. 1, commi 392 e seguenti della legge n. 232 del 2016.

1.2.− La ricorrente osserva inoltre che, già prima dell’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, aveva ripetutamente chiesto allo Stato di addivenire alla stipula di un nuovo accordo di finanza pubblica, specificamente rivolto al triennio 2017-2019 o al successivo triennio 2018-2020, evidenziando anche che la Sardegna, diversamente dalle altre Regioni italiane, non aveva ancora ripreso un sentiero di crescita economica dopo la forte crisi che aveva investito l’Italia dal 2009, mostrando la maggiore riduzione del prodotto interno lordo (PIL) tra tutte le aree territoriali (meno 11,3 per cento tra il 2008 e il 2015). Parimenti si osservava che a partire dal 2012 (primo anno di applicazione degli accantonamenti di finanza pubblica) erano stati sottratti alla disponibilità della Regione 33 miliardi di euro di entrate proprie stabilite dalle norme statutarie e, quindi, a partire dal 2018 la Regione autonoma Sardegna chiedeva di rientrare in possesso di tali quote, in modo da superare il regime degli accantonamenti nel quadro di un nuovo accordo di finanza pubblica che tenesse conto della capacità fiscale e contributiva dei diversi territori italiani.

La Regione autonoma Sardegna evidenzia che tuttavia tali richieste non avrebbero trovato seguito da parte dello Stato, mentre gli accordi di finanza pubblica avrebbero dimostrato di avere ben poca capacità di garantire una minima stabilità temporale dei rapporti economico-finanziari tra le parti, mentre di contro lo Stato si sarebbe sottratto all’accordo con la Regione, senza formulare adeguate controproposte alle sue richieste.

1.3.− Al fine di chiarire ulteriormente il contesto del presente ricorso, la ricorrente espone che le somme effettivamente liquidate alla Regione, al netto dei contributi di finanza pubblica, sarebbero passate da 4,906 miliardi di euro nell’anno 2006 a 5,836 miliardi di euro nell’anno 2010 e sono pari a 6,707 miliardi di euro nell’anno 2016, e che i più recenti dati del PIL regionale pubblicati a dicembre 2017 dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e le variazioni annuali registrate dal 2008 al 2016 mostrerebbero un arretramento della ricchezza prodotta in Sardegna (meno 9,4 per cento) più accentuato rispetto al centro-nord (meno 4,8 per cento) e al Mezzogiorno nel suo complesso (meno 9,0 per cento). In sostanza, la stessa ripresa maturata negli ultimi anni si sarebbe mostrata particolarmente fragile: negli anni 2014, 2015 e 2016 il PIL della Regione autonoma Sardegna sarebbe cresciuto complessivamente dello 0,7 per cento, rispetto all’1,6 per cento dell’intero Mezzogiorno e al 2,2 per cento del centro-nord.

Il «ritardo dello sviluppo economico dovuto all’insularità» menzionato dalla stessa disposizione impugnata, troverebbe effettivo riscontro nella differenza tra il PIL pro capite registrato dagli ultimi dati disponibili dell’ISTAT relativi all’annualità 2016, laddove, posto come livello "100” il PIL pro capite dell’Italia intera, i dati disaggregati su base territoriale (per le sole autonomie speciali) vedrebbero il centro-nord al livello "117,8”, la Sardegna al livello "72,4”, la Valle d’Aosta al livello "126,1”, la Provincia autonoma di Bolzano al livello "153,2”, la Provincia autonoma di Trento al livello "126,3”, il Friuli-Venezia Giulia al livello "109,4” e la Sicilia al livello "61,8”.

2.− Con riguardo alla disposizione impugnata, la Regione autonoma Sardegna riconosce che, a prima lettura, essa non sembrerebbe pregiudizievole, in quanto attribuisce alla ricorrente, per l’esercizio finanziario 2019, un contributo economico pari a 15.000.0000,00 di euro, sicché parrebbe trattarsi di una previsione di favore. Nondimeno, evidenzia che la esiguità della somma prevista sarebbe palesemente del tutto inadeguata a sovvenire alle esigenze regionali, e tanto più si manifesterebbe tale se parametrata ai maggiori contributi riconosciuti alla Regione autonoma Valle d’Aosta dalla medesima legge impugnata, nonché allo spazio finanziario riconosciuto alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sempre previsto dalla legge di bilancio per il 2018.

L’inadeguatezza si appaleserebbe inoltre se posto a confronto con i contributi di finanza pubblica che la Regione autonoma Sardegna versa allo Stato in forza della legislazione vigente, che sarebbero pari per il 2018 ad euro 683.996.000.

Osserva ulteriormente la ricorrente che il contributo di 15 milioni di euro è previsto non per l’anno 2018, bensì per il solo 2019. Poiché esso è erogato «nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione Sardegna», secondo la medesima risulterebbe evidente che tale provvidenza sarebbe destinata a precedere la ridefinizione dei rapporti economici tra le parti, e che quindi non potrà aversi (e comunque non potrebbe sortire effetti) prima dell’esercizio di bilancio 2020. Tanto starebbe a significare che lo Stato, attraverso questa disposizione di legge, avrebbe prorogato per due annualità lo status quo; avrebbe ex lege rifiutato la stipula di accordi di finanza pubblica con la Regione prima del 2020 (o comunque con produzione di effetti concreti prima dell’esercizio di bilancio 2020), se non addirittura prima del 2021 (tenuto conto della programmazione economica triennale del bilancio statale); avrebbe unilateralmente e definitivamente escluso ogni contributo per le annualità 2018 e 2020 e fissato in soli euro 15.000.000,00 per l’annualità 2019 il proprio contributo in favore della Regione autonoma Sardegna, pur riconoscendone espressamente le peculiari difficoltà economiche; non avrebbe tenuto in alcun conto i contributi di finanza pubblica già imposti alla Regione nonché il contributo di finanza pubblica, tuttora da definire nel dettaglio, secondo l’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015 e l’art. 1, commi 392 e seguenti, della legge n. 232 del 2016, secondo quanto previsto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 154 del 2017. Con la ulteriore conseguenza che prima del 2020 (se non del 2021) non ci sarebbe alcuno spazio di effettiva negoziabilità nei rapporti fra Stato e Regione ed ogni richiesta regionale di rinegoziare gli strumenti finanziari impositivi tuttora vigenti nei confronti della Regione autonoma Sardegna dovrebbe ritenersi preclusa ex lege.

2.1.− Secondo la ricorrente tali circostanze lederebbero l’autonomia economico-finanziaria regionale e, di conseguenza, le prerogative costituzionali e statutarie della Regione, di cui agli artt. 7 e 8 dello Statuto d’autonomia ed all’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, determinando (o, comunque pianificando) un ritardo di almeno due anni nel confronto collaborativo con la Regione, il legislatore statale le avrebbe impedito di esercitare la propria autonomia economico-finanziaria garantita dallo statuto speciale, nonché di esercitare la sua competenza in materia di «coordinamento della finanza pubblica», ostacolando anche la rinegoziazione dei contributi vigenti e degli altri strumenti statali che gravano sulle finanze regionali.

La Regione autonoma Sardegna rammenta che il principio di leale collaborazione «richiede un confronto autentico [...] sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche» (sent. n. 154 del 2017) e che «una condotta meramente passiva, che si traduca nell’assenza di ogni forma di collaborazione, si risolverebbe in una inerzia idonea a creare un vero e proprio blocco procedimentale» e costituirebbe un «indubbio pregiudizio per il principio di leale collaborazione e per il buon andamento dell’azione amministrativa» (sent. n. 219 del 2013).

Nel caso di specie, tale effetto sarebbe determinato direttamente dalla legge, che cristallizzerebbe una sorta di «condotta di blocco» certamente illegittima (sull’illegittimità delle «leggi di blocco» si richiama la sentenza n. 198 del 2004).

2.2.− Secondo la ricorrente la violazione del principio di leale collaborazione, di cu agli artt. 5 e 117 Cost., degli articoli 7 e 8 dello Statuto e dell’art. 117, terzo comma, Cost., si verificherebbe anche sotto un diverso profilo, in quanto la legge impugnata non stanzierebbe alcuna somma per finanziare un nuovo accordo, escludendo a priori alcun effettivo margine di negoziabilità, come invece prescritto dalla Corte nella sentenza n. 19 del 2015, e ribadito nella più recente sentenza n. 154 del 2017 (si richiama in particolare il punto 4.4.1 del Considerato in diritto).

L’effettiva possibilità di un negoziato, secondo la ricorrente, sarebbe invece negata dalla norma impugnata, per la semplice ragione che essa non prevederebbe risorse per consentirla, non risultando somme specificamente stanziate nel bilancio dello Stato a copertura di un eventuale accordo con la Regione autonoma Sardegna prima del 2020. Accordo che non potrebbe non tener conto dell’entità economica delle componenti da negoziare previste dalla norma, in particolare l’attuazione della sentenza di questa Corte n. 77 del 2015, il contributo per il ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità e la definizione dei saldi finanziari complessivi tra lo Stato e la Regione medesima.

2.3.− La ricorrente lamenta ulteriormente la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 117 Cost., degli articoli 7 e 8 dello statuto d’autonomia e dell’art. 117, terzo comma, Cost., anche in riferimento all’art. 136 Cost., in quanto lo Stato avrebbe violato quanto imposto con la sentenza n. 154 del 2017 e cioè di stipulare un accordo relativo ai reciproci rapporti economico-finanziari. La ricorrente rammenta che in questa decisione la Corte ha sottolineato che il principio di leale collaborazione «[…] richiede un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria delle regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche».

2.4.− La Regione autonoma Sardegna ritiene altresì violato il principio di leale collaborazione, gli articoli 7 e 8 dello Statuto d’autonomia e l’art. 117, terzo comma, Cost, anche in riferimento al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e all’art. 116 Cost.

