SENTENZA N. 252
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 639, 703 e 730, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e provinciale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato in cancelleria il 5 marzo 2014 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– La Regione siciliana, con ricorso iscritto al n. 17 del reg. ric. del 2014, ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 639, 703 e 730, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 14, lettera o), 36, 37 – in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché in riferimento agli artt. 81, 119, quarto comma, della Costituzione ed all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ed al principio di leale collaborazione.
Il comma 639 prevede che «È istituita l’imposta unica comunale (IUC). Essa si basa su due presupposti impositivi, uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore e l’altro collegato all’erogazione e alla fruizione di servizi comunali. La IUC si compone dell’imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale, dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali, e di una componente riferita ai servizi, che si articola nel tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell’utilizzatore dell’immobile, e nella tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell’utilizzatore».
Il comma 703 prevede che «L’istituzione della IUC lascia salva la disciplina per l’applicazione dell’IMU».
Il comma 730 prevede che «Dopo il comma 380-bis dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sono inseriti i seguenti: “380-ter. Per le medesime finalità di cui al comma 380, a decorrere dall’anno 2014:
a) la dotazione del Fondo di solidarietà comunale è pari a 6.647.114.923,12 euro per l’anno 2014 e a 6.547.114.923,12 euro per gli anni 2015 e successivi, comprensivi di 943 milioni di euro quale quota del gettito di cui alla lettera f) del comma 380. La dotazione del predetto Fondo per ciascuno degli anni considerati è assicurata per 4.717,9 milioni di euro attraverso una quota dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni, di cui al citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011. Corrispondentemente, nei predetti esercizi è versata all’entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni. Con la legge di assestamento o con appositi decreti di variazione del Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le variazioni compensative in aumento o in diminuzione della dotazione del Fondo di solidarietà comunale per tenere conto dell’effettivo gettito dell’imposta municipale propria derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D. Al fine di incentivare il processo di riordino e semplificazione degli enti territoriali, una quota del fondo di solidarietà comunale, non inferiore, per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, a 30 milioni di euro, è destinata ad incrementare il contributo spettante alle unioni di comuni ai sensi dell’articolo 53, comma 10, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e una quota non inferiore a 30 milioni di euro è destinata, ai sensi dell’articolo 20 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ai comuni istituiti a seguito di fusione;
b) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, previo accordo da sancire in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da emanare entro il 30 aprile 2014 per l’anno 2014 ed entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento per gli anni 2015 e successivi, sono stabiliti i criteri di formazione e di riparto del Fondo di solidarietà comunale, tenendo anche conto, per i singoli comuni:
1) di quanto previsto dai numeri 1), 4), 5) e 6) della lettera d) del comma 380;
2) della soppressione dell’IMU sulle abitazioni principali e dell’istituzione della TASI;
3) dell’esigenza di limitare le variazioni, in aumento e in diminuzione, delle risorse disponibili ad aliquota base, attraverso l’introduzione di un’appropriata clausola di salvaguardia;
c) in caso di mancato accordo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla lettera b) è comunque emanato entro i quindici giorni successivi;
d) con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla lettera b), può essere incrementata la quota di gettito dell’imposta municipale propria di spettanza comunale di cui alla lettera a). A seguito dell’eventuale emanazione del decreto di cui al periodo precedente, è rideterminato l’importo da versare all’entrata del bilancio dello Stato. L’eventuale differenza positiva tra tale nuovo importo e lo stanziamento iniziale è versata al bilancio statale, per essere riassegnata al fondo medesimo. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Le modalità di versamento al bilancio dello Stato sono determinate con il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. 380-quater. Con riferimento ai comuni delle regioni a statuto ordinario, il 10 per cento dell'importo attribuito ai comuni interessati a titolo di Fondo di solidarietà comunale di cui al comma 380-ter è accantonato per essere redistribuito, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla lettera b) del medesimo comma 380-ter, tra i comuni medesimi sulla base dei fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 4 della legge 5 maggio 2009, n. 42, entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento. Per la quota del Fondo di solidarietà comunale attribuita con il criterio di cui al periodo precedente non operano i criteri di cui alla lettera b) del predetto comma 380-ter”.
1.1.– Premette la Regione che tutte le norme impugnate comporterebbero, «pur se a vario titolo» (mediante un ulteriore concorso della Regione alla finanza pubblica, o la riserva allo Stato di gettito di spettanza regionale), effetti negativi sul bilancio regionale, andando a sommarsi alle già precedenti riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi anni, e tali da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali.
