SENTENZA
N. 101
ANNO
2018
Commento alla decisione di
I. Francesco Sucameli,
"Patto
di stabilità”, principi costituzionali ed attuazione politica: la legge di
bilancio 2019 e l’art. 9 della l. n. 243/2012 attraverso il prisma della
giurisprudenza del Giudice delle leggi, per g.c.
di Federalismi.it
II. Clemente
Forte, Marco Pieroni, Le
sentenze n. 101/2018 e n. 6/2019 della Corte costituzionale: il rapporto tra
legge e bilancio e gli effetti delle pronunce sui saldi di finanza pubblica,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art.
1, commi 463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 475, lettere a) e b), 479,
lettera a), 483, 483, primo periodo, e 519, della legge 11 dicembre 2016, n.
232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019), promossi dalla Provincia autonoma
di Bolzano, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia
autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 17-22 febbraio 2017 e il 20
febbraio 2017, depositati in cancelleria il 23, il 24 e il 28 febbraio 2017 e
iscritti rispettivamente ai numeri 20, 22 e 24 del
registro ricorsi 2017.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 7 marzo 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Renate
von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano,
Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per la
Provincia autonoma di Trento, Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento
e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– La Provincia autonoma di Bolzano, con
ricorso spedito per la notificazione il 17 febbraio 2017 e depositato il 23
febbraio 2017, iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le
altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettere
a) e b), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello
Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio
2017-2019), in riferimento agli artt.
79, commi 1, 3 e 4, 80, 81 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol); agli
artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale); al
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà
statale di indirizzo e coordinamento»); agli artt. 3 e 97 Cost., sotto il
profilo del principio di ragionevolezza, all’art. 117, terzo e
quarto comma, Cost., all’art. 119 Cost.,
in combinato disposto con l’art.
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione), all’art. 120 Cost.,
con riferimento al principio di leale collaborazione e all’accordo del 15
ottobre 2014 recepito con
la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»;
nonché all’art.
9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma,
della Costituzione), in relazione all’art. 81 Cost. e alla
legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del
pareggio di bilancio nella Carta costituzionale).
1.1.– Premette la ricorrente che, in forza del
Titolo VI dello statuto reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia
autonoma di Bolzano gode di una particolare autonomia in materia finanziaria,
sistema rafforzato dalla previsione di un meccanismo peculiare per la
modificazione delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che ammette
l’intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in presenza di
una preventiva intesa con la Regione e le Province autonome, in applicazione
dell’art. 104 dello statuto medesimo.
La Provincia autonoma di Bolzano richiama il
cosiddetto Accordo di Milano del 2009, siglato a Milano il 30 novembre 2009, con
il quale la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province
autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la
modificazione del Titolo VI dello statuto speciale, secondo la procedura
rinforzata prevista dal predetto art. 104. Tale intesa ha portato, ai sensi
dell’art. 2, commi da 106 a 126, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge finanziaria 2010)», a un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo
Stato, anche in attuazione del processo di riforma in senso federalista
contenuto nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione). La
ricorrente rammenta che, successivamente, è intervenuto l’accordo del 15
ottobre 2014 (cosiddetto "Patto di Garanzia”), sempre tra lo Stato, la Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, il quale ha portato a ulteriori modifiche del Titolo VI dello statuto
di autonomia, sempre secondo la procedura rinforzata prevista dall’art. l04 del
medesimo statuto. Tale ultima intesa, recepita con la legge 23 dicembre 2014,
n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ha, quindi, ulteriormente
innovato, ai sensi dell’art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il
sistema di relazioni finanziarie con lo Stato.
La Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che
il quadro statutario in materia finanziaria (sono richiamati in particolare gli
artt. 79, 80 ed 81 dello statuto speciale) si caratterizza, tra l’altro, per la
previsione espressa di una disposizione volta a disciplinare il concorso della
Regione e delle Province autonome al conseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica, di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti e dei
doveri dagli stessi derivanti, nonché all’osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
È previsto espressamente che siano la Regione e
le Province autonome a provvedere, per sé e per gli enti del sistema
territoriale regionale integrato di rispettiva competenza, alle finalità di
coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni
legislative dello Stato, adeguando, ai sensi dell’art. 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali
e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento), la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi
degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, nelle materie individuate dallo
statuto, adottando, conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e
contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione del debito pubblico,
idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della spesa aggregata delle
amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in coerenza con
l’ordinamento dell’Unione europea, per cui non si applicano le misure adottate
per le Regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale.
La ricorrente rammenta, inoltre, che il regime
dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali è dominato dal principio
dell’accordo e dal principio di consensualità (sono richiamate le sentenze di
questa Corte n.
28 del 2016, n.
133 del 2010, n.
82 del 2007, n.
353 del 2004, n.
98 del 2000 e n.
39 del 1984), definito, per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello
statuto speciale, sicché la previsione di una disciplina statale immediatamente
e direttamente applicabile nel territorio provinciale si porrebbe in contrasto
con l’art. 107 dello statuto e con il principio di leale collaborazione, in
quanto determinerebbe una modificazione unilaterale da parte dello Stato
dell’ordinamento provinciale.
La ricorrente osserva che, se nelle materie
attribuite alla competenza delle Province autonome, l’art. 2 del d.lgs. n. 266
del 1992, nel disciplinare il rapporto con l’ordinamento statale, prevede a
loro carico un onere di adeguamento della propria legislazione alle norme
statali costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale –
limiti da individuarsi, per le materie di competenza esclusiva, nelle
disposizioni qualificabili norme fondamentali di riforma economica e sociale,
e, per le materie di competenza concorrente, nelle disposizioni qualificabili
come principi – nondimeno tanto non potrebbe significare che le norme statali
debbano essere assunte tali e quali e, nelle more dell’adeguamento,
resterebbero applicabili quelle provinciali, per cui la disciplina statale
nemmeno potrebbe trovare immeditata applicazione.
La ricorrente evidenzia che, sebbene l’art. 1,
comma 638, della legge n. 232 del 2016 ne disponga l’applicazione alle Regioni
a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano
compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione,
nondimeno, l’art. l della legge n. 232 del 2016 recherebbe alcune disposizioni
che o parrebbero essere destinate ad applicarsi alla ricorrente Provincia, in
quanto includono espressamente le Province autonome di Trento e di Bolzano tra
i propri destinatari, senza essere state preventivamente concordate; oppure, in
modo indiretto, sarebbero destinate a produrre effetti nei suoi confronti,
rendendo ardua un’interpretazione adeguatrice al fine
di renderle compatibili con l’ordinamento statutario (sono richiamate le
sentenze di questa Corte n. 228 del 2013
e n. 412 del
2004), vanificando così la predetta clausola di salvaguardia con la propria
formulazione testuale.
