SENTENZA N. 276
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a séguito del silenzio-rifiuto del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri in relazione alle note dell' Assessorato del bilancio e delle finanze della Regione Siciliana protocollo n. 4792, n. 4793, n. 4794 e n. 4796 del 6 aprile 2006, integrate con le note protocollo n. 8377, n. 8370, n. 8361 e n. 8367 del 15 giugno 2006, promosso con ricorso della Regione Siciliana notificato il 31 agosto 2006, depositato in cancelleria l'8 settembre 2006 ed iscritto al n. 12 del registro conflitti tra enti 2006.
Visto l’atto di costituzione di Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Michele Arcadipane e Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana e l' avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 31 agosto 2006 e depositato l’8 settembre successivo, la Regione Siciliana ha sollevato – in riferimento agli artt. 36 e 37 del proprio statuto, al decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria), e al principio di leale collaborazione – conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al silenzio del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri a fronte delle note prot. nn. 4792, 4793, 4794 e 4796, emesse il 6 aprile 2006, e delle note prot. nn. 8377, 8370, 8361 e 8367, emesse il 15 giugno successivo, del proprio Assessorato regionale del bilancio e delle finanze - Dipartimento finanze e credito.
1.1. – Riferisce la ricorrente che, con le citate note prot. nn. 4792, 4793, 4794 e 4796 del 6 aprile 2006, trasmesse a mezzo raccomandate con avviso di ricevimento spedite l’11 aprile 2006, aveva avanzato al Ministero dell’economia e delle finanze, oltreché alla Presidenza del Consiglio dei ministri, «assegnando un termine di trenta giorni per il riscontro», «formale richiesta a provvedere a voler impartire le opportune disposizioni e adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire l’acquisizione al bilancio regionale del gettito […]: a) dell’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216 (“Nuove disposizioni tributarie in materia di assicurazioni private e di contratti vitalizi”) versata e dovuta dagli assicuratori che hanno il domicilio fiscale o la rappresentanza fuori dal territorio regionale nell’ipotesi in cui i premi riscossi siano relativi a polizze assicurative rilasciate per fattispecie contrattuali assicurative (non solo R.C.A.) maturate nell’ambito regionale; b) dell’imposta sul valore aggiunto versata dai depositi periferici di vendita dei generi di monopolio ubicati in Sicilia, e, più in generale, del gettito di tale imposta sulle operazioni imponibili il cui presupposto si realizzi in Sicilia; c) dell’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti e proventi che, a termine dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è applicata nei confronti dei titolari di conti correnti o di deposito, con ritenuta da parte dell’Ente poste italiane e dagli istituti di credito che hanno il domicilio fiscale fuori dal territorio regionale, nell’ipotesi in cui le ritenute eseguite dai sostituti di imposta siano relative a interessi e altri proventi corrisposti a depositanti e correntisti di uffici postali e dipendenze bancarie operanti nella Regione; d) delle ritenute d’acconto operate dalle Amministrazioni dello Stato o da altri Enti pubblici, con sede centrale fuori dal territorio regionale, su stipendi ed altri emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri soggetti che abbiano espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel territorio della Regione».
Riferisce inoltre di avere successivamente inviato, a mezzo raccomandate con avviso di ricevimento spedite il 16 giugno 2006, le ricordate note prot. nn. 8377, 8370, 8361 e 8367 del 15 giugno 2006, con le quali, «nel reiterare le predette richieste e sollecitarne l’evasione, veniva precisato che il termine a provvedere doveva intendersi di novanta giorni dalla data di ricezione delle originarie istanze, in ossequio e ai sensi del disposto dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241».
1.2. – La ricorrente lamenta che il silenzio dei destinatari in ordine alle istanze presentate costituisce un comportamento lesivo delle sue attribuzioni e della sua autonomia finanziaria e formula due distinti motivi di doglianza.