Al riguardo la ricorrente richiama quanto osservato dalla Corte dei conti, in sede di parifica del Rendiconto per l’esercizio finanziario 2012, laddove si era evidenziato che il totale complessivo delle entrate aveva subito un decremento del 7 per cento, in netta contrapposizione al dato nazionale, (in aumento del 2,8 per cento) e che una significativa incidenza sul gettito complessivo delle entrate, doveva attribuirsi alle riserve ed agli accantonamenti operati dallo Stato (pari a complessivi 914 milioni di euro) per effetto di numerose disposizioni legislative, alcune delle quali intervenute in corso d’esercizio, che hanno previsto un maggior concorso delle Regioni agli obiettivi di finanza pubblica.
Premette la Regione siciliana di aver già impugnato l’art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011 n. 214, con ricorso iscritto al n. 39 del reg. ric. 2012 (non ancora deciso al momento della proposizione del presente ricorso), con il quale aveva lamentato la violazione delle proprie prerogative statutarie avvenuta con le modalità istitutive dell’imposta municipale propria (IMU).
Evidenzia in proposito la ricorrente che il legislatore, pur ricomprendendo l’IMU nella nuova Imposta comunale unica (IUC), fa salva la vigente disciplina e dispone quindi la dotazione del Fondo di solidarietà comunale e, corrispondentemente, prevede che una quota di pari importo dell’IMU, di spettanza dei Comuni, sia versata all’entrata del bilancio dello Stato. Secondo la Regione siciliana le modifiche successivamente introdotte non avrebbero eliso i profili di illegittimità censurati (ad esempio, si rammenta che la neointrodotta deducibilità dell’IMU ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento, comporterebbe la sottrazione di ulteriori risorse al bilancio regionale).
Pertanto, la conferma della vigenza del predetto sistema, già denunciato come lesivo dell’autonomia regionale, induce la ricorrente a riproporre le censure già a suo tempo articolate.
Rammenta al riguardo che gli artt. 13 e 14 del d.l. n. 201 del 2011, in quanto immediatamente applicabili alla Regione siciliana, violerebbero l’art. 43 dello statuto – che attribuisce ad una commissione paritetica la determinazione delle norme di attuazione – ed il principio di leale collaborazione esplicitato dalle procedure di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), il cui previo esperimento non è stato previsto.
Inoltre, l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe gli artt. 36 e 37 dello statuto e 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria, in quanto l’IMU, entrata che si sostiene priva del carattere della novità, è imposta in parte sostitutiva di tributi di spettanza regionale mentre il suo gettito, anche per detta parte, viene attribuito ai Comuni e, pro quota, riservato allo Stato, con conseguente depauperamento delle finanze della ricorrente e squilibrio tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi per farvi fronte. Risulterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.
Nel prevedere e disciplinare – anche in presenza di modifiche in aumento o in diminuzione disposte dai Comuni – la riserva all’erario di una quota del gettito dell’IMU, il comma 11 del citato art. 13 determinerebbe altresì un depauperamento delle casse comunali, con conseguenti oneri per la Regione siciliana, che dovrebbe assumere ulteriori e diverse competenze rispetto a quelle di cui all’art. 14, lettera o), dello statuto senza esperimento della procedura di cui all’art. 43 dello stesso. Di qui la violazione di detti parametri. Inoltre, risulterebbe violato l’art. 119, quarto comma, Cost., in quanto lo Stato, dopo aver trasferito ai Comuni risorse regionali, finirebbe per riappropriarsene, sottraendole loro senza prevedere misure idonee a far fronte agli ammanchi, onerando la Regione della contribuzione alla finanza degli enti locali.
Analoghe censure vengono mosse all’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011, salvo precisarsi che gli artt. 81, 119, quarto comma, Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 sarebbero violati in quanto né la Regione né i Comuni potrebbero esercitare le proprie funzioni in ragione della carenza di risorse finanziarie determinata dalla disposizione.
Infine, l’art. 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe gli artt. 119, quarto comma, e 81 Cost. nonché l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto la riduzione dei trasferimenti determinata dalla norma lederebbe le attribuzioni degli enti locali, gravati dall’onere di fornire un contributo all’erario, con riverbero negativo sulla Regione, che dovrebbe farsene corrispondentemente carico. Inoltre, sarebbero violati gli artt. 14, lettera o), e 43 dello statuto, in mancanza di vaglio della Commissione paritetica sulle nuove funzioni attribuite ai comuni siciliani.
