ORDINANZA N.94
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 91, comma 1, lettera a), e 96, comma 4, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), promossi con ordinanze del 18 settembre 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia e del 10 aprile 2003 dalla Corte d’appello di Torino, iscritte ai numeri 576 del registro ordinanze 2002 e 475 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 3 e 32, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, chiamato a decidere sulla richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta da un imputato dei delitti di cui agli articoli 110 del codice penale, 223, 216 e 224 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, dopo avere disposto a mezzo della Guardia di finanza accertamenti in ordine alle condizioni personali e familiari dell’istante, così come consentito dal comma 9-bis dell’art. 1 della legge 30 luglio 1990, n. 217, introdotto dalla legge 29 marzo 2001, n. 134, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, 27, secondo comma, e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), nella parte in cui stabilisce che "l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa per l’indagato, l’imputato o il condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto", nonché, in riferimento all’art. 97 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, comma 4, dello stesso decreto, nella parte in cui stabilisce che il giudice provvede in ordine all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche quando abbia richiesto le informazioni di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo;
che, ad avviso del remittente, l’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002, imponendo l’esclusione dal patrocinio a spese dello Stato dell’istante che sia indagato, imputato o condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, con valutazione preliminare da compiere anche nel caso in cui siano stati disposti accertamenti tramite Guardia di finanza circa le condizioni reddituali e patrimoniali dell’istante stesso, contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 24, terzo comma, Cost., il quale, prevedendo per l’ammissione al patrocinio l’unica condizione che il soggetto sia "non abbiente", non consentirebbe che soggetti indagati, imputati o condannati per una determinata tipologia di reati fiscali siano esclusi dal beneficio;
che, sempre secondo il giudice a quo, la disposizione censurata, riconducendo l’effetto preclusivo ad accertamenti giurisdizionali di valenza diversa, ma comunque non definitivi, violerebbe l’art. 27, secondo comma, Cost.;
che, prosegue il remittente, l’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002 violerebbe anche l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo, in quanto, da un lato, incomprensibilmente, l’esclusione dal patrocinio a spese dello Stato sarebbe limitata ai soggetti imputati dei reati fiscali ivi indicati e non si estenderebbe anche ai soggetti imputati di altri reati che, al pari di quelli considerati, possono consentire di acquisire consistenti proventi in ipotesi assoggettabili a prelievo fiscale o comunque tali da assicurare una situazione di benessere economico inconciliabile con quella che costituisce il presupposto per l’ammissione al patrocinio; dall’altro, sarebbe irragionevole la sottoposizione al medesimo trattamento di soggetti che si trovano in posizioni diversificate quanto al differente grado di fondatezza dell’ipotesi accusatoria;
che l’art. 96, ultimo comma, del d.P.R. n. 115 del 2002, ad avviso del giudice a quo, violerebbe l’art. 97, primo comma, Cost., in quanto la previsione che il giudice deve decidere in ordine alla istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche nel caso in cui abbia richiesto, come nel caso di specie, informazioni a mezzo della Guardia di finanza sulle condizioni patrimoniali dell’istante, ai sensi del secondo e terzo comma del medesimo articolo, contrasterebbe con i principî del corretto funzionamento della pubblica amministrazione, sia perché l’eventuale esito positivo di tali accertamenti comporterebbe la revoca del decreto di ammissione, con vanificazione di tutte le attività conseguenti, sia perché darebbe luogo ad una duplicazione di accertamenti, sovrapponendosi quello demandato dal giudice alla Guardia di finanza alla verifica svolta obbligatoriamente, ai sensi dell’art. 98, comma 2, dall’Intendente di finanza a seguito della comunicazione del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con inutile dispendio di risorse economiche e di energie lavorative;
che è intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate;
che, in ordine alla questione concernente l’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002, la difesa erariale rileva che la stessa si fonda su un presupposto inesatto, poiché, al contrario di quanto sostenuto dal remittente, la disposizione censurata è finalizzata ad escludere la possibilità di chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato da parte dell’indagato, dell’imputato o del condannato, ove il procedimento in relazione al quale sussiste l’esigenza del patrocinio attenga ai reati di violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, e non anche ad escludere la possibilità dell’ammissione al patrocinio nei confronti di soggetti che in altri procedimenti siano stati indagati, imputati o condannati per tali reati;
che, pertanto, la questione non sarebbe rilevante nel giudizio principale, nel quale si procede per fatti di bancarotta, diversi da quelli considerati dalla disposizione censurata;