1.2.1. – Il primo motivo ha per oggetto la violazione degli artt. 36 e 37 dello statuto della Regione Siciliana e del d.P.R. n. 1074 del 1965, sulla premessa che tali norme attribuiscono alla Regione Siciliana tutti i tributi erariali, in qualsiasi modo denominati, il cui presupposto d’imposta si sia verificato nell’ambito della stessa Regione, con le eccezioni previste dal secondo comma dell’articolo 36 dello statuto, nonché, ai sensi dell’art. 2 del menzionato d.P.R. n. 1074 del 1965, con l’esclusione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime.
Rileva, in particolare, la ricorrente che «l’art. 2 delle norme di attuazione di cui al D.P.R. n. 1074 del 1965 […], che sancisce la spettanza alla Regione delle entrate tributarie erariali “riscosse nell’ambito” del territorio regionale, non va inteso nel senso che sia sempre decisivo il luogo fisico in cui avviene l’operazione contabile della riscossione. Esso tende infatti ad assicurare alla Regione il gettito derivante dalla “capacità fiscale” che si manifesta nel territorio della Regione stessa, quindi dai rapporti tributari che hanno in tale territorio il loro radicamento, vuoi in ragione della residenza fiscale del soggetto produttore del reddito colpito (come nelle imposte sui redditi), vuoi in ragione della collocazione nell’ambito territoriale regionale del fatto cui si collega il sorgere dell’obbligazione tributaria». Tale interpretazione troverebbe conferma nel tenore letterale dell’art. 4 delle stesse norme di attuazione – il quale precisa che nelle entrate spettanti alla Regione «sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione» – e nella previsione, da parte dell’art. 37 dello statuto e dell’art. 7 delle norme di attuazione, «di meccanismi di riparto dei redditi assoggettati a imposizione nel caso di imprese operanti nel territorio siciliano», che hanno sede al di fuori di esso. Ne conseguirebbe che «il criterio della territorialità della riscossione nell’ambito regionale al fine di identificare la quota del gettito tributario che costituisce attribuzione della Regione siciliana, è da ritenersi mero criterio suppletivo, utilizzato di fatto nell’impossibilità di elementi sufficienti per conoscere il luogo in cui si sia verificato il relativo presupposto d’imposta, ed in particolare, se lo stesso si sia verificato in ambito regionale».
Ad avviso della Regione, in riferimento ai parametri evocati, «il comportamento omissivo, evidenziatosi, platealmente, con l’assoluto silenzio tenuto su tutte le specifiche richieste regionali – a nessuna delle quali, e in nessuna forma, è stato dato riscontro, neppure interlocutorio – non riconoscendo, invero, indebitamente ed illegittimamente, entrate tributarie spettanti alla Regione, determina una compressione delle risorse alla stessa spettanti».
La ricorrente espone poi le ragioni a sostegno delle suddette richieste, con riferimento ai singoli tributi che ne sono oggetto.
In primo luogo, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 306 del 2004, sostiene, in relazione all’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, che: a) il presupposto, è «sostanzialmente ancorato alla sussistenza di un contratto di assicurazione stipulato da soggetti domiciliati in Italia o che in Italia abbiano beni o dipendenti assicurati, ovvero ancora in ragione della localizzazione, immatricolazione o registrazione dei beni considerati nel territorio della Repubblica»; b) pur essendo l’assicuratore il soggetto passivo dell’imposta, l’effettivo «titolare della capacità fiscale» è il contraente; c) in base ai criteri di collegamento previsti dalla legge per le varie tipologie di assicurazione (domicilio del contraente, iscrizione in registri, ubicazione dei beni, localizzazione degli stabilimenti cui sono addette le persone assicurate), «è possibile anche […] individuare il radicamento nel territorio regionale della capacità fiscale, e della sua manifestazione».
In secondo luogo, in relazione all’imposta sul valore aggiunto, osserva che: a) «la condizione della territorialità, necessaria per il verificarsi del presupposto impositivo, si realizza […] allorché la cessione sia effettuata nello Stato (e per le energie se è effettuata a soggetti residenti o domiciliati nello Stato)»; b) se per i servizi, in via generale, la prestazione si considera effettuata nello Stato laddove sia resa da soggetto ivi domiciliato o residente, «tuttavia in una rilevante serie di servizi rendibili “a distanza”, e cioè che non richiedono necessariamente una organizzazione localizzata, il momento di collegamento è sostanzialmente fissato in quello del luogo di utilizzazione del servizio»; c) ne consegue che «nella maggior parte delle ipotesi riguardate dall’imposizione sul valore aggiunto è individuabile il radicamento nel territorio regionale della capacità fiscale, in quanto in esso il presupposto […] viene a realizzarsi»; d) anche per l’IVA sui generi di monopolio è «individuabile il radicamento nel territorio regionale della capacità fiscale, allorché il relativo presupposto (specificamente: cessione dei beni attraverso le rivendite di monopolio) quivi si perfezioni».