La ricorrente ribadisce che l’immediata applicabilità alla Regione siciliana, senza il previo esperimento delle modalità attuative di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, risulterebbe in palese violazione dell’art. 43 dello statuto e del principio di leale collaborazione che dovrebbe informare tutti i rapporti fra Stato e Regioni (si richiama la sentenza n. 64 del 2012, laddove era stata riconosciuta l’operatività della clausola di salvaguardia degli statuti speciali).
Né in contrario, secondo la Regione siciliana, la circostanza che nel suo evolversi la disciplina di tale tributo sia sempre più orientata ad assicurarne il gettito ai Comuni eliderebbe o diminuirebbe il pregiudizio che la sua applicazione arrecherebbe alla Regione.
Resterebbero infatti, come disposizioni dotate di lesività, quella che continua a riservare allo Stato il gettito derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota standard dello 0,76 per cento, nonché la previsione secondo la quale metà dell’IMU di spettanza dei Comuni siciliani è versata all’entrata del bilancio dello Stato per alimentare il Fondo di solidarietà Comunale, non potendosi ritenere quindi superato il rischio, ad avviso della ricorrente, che i Comuni siciliani possano non disporre delle risorse loro necessarie.
Per tale aspetto secondo la Regione siciliana le disposizioni impugnate violerebbero altresì l’art. 119, quarto comma, Cost. anche con riferimento all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e dell’art. 81 Cost., in quanto non solo la Regione ma pure i Comuni non possono esercitare le proprie funzioni per carenza di risorse finanziarie.
Parimenti le previsioni impugnate violerebbero l’art. 14, lettera o), dello statuto d’autonomia laddove attribuisce alla Regione ulteriori competenze (relative al finanziamento degli enti locali) ascrivibili alla citata previsione statutaria e non riconducibili alla medesima Regione senza alcuna determinazione da parte della Commissione paritetica di cui all’art. 43 dello statuto.
In ogni caso, resterebbe indubbio che la sottrazione di quote di gettito di spettanza regionale, oggi confermata dalle norme impugnate, comporterebbe la violazione, oltre che del principio pattizio, degli artt. 36 e 37 dello statuto e delle relative norme di attuazione di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo le quali spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate ad eccezione di quelle riservate allo Stato (entrate sui tabacchi, accise sulla produzione, lotto e lotterie a carattere nazionale). L’IMU infatti – si prosegue – non presenterebbe carattere di novità, in quanto sostitutiva di (componenti di) tributi di spettanza regionale oltre che dell’ICI di spettanza comunale.
Per effetto di tali disposizioni la Regione sostiene di subire un depauperamento delle proprie finanze atto a provocare un notevole squilibrio «tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte» (sono richiamate le sentenze n. 152 del 2011 e n. 94 del 2004), integrando anche per tale profilo la violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost. anche con riferimento all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e dell’art. 81 Cost.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
In relazione alle disposizioni impugnate osserva preliminarmente la difesa erariale che tali previsioni, prorogando quanto previsto dall’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 in materia di istituzione dell’IMU, già impugnate dalla medesima ricorrente con ricorso n. 39 del 2012, dovrebbero essere trattate dalla Corte in un unico contesto.
L’interveniente eccepisce comunque l’inammissibilità del ricorso, in quanto le censure sarebbero formulate in senso vago e generico. Nel merito ritiene che esse siano infondate in quanto trattasi di un tributo proprio derivato che lo Stato potrebbe istituire nell’ambito delle proprie competenze, mentre, in merito alla riserva allo Stato del gettito relative agli immobili produttivi di cui alla categoria catastale “D”, calcolato all’aliquota standard dello 0,76 per cento, che solo in questa sede viene censurata dalla Regione siciliana, osserva la difesa erariale che in tale caso viene attribuita allo Stato una parte delle risorse che in difetto sarebbero di pertinenza dei Comuni, sicché non vi sarebbero motivi di doglianza per la Regione, trattandosi di un tributo attribuito ai Comuni, mentre le riserve erariali concernono l’attribuzione allo Stato di proventi aggiuntivi di tributi cui la Regione partecipa.
In ogni caso, conclude il Presidente del Consiglio dei ministri, la Regione non avrebbe assolutamente dimostrato che tali norme producano una riduzione delle risorse regionali al punto da alterare il rapporto tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi necessari per farvi fronte.
Considerato in diritto
1.– La Regione siciliana ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 639, 703 e 730, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 14, lettera o), 36, 37 – in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché in riferimento agli artt. 81, 119, quarto comma, della Costituzione e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ed al principio di leale collaborazione.