1.2.– Tanto premesso, la Provincia autonoma di
Bolzano deduce anzitutto l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475,
lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016. Tale comma così dispone: «Ai
sensi dell’articolo 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, in caso
di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 466 del presente articolo:
a) l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di
riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo
corrispondente allo scostamento registrato […]. Gli enti locali delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di
Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati
dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo
corrispondente allo scostamento registrato. Le riduzioni di cui ai precedenti
periodi assicurano il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24
dicembre 2012, n. 243, e sono applicate nel triennio successivo a quello di
inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del
triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del
bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l’anno
di competenza delle medesime quote, presso la competente sezione di tesoreria
provinciale dello Stato, al capo X dell’entrata del bilancio dello Stato, al capitolo
3509, articolo 2. In caso di mancato versamento delle predette somme residue
nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi
128 e 129 dell’articolo l della legge 24 dicembre 2012, n. 228; b) nel triennio
successivo la regione o la provincia autonoma è tenuta ad effettuare un
versamento all’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un
terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui
all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243. Il versamento è
effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello
di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto
scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti
aperti presso la tesoreria statale; c) nell’anno successivo a quello di
inadempienza l’ente non può impegnare spese correnti, per le regioni al netto
delle spese per la sanità, in misura superiore all’importo dei corrispondenti
impegni dell’anno precedente ridotti dell’l per cento [...]; d) nell’anno
successivo a quello di inadempienza l’ente non può ricorrere all’indebitamento
per gli investimenti. Per le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, restano esclusi i mutui già autorizzati e non ancora contratti. I
mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o
finanziarie per il finanziamento degli investimenti o le aperture di linee di
credito devono essere corredati di apposita attestazione da cui risulti il rispetto
del saldo di cui al comma 466. L’istituto finanziatore o l’intermediario
finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito
in assenza della predetta attestazione; e) nell’anno successivo a quello di
inadempienza l’ente non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi
titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con
riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto
agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si
configurino come elusivi della presente disposizione. Le regioni, le città
metropolitane e i comuni possono comunque procedere ad assunzioni di personale
a tempo determinato, con contratti di durata massima fino al 31 dicembre del
medesimo esercizio, necessari a garantire l’esercizio delle funzioni di
protezione civile, di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore
sociale nel rispetto del limite di spesa di cui al primo periodo del comma 28
dell’articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; f) nell’anno successivo a
quello di inadempienza, il presidente, il sindaco e i componenti della giunta
in carica nell’esercizio in cui è avvenuta la violazione sono tenuti a versare
al bilancio dell’ente il 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni
di presenza spettanti nell’esercizio della violazione».
Detto comma, con il richiamo all’art. 9, comma
4, della legge n. 243 del 2012, introduce misure sanzionatorie in caso di
mancato conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le
entrate finali e le spese finali.
Limitatamente a quanto di interesse delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, la ricorrente evidenzia come alla
lettera a) si preveda che in tal caso i Comuni che ricadono nel territorio
delle due Province autonome sono assoggettati a una riduzione dei trasferimenti
correnti erogati dalle medesime in misura pari all’importo corrispondente allo
scostamento registrato e che tali riduzioni assicurano il recupero di cui
all’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012 e sono applicate nel triennio
successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza,
per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a
versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota
annuale, entro l’anno di competenza delle medesime quote. In caso di mancato versamento
delle predette somme residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le
procedure di cui ai commi 128 e 129 dell’art. l della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)». Queste ultime disposizioni
prevedono compensazioni a regime tra debiti degli enti locali nei confronti del
Ministero dell’interno e assegnazioni ministeriali, anche mediante
trattenimento sulle somme a essi spettanti a titolo di imposta municipale
propria (IMU).
Quindi, con esplicito riferimento alle Province
autonome, la norma in questione disciplina le conseguenze del mancato
conseguimento del «saldo non negativo» da parte dei Comuni, nell’ambito della
norma dettata in generale per le Regioni a statuto ordinario e gli enti locali
delle medesime, introducendo una disciplina specifica per la Regione Siciliana
e la Regione autonoma della Sardegna, nonché per le autonomie speciali che
hanno competenza in materia di finanza locale (Regione autonoma Valle d’Aosta,
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Province autonome di Trento e di
Bolzano).
L’art. 1, comma 475, lettera b), della legge n.
232 del 2016 prevede inoltre che nel triennio successivo la competente
Provincia autonoma è tenuta a effettuare un versamento all’entrata del bilancio
dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato,
che assicura il recupero di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del
2012, versamento che deve essere effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno
del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento
si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate
a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale.
La Provincia autonoma di Bolzano sostiene che le
predette disposizioni interferirebbero in modo evidente con l’assetto dei
rapporti finanziari intercorrenti tra le Province autonome e lo Stato, che
comprende anche la finanza dei Comuni dei rispettivi territori, come
disciplinato nello statuto di autonomia, anche a seguito del citato Patto di
Garanzia del 15 ottobre 2014 e delle conseguenti modificazioni statutarie
intervenute.