che, per quel che concerne la questione di legittimità costituzionale dell’art. 96, ultimo comma, del d.P.R. n. 115 del 2002, la difesa erariale ne eccepisce la contraddittorietà e la astrattezza, e quindi la irrilevanza nel giudizio a quo, dal momento che con essa il remittente mira ad escludere la eventualità di dover revocare un beneficio che deve ancora essere concesso, eventualità che potrebbe comunque verificarsi in esito agli accertamenti successivi all’ammissione, da espletarsi a cura del competente ufficio finanziario, cui il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve essere trasmesso, e che possono interessare tanto la mancanza originaria quanto quella sopravvenuta delle condizioni di reddito;
che, inoltre, prosegue l’Avvocatura, poiché il remittente non ha precisato se, nella specie, le informazioni richieste alla Guardia di finanza siano o meno pervenute, né se queste portino ad escludere lo stato di non abbienza dell’interessato, la questione risulterebbe proposta in modo astratto;
che, in ogni caso, ad avviso dell’Avvocatura, la questione sarebbe anche infondata, dal momento che, contrariamente a quanto sostenuto dal remittente, non vi sarebbe identità o sovrapposizione tra le verifiche della Guardia di finanza direttamente disposte dal giudice e quelle che il competente ufficio finanziario deve svolgere a seguito della trasmissione del decreto di ammissione, essendo queste esperibili solo in caso di concessione del beneficio al fine di accertare le condizioni reddituali dell’interessato, sia originarie che sopravvenute, entro il termine di cinque anni dalla definizione del processo, da effettuarsi anche con riferimento a redditi che non sono stati assoggettati ad imposta perché non rientranti nella base imponibile, o esenti o provenienti da attività illecite;
che, infine, osserva la difesa erariale, la previsione secondo cui il giudice deve pronunciarsi nel termine di dieci giorni dalla presentazione dell’istanza a pena di nullità degli atti successivi, anche nel caso in cui abbia richiesto informazioni, risponde all’esigenza, imposta dall’art. 24, terzo comma, Cost., che l’interessato non sia privato dell’assistenza difensiva nel periodo necessario ad accertare la veridicità delle condizioni economiche dichiarate;
che, con ordinanza in data 10 aprile 2003, la Corte d’appello di Torino, chiamata a decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata da un imputato al quale erano state contestate diverse violazioni della legge 7 agosto 1982, n. 516, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo e terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002;
che il remittente rileva, in primo luogo, che, mentre l’art. 24, terzo comma, Cost., impone al legislatore di assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, senza porre ulteriori condizioni, la disposizione censurata esclude la possibilità di usufruire del patrocinio a spese dello Stato per tutti coloro che, pur risultando non abbienti, siano indagati, imputati o condannati per una determinata tipologia di reati fiscali;
che, ricorda il giudice a quo, questa Corte, con la sentenza n. 243 del 1994, aveva ritenuto ammissibili cause di esclusione dal patrocinio diverse da quelle della non abbienza, sul presupposto che ai soggetti esclusi poteva comunque applicarsi la disciplina del gratuito patrocinio contenuta nel r.d. 30 dicembre 1923, n. 3282;
che, tuttavia, poiché la legge 29 marzo 2001, n. 134, ha disposto l’abrogazione del citato regio decreto (abrogazione ribadita dall’art. 289 del d.P.R. n. 115 del 2002), ai soggetti non abbienti, che si trovino nella condizione di cui all’art. 91, comma 1, lettera a), verrebbe a mancare ogni tutela, con violazione dell’art. 24 Cost.;
che la medesima disposizione contrasterebbe poi con l’art. 3 Cost., dal momento che, se può essere considerato ragionevole che coloro che sono chiamati a rispondere di reati che procurano un danno patrimoniale allo Stato non possano godere di agevolazioni patrimoniali da parte di quest’ultimo, non sarebbe altrettanto ragionevole che un simile trattamento non sia applicato anche nei confronti di chi sia indagato, imputato o condannato per reati, diversi da quelli considerati, che del pari consentono di accumulare ricchezze sottratte al prelievo fiscale;
che anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale, richiamando la memoria depositata nel giudizio introdotto con ordinanza n. 576 del 2002, ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata;
che in una memoria depositata in prossimità della trattazione della questione in camera di consiglio, l’Avvocatura dello Stato ha eccepito la inammissibilità della questione, perché sollevata in modo contraddittorio, assumendosi, da un lato, il contrasto della norma con i canoni di cui all’art. 24, secondo e terzo comma, Cost., e sostenendosi, dall’altro, la ragionevolezza della norma stessa con riguardo ai reati in essa considerati e chiedendosi, anzi, un ampliamento del suo ambito di applicazione;
che il remittente, quindi, non avrebbe tenuto conto del fatto che il principio di coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento costituisce criterio fondamentale di valutazione dei modi di attuazione di ogni altro canone costituzionale, operando conseguentemente valutazioni atomistiche, tra loro collidenti, senza neppure avvertire l’esigenza di individuare un criterio di prevalenza o di composizione delle medesime, non consentendo di cogliere la logica della denunzia;
che, sotto altro profilo, l’Avvocatura rileva che il giudice a quo postula che il soggetto richiedente sia non abbiente, senza fornire alcuna precisazione al riguardo, e senza considerare che a fondamento della norma censurata si trova una valutazione legislativa tipicizzata di inattendibilità dell’autocertificazione reddituale del soggetto indagato, imputato o condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia fiscale, ovvero di incompatibilità della situazione presupposta dal reato contestato con la condizione di non abbienza cui è ancorato il beneficio.