La Regione si duole innanzitutto dell’istituzione dell’imposta comunale unica (IUC) perché essa farebbe salva comunque la precedente disciplina in materia di IMU; di seguito, poi, riproduce le censure già mosse contro l’art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 nel ricorso iscritto al n. 39 del reg. ric. 2012 (non ancora deciso al momento della proposizione del presente ricorso), nel quale aveva lamentato la violazione delle proprie prerogative statutarie avvenuta con le modalità istitutive dell’imposta municipale propria (IMU).
La ricorrente sostiene inoltre che con le suddette disposizioni lo Stato, sottraendo risorse finanziarie ai Comuni, farebbe gravare sulla Regione l’onere di nuove e diverse competenze senza il previo esperimento delle procedure di cui all’art. 43 dello statuto, arrecando una grave ripercussione sul bilancio regionale tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni proprie.
Richiama quanto affermato dalla Corte dei conti in sede di parifica del Rendiconto per l’esercizio finanziario 2012, secondo la quale il bilancio regionale avrebbe subìto mancati accertamenti in entrata pari ad oltre 900 milioni di euro per effetto delle varie discipline che imponevano riserve ed accantonamenti operati dallo Stato sul gettito delle entrate di spettanza regionale.
Con particolare riguardo al comma 730 la Regione siciliana fa presente che detta norma produrrebbe effetti sostanzialmente ablativi nei confronti dei Comuni siciliani per quanto riguarda il gettito dell’IMU che viene acquisito al Fondo di solidarietà comunale. Da ciò deriverebbe un grave depauperamento degli enti locali siciliani ed inoltre, a seguito di tale depauperamento, la Regione sarebbe costretta a garantire un’integrazione delle risorse a favore di questi ultimi per evitare gravi squilibri finanziari ai loro bilanci. Ciò si rifletterebbe sull’equilibrio finanziario della stessa Regione, che non potrebbe attingere al gettito IMU contrariamente a quanto spetterebbe secondo le norme dello statuto invocate.
2.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 639 e 703, della legge n. 147 del 2013, in riferimento ai menzionati parametri sono inammissibili.
Tali disposizioni si limitano a prevedere l’istituzione dell’imposta comunale unica (IUC) ed a confermare la precedente disciplina in materia di imposta municipale unica (IMU). La ricorrente non chiarisce in alcun modo per quale ragione l’istituzione di tale imposta si porrebbe in contrasto con i parametri invocati, limitandosi a riprodurre argomentazioni presenti in precedenti ricorsi aventi ad oggetto disposizioni diverse anche se accomunate dalla stessa materia della fiscalità territoriale. Per queste censure quindi il ricorso non raggiunge «quella soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del 2013» (sentenze n. 88 del 2014 e n. 215 del 2015; sull’inammissibilità del ricorso laddove la motivazione si risolva in un rinvio per relationem ad altre impugnative, sentenza n. 19 del 2015).
3.– Le censure rivolte all’art. 1, comma 730, della legge n. 147 del 2013 sono in parte inammissibili e in parte non fondate.
3.1.– Sono inammissibili per genericità le questioni sollevate in riferimento agli artt. 37 e 43 dello statuto della Regione siciliana ed all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 e al principio di leale collaborazione.
Le prospettazioni della ricorrente sono accomunate alle precedenti dal carattere assolutamente generico, per quel che riguarda il riferimento ai parametri sopraindicati. In particolare, non viene affatto precisato perché una disposizione afferente al funzionamento del Fondo di solidarietà comunale sarebbe lesiva delle prescrizioni statutarie relative all’accertamento dei redditi delle imprese industriali e commerciali e perché il funzionamento del suddetto Fondo, che presenta un carattere applicativo in ambito nazionale, debba essere condizionato dalle norme di attuazione dello statuto siciliano.
3.2.– Devono essere invece ritenute ammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 730, della legge n. 147 del 2013 in riferimento agli artt. 119, quarto comma, e 81 Cost., e agli artt. 14, lettera o), e 36 dello statuto della Regione siciliana dal momento che la Regione sostiene che la propria autonomia finanziaria sarebbe lesa dalla disciplina del Fondo di solidarietà, in quanto questa inciderebbe direttamente sul fabbisogno finanziario della Regione stessa ed anche indirettamente, per via del preteso depauperamento degli enti locali siciliani, in relazione al quale – per effetto della competenza di cui all’art. 14, lettera o), dello statuto – la ricorrente dovrebbe intervenire a sostegno.
3.3.– Sebbene ammissibili, tali censure non sono fondate.