Secondo la ricorrente, sebbene il legislatore
statale qualifichi le disposizioni di cui ai commi da 463 a 484 dell’art. 1
della legge n. 232 del 2016 – e, quindi, anche il comma 475 – come «principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117,
terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione», le norme di cui al
comma 475, lettere a) e b), avrebbero un contenuto immediatamente precettivo,
di diretta applicazione, pur essendo incompatibili con l’ordinamento statutario
delle Province autonome. Esse, pertanto, si porrebbero in contrasto con il
comma 483 dello medesimo art. l, il quale prevede espressamente che, per le
Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché
per le Province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le
disposizioni di cui ai commi 475 e 479 e che resta ferma la disciplina del
patto di stabilità interno recata dall’art. 1, commi 454 e seguenti, della
legge n. 228 del 2012, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato;
inoltre, secondo la ricorrente, le norme impugnate sarebbero altresì
incoerenti, se non in contrasto, con la clausola generale di salvaguardia di
cui al comma 638 dello stesso articolo, secondo cui sono applicabili
«compatibilmente», vanificandola, in quanto esse menzionano espressamente come
destinatarie anche le Province autonome e gli enti locali (Comuni) del
rispettivo territorio, senza lasciare spazio ad alcuna possibilità di essere
interpretate in modo rispettoso dell’autonomia. Pertanto, esse violerebbero le
previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la potestà
legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in materia di
finanza locale – che, in quanto tale, sarebbe soggetta al limite dei principi
costituenti "norme di riforma economico-sociale” e non a quello dei principi
delle materie di competenza concorrente – nonché con la funzione attribuita
alle medesime del coordinamento della finanza pubblica provinciale, che
comprende la finanza locale (sono richiamati gli artt. 16 79, commi 3 e 4, 80 –
come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 518, della legge 27 dicembre 2013,
n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», approvato ai sensi
dell’art. 104 dello statuto speciale, a norma dell’art.1, comma 520, della
stessa legge – e 81 dello statuto; nonché gli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268
del 1992).
Più specificamente, le disposizioni di cui alla
lettera a) del comma 475, laddove definiscono direttamente la sanzione
conseguente al mancato rispetto dell’obiettivo del saldo, sarebbero in
contrasto con l’attribuzione da parte dello statuto d’autonomia della
competenza esclusiva, legislativa e amministrativa, nella materia della finanza
locale – e quindi con gli artt. 80 e 81 dello statuto, nonché con il d.lgs. n.
268 del 1992 – e della funzione di coordinamento della finanza pubblica
rispetto ai Comuni del rispettivo territorio, nonché agli altri enti a
ordinamento regionale o provinciale, che costituiscono il sistema territoriale
integrato (è richiamato l’art. 79, commi 1 e 3, dello statuto).
Per quanto riguarda, invece, le Province
autonome, secondo la ricorrente la previsione dell’obbligo di effettuare un
versamento all’entrata del bilancio dello Stato in relazione allo scostamento
registrato, di importo corrispondente a un terzo, come prescritto dalla lettera
b) del comma 475, contrasterebbe con l’autonomia finanziaria codificata dal
Titolo VI dello statuto speciale, come riconosciuta e disciplinata in modo
esaustivo dall’art. 79, comma 4, a seguito dell’accordo del 15 ottobre 2014,
assunto ai sensi dell’art. 104 dello statuto speciale.
Peraltro, la Provincia autonoma di Bolzano
evidenzia che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol non grava sul
bilancio dello Stato per il finanziamento della spesa dei propri Comuni, poiché
nel territorio regionale la finanza locale è a carico delle Province, con la
conseguenza che lo Stato non potrebbe neppure adottare norme per il loro
coordinamento finanziario. Richiama in proposito anche la recente sentenza di
questa Corte n.