In terzo luogo, in relazione all’imposta sugli interessi e sui redditi di capitale, di cui all’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, osserva che: a) «ancorché il prelievo sia effettuato dall’Ente poste italiane e dagli istituti bancari quali sostituti d’imposta, mediante il meccanismo della ritenuta “con obbligo di rivalsa”, i soggetti passivi del tributo sono gli intestatari di conti correnti e di depositi, percettori dei detti redditi di capitale»; b) il presupposto dell’imposta è «sostanzialmente ancorato alla sussistenza di un deposito o di un rapporto di conto corrente produttivi d’interessi»; c) «la sussistenza e la localizzazione del rapporto di deposito o di conto corrente assumono valenza essenziale quale criterio di collegamento, rendendo possibile individuare il radicamento nel territorio regionale della capacità fiscale, e della sua manifestazione», anche perché i soggetti passivi sono i titolari dei depositi o conti correnti percettori di interessi o proventi, sui quali gli istituti di credito sostituti di imposta sono obbligati a rivalersi.
In quarto luogo, in relazione alle ritenute d’acconto operate dalle amministrazioni dello Stato o da altri Enti pubblici, con sede centrale fuori dal territorio regionale, su stipendi ed altri emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri soggetti che abbiano espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel territorio della Regione, rileva che: a) esse «costituiscono solo un meccanismo di prelievo dell’imposta sul reddito mediante sostituzione dell’obbligato al versamento»; b) «la ritenuta, invero, costituisce parte indifferenziata di una imposta unitariamente dovuta da ciascun contribuente, persona fisica, in relazione al presupposto del possesso di redditi in denaro o in natura, la cui base imponibile e’ costituita dal reddito complessivo»; c) spetta, conseguentemente, alla Regione il gettito delle ritenute erariali sui redditi di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato che prestino servizio in Sicilia, perché «l’apprensione diretta da parte dello Stato delle entrate in questione […] non costituisce invero ostacolo al successivo riversamento al bilancio regionale delle somme in questione, certamente costituenti gettito derivante da quella capacità fiscale correlabile al territorio regionale cui […] va riferita la spettanza regionale».
1.2.2. – Il secondo motivo di doglianza formulato dalla ricorrente ha per oggetto la «violazione del principio costituzionale di leale cooperazione».
Lamenta la ricorrente che, nella fattispecie: a) lo Stato, «nelle sue diverse articolazioni, […] non solo non ha provveduto in ordine alle richieste formulate dalla Regione siciliana […], ma a seguito del ricevimento delle richieste regionali, non ha neppure avviato interlocuzioni, espresso riserve, addotto argomentazioni, ancorché di diniego, neppure su una di tali richieste, con ciò manifestando un unitario comportamento di sostanziale diniego delle ragioni della Regione»; b) «il perdurante silenzio dell’Amministrazione centrale comporta di fatto il disconoscimento delle attribuzioni regionali in materia finanziaria, e lede l’integrità dell’ambito di competenza della Regione siciliana, non consentendo alla stessa di acquisire tutte le entrate correlate al proprio territorio, riguardate in maniera indifferenziata ed omnicomprensiva dalle norme statutarie e di attuazione»; d) «l’idoneità del preservato silenzio a costituire atto idoneo a provocare l’insorgere del conflitto – dal tono indubitabilmente costituzionale in ragione della natura delle attribuzioni vantate, e negate dal comportamento omissivo dello Stato – risulta palese, […] configurando invero uno di quei “comportamenti concludenti non estrinsecantisi in atti formali”, assolutamente adeguati, tuttavia, a determinare lesioni dell’ordine di attribuzioni costituzionalmente sancite»; e) poiché la «procedura del silenzio-rifiuto, come peraltro, a seconda dei casi, del silenzio-inadempimento, va considerata […] quale istituto di carattere generale costituente espressione di un generale principio dell’ordinamento, va ritenuta l’ammissibilità del conflitto sulla (mera) omissione, dal valore sostanzialmente negativo, idonea a comprimere le spettanze regionali».