Sostiene al riguardo la ricorrente che la somma stanziata di soli 15 milioni di euro (e solamente per l’anno 2019) sarebbe del tutto inidonea a fronteggiare il ritardo nello sviluppo del sistema economico-sociale dell’isola o a compensare lo svantaggio derivante dall’insularità, paragonata alle ingenti somme stanziate nel bilancio regionale 2018. Inoltre, si prosegue, il vizio d’irragionevolezza si coglierebbe anche in forza della contraddittorietà tra lo stanziamento effettuato e le finalità indicate dalla legge, che non sarebbero legate a un singolo intervento, bensì alle più generali necessità collegate allo stato di insularità e al ritardo nello sviluppo economico dell’isola, espressamente riconosciuti dallo stesso legislatore.

Infine, secondo la Regione autonoma Sardegna costituirebbe un elemento sintomatico dell’irragionevolezza della disposizione impugnata la sua particolare esiguità in riferimento all’ammontare dei contributi di finanza pubblica (sia temporanei che indefiniti nel tempo) già imposti alla Regione: evidenzia al riguardo che il contributo di finanza pubblica complessivamente imposto alla Regione per il solo anno 2018 sarebbe pari ad euro 683.996.000. Quanto invece ai contributi di finanza pubblica già oggetto di determinazione unilaterale e preventiva da parte del legislatore statale e in attesa di ripartizione tra le autonomie speciali ai sensi degli artt. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, e 1, commi 392 e seguenti, della legge n. 232 del 2016, la ricorrente espone che il Sottosegretario agli affari regionali, con nota prot. n. 1834 del 31 gennaio 2017, ha formulato per conto dello Stato un’ipotesi di accordo che prevede: con riferimento alla legge di bilancio per il 2016, un concorso alla finanza pubblica pari a 96 milioni di euro per l’anno 2017 e a 137 milioni di euro a decorrere dal 2018; con riferimento alla legge di bilancio per il 2017, un concorso alla finanza pubblica pari a 1,7 milioni di euro per il 2017, a 27,3 milioni di euro per il 2018 e a 81,9 milioni di euro a decorrere dal 2019. La somma dei contributi sarebbe quindi pari a più di 164 milioni di euro per il 2018 ed a più di 218 milioni di euro dal 2019. Il contributo previsto dalla disposizione censurata sarebbe quindi meno del 7 per cento di tali ulteriori oneri, mentre, se si sommassero i contributi di finanza pubblica già imposti alla Regione con quanto previsto dalla menzionata proposta del gennaio 2017, il contributo elargito dallo Stato non arriverebbe all’1,8 per cento di quanto la Regione deve restituire per tali cause.

I suddetti dati renderebbero evidente, per la Regione autonoma Sardegna, l’assoluta irragionevolezza di una previsione di favore di entità irrisoria e tale irragionevolezza ridonderebbe nella lesione dell’autonomia finanziaria regionale, garantita dagli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117, comma 3, Cost.

2.5.− Infine, la Regione ricorrente lamenta altresì la lesione degli artt. 3 e 116 Cost., in riferimento alla violazione del principio di parità di trattamento tra le autonomie speciali, stante il forte disallineamento tra le somme stanziate a favore della Regione autonoma Sardegna e quelle stanziate a favore delle altre autonomie speciali (15 milioni di euro per la ricorrente, 240 milioni di euro in un biennio per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e 265 milioni di euro per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aôste).

Premette al riguardo la ricorrente di non contestare affatto la previsione di adeguati spazi finanziari alle altre autonomie speciali, né di aver alcun interesse a che tali spazi vengano resecati. Parimenti, la medesima riconosce che, all’esito del confronto collaborativo con le diverse autonomie speciali, potrebbero essere stipulati accordi di finanza pubblica di diverso contenuto ed essi potrebbero determinare rapporti finanziari reciproci e altre prerogative d’autonomia differenti tra Regioni.

Motivo della doglianza sarebbe invece il fatto che lo Stato avrebbe programmato le risorse per il comparto delle autonomie speciali dimostrando di essere pronto a stipulare accordi di finanza pubblica, secondo effettivi margini di negoziabilità, solo con alcune di esse, mentre per la Sardegna, per le ragioni già esposte, la disposizione impugnata avrebbe di fatto e di diritto escluso ogni possibilità di effettiva negoziazione dei rapporti economico-finanziari.

Richiama ulteriormente quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 154 del 2017, laddove, rilevando «la peculiarità dell’accordo concluso con le autonomie della Regione autonoma Trentino-Alto Adige», che ha giustificato «l’isolata menzione» di quel solo accordo nella legge di bilancio per il 2016, nondimeno ha ribadito «il principio dell’eguale riconoscimento e della parità di posizione di tutte le autonomie differenziate, rispetto alle richieste di contribuire agli equilibri della finanza pubblica». Sicché, anche se, all’esito delle negoziazioni, si potrebbe determinare l’effetto di accordi aventi «specifici e concreti contenuti» di diverso tenore, la programmazione finanziaria statale dovrebbe comunque garantire «eguale riconoscimento» e «parità di posizione» tra le autonomie speciali.

Diversamente, secondo la Regione autonoma Sardegna, tanto non sarebbe accaduto nel caso di specie, considerando il trattamento riservato alle altre autonomie speciali dalle disposizioni contenute nella medesima legge di bilancio.

La ricorrente menziona, per la sua particolare significanza, il trattamento riservato alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aôste. Osserva in proposito che la struttura della disposizione che concerne detta autonomia speciale (art.1, comma 841 della legge n. 205 del 2017) sarebbe in tutto simile a quella della disposizione impugnata (art.1, comma 851): sono parimenti richiamate le sentenze della Corte n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017 e la previsione normativa sarebbe concepita «nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione». Tuttavia, solo per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aôste è prevista la riduzione degli accantonamenti a suo carico senza limitarsi a prevedere una modesta erogazione aggiuntiva; inoltre, la riduzione è immediatamente operativa e non si rinvia l’intervento all’esercizio 2019.

3.− Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, deducendo la manifesta infondatezza del ricorso.

Il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che la Corte, con la sentenza n. 77 del 2015, ha implicitamente circoscritto temporalmente all’anno 2017 l’efficacia dell’articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), il quale assicura un concorso alla finanza pubblica per l’importo complessivo di 1.575 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, mediante accantonamenti a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Tale limite temporale sarebbe stato successivamente prorogato al 2018 dall’articolo 1, comma 415, della legge n. 190 del 2014. Pertanto, a decorrere dal 2019, il concorso alla finanza pubblica, previsto dall’articolo 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, cesserà di essere dovuto. Il legislatore, prosegue la parte resistente, ferma la piena volontà di applicare correttamente le sentenze della Consulta, si scontrerebbe però con la necessità di considerare gli effetti dirompenti in termini di finanza pubblica, derivanti dall’esecuzione della citata sentenza n. 77 del 2015, in un’ottica che non potrebbe essere scevra dalle valutazioni in merito alle specificità finanziarie delle singole autonomie territoriali.

Il sopravvenuto quadro giuridico recato anche dalle sentenze della Corte n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017 imporrebbe quindi, secondo la difesa erariale, una nuova definizione dei complessivi rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Sardegna e, a tal proposito, il legislatore sarebbe intervenuto medio tempore con l’art. 1, comma 851, della legge n. 205 del 2017.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la disposizione impugnata sarebbe espressione del contemperamento dell’esigenza del coordinamento della finanza pubblica con il rispetto del principio della leale collaborazione: il legislatore, nonostante l’impatto sulla finanza pubblica che dovrà fronteggiare in virtù dell’applicazione della sentenza n. 77 del 2015, avrebbe comunque riconosciuto, per l’anno 2019, alla Regione autonoma Sardegna un contributo di 15 milioni di euro, nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la ricorrente, anche in considerazione del ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità.

Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che tale disposizione, certamente qualificabile come norma di favore per la ricorrente, rappresenterebbe un unicum nella legge di bilancio 2018 – insieme all’art. 1, comma 841, relativo alla riduzione degli accantonamenti nei confronti della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aôste – non essendo rinvenibile un simile atteggiamento del legislatore anche nei confronti delle altre autonomie speciali.

Per tali motivi la parte resistente afferma di non comprendere quale possa essere l’interesse ad agire della ricorrente in un giudizio che mirerebbe a rimuovere una disposizione che in alcun modo comporterebbe effetti peggiorativi per i saldi finanziari della Regione ma che, al contrario, terrebbe anche conto del ritardo nello sviluppo economico della stessa dovuto all’insularità.

3.1.− Quanto all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, che la ricorrente rinviene nella preventiva e unilaterale determinazione del contributo ostativa per un eventuale percorso negoziale, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la norma impugnata contemplerebbe un effettivo margine di negoziabilità dell’importo, che potrà essere concordato nelle successive fasi dialogiche del percorso di definizione dei reciproci rapporti finanziari Stato-Regione. Il legislatore, conscio dell’opportunità di negoziare il carico finanziario richiesto alla Regione autonoma Sardegna, avrebbe quindi adottato una norma dispositiva e quindi derogabile qualora le parti dispongano diversamente; essa non conterrebbe alcuna imposizione unilaterale e preventiva di misure a carico della ricorrente.

In ogni caso, la difesa statale osserva che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, lo Stato non si sarebbe mai sottratto al confronto, come sarebbe dimostrato dalle riunioni tenute presso la Presidenza del Consiglio dei ministri nell’anno 2017, nel corso delle quali, considerate le proposte della Regione ricorrente, non si sarebbe riscontrato un confronto realmente orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria di quest’ultima con gli indefettibili vincoli di finanza pubblica.