Considerato che le ordinanze di rimessione pongono questioni in parte coincidenti e che quindi i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi congiuntamente;
che entrambe le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui stabilisce che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa per l’indagato, l’imputato o il condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, debbono essere dichiarate manifestamente inammissibili, sia pure per ragioni diverse;
che la questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia risulta irrilevante nel giudizio a quo, in quanto dalla stessa ordinanza di rimessione si evince che in quel giudizio si procede per fatti di bancarotta e cioè per reati diversi da quelli per i quali la disposizione censurata nega l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
che, infatti, l’art. 91, comma 1, lettera a), il quale stabilisce che l’ammissione al patrocinio è esclusa per l’indagato, l’imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’esclusione opera solo in relazione ai procedimenti direttamente concernenti la commissione di uno dei reati specificamente indicati, e non con riferimento alla condizione soggettiva di chi, indagato, imputato o condannato in altri procedimenti per uno di tali reati, assuma la qualità di indagato, imputato o condannato per reati diversi;
che, pertanto, poiché non sussiste, nel giudizio principale, il denunciato ostacolo all’ammissione dell’imputato al patrocinio a spese dello Stato, la questione è priva del necessario requisito della rilevanza e per tale assorbente ragione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;
che la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata dalla Corte d’appello di Torino è a sua volta manifestamente inammissibile per il modo in cui essa è formulata;
che, infatti, il remittente, da un lato, censura la disposizione in esame, per contrasto con l’art. 24, secondo e terzo comma, Cost., perché, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, introdurrebbe un requisito ulteriore rispetto a quello della non abbienza dell’interessato, che sarebbe l’unico richiesto dall’art. 24, terzo comma, Cost; dall’altro, ritenendo ragionevole l’esclusione dal beneficio dei soggetti indagati, imputati o condannati per i reati espressamente indicati, censura la medesima disposizione, prospettandone il contrasto con l’art. 3 Cost., per la irragionevole non estensione della esclusione a reati diversi da quelli considerati, che del pari consentirebbero di accumulare ricchezze sottratte al prelievo fiscale;
che, dal testo dell’ordinanza di rimessione, non emerge che il denunciato contrasto con l’art. 3 Cost. sia stato prospettato in via subordinata al mancato accoglimento della questione sotto il profilo della violazione dell’art. 24, terzo comma, Cost., essendosi il giudice a quo limitato, nel dispositivo dell’ordinanza, a sollevare questione "nei termini sopra riportati", così rinviando alla motivazione della stessa ordinanza, nella quale i due profili di illegittimità non risultano trattati in termini di subordinazione dell’uno all’altro, ravvisandosi piuttosto il contrasto con entrambi i parametri evocati;
che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare la manifesta inammissibilità di questioni con le quali vengano sollecitati interventi correttivi aventi finalità contraddittorie tra loro (sentenza n. 123 del 1988, ordinanze n. 458 del 1998, n. 373 del 1999, n. 7 del 2003), quali certamente devono ritenersi quella volta alla rimozione della condizione ostativa all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sotto il profilo dell’art. 24, terzo comma, Cost., e quella volta alla affermazione della irragionevolezza della mancata estensione della condizione ostativa ad altre ipotesi non considerate dal legislatore;
che la questione di legittimità dell’art. 96, comma 4, del d.P.R. n. 115 del 2002, censurato in riferimento all’art. 97, primo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che il giudice provveda in ordine all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato anche quando lo stesso abbia richiesto le informazioni di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo, deve essere dichiarata manifestamente infondata;
che, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, anche con riferimento al procedimento finalizzato all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il principio del buon andamento si riferisce agli organi dell’amministrazione della giustizia esclusivamente per profili concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, ma non riguarda l’esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso e i diversi provvedimenti che ne costituiscono espressione (ordinanza n. 458 del 2002);
che, in ogni caso, deve escludersi che la previsione che il giudice debba provvedere sulla istanza di ammissione al patrocinio dello Stato entro il termine di dieci giorni dalla presentazione della istanza, a pena di nullità degli atti successivi, anche nel caso in cui abbia ritenuto di dover disporre accertamenti ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 96 del d.P.R. n. 115 del 2002, sia lesiva del precetto costituzionale del buon andamento, essendo essa evidentemente finalizzata a garantire l’effettività del diritto di difesa dei non abbienti nel procedimento penale cui l’istanza si riferisce e ad impedire che, decorso il termine di dieci giorni, possano essere compiuti atti ai quali il difensore del non abbiente avrebbe diritto di partecipare, salvi ovviamente gli appositi strumenti, anche sanzionatori, previsti dal medesimo d.P.R. n. 115 del 2002 (sentenza n. 304 del 2003).
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 91, comma 1, lettera a), del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia e, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo e terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino, con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 96, comma 4, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sollevata, in riferimento all’articolo 97, primo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2004.