75 del 2016, con la quale, dopo aver ribadito il peculiare assetto della
finanza locale nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, si afferma
che «[...] lo Stato, non concorrendo al finanziamento dei Comuni che insistono
sul territorio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, non può
neppure adottare norme per il loro coordinamento finanziario, che infatti
compete alla Provincia, ai sensi del richiamato art. 79, comma 3, dello
statuto». Osserva inoltre che le norme attuative del sistema sanzionatorio
definite, tra l’altro, con legge ordinaria, dovrebbero essere coerenti con il
precetto contenuto nell’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012, il quale
impone agli enti che registrino un saldo negativo, di adottare «misure di
correzione tali da assicurare il recupero entro il triennio successivo, in
quote costanti», sicché le disposizioni impugnate non potrebbero spingersi a
definire misure sanzionatorie nei confronti delle autonomie del TrentinoAlto Adige/Südtirol in contrasto con l’ordinamento
finanziario statutario.
1.3.– Si è costituito in giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.
Secondo il resistente, le censure relative al
citato comma 475, lettere a) e b), devono ritenersi infondate alla luce di
quanto disposto dal successivo comma 483, secondo il quale «[p]er le regioni Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige,
nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le
disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la
disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo l, commi 454 e
seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi
sottoscritti con lo Stato. Ai fini del saldo di competenza mista previsto per
la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, è
considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto
della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento». La norma, dunque,
prevede espressamente che ai suddetti enti non si applicano le disposizioni in
materia di sanzioni e premialità connesse alla disciplina del pareggio di
bilancio di cui all’art. 1, commi 475 e 479, della legge n. 232 del 2016,
operando, invece, il regime sanzionatorio connesso alla disciplina del patto di
stabilità interno.
A decorrere dall’anno 2018 – prosegue la difesa
statale – con il venir meno del vincolo del patto di stabilità interno, il
corpus giuridico di riferimento sarà costituito dalla sola disciplina del
pareggio di bilancio, in attuazione degli accordi rispettivamente sottoscritti
con lo Stato (in particolare, sono richiamati l’art. 8 del Protocollo d’intesa
tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 23 ottobre 2014,
recepito dall’art. 1, comma 517, della legge n. 190 del 2014, e il punto 10
dell’Accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e
le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014, recepito
dall’art. 79, comma 4-quater, dello statuto di autonomia). Ne consegue che, a
decorrere dall’anno 2018, anche nei confronti dei predetti enti ad autonomia
differenziata troverà applicazione il nuovo regime sanzionatorio e premiale
disciplinato dai citati commi 475 e 479.
Con riguardo alla censura rivolta alla lettera
a) del comma 475, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che tale
misura sanzionatoria è applicabile agli enti locali dei predetti enti ad
autonomia differenziata, assoggettati, già dal 2016, al vincolo del pareggio di
bilancio in luogo del patto di stabilità interno; tale disciplina sarebbe volta
a salvaguardare – proprio attraverso misure di correzione dell’eventuale
disavanzo registrato – l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva
e sarebbe strumentale al perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati
anche da obblighi comunitari. Essa costituirebbe pertanto diretta attuazione
dei princìpi costituzionali volti al coordinamento della finanza pubblica, che
non potrebbero che trovare uniforme applicazione anche nei confronti delle
autonomie speciali e dei rispettivi enti locali. Infatti, qualora tali princìpi
comportino l’obbligo di contenere la spesa (mediante la riduzione delle
correlate entrate), la Regione o la Provincia autonoma, nel momento in cui si
sottrae a misure destinate a operare sull’intero territorio nazionale, non
adempirebbe all’obbligo solidaristico di cui agli artt. 2 e 5 Cost.,
avvantaggiando indebitamente i propri residenti rispetto ai cittadini del
restante territorio nazionale.
Il resistente rammenta che, al riguardo, questa
Corte ha già affermato che «i margini costituzionalmente tutelati dell’autonomia
finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha
trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello
Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 219 del
2013; in precedenza, sentenza n. 155 del
2011). A questo effetto non si potrebbero sottrarre certamente le autonomie
speciali, dato che si renderebbe necessario anche nei loro confronti consentire
allo Stato di decidere autonomamente quale sanzione, nei limiti della non
manifesta irragionevolezza e della proporzionalità, abbia una sufficiente
efficacia compensativa e deterrente.