3.2.− Per quanto concerne l’asserita esiguità del contributo previsto, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che il relativo importo sarebbe frutto di una valutazione politica, e che la Regione autonoma Sardegna avrebbe realizzato un consistente miglioramento della propria situazione finanziaria, grazie alla modifica dell’ordinamento finanziario previsto, a regime dall’anno 2010, dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)».

Al riguardo, evidenzia che le entrate derivanti dal nuovo ordinamento finanziario risultano incrementate a decorrere dall’anno 2010 di circa 2.830 milioni di euro annui, a fronte di oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale (sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale) pari complessivamente a circa 1.300 milioni di euro, e quindi con un saldo positivo di circa 1.500-1.600 milioni di euro annui.

3.3.− La difesa statale osserva infine che la Regione autonoma Sardegna beneficerebbe – unica tra tutte le autonomie speciali – della restituzione delle riserve istituite per gli anni dal 2014 al 2018 dall’art. l, comma 508, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», con la finalità di assicurare il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano all’equilibrio dei bilanci e alla sostenibilità del debito pubblico, con impatto favorevole per il bilancio regionale pari a circa 240 milioni di euro annui dal 2014 al 2018.

4.− La Regione autonoma Sardegna ha presentato memoria in vista dell’udienza pubblica.

In replica alle deduzioni difensive del Presidente del Consiglio dei ministri la ricorrente contesta che la necessità manifestata dallo Stato di sovvenire ai maggiori oneri recati dalla sentenza della Corte n. 77 del 2015 possa essere tutelata comprimendo la autonomia finanziaria regionale, dato che dallo stesso ordito normativo si sarebbe potuto già dedurre (ed in tal senso si sarebbe limitata la Corte costituzionale a "leggere” il dettato) l’intenzione del legislatore di limitare temporalmente il suddetto contributo di finanza pubblica e che comunque, trattandosi di contributo imposto con legge del 2012 e oggetto della pronuncia della Corte già nel 2015, lo Stato avrebbe avuto numerosi anni di tempo per rimediare al venire meno di tale fonte, senza quindi che tale necessità possa attualmente costituire una valida ragione per congelare i rapporti finanziari con la ricorrente sino a tutto il 2020.

Non sarebbe quindi comprensibile secondo la Regione, come possa oggi lo Stato dolersi di una propria scelta legislativa, erroneamente leggendo la sentenza n. 77 del 2015 quasi come fosse una "sentenza di spesa”. Parimenti, la ricorrente non ritiene comprensibile come tale vicenda normativa e giurisprudenziale, conclusa da tempo, possa essere indicata quale ratio giustificatrice di una previsione che mortificherebbe l’autonomia economico-finanziaria regionale.

4.1.− In merito a quanto affermato dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo il quale la disposizione impugnata sarebbe una «norma di favore» e che la Regione autonoma Sardegna non avrebbe interesse a impugnare, la ricorrente rammenta che, per costante giurisprudenza costituzionale, il giudizio promosso in via principale è condizionato alla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto (sono richiamate le sentenze n. 195, n. 235, n. 237 e n. 245 del 2017) e, quanto alla sussistenza di un interesse attuale e concreto a proporre l’impugnazione, per conseguire, attraverso la pronuncia richiesta, un’utilità diretta e immediata, la Regione autonoma Sardegna richiama quanto esposto in ricorso, laddove si sarebbe evidenziato che tale disposizione precluderebbe la ridefinizione dei rapporti finanziari con lo Stato prima dell’esercizio di bilancio 2020, senza che prima di tale data la ricorrente possa sperare in altri contributi economici oltre i 15 milioni così stanziati.

Da tale effetto prodotto dal comma 851 impugnato, secondo la Regione autonoma Sardegna, si dovrebbe desumere l’interesse ad impugnare della ricorrente, in quanto, si sostiene, l’annullamento di tale disposizione escluderebbe ogni possibilità, per l’amministrazione statale, di rifiutare o ritardare la stipula di un accordo di finanza pubblica con la Regione.

4.2.− La ricorrente evidenzia inoltre che nelle riunioni tecniche finalizzate alla stipulazione di un accordo di finanza pubblica con lo Stato, questi non avrebbe mai manifestato effettivamente l’intenzione di addivenire ad un accordo, non formulando alcuna proposta che recasse sensibili miglioramenti rispetto a quanto prospettato inizialmente e che tenesse conto delle richieste regionali.

4.3.− Infine, in relazione all’obiezione del Presidente del Consiglio dei ministri secondo la quale la fissazione del contributo sarebbe frutto di una valutazione politica, correlata al fatto che la Sardegna avrebbe realizzato un consistente miglioramento della propria situazione finanziaria, grazie alla modifica dell’ordinamento finanziario previsto, a regime dall’anno 2010, dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», la Regione autonoma Sardegna obietta che le entrate tributarie spettanti alla medesima, al netto degli accantonamenti (correlati agli obblighi di finanza pubblica gravanti sulla Regione), non solo non sarebbero aumentate dal 2010, ma sarebbero diminuite di circa 390 milioni di euro, mentre sarebbe in costante aumento il costo netto del servizio sanitario regionale.

5.− Ha presentato memoria anche il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il resistente, richiamate le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione, evidenzia, in ogni caso, che secondo la costante giurisprudenza della Corte sarebbero legittime le riduzioni delle risorse regionali, a condizione che non comportino uno squilibrio tale da compromettere le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, da pregiudicare l’adempimento dei compiti affidati alla Regione e che grava sul deducente l’onere probatorio circa l’irreparabile pregiudizio lamentato, da soddisfarsi dimostrando, anche attraverso dati quantitativi, l’entità dell’incidenza negativa delle riduzioni di provvista finanziaria sull’esercizio delle proprie funzioni.

5.1.− Obietta che l’asserito squilibrio sarebbe illustrato dalla Regione attraverso richiami riferiti a generali considerazioni di tipo quantitativo, senza alcuna illustrazione di dettaglio specifico.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, non assumerebbe alcun rilievo la documentazione depositata successivamente al ricorso laddove i dati sarebbero forniti in forma aggregata e sintetica; essa comunque sarebbe riferita al 2018, e quindi non sarebbe idonea a valutare le modalità di svolgimento del confronto nell’anno 2017.

5.2.− Infine, per quanto concerne l’asserita esiguità del contributo previsto, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia che il relativo importo sarebbe frutto di una valutazione politica che ha tenuto conto dell’evolversi della situazione finanziaria a seguito della modifica dell’ordinamento finanziario regionale, in ragione del quale le entrate derivanti dal nuovo ordinamento finanziario risultano incrementate a decorrere dall’anno 2010 di circa 2.830 milioni di euro annui, a fronte di oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale (sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale) pari complessivamente a circa 1.300 milioni di euro, quindi con un saldo positivo di circa 1.500 - 1600 milioni di euro annui.

Considerato in diritto

1.− Con il ricorso indicato in epigrafe la Regione autonoma Sardegna ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), in riferimento agli artt. 3, 5, 116, 117 e 136 della Costituzione e agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1947, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

L’art. 1, comma 851, della legge n. 205 del 2017 stabilisce che «[n]ell’anno 2019, nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la regione Sardegna che tenga conto, tra l’altro, delle sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017, anche in considerazione del ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità, è riconosciuto alla regione Sardegna un contributo pari a 15 milioni di euro».

1.1.– La ricorrente lamenta che la disposizione impugnata riconosce per l’intero triennio 2018-2020 un contributo economico pari a euro 15.000.000,00.

Si tratterebbe di una somma particolarmente esigua, sia in raffronto a quanto riconosciuto dalla medesima legge di bilancio in favore delle Regioni autonome Valle d’Aosta e Friuli-Venezia Giulia e della Regione siciliana, sia con riguardo ai contributi di finanza pubblica che la Regione autonoma Sardegna versa allo Stato in forza della legislazione vigente. Essi sarebbero pari per il 2018 a euro 683.996.000,00 «oltre a quelli, pari a circa 600 milioni di euro in un triennio, che […] sono ancora sul tavolo della negoziazione tra le parti, in quanto previsti dall’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, nonché dall’art. 1, commi 392 segg., della legge n. 232 del 2016».

Dato che il contributo previsto dalla norma impugnata è riconosciuto «nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la regione Sardegna», risulterebbe evidente come tale erogazione sia destinata a precedere la ridefinizione dei rapporti economici tra le parti, ridefinizione che non potrebbe aversi e che, comunque, non potrebbe sortire effetti prima della fine del triennio.

Ciò starebbe a significare che lo Stato, attraverso questa disposizione: a) avrebbe prorogato per il triennio la situazione di mancato adeguamento delle risorse spettanti alla Regione autonoma Sardegna previste dallo statuto speciale e dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), a fini di riequilibrio dell’insularità; b) avrebbe rifiutato la stipula di accordi di finanza pubblica con la Regione autonoma fino alla fine del triennio; c) avrebbe unilateralmente e definitivamente escluso per le annualità 2018 e 2020, e fissato in soli euro 15.000.000,00 per l’annualità 2019, il proprio contributo in favore della Regione autonoma Sardegna, pur riconoscendone espressamente le peculiari difficoltà economiche; d) non avrebbe in alcun modo tenuto conto dei contributi di finanza pubblica già imposti alla Regione, nonché del contributo di finanza pubblica tuttora da definire nel dettaglio ai sensi dell’art. 1, comma 680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», e dell’art. 1, commi 392 e seguenti, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), secondo l’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 154 del 2017.

Da tali considerazioni si ricaverebbe che, prima della fine del triennio, non vi sarebbe alcuno spazio di effettiva negoziabilità nei rapporti fra Stato e Regione. Inoltre, ogni richiesta regionale di rinegoziare le riserve, gli accantonamenti e i contributi sine die o imposti su profili di spesa non cofinanziati, attualmente previsti a carico della Regione autonoma Sardegna, sarebbe preclusa ex lege, in difformità dagli orientamenti più volte espressi da questa Corte.