2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
Quanto all’eccepita inammissibilità, la difesa erariale sostiene che: a) il silenzio censurato, essendo un mero comportamento omissivo, è privo di attitudine lesiva delle attribuzioni regionali; b) in base ai princípi in materia di silenzio dell’amministrazione desumibili dall’art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), «il giudice adito avverso il comportamento omissivo dell’Amministrazione deve limitarsi ad accertare e dichiarare l’illegittimità dell’inerzia a provvedere, senza sostituirsi ad essa nell’adozione dei provvedimenti invocati»; c) occorre verificare se il silenzio sulle istanze della Regione relative al gettito dei tributi «dipenda dal convincimento che trattasi di tributi di competenza statale (cosí che si possa effettivamente configurare l’ipotizzato conflitto) o dipenda piuttosto da eventuali inadeguatezze dell’apparato amministrativo (e cioè da fattori riconducibili a semplici inadempimenti nella gestione del sistema della riscossione, che non sembrano integrare – come tali – gli estremi di una controversia costituzionale».
Nel merito, la difesa erariale sostiene che, a norma dell’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, il criterio in base al quale deve avvenire la destinazione del gettito dei tributi erariali alla Regione Siciliana è quello del luogo della riscossione dei tributi stessi e non – come sostenuto dalla ricorrente – quello del luogo in cui si è verificato il presupposto dell’obbligazione tributaria. Osserva l’Avvocatura generale che, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 306 del 2004, il criterio del luogo della riscossione «può subire deroga a favore di altri criteri alternativi previsti e disciplinati da norme di legge a carattere speciale, riguardanti particolari tributi […] che per mere ragioni amministrative sono riscossi altrove» e che «il criterio alternativo deve essere comunque certo, obiettivo ed univoco». Rileva poi, con particolare riferimento al gettito dell’IVA, che il criterio proposto dalla ricorrente comporta la necessità di accertare caso per caso il luogo in cui è avvenuta la cessione del bene o «il luogo in cui debba ritenersi insorto il presupposto dell’IVA su una prestazione del servizio» ed appare, perciò, manifestamente irrazionale «se riferito all’esigenza di individuare con obiettività ed immediatezza l’Ente titolare dell’introito tributario». Osserva infine, in via subordinata, che i criteri alternativi a quello del luogo della riscossione, ai quali la ricorrente fa riferimento, dovrebbero essere applicati integralmente e non solo a favore della Regione, con la conseguenza che spetterebbero allo Stato i tributi riscossi in Sicilia i cui presupposti si siano verificati al di fuori del territorio siciliano.
3. – In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria, con la quale ribadisce le proprie conclusioni.
In particolare, sulle eccezioni proposte dalla difesa erariale, rileva che: a) la Regione «ha utilizzato lo schema proposto dall’art. 2 della l. 7 agosto 1990, n. 241» per la mancanza «di altre specifiche procedure – costituzionali e ordinarie – attuative, nei rapporti costituzionali, di quello che ormai costituisce principio generale dell’ordinamento, espresso anche dal predetto art. 2 l. 241/1990, che attribuisce un significato – anche nella sua portata minima di mero comportamento indebitamente omissivo – al silenzio serbato da un soggetto pubblico che ha […] l’obbligo di attivarsi per attuare l’ordinamento stesso»; b) oggetto del ricorso non è il silenzio-inadempimento in quanto tale, ma il perdurante comportamento omissivo dello Stato, che determina una compressione delle attribuzioni costituzionali regionali, perché «è pienamente significante della volontà di negare alla Regione siciliana la spettanza dei gettiti tributari in questione».