Ne consegue che la previsione di un meccanismo
sanzionatorio a carico degli enti locali delle ricorrenti non si tradurrebbe in
una lesione delle prerogative statutarie, una volta che sia stata attribuita
allo Stato la competenza a disciplinare gli effetti della violazione del patto
di stabilità (si cita la sentenza n. 46 del
2015 di questa Corte).
2.– La Provincia autonoma di Trento, con ricorso
spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 28 febbraio
2017, iscritto al n. 24 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le altre,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 466, quarto periodo,
comma 475, lettere a) e b), comma 479, lettera a), e comma 483, primo periodo,
nella parte in cui richiama il comma 479, della legge n. 232 del 2016, in
riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 69, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello
statuto speciale Trentino-Alto Adige/Südtirol; agli artt. 17, 18 e 19 del
d.lgs. n. 268 del 1992; all’art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di
attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di
igiene e sanità); all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; al principio di
ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost.; all’art. 81 Cost., anche in
relazione alla legge cost. n. 1 del 2012 e alla legge n. 243 del 2012; agli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione, anche
in relazione all’art. 120 Cost., e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito
con la legge n. 190 del 2014.
2.1.– La ricorrente premette di non ignorare
l’esistenza della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 1, comma 638,
della legge n. 232 del 2016, ma essa, secondo la ricorrente, non sarebbe di per
sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle
autonomie speciali, e in particolar modo alla Provincia autonoma di Trento,
possano trovare comunque applicazione.
2.2.– Quest’ultima sostiene che l’art. 1, comma
466, della legge n. 232 del 2016, detta norme sull’equilibrio di bilancio
applicabili anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome ai
sensi dell’art. 1, comma 465, della legge medesima. Tali norme sono in parte
riproduttive dell’art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge n. 243 del 2012, come
modificato dall’art. 1 della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge
24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e
degli enti locali). Il primo periodo, infatti, definisce l’equilibrio di
bilancio come «saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate
finali e le spese finali» e il secondo periodo specifica quali sono le entrate
finali («quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio
previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118») e le spese finali
(«quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio»). I
due successivi periodi del comma 466 riguardano il fondo pluriennale vincolato:
il terzo periodo stabilisce che «per gli anni 2017-2019, nelle entrate e nelle
spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale
vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento»;
il quarto periodo prevede che «a decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate
e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di
spesa, finanziato dalle entrate finali».
In relazione a detto quarto periodo del citato
comma 466, la Provincia autonoma di Trento evidenzia che a decorrere
dall’esercizio 2020 vengono posti limiti alla rilevanza dell’avanzo di bilancio
se utilizzato per finanziare il fondo pluriennale vincolato, consentendo cioè
il computo di tale fondo ai fini dell’equilibrio di bilancio solo se questo sia
stato finanziato tramite le entrate finali (e quindi, ad esempio, non con
l’avanzo di amministrazione autorizzato ai sensi del comma 502 dello stesso
art. 1 della legge n. 232 del 2016 o mediante operazioni di indebitamento).
Tale restrizione costituisce appunto l’oggetto
della censura della ricorrente, la quale rammenta che il fondo pluriennale
vincolato è una posta di bilancio introdotta in esecuzione dei principi statali
di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal decreto legislativo 23
giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei
loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
Il fondo è costituito da risorse già accertate e già impegnate in esercizi
precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente che
diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l’entrata.