Il concreto pregiudizio derivante dalla mancata restituzione delle riserve erariali e da contributi, accantonamenti e ritardi nel riconoscimento dell’insularità contrasterebbe con l’autonomia economico-finanziaria regionale, presidiata dalle norme statutarie e da quelle costituzionali.

Lo Stato, in tal modo, si sottrarrebbe a un autentico confronto, necessario affinché «ciascuna delle parti coinvolte [sia astretta da] un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche» (vengono a tal fine citate le sentenze n. 154 del 2017, n. 82 e n. 19 del 2015 di questa Corte).

Nel caso di specie la legge impugnata realizzerebbe una sorta di "condotta di blocco” del procedimento di accordo, costituzionalmente illegittima (viene in proposito richiamata la sentenza n. 198 del 2004 di questa Corte).

In forza dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale (viene citata la sentenza n. 19 del 2015 di questa Corte), la preventiva e unilaterale determinazione del contributo delle autonomie speciali alla manovra di finanza pubblica, per essere conforme a Costituzione e compatibile con gli statuti d’autonomia, dovrebbe lasciare un effettivo «margine di negoziabilità» alle Regioni autonome, da svilupparsi in tempi ragionevoli.

Malgrado i tempi risalenti del nascere della questione, non vi sarebbero «somme specificamente stanziate nel bilancio dello Stato a copertura di un eventuale accordo con la Regione Sardegna prima del 2020», se non il citato, saltuario, contributo di euro 15.000.000,00 per il solo esercizio 2019.

La ricorrente richiama quanto affermato da questa Corte, con la sentenza n. 154 del 2017, riguardo al principio di leale collaborazione: esso «richiede un confronto autentico, orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria delle regioni con l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie fasi dialogiche». Nel caso di specie, per le ragioni sopra illustrate, risulterebbe giuridicamente impossibile per la ricorrente formulare proposte in termini di finanza pubblica, in quanto lo Stato, in forza della specifica disposizione impugnata, si sarebbe radicalmente sottratto al confronto con la Regione autonoma Sardegna.

Alla luce di quanto esposto, la norma impugnata contrasterebbe anche con l’art. 136 Cost., per violazione del giudicato costituzionale.

Essa violerebbe altresì il principio di ragionevolezza: l’esiguo stanziamento, per il solo esercizio 2019, non potrebbe essere utilmente impiegato in un’azione di sistema per garantire lo svolgimento delle funzioni regionali, fronteggiare il ritardo nello sviluppo economico-sociale dell’isola e compensare lo svantaggio derivante dall’insularità.

La Regione ricorrente richiama dati analitici del proprio bilancio per raffrontarli, sotto il profilo quantitativo, alla lamentata esiguità del contributo, evidenziandone l’intrinseca irragionevolezza in relazione alla «contraddittorietà tra lo stanziamento effettuato e le finalità indicate dalla legge, che non sono legate a un singolo intervento, bensì alle più generali necessità collegate allo stato di insularità e al ritardo nello sviluppo economico dell’isola, espressamente riconosciuti dallo stesso legislatore».

Infine, costituirebbe un elemento sintomatico dell’irragionevolezza della disposizione impugnata la sua particolare esiguità in riferimento all’ammontare dei contributi di finanza pubblica (sia temporanei che indefiniti nel tempo) imposti alla ricorrente, nonché all’ammontare dei contributi di finanza pubblica già oggetto di determinazione unilaterale e preventiva da parte del legislatore statale e in attesa di ripartizione tra le autonomie speciali, ai sensi degli artt. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015 e 1, commi 392 e seguenti, della legge n. 232 del 2016. Il contributo erogato dallo Stato per l’esercizio 2019 costituirebbe appena il due per cento del contributo alla finanza pubblica imposto alla Regione autonoma per il 2018, pari a euro 683.996.000,00.

Risulterebbe parimenti evidente la lesione dell’autonomia finanziaria della Regione autonoma Sardegna, confrontando il contributo attribuitole per il 2019 con quelli ottenuti dalle altre autonomie speciali per il triennio di programmazione 2018-2020.

Per i suddetti motivi la norma impugnata sarebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 116 Cost., con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., con l’art. 117, terzo comma, Cost. (coordinamento della finanza pubblica) e con gli artt. 7 e 8 dello statuto reg. Sardegna. Inoltre, violerebbe l’art. 136 Cost., con riferimento alle sentenze n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017.

1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene l’infondatezza del ricorso, evidenziando come la sentenza n. 77 del 2015 di questa Corte abbia circoscritto temporalmente l’efficacia dell’art. 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, in relazione all’art. l, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», cosicché il contributo prescritto a carico delle autonomie speciali, e con esso l’accantonamento, sarebbe cessato nel 2017, limite temporale successivamente prorogato al 2018 dall’art. l, comma 415, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».

A decorrere dal 2019, secondo la sentenza n. 77 del 2015 di questa Corte, il contributo alla finanza pubblica previsto dall’art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 dovrebbe cessare, mentre a decorrere dall’anno 2019 il concorso alla finanza pubblica di tutte le autonomie speciali, con l’eccezione della Regione autonoma Trentino Alto-Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e Bolzano, definito con specifico accordo, sarebbe complessivamente pari a euro 1.260.000.000,00 annui. Nulla escluderebbe che tutti detti enti possano rivendicare una rideterminazione del concorso in virtù del sopravvenuto quadro giuridico: in tal caso l’effetto finanziario della sentenza n. 77 del 2015 ammonterebbe a euro 1.575.000.000,00 annui a decorrere dall’anno 2019.

Il legislatore, ferma la piena volontà di applicare correttamente le sentenze di questa Corte, si scontrerebbe con la necessità di considerare gli effetti dirompenti, in termini di finanza pubblica, derivanti dalla citata sentenza n. 77 del 2015, in un’ottica che «non può essere scevra dalle valutazioni in merito alle specificità finanziarie delle singole autonomie territoriali».

In tale contesto, il Ministro dell’economia e delle finanze, per effetto dell’art. 17, comma 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), dovrebbe assumere le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell’art. 81 Cost. e quindi di garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica.

Se, da un lato, la lettura dell’art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, secondo la sentenza n. 77 del·2015 di questa Corte, indurrebbe a ritenere il concorso alla finanza pubblica cessato a decorrere dal 2019, dall’altro, la successiva sentenza n. 154 del 2017 avrebbe confermato il potere dello Stato di prevedere il concorso alla finanza pubblica anche a carico delle autonomie speciali.

Il quadro giuridico derivante dalle evocate pronunce imporrebbe una nuova definizione dei complessivi rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Sardegna, come sarebbe confermato dalla formulazione dell’art. l, comma 851, della legge n. 205 del 2017.

La norma impugnata rappresenterebbe il contemperamento «sia dell’esigenza del coordinamento della finanza pubblica ex articolo 117, terzo comma, sia del rispetto del principio della leale collaborazione. Invero, il legislatore, nonostante il dirompente impatto in termini di finanza pubblica a cui è chiamato a far fronte in virtù dell’applicazione della sentenza n. 77 del 2015, ha comunque riconosciuto, per l’anno 2019, alla regione Sardegna un contributo di 15 milioni di euro, nelle more della definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la ricorrente, anche in considerazione del ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità».

Tale disposizione sarebbe norma di favore per la ricorrente, «non essendo rinvenibile un simile atteggiamento del legislatore anche nei confronti delle altre autonomie speciali. Non si comprende infatti quale possa essere l’interesse ad agire della ricorrente in un giudizio che mira a demolire una disposizione che in alcun modo comporta effetti peggiorativi per i saldi finanziari della Regione ma che, al contrario, tiene conto del ritardo nello sviluppo economico della stessa dovuto all’insularità».

La normativa sarebbe conforme al principio consensualistico inerente alle manovre di finanza pubblica, poiché i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio dell’accordo, inteso, tuttavia, come vincolo di metodo, e non già di risultato, e declinato nella forma della leale collaborazione, dovendo le parti porre in essere un confronto autentico e realmente orientato al superiore interesse pubblico di conciliare, nei limiti del possibile, l’autonomia finanziaria della Regione con gli indefettibili vincoli di finanza pubblica, nel rispetto di quelli europei.

Il metodo dell’accordo, secondo il resistente, dovrebbe essere quindi concepito come uno strumento di bilanciamento tra l’autonomia finanziaria degli enti territoriali e l’esigenza di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica che anche le Regioni speciali sono tenute a osservare per preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche, anche per garantire l’unità economica della Repubblica: «[n]el considerare sia gli equilibri di finanza pubblica sia la necessità di addivenire alla stipula di una intesa con la regione Sardegna, il legislatore ha ritenuto opportuno riconoscere medio tempore un contributo, previsto esclusivamente a titolo di acconto, nei limiti della disponibilità finanziaria. La norma contempla un effettivo margine di negoziabilità dell’importo, che potrà essere concordato nelle successive fasi dialogiche del percorso di definizione dei reciproci rapporti finanziari Stato-Regione».

Sarebbero inconferenti i richiami operati dalla ricorrente alle sentenze di questa Corte in materia di accordi Stato-Regioni, nonché le argomentazioni relative alle ipotesi di concorso alla finanza pubblica, perché, nel caso di specie, non sarebbe stata prevista alcuna imposizione unilaterale e preventiva di misure a carico della ricorrente.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, lo Stato non si sarebbe sottratto al confronto, «come dimostrato dalle riunioni tenute presso la Presidenza del Consiglio nell’anno 2017, nel corso delle quali, considerate le proposte della Regione, non si è riscontrato un confronto realmente orientato al superiore interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria della Regione con gli indefettibili vincoli di finanza pubblica».