Considerato in diritto
1. – La Regione Siciliana ha proposto – in riferimento agli artt. 36 e 37 del proprio statuto, al decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana in materia finanziaria), e al principio di leale collaborazione – ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al silenzio serbato dal Ministero dell’economia e delle finanze e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a fronte delle note «prot. nn. 4792, 4793, 4794 e 4796», emesse il 6 aprile 2006, e delle note «prot. nn. 8377, 8370, 8361 e 8367», emesse il 15 giugno successivo, del proprio Assessorato regionale del bilancio e delle finanze - Dipartimento finanze e credito.
La ricorrente riferisce, in particolare, che: a) con le citate note del 6 aprile 2006, trasmesse a mezzo raccomandate con avviso di ricevimento spedite l’11 aprile 2006, aveva avanzato al Ministero dell’economia e delle finanze, oltre che alla Presidenza del Consiglio dei ministri, «formale richiesta a provvedere a voler impartire le opportune disposizioni e adottare i provvedimenti necessari al fine di consentire l’acquisizione al bilancio regionale» del gettito dei tributi indicati nelle note stesse, «assegnando un termine di trenta giorni per il riscontro»; b) con le successive note del 15 giugno 2006 aveva rinnovato la richiesta, assegnando un termine a provvedere di novanta giorni.
La ricorrente conclude chiedendo che la Corte dichiari «l’illegittimità costituzionale del comportamento omissivo statale», perché ad esso è sotteso il «disconoscimento delle spettanze tributarie regionali conseguenti alle attribuzioni» garantite dagli evocati parametri, precisando, peraltro, che, con il ricorso, «non si è inteso applicare al procedimento costituzionale un istituto giuridico squisitamente proprio del procedimento (e processo) amministrativo» quale quello previsto dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
2. – L’Avvocatura generale dello Stato ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione, perché il silenzio censurato, essendo un mero comportamento omissivo, è privo di attitudine lesiva delle attribuzioni regionali.
3. – L’eccezione della difesa erariale è fondata.
Nella giurisprudenza di questa Corte in tema di conflitti di attribuzione è affermato il principio per cui, perché un comportamento omissivo possa essere qualificato come atto lesivo, esso deve essere «idoneo a produrre un’immediata violazione o menomazione di attribuzioni, come, ad esempio, l’indebito rifiuto di adottare un provvedimento necessario affinché una Regione sia posta in grado di esplicare un’attribuzione costituzionalmente ad essa spettante» (sentenze n. 187 del 1984 e n. 111 del 1976).
Nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, l’inerzia delle amministrazioni statali a fronte delle istanze loro rivolte può essere interpretata solo come una mancata risposta ad una sollecitazione non vincolante che fa permanere lo stato di incertezza, ma non come un comportamento omissivo concludente volto a negare le attribuzioni costituzionali della Regione Siciliana. Nessuna norma dell’ordinamento attribuisce, infatti, a tale inerzia il significato di diniego della spettanza del gettito dei tributi oggetto delle istanze regionali. La stessa ricorrente ammette, del resto, che questo significato di silenzio-diniego non può discendere dall’applicazione nel caso di specie delle norme dettate dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 per la formazione del silenzio-inadempimento nel procedimento amministrativo; e ciò ancorché, nella fase antecedente l’instaurazione del giudizio costituzionale, essa abbia fatto ricorso a tali norme per assegnare alla pubblica amministrazione il termine di novanta giorni per provvedere. Ne consegue l’inidoneità, nella specie, della mancata risposta del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri a determinare una diretta menomazione delle attribuzioni della Regione nella materia dei prelievi tributari cui si riferisce il ricorso.
Il conflitto è, dunque, inammissibile, perché privo di tono costituzionale, rimanendo, peraltro, impregiudicato il diritto della Regione Siciliana di soddisfare, di fronte al giudice comune, le proprie pretese relative alle somme in questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Siciliana nei confronti dello Stato – in relazione al silenzio del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri, a fronte delle note prot. nn. 4792, 4793, 4794 e 4796 del 6 aprile 2006 e delle note prot. nn. 8377, 8370, 8361 e 8367 del 15 giugno successivo, dell’Assessorato regionale del bilancio e delle finanze - Dipartimento finanze e credito della Regione Siciliana – con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007.