È opportuno in proposito ricordare che, per quanto riguarda l’attuazione della riforma della fiscalità territoriale delle autonomie speciali ex art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), questa Corte ha dichiarato che «non risulta rispettato da parte dello Stato il metodo pattizio sotto il profilo sia procedurale che sostanziale» poiché «la riforma in materia di federalismo fiscale non può […] comprimere, con modalità indirette e senza contraddittorio in ordine alla sostenibilità delle stesse, le condizioni particolari di autonomia previste dai rispettivi statuti». A tal fine, pur dovendosi ritenere l’impossibilità «per questa Corte di esercitare una supplenza, dettando relazioni finanziarie alternative a quelle adottate dallo Stato in difformità dallo schema costituzionale precedentemente richiamato […] le stesse autonomie speciali sono, comunque, titolari di un potere di iniziativa per un esame partecipe, insieme allo Stato, delle questioni di comune rilevanza in tema di relazioni finanziarie ed alla conseguente evoluzione normativa in senso conforme ai canoni costituzionali» (sentenza n. 155 del 2015).
Con la censura in esame, tuttavia, non viene colpita la disciplina fiscale dell’IMU bensì quella del Fondo di solidarietà comunale che – in quanto sostitutivo dei trasferimenti statali agli enti locali – riguarda le modalità di finanziamento della generalità dei Comuni in ambito nazionale (ad eccezione di quelli ricadenti nel territorio delle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Friuli-Venezia Giulia e delle Province autonome di Trento e di Bolzano).
Sotto questo profilo, se è vero che l’IMU di spettanza dei Comuni siciliani viene sottratta agli stessi per essere versata all’entrata del bilancio dello Stato al fine di alimentare il Fondo di solidarietà comunale, tale partecipazione è tuttavia correlata ad una simmetrica partecipazione dei Comuni stessi alle risorse affluite in detto Fondo. Ciò risulta con chiarezza dai plurimi provvedimenti attuativi in tema di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale ed in particolare dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2013, 1° dicembre 2014 e 10 settembre 2015.
Tenuto conto di tale articolazione bidirezionale dei flussi finanziari afferenti all’IMU (che caratterizza sia le Regioni a statuto ordinario, sia la Regione siciliana, sia la Regione autonoma Sardegna), la ricorrente non fornisce la prova dell’incidenza negativa della disposizione impugnata sul bilancio dei suoi Comuni né su quello proprio. Tale prova non viene dedotta né in termini macroeconomici, cioè di saldi complessivi delle relazioni finanziarie tra Fondo di solidarietà e Comuni siciliani, né in termini di sproporzione tra il gettito IMU versato da singoli enti locali e la quota agli stessi ridistribuita dal Fondo.
Proprio in relazione a questioni in materia di relazioni finanziarie con lo Stato promosse dalla Regione siciliana, questa Corte ha avuto modo di precisare «che nel settore della finanza pubblica allargata le partite creditorie e debitorie afferenti alle relazioni tra enti pubblici […] debbano essere rappresentate nei rispettivi bilanci in modo preciso, simmetrico, speculare e tempestivo […]. Tuttavia, l’assenza di tali elementi e la negativa incidenza sulla sana gestione finanziaria non possono essere lamentate senza una puntuale individuazione delle componenti economiche e contabili assunte a riferimento della doglianza. Sotto questo profilo, è onere indefettibile del ricorrente allegare […] gli elementi finanziari […] i quali non possono essere soltanto affermati bensì debbono essere puntualmente documentati […] se del caso richiedendo alla parte resistente, ove non altrimenti reperibili, i dati finanziari analitici correlati ai profili disfunzionali censurati» (sentenza n. 246 del 2012).
Se è fuor di dubbio che lo Stato possa, nell’ambito delle manovre di finanza pubblica, disporre in merito alla disciplina sostanziale delle risorse di competenza degli enti territoriali, anche determinando riduzioni della loro disponibilità finanziaria «purché appunto non tali da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze complessive della spesa» (sentenza n. 138 del 1999), le censure regionali rivolte al preteso depauperamento non possono essere accolte poiché non forniscono prova di una grave alterazione nel rapporto tra complessivi bisogni dell’ente territoriale e mezzi finanziari per farvi fronte (in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 23 del 2014 e n. 29 del 2004).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 639 e 703, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promosse, in riferimento agli artt. 14, lettera o), 36, 37 – in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, nonché in riferimento agli artt. 81, 119, quarto comma, della Costituzione e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 730, della legge n. 147 del 2013, promosse in riferimento agli artt. 37 e 43 dello statuto della Regione siciliana e all’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 e al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana con il ricorso in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 730, della legge n. 147 del 2013, promosse, in riferimento agli artt. 119, quarto comma, e 81 Cost. e agli artt. 14, lettera o), e 36 dello statuto della Regione siciliana, dalla Regione siciliana con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2015.