Per quanto concerne l’asserita esiguità del contributo previsto, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la quantificazione dello stesso sarebbe frutto di una valutazione politica, in quanto la Regione autonoma Sardegna avrebbe realizzato un consistente miglioramento della propria situazione finanziaria: «[l]e entrate derivanti dal nuovo ordinamento finanziario risultano incrementate a decorrere dall’anno 2010 di circa 2.830 milioni di euro annui, a fronte di oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale (sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale) pari complessivamente a circa 1.300 milioni di euro, con un saldo positivo di 1.500/1600 milioni di euro annui».

La Regione, inoltre, avrebbe beneficiato, unica tra tutte le autonomie speciali, «della restituzione delle riserve istituite per gli anni dal 2014 al 2018 dall’articolo l, comma 508, della legge n. 147 del 2013 […] con impatto favorevole per il bilancio regionale pari a circa 240 milioni di euro annui dal 2014 al 2018».

2.– Ai fini dello scrutinio di ammissibilità del ricorso e dello scrutinio di merito delle questioni proposte, è utile ricordare, sotto il profilo storico, normativo e giurisprudenziale, le tappe della cosiddetta "vertenza entrate” della Regione autonoma Sardegna, da cui prende le mosse l’impugnativa.

Dopo una consensuale istruttoria finanziaria svolta di concerto con la Ragioneria generale dello Stato e culminata nell’emanazione dell’art. 1, commi 836 e 837, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», la Regione autonoma Sardegna ha assunto a proprio carico, con risorse provenienti interamente dal proprio bilancio, il finanziamento del Servizio sanitario, del trasporto pubblico locale, nonché delle funzioni relative alla continuità territoriale.

È stato, inoltre, assoggettato a revisione l’ordinamento finanziario regionale, disciplinato dall’art. 8 dello Statuto di autonomia, al fine di rendere attuale lo strumento di garanzia dell’autonomia economico-finanziaria della Regione, in coerenza con le riforme della fiscalità che avevano reso inadeguata la precedente compartecipazione ai tributi erariali. Con l’art. 1, comma 834, della stessa legge n. 296 del 2006, il legislatore, attraverso il procedimento previsto dall’art. 54 dello statuto di autonomia, ha modificato l’art. 8 del medesimo statuto, aumentando la citata compartecipazione.

Contestualmente, lo Stato ha devoluto alla Regione ulteriori euro 25.000.000,00 (comma 835), a fronte, come detto, del finanziamento integrale del sistema sanitario nazionale sul territorio sardo, «senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato» (comma 836), e ha trasferito alla Regione anche «le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuità territoriale» (comma 837).

Il comma 838 ha fissato un "tetto” progressivo agli oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato per l’attuazione del nuovo art. 8 dello statuto reg. Sardegna per le annualità 2007 (euro 344.000.000,00), 2008 (euro 371.000.000,00) e 2009 (euro 482.000.000,00), specificando che la nuova compartecipazione della Regione autonoma Sardegna al gettito dei tributi erariali sarebbe entrato a regime dall’anno 2010.

Successivamente all’entrata in vigore del riformato art. 8 dello statuto di autonomia, è sorta una vasta controversia tra la medesima Regione e lo Stato, concernente la relativa attuazione. In sintesi, il contenzioso ha riguardato i seguenti profili: a) la mancata esecuzione del riformato art. 8, attraverso la stipula di un accordo relativo alla capacità di spesa regionale nel contesto del Patto di stabilità interno. Con ricorso per conflitto di attribuzione iscritto al r. confl. enti n. 8 del 2011, la Regione autonoma Sardegna ha censurato la mancata attuazione del suddetto art. 8 per la parte inerente alla riscossione delle maggiori compartecipazioni a fronte dell’avvenuta imposizione del contributo finalizzato al rispetto, in termini macroeconomici, del patto di stabilità. Il conflitto è stato dichiarato inammissibile in quanto «[u]na lettura corretta della nota della RGS dimostra che lo Stato non ha inteso sottrarsi all’accordo attraverso una controproposta chiusa al successivo confronto con la Regione, che possa intendersi come "imposizione” o presa di posizione in senso preclusivo al raggiungimento di un atto consensuale. Lo Stato si è mantenuto nell’ambito delle proprie prerogative costituzionali, non eccedendo dai propri poteri in materia di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 118 del 2012). Con la medesima pronuncia è stato precisato, tuttavia, che l’accordo tra le parti «non potrà che realizzarsi all’interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell’art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell’art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilità 2011 (tabella 1 allegata all’art. 1, comma 131, della legge n. 220 del 2010). È infatti di palmare evidenza che proprio il principio inderogabile dell’equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell’entrata. Le norme richiamate costituiscono, nel loro complesso, il quadro normativo di riferimento della finanza regionale della Sardegna. Il combinato delle suddette disposizioni in materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma»; b) la possibilità per la Regione di procedere autonomamente all’accertamento delle proprie competenze fiscali e in particolare quelle derivanti dal riformato art. 8. Per tale finalità è stato emanato l’art. 3, comma 1, della legge reg. 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori di intervento), che autorizzava l’ente a stimare contabilmente le entrate da compartecipazione in modo autonomo, sulla base degli indicatori disponibili relativi ai gettiti tributari. La sentenza n. 99 del 2012 di questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri avverso tale norma, ritenendo che esso, «pur evocando gli articoli 4, 5 e 56 dello statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali alla Regione non dovrebbe spettare il potere di quantificare l’ammontare delle compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il bilancio di previsione. Né si fa menzione dell’articolo 7 dello statuto che, secondo la difesa regionale, garantisce l’autonomia finanziaria e contabile, nell’esercizio della quale, sempre secondo la difesa, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo art. 8 dello statuto, è stata emanata la norma impugnata, per consentire che fosse predisposto il bilancio regionale». Con la medesima pronuncia si è precisato che «[n]eppure il ricorrente spiega quali norme di attuazione si renderebbero necessarie per dare applicazione al nuovo art. 8 dello statuto, che determina la quota di tributi da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione. […] Manca, dunque, da parte del ricorrente una sufficiente motivazione a sostegno dell’asserita necessità che il nuovo art. 8 dello statuto richieda di essere attuato con la procedura di cui all’art. 56»; c) la mancata liquidazione alla Regione delle maggiori somme derivanti dal rinnovato regime di compartecipazione, se non previa adozione di norme d’attuazione statutaria. Per detto profilo questa Corte, pur dichiarando inammissibile un conflitto avverso l’inerzia serbata dallo Stato nel liquidare integralmente tutte le somme dovute, ha rivolto un severo monito allo Stato stesso affinché si attivasse con particolare sollecitudine per dare piena esecuzione al novellato art. 8 dello statuto reg. Sardegna. Infatti, la sentenza n. 95 del 2013 ha dichiarato il conflitto inammissibile perché «[l]a Nota [all’origine del conflitto] non contiene alcun elemento da cui si possa evincere la volontà dello Stato di negare alla Regione le entrate dovute. La valenza lesiva della Nota, in assenza di indizi significativi derivanti dal tenore testuale dell’atto, sarebbe desumibile, secondo la Regione, dal contesto e dai comportamenti complessivi dello Stato. Tuttavia è proprio il contesto, attentamente esaminato, che non consente di leggere l’atto impugnato come segno inequivocabile di un comportamento omissivo concludente, idoneo, in quanto tale, a negare le attribuzioni costituzionali della ricorrente (sentenza n. 276 del 2007)». Tale pronuncia è stata accompagnata da un forte monito allo Stato: «[i]ndubbiamente l’inerzia statale troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse determinate a norma dello statuto. Pur prendendo atto, come afferma la ricorrente, che il ritardo accumulato sta determinando una emergenza finanziaria in Sardegna, non si può ritenere, tuttavia, che la Nota impugnata, con la quale si immette nella disponibilità della Regione una quota delle somme rivendicate, rappresenti un atto lesivo delle attribuzioni regionali; d) l’inclusione di alcune specifiche tipologie di entrata nella clausola residuale di cui alla riformata lettera m) dell’art. 8 dello statuto (che assegna alla Regione i «sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici»); e) l’imposizione, da parte del legislatore statale, di contributi di finanza pubblica in capo alla Regione autonoma Sardegna, in via unilaterale e nelle more dell’effettiva entrata a regime del nuovo sistema di compartecipazione. Con riguardo a tale contenzioso questa Corte ha affermato che, nei confronti delle autonomie speciali, oneri nelle forme di generali contributi di finanza pubblica possono essere imposti in via definitiva solo attraverso il metodo pattizio, che deve essere sempre osservato, mentre in via unilaterale lo Stato può anticipare misure di contenimento quando la tempistica anticipata del Documento di economia e finanza (DEF) non consente indugi nella definizione del concorso al rispetto dei vincoli di finanza nazionali ed europei da parte delle autonomie territoriali (in tal senso, sentenze n. 154 del 2017, n. 155 e n. 19 del 2015).

Oltre a quanto precede, è utile rammentare quanto in generale affermato da questa Corte in tema di relazioni finanziarie tra Stato e autonomie speciali, vale a dire che i vincoli di finanza pubblica devono comunque consentire l’esercizio dell’autonomia regionale nell’allocazione delle risorse, pur nel rispetto del generale obiettivo di risparmio (sentenza n. 82 del 2007), devono essere limitati nel tempo e, di regola, non sono consentite proroghe, cosicché l’estensione dei contributi di finanza pubblica può intervenire solo attraverso una nuova e integrale valutazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione (sentenza n. 154 del 2017). Lo Stato può anticipare gli effetti positivi dei contributi di finanza pubblica attraverso i cosiddetti "accantonamenti”, che sono – per intrinseca definizione – provvisori e da assoggettare a conguaglio nel momento in cui siano maturate e specificate le condizioni di legge sulla base delle quali sono stati disposti (sentenze n. 188 del 2016 e n. 77 del 2015). Deve, comunque, sempre essere consentita la possibilità di intraprendere la via pattizia per regolare, anche a esercizio di bilancio inoltrato, le relazioni finanziarie tra Stato e autonomie territoriali (sentenza n. 19 del 2015). Sono consentite, in conformità ai limiti indicati negli statuti e nelle norme di attuazione statutaria, riserve erariali, ovverosia prelievi diretti a valere sulle risorse compartecipate (sentenza n. 241 del 2012).

2.1.– Il Ministero dell’economia e delle finanze e la Regione autonoma Sardegna hanno stipulato, in data 21 luglio 2014, un "accordo in materia di finanza pubblica”, con il quale si sono regolati i seguenti elementi del rapporto economico-finanziario tra Stato e Regione: fissazione del livello massimo di spesa regionale per l’anno 2013 (art. 1, comma 1); certificazione del rispetto del patto di stabilità regionale per l’anno 2013 (art. 1, comma 2); determinazione dell’obiettivo programmatico per la finanza regionale per l’anno 2014 (art. 2); determinazione del vincolo di bilancio per la Regione ai sensi dell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), e corrispondente non applicabilità, per la Regione autonoma Sardegna, delle non compatibili disposizioni di legge in materia di patto di stabilità (art. 3); determinazione del sistema di controllo sulla finanza regionale (monitoraggio, certificazione e relative sanzioni) (art. 4); composizione stragiudiziale del contenzioso in materia di finanza pubblica o, in caso di soluzione giudiziaria, limitazione agli effetti positivi a favore della Regione per un triennio (art. 5); recepimento, da parte della Regione, delle disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili (art. 6).

Alcune clausole dell’accordo sono state recepite dallo Stato, tramite la loro trasposizione nei commi da 9 a 12 dell’art. 42 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n. 164, i quali dispongono: «9. Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, in applicazione della normativa vigente e dell’Accordo sottoscritto il 21 luglio 2014 fra il Ministro dell’economia e delle finanze ed il Presidente della Regione Sardegna, l’obiettivo di patto di stabilità interno della Regione Sardegna, di cui al comma 454 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, è determinato in 2.696 milioni di euro per l’anno 2014. Dall’obiettivo 2014 sono escluse le sole spese previste dalla normativa statale vigente e le spese per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale erogati da Trenitalia s.p.a. 10. A decorrere dall’anno 2015 la Regione Sardegna consegue il pareggio di bilancio come definito dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012. A decorrere dal 2015 alla Regione Sardegna non si applicano il limite di spesa di cui al comma 454 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 e le disposizioni in materia di patto di stabilità interno in contrasto con il pareggio di bilancio di cui al primo periodo. Restano ferme le disposizioni in materia di monitoraggio, certificazione e sanzioni previsti dai commi 460, 461 e 462 dell’articolo 1 della citata legge 24 dicembre 2012, n. 228. 11. Non si applica alla Regione Sardegna quanto disposto dagli ultimi due periodi del comma 454 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228. 12. La Regione Sardegna nel 2014 non può impegnare spese correnti, al netto delle spese per la sanità, in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nel triennio 2011-2013. Nell’ambito della certificazione di cui al comma 461 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la regione comunica al Ministero dell’economia e delle finanze il rispetto del predetto limite».

Nel dicembre del 2015, lo Stato e la Regione autonoma Sardegna sono addivenuti a un’ulteriore intesa, denominata «accordo [...] per il coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del procedimento di attuazione dell’art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3». Con tale intesa le parti hanno specificato alcune componenti delle compartecipazioni erariali di cui all’art. 8 dello statuto e hanno convenuto che «il saldo del maggior gettito spettante alla Regione per gli anni dal 2010 al 2015 in conseguenza dell’adozione del decreto legislativo di attuazione dell’art. 8 della legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3, rispetto all’importo già attribuito, è erogato alla medesima in 4 annualità costanti a decorrere dall’anno 2016» (art. 3).

Contestualmente, la «commissione paritetica», istituita ai sensi dell’art. 56 dello statuto speciale, ha licenziato il testo delle norme di attuazione del novellato art. 8 del medesimo statuto, recepito dal decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione autonoma Sardegna - legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di entrate erariali regionali).

Nelle more della stipula dell’accordo la Regione autonoma Sardegna è stata sottoposta a numerosi contributi di finanza pubblica vecchi e nuovi, alcuni dei quali non corredati da espressi limiti temporali di applicazione. Presentano particolare problematicità, sotto tale profilo, alcune disposizioni per le quali la ricorrente specifica l’elevato importo, estrapolandolo da norme caratterizzate nella legge da una quantificazione complessiva inerente a tutte le autonomie speciali, non analiticamente ripartite.

La ricorrente, senza che sul punto il resistente abbia eccepito alcunché (anzi, nel caso delle somme conseguenti alla sentenza n. 77 del 2015, avvalorando la mancata ripartizione legislativa), richiama in particolare: l’art. 15, comma 22, del d.l. n. 95 del 2012, l’art. 1, comma 132, della legge n. 228 del 2012 e l’art. 1, comma 481 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», che hanno determinato per il periodo 2012-2017 contributi di finanza pubblica pari a complessivi euro 475.998.000,00; l’art. 16, comma 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, che ha determinato per il periodo 2012-2017 contributi di finanza pubblica pari a complessivi euro 1.428.404.000; l’art. 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha determinato per il periodo 2012-2017 contributi di finanza pubblica pari a complessivi euro 903.303.000.

Vi sono poi altri contributi a carico della medesima Regione, previsti dall’art. 1, comma 526, della legge n. 147 del 2013; dall’art. 1, comma 400, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»; dall’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015.

3.– Alla luce di quanto precedentemente richiamato, deve essere respinta l’eccezione di carenza di interesse ad agire formulata dall’Avvocatura generale dello Stato in ordine alla pretesa carenza di interesse a impugnare una norma di favore, in quanto latrice di un beneficio finanziario per la Regione autonoma ricorrente.

La prospettazione della Regione autonoma Sardegna, infatti, è ben chiara nell’individuare l’effetto lesivo della norma, che pregiudicherebbe, almeno per l’intero triennio di bilancio, l’adeguamento delle risorse finanziarie spettanti e il conseguente adeguato finanziamento delle funzioni statutariamente assegnate.

L’esiguo contributo, limitato all’esercizio 2019, sarebbe lo strumento tecnico per eludere e dilazionare nel tempo l’accordo complessivo sui saldi, in ordine al quale la Regione autonoma Sardegna rivendica crediti di ben più ampia consistenza.

L’assunto della ricorrente non costituisce l’unica possibile interpretazione della norma impugnata, ma non è certamente implausibile. La giurisprudenza costituzionale ritiene ammissibile tale prospettazione «poiché, nel giudizio in via principale, devono essere esaminate anche le lesioni in ipotesi derivanti da [accezioni polisense] delle disposizioni impugnate» (sentenza n. 270 del 2017).

L’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, circa una presunta carenza di interesse alla proposizione del ricorso, va dunque rigettata, perché, nel caso di specie, deve escludersi una valutazione d’implausibilità prima facie della lettura offerta dalla ricorrente.

Sempre in via preliminare, va esaminata l’ammissibilità delle censure prospettate con riguardo all’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità. La giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che nei giudizi in via principale le Regioni sono legittimate a denunciare la violazione dei parametri riguardanti il riparto di competenze tra esse e lo Stato e possono evocarne altri soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni costituzionalmente garantite (ex multis, sentenze n. 13 del 2017 e n. 29 del 2016). Nella specie le censure proposte sono adeguatamente motivate per dimostrare la ridondanza dei profili di irragionevolezza e sproporzione sull’autonomia organizzativa e di spesa della Regione autonoma Sardegna.

Tuttavia, l’ammissibilità delle questioni promosse dalla Regione e il relativo petitum devono essere circoscritti alle statuizioni della norma contestata, non potendosi estendere alle pretese lesioni o menomazioni di specifiche attribuzioni regionali ascrivibili all’attuazione di norme diverse o a comportamenti omissivi dello Stato. Tali doglianze potrebbero essere, semmai, ove ne ricorrano i presupposti, oggetto di un conflitto di attribuzioni, non di un ricorso in via principale, come nel caso di specie.

4.– Tanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla Regione autonoma Sardegna sono fondate, nei limiti e nei termini successivamente specificati, in riferimento agli artt. 3, 5 e 116 Cost. nonché 7 e 8 dello statuto speciale.

Come già precisato, il petitum del presente giudizio deve essere circoscritto alle statuizioni della norma impugnata senza estendersi a pretese lesioni o menomazioni di specifiche attribuzioni regionali – pure adombrate nel ricorso della Regione autonoma Sardegna – ascrivibili alle modalità attuative di altre norme o a comportamenti omissivi dello Stato.

Secondo tale criterio di scrutinio, le doglianze da prendere in considerazione risultano delimitate all’evidente incoerenza tra la finalità della norma e le risorse stanziate per il triennio 2018-2020, alla mancata perequazione delle criticità insulari, al mancato stanziamento delle somme necessarie all’attuazione della sentenza n. 77 del 2015 di questa Corte.

4.1.– Sotto gli esposti profili è indubbio che la norma impugnata leda le competenze regionali, poiché sottrae alla programmazione triennale della stessa Regione autonoma una cospicua quantità di risorse ben superiore alla somma di euro 15.000.000,00, che – per di più – è riferita al solo esercizio 2019.

Che si tratti di una quantità di risorse incongruente con il fisiologico finanziamento delle funzioni regionali si evince da diversi e concordanti elementi: a) la lunga vicenda del contenzioso che non è mai stata definita secondo i canoni che questa Corte aveva individuato fin dal suo insorgere (già con la sentenza n. 118 del 2012 precedentemente richiamata); b) la mancata ridefinizione delle relazioni tra Stato e Regione autonoma Sardegna secondo i criteri fissati dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009; c) il permanere di contributi e accantonamenti risalenti a pregressi esercizi finanziari automaticamente riproposti senza passare attraverso l’autonoma istruttoria che dovrebbe corredare ciascuna manovra di finanza pubblica, quando alle autonomie territoriali venga richiesto di concorrere alla sostenibilità del debito nazionale e al rispetto dei vincoli di finanza pubblica (sentenza n. 154 del 2017); d) le stesse ammissioni dell’Avvocatura generale dello Stato in ordine alla mancata attuazione – a oltre tre anni dalla sua pubblicazione – della sentenza n. 77 del 2015 in tema di accantonamenti a carico degli enti territoriali.

4.1.1.– Circa la lunga vicenda della vertenza entrate, è sintomatico che nel negoziato tra le parti non siano mai state dedotte le componenti dell’entrata e della spesa necessarie per quantificare in modo ragionevole e proporzionato la dimensione del bilancio regionale necessaria per il corretto esercizio delle competenze della Regione autonoma Sardegna. Ciò in contrasto con la stessa sentenza n. 118 del 2012, ove si è precisato che l’accordo tra le parti «non potrà che realizzarsi all’interno dello spazio finanziario delimitato, in modo compensativo, dalle maggiori risorse regionali risultanti dalla entrata in vigore dell’art. 8 dello statuto (con decorrenza dal 1° gennaio 2010 per effetto dell’art. 1, comma 838, della legge n. 296 del 2006) e dalla riduzione della spesa conseguente alla applicazione del patto di stabilità 2011 (tabella 1 allegata all’art. 1, comma 131, della legge n. 220 del 2010). È infatti di palmare evidenza che proprio il principio inderogabile dell’equilibrio in sede preventiva del bilancio di competenza comporta che non possono rimanere indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell’entrata. Le norme richiamate costituiscono, nel loro complesso, il quadro normativo di riferimento della finanza regionale della Sardegna. Il combinato delle suddette disposizioni in materia di entrata e spesa compone dunque la disciplina delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma». Principi, questi ultimi, successivamente più volte ribaditi (ex multis, sentenze n. 154 del 2017, n. 188 del 2016 e n. 19 del 2015).

È evidente che – proprio in ragione della necessaria proporzione tra risorse e funzioni – le rilevanti modifiche alla parte finanziaria dello statuto speciale intervenute nel 2006, la mancata attuazione dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, la lunga crisi finanziaria che ha colpito l’economia nazionale (e, fra le emergenze con più alta intensità, proprio quella della Regione autonoma Sardegna, come evidenziato dai dati riportati dalla ricorrente), lo stillicidio di norme che, a vario titolo (contributi, accantonamenti, riserve, eccetera), hanno inciso sulle entrate regionali, dovevano essere adeguatamente ponderati nel complesso dell’economia del bilancio regionale, per verificare se il coacervo delle molteplici statuizioni legislative consentisse, di anno in anno, un adeguato finanziamento delle funzioni assegnate.

Se, infatti, possono essere adottate, senza violare la Costituzione, riduzioni delle risorse spettanti alle Regioni, il limite intrinseco di tale processo riduttivo è l’impossibilità di svolgere correttamente le funzioni e «[c] vale tanto più in presenza di un sistema di finanziamento che non è mai stato interamente e organicamente coordinato con il riparto delle funzioni, così da far corrispondere il più possibile, come sarebbe necessario, esercizio di funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di risorse, in termini di potestà impositiva (correlata alla capacità fiscale della collettività regionale), o di devoluzione di gettito tributario, o di altri meccanismi di finanziamento, dall’altro. Più in generale, la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso che la legge dello Stato possa, nell’ambito di manovre di finanza pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché appunto non tali da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa regionale (cfr. sentenze n. 307 del 1983, n.123 del 1992 e n. 370 del 1993)» (sentenza n. 138 del 1999).

È stato affermato da questa Corte (sentenza n. 154 del 2017) che la proporzionalità e la conseguente conformità a Costituzione dei prelievi a carico delle autonomie territoriali sono strettamente dipendenti dal sincronico raffronto con le singole manovre di finanza pubblica che li dispongono, dovendosi evitare – come avvenuto nel caso in esame – il consolidamento automatico di contributi e accantonamenti assunti in contesti economici inerenti a pregressi esercizi.

4.1.2.– In relazione alla mancata ridefinizione delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Sardegna secondo i canoni fissati dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, va sottolineato come, a quasi dieci anni dall’emanazione di tale legge, il problema dell’insularità non sia mai stato preso in considerazione ai fini di ponderare complessivamente le componenti di entrata e di spesa dell’autonomia territoriale ricorrente. Eppure lo schema di revisione delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Sardegna previsto dall’art. 27 detta – come appresso più analiticamente specificato – criteri sufficientemente chiari per risolvere questioni a tutt’oggi ancora non definite.

4.1.3.– Per quel che riguarda, infine, la restituzione degli accantonamenti in conformità alle statuizioni della sentenza n. 77 del 2015, è biasimevole che detta sentenza non sia stata a oggi attuata.

Tale pronuncia aveva fornito una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 16, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, interpretazione assolutamente incompatibile con il consolidamento negli esercizi successivi di tali accantonamenti.

Quanto alla natura degli accantonamenti questa Corte aveva avuto modo di precisare, proprio con tale pronuncia, che «[p]er mezzo dell’accantonamento […] poste attive che permangono nella titolarità della Regione, cui infatti spettano in forza degli statuti e della normativa di attuazione (sentenza n. 23 del 2014), sono sottratte a un’immediata disponibilità per obbligare l’autonomia speciale a ridurre di un importo corrispondente il livello delle spese. Una volta chiarito che il contributo imposto a tal fine alle ricorrenti è legittimo, si deve concludere che l’accantonamento transitorio delle quote di compartecipazione, in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, costituisce il mezzo procedurale con il quale le autonomie speciali, anziché essere private definitivamente di quanto loro compete, partecipano al risanamento delle finanze pubbliche, impiegando a tal fine le risorse che lo Stato trattiene. Le quote accantonate rimangono, in tal modo, nella titolarità della Regione e sono strumentali all’assolvimento di un compito legittimamente gravante sul sistema regionale. Naturalmente non è questa una situazione che si possa protrarre senza limite, perché altrimenti l’accantonamento si tramuterebbe di fatto in appropriazione».

La connaturata provvisorietà temporale e quantitativa è stata poi ulteriormente chiarita: «[i]n sostanza, l’accantonamento ha natura intrinsecamente provvisoria e la sua utilizzazione si giustifica solo con riguardo a quelle situazioni che per obiettive difficoltà non possono essere definite contestualmente alla redazione dei bilanci di previsione. Esso si differenzia dall’istituto del contributo delle autonomie speciali – come definito nella sentenza n. 19 del 2015 – per il raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità, previsti dagli ordinamenti nazionale e comunitario, proprio per il carattere di necessaria temporaneità […] strettamente correlato a situazioni di innovazione normativa che presentano una complessità analitica obiettiva e non si prestano a definizioni istantanee finanziariamente univoche» (sentenza n. 188 del 2016).

4.1.3.1.– Non può quindi essere accolta l’argomentazione del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui la mancata attuazione della sentenza n. 77 del 2015 dipenderebbe dall’"effetto dirompente” di tale attuazione e dal coinvolgimento indistinto di tutte le autonomie speciali nella manovra inerente agli accantonamenti, oggetto di interpretazione adeguatrice da parte della giurisprudenza di questa Corte.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri l’attuazione della sentenza n. 77 del 2015 dovrebbe essere assicurata nel rispetto dell’art. 81 Cost. e dei saldi di finanza pubblica.

L’argomentazione è inconferente, sia in relazione all’ampio arco temporale trascorso dalla data della pronuncia, sia con riguardo al principio dell’equilibrio tendenziale che deve ispirare la disciplina e la gestione del bilancio pubblico.

È ben vero che tutti gli enti facenti parte della cosiddetta finanza pubblica allargata devono concorrere – secondo quanto stabilito dagli artt. 81 e 97, primo comma, Cost. – all’equilibrio complessivo del sistema e alla sostenibilità del debito nazionale, ma questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 101 del 2018 e 247 del 2017) che l’art. 97, primo comma, Cost., nella vigente formulazione, si compone di due precetti ben distinti: quello contenuto nel primo periodo riguarda l’equilibrio individuale degli enti facenti parte della finanza pubblica allargata, mentre quello del secondo periodo riguarda l’equilibrio complessivo di quest’ultima, in quanto finalizzato ad assicurare la sostenibilità del debito nazionale. È evidente che l’equilibrio complessivo deve essere coerentemente coordinato con analogo equilibrio dei singoli bilanci che compongono il cosiddetto bilancio consolidato dello Stato.

In sostanza, l’equilibrio complessivo – a meno di non voler pregiudicare con una sproporzionata compressione l’autonomia di un singolo ente territoriale – deve essere congruente e coordinato con l’equilibrio della singola componente aggregata se non si vuole compromettere la programmazione e la scansione pluriennale dei particolari obiettivi che compongono la politica della Regione. È stato in proposito precisato che «il principio della copertura consiste nell’assoluto equilibrio tra risorse e spese, sia in fase previsionale che durante l’intero arco di realizzazione degli interventi» (sentenza n. 101 del 2018). E quindi il superiore interesse alla realizzazione dell’equilibrio della finanza pubblica allargata trova il suo limite nella correlata esigenza di sana gestione finanziaria dell’ente che vi è soggetto e – con riguardo alle autonomie territoriali, categoria di appartenenza della ricorrente – nell’esigenza di garantire adeguatamente il finanziamento delle funzioni assegnate.

Questa Corte ha più volte messo in luce la peculiarità del diritto del bilancio, il quale regola una materia dinamica, in continuo divenire, ancor più accentuato dalle rapide trasformazioni dell’economia globalizzata, e ha quindi adeguato il proprio sindacato sulle leggi finanziarie a tale incomprimibile scenario, in particolare elaborando il principio dell’equilibrio tendenziale o dinamico, inteso come indefessa prospettiva di adeguamento della "bilancia finanziaria” verso un punto di armonica simmetria tra entrate e spese. Armonica simmetria che deve essere perseguita sia in sede legislativa, sia in sede amministrativa, secondo i canoni del nostro ordinamento.

Per questo è stato già affermato il principio, secondo cui gli oneri conseguenti alle pronunzie di incostituzionalità adottate in subiecta materia possono essere traslati su esercizi successivi laddove quello in corso non consenta proficue rimodulazioni conformi all’art. 81 Cost. e agli altri precetti costituzionali di ordine finanziario (sentenze n. 188 del 2016 e n. 155 del 2015).

E tuttavia le diacroniche rimodulazioni derivanti dalle pronunzie di questa Corte non possono essere rinviate ad libitum, ma devono essere adottate tempestivamente e comunque entro la prima manovra di finanza pubblica utile, perché altrimenti gli interessi costituzionalmente tutelati rimarrebbero nella sostanza privi di garanzia.

Siffatte pronunzie, adottate nella materia finanziaria, ingenerano nei soggetti destinatari un obbligo a ottemperare che non contrasta con la naturale ampia discrezionalità in sede legislativa nel determinare le politiche finanziarie, ma la circoscrive parzialmente entro il limite della doverosa conformazione alle statuizioni del giudice costituzionale.

Così, ad esempio, in presenza di un difetto di copertura di spese obbligatorie accertato in sede di giudizio costituzionale, è stato statuito che la doverosità dell’adozione di appropriate misure da parte della Regione – pur rimanendo ferma la discrezionalità della stessa nell’adozione della propria programmazione economico-finanziaria – viene a costituire un limite nella determinazione delle politiche di bilancio di futuri esercizi, circoscrivendone la portata attraverso il «rispetto del principio di priorità dell’impiego delle risorse disponibili» (sentenza n. 266 del 2013) per coprire le spese derivanti dalle pronunce del giudice costituzionale (in tal senso anche sentenze n. 188 del 2016 e n. 250 del 2013).

È proprio il meccanismo della "priorità di intervento finanziario” a connotare il principio dell’equilibrio dinamico come giusto contemperamento, nella materia finanziaria, tra i precetti dell’art. 81 Cost., la salvaguardia della discrezionalità legislativa e l’effettività dei vincoli costituzionali.

4.2.– La norma impugnata è costituzionalmente illegittima anche sotto il profilo dell’intrinseca irragionevolezza per incoerenza rispetto alla finalità perseguita, poiché l’esigua consistenza dello stanziamento da essa previsto entra in patente contraddizione con l’obiettivo, sostenuto dal resistente, di «definire i complessivi rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Sardegna che tenga conto delle sentenze della Corte costituzionale n. 77 del 2015 e n. 154 del 2017, anche in considerazione del ritardo nello sviluppo economico dovuto all’insularità».

Relativamente a tale profilo, va ricordato che questa Corte ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di razionalità della legge svincolato da una normativa di raffronto, essendo sufficiente un sindacato di conformità a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 87 del 2012). Il principio di ragionevolezza «è dunque leso quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come "contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata” (sentenza n. 416 del 2000). [In questi casi] il giudizio di ragionevolezza [consiste] in un "apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la ‘causa’ normativa che la deve assistere” (sentenze n. 89 del 1996 e n. 245 del 2007)» (sentenza n. 86 del 2017).

E non v’è dubbio, con riguardo al caso di specie, che la misura dello stanziamento di euro 15.000.000,00 risulta contraddittoria, proprio sotto il profilo della coerenza logica, teleologica e storico-cronologica, rispetto ai lunghi tempi dell’irrisolta vertenza e alla dimensione finanziaria degli obiettivi richiamati dalla norma, ovvero assicurare una sistemazione provvisoria alla «definizione dei complessivi rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione Sardegna». Detta definizione, con riguardo alle componenti espressamente citate (attuazione della sentenza n. 77 del 2015; riequilibrio delle nuove funzioni assegnate e le nuove entrate tributarie attribuite con la novella "decostituzionalizzata” del 2006), risulta finalisticamente e logicamente incoerente.

4.3.– Nei limiti consentiti dalla natura del ricorso, che – come già precisato –circoscrivono il petitum sulla base dei vizi costituzionali della norma impugnata, occorre ora precisare gli effetti della presente pronuncia al fine di evitare che nel triennio di riferimento il necessario concorso della Regione autonoma Sardegna agli obiettivi di finanza pubblica comprima, oltre la misura consentita, l’autonomia finanziaria della stessa. Tale obiettivo deve essere raggiunto attraverso una diversa modulazione dei flussi finanziari tra lo Stato e la Regione che tenga conto, nella sostanza e non solo nella formale petizione di principio, dell’esigenza attuativa della sentenza n. 77 del 2015, del ritardo dello sviluppo economico dovuto all’insularità e dell’evoluzione – previsti già dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 – dei «complessivi rapporti finanziari tra Stato e Regione».

Fermo restando l’istituto dell’accordo come principale strumento attuativo del principio di leale collaborazione tra Stato e autonomia speciale nella materia finanziaria e – conseguentemente – impregiudicata la possibilità che la trattativa tra Stato e Regione autonoma Sardegna possa riprendere con immediato esito costituzionalmente conforme, deve essere comunque assicurato per il triennio 2018-2020 un tempestivo, ragionevole e proporzionato contributo dello Stato, che anticipi, nel corso dell’esercizio 2019, gli effetti dell’accordo in itinere nel caso in cui quest’ultimo non venga stipulato con analoga tempestività.

Nella determinazione di tale concorso gli elementi da sottoporre a ragionevole e proporzionata ponderazione – al fine di concretizzare il principio di leale cooperazione tra Stato ed enti territoriali, conciliando le istanze di politica economica generale con la struttura regionalista del nostro ordinamento – sono ricavabili direttamente dalla vigente legislazione e dalla giurisprudenza di questa Corte.

Essi possono essere così sinteticamente riassunti.

Partendo dall’andamento storico delle entrate e delle spese della Regione, antecedente alla entrata in vigore della legge n. 42 del 2009, la rimodulazione deve tener conto: a) della «dimensione della finanza» della Regione Sardegna «rispetto alla finanza pubblica complessiva» (art. 27 della legge n. 42 del 2009); b) delle «funzioni […] effettivamente esercitate e dei relativi oneri» (art. 27 della legge n. 42 del 2009); c) degli «svantaggi strutturali permanenti […], dei costi dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite» (art. 27 della legge n. 42 del 2009); d) del valore medio dei contributi alla stabilità della finanza pubblica allargata imposti agli enti pubblici regionali nel medesimo arco temporale (coerentemente con l’art. 97, primo comma, secondo periodo, Cost.); e) del finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost. e art. 27 della legge n. 42 del 2009); f) del principio dell’equilibrio tendenziale o dinamico per quel che riguarda la tempestiva copertura del contributo afferente agli esercizi 2019 e 2020 e a quella ex post dell’esercizio 2018 (ex multis, sentenze n. 10 del 2016, n. 155 del 2015 e n. 10 del 2015).

Detto processo di rimodulazione deve essere ispirato alla chiarezza e trasparenza dei meccanismi adottati per realizzare l’intervento riequilibratore (sentenza n. 61 del 2018).

5.– Se dalla fattispecie in esame emergono in modo incontrovertibile, sulla base degli elementi precedentemente menzionati, i vizi di costituzionalità della norma impugnata, nondimeno – al fine di evitare il ripetersi di vertenze così lunghe e complesse in grado di minare sia l’equilibrio macroeconomico della finanza pubblica allargata, sia quello del singolo ente territoriale che vi partecipa – è necessario ribadire, per entrambe le parti – e più in generale per il regime delle relazioni finanziarie tra gli enti del settore pubblico allargato –, la necessità di trasparenza dei rispettivi bilanci, ove la dimensione finanziaria del contendere deve essere rappresentata in modo intelligibile attraverso il rispetto di quelle che la direttiva europea 2011/85/UE dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, attuata dall’Italia con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 54 (Attuazione della direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), denomina «regole di bilancio numeriche». In proposito è stato già affermato che «nel settore della finanza pubblica allargata le partite creditorie e debitorie afferenti alle relazioni tra enti pubblici […] debbano essere rappresentate nei rispettivi bilanci in modo preciso, simmetrico, speculare e tempestivo» (sentenza n. 252 del 2015).

6.– Nei termini precedentemente fissati, le questioni di legittimità costituzionale devono essere accolte in riferimento agli artt. 3, sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, 5 e 116 Cost., nonché agli artt. 7 e 8 dello statuto reg. Sardegna e al principio di leale collaborazione. La disposizione impugnata deve essere conseguentemente dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede, nel triennio 2018-2020, adeguate risorse per consentire alla Regione autonoma Sardegna una fisiologica programmazione nelle more del compimento, secondo i canoni costituzionali, della trattativa finalizzata alla stipula dell’accordo di finanza pubblica.

Rimangono assorbite le ulteriori censure proposte dalla Regione ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 851, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella parte in cui, nel triennio 2018-2020 e nelle more della definizione dell’accordo di finanza pubblica, non riconosce alla Regione autonoma Sardegna adeguate risorse, determinate secondo i criteri di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2019.