Il fondo pluriennale vincolato rappresenta dunque un saldo finanziario a
garanzia della copertura di spese imputate a esercizi successivi a quello in
corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese
già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente
perfezionata, e quindi un vincolo a effettuare i relativi pagamenti, i quali,
tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi su cui vengono reimputate le spese. Tale reimputazione
risulta obbligatoria ai sensi del predetto d.lgs. n. 118 del 2011. Trattandosi
di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente
già coperte con entrate di tali esercizi. Proprio per questo, le regole
dell’armonizzazione prevedono che l’operazione di reimputazione
delle spese sia accompagnata dalla reimputazione
delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo
pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate
le spese. Con riferimento al fondo pluriennale vincolato, la legge 28 dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ne aveva previsto la
considerazione limitatamente all’anno 2016 ai fini dell’equilibrio di bilancio
(art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni
successivi. La legge n. 164 del 2016 ha consentito anche per il triennio
2017-2019 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini dell’equilibrio
di bilancio, subordinando però questa eventualità a successive previsioni della
legge di bilancio e comunque alla sua compatibilità con gli obiettivi di
finanza pubblica. La ricorrente rammenta che tali limitazioni erano già state
oggetto di contestazione da parte sua, con ricorsi rispettivamente iscritti ai
numeri 20 e 69 del registro ricorsi 2016.
In proposito, la Provincia autonoma di Trento
osserva che l’art. 1, comma 466, terzo periodo, della legge n. 232 del 2016,
sopravvenuto alle citate impugnative, consente ora di considerare il fondo
pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente
da operazioni di indebitamento per il triennio 2017-2019; per questa parte,
precisa la ricorrente, la disposizione non è censurata.
Diversamente, oggetto di denuncia è la
previsione per cui a partire dall’esercizio 2020 l’inclusione del fondo
pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali è consentita solo nella
parte in cui esso è finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi,
della possibilità di considerare il fondo stesso ai fini dell’equilibrio di
bilancio se esso sia stato finanziato con entrate diverse da quelle
classificate come «finali», quali quelle derivanti dal ricorso
all’indebitamento o reperite tramite l’avanzo di amministrazione.
Secondo la Provincia autonoma di Trento, tale
limitazione dell’attitudine dell’avanzo della Provincia a essere valorizzato in
tutti i suoi possibili impieghi contabili, e in particolare ai fini del
finanziamento del fondo pluriennale vincolato, violerebbe sotto diversi profili
la propria autonomia finanziaria, garantita dal Titolo VI dello statuto
speciale e dall’art. 119 Cost., in combinato con l’art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001, in quanto una componente patrimoniale della Regione verrebbe
indebitamente «sterilizzata», con riferimento all’equilibrio di bilancio: e ciò
in assenza di ogni forma di accordo con la Provincia autonoma, e dunque in
violazione della leale collaborazione e del metodo pattizio. Quanto alla violazione
dell’autonomia finanziaria, il meccanismo contabile sopra descritto
determinerebbe, secondo la ricorrente, una limitazione all’uso delle proprie
risorse, assegnate dagli artt. 70 e seguenti dello statuto speciale senza
vincolo di destinazione, per il finanziamento delle funzioni. Evidenzia inoltre
che l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa è espressamente riconosciuta
dall’art. 119, primo comma, Cost., per tutte le Regioni e quindi tale garanzia,
nelle parti in cui debba essere riconosciuta più favorevole, dovrebbe
intendersi estesa anche alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001 e completata dalla autonomia di bilancio,
espressamente tutelata dagli artt. 83 e 84 dello statuto speciale.
La Provincia autonoma di Trento rammenta altresì
che le limitazioni all’autonomia finanziaria provinciale sono individuate in
modo esaustivo nella clausola di garanzia dettata dall’art. 79, comma 4, dello
statuto speciale, il che escluderebbe in radice che, in relazione alla ricorrente,
le limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato possano
essere giustificate in quanto misura funzionale alla generale sostenibilità del
debito pubblico e quindi come contributo agli obiettivi di finanza pubblica. La
deroga a esse da parte di una legge statale non preceduta da un accordo con la
Provincia autonoma o non approvata nelle forme costituzionali prescritte
dall’art. 103 dello statuto confermerebbe la violazione, oltre che delle citate
disposizioni, anche del principio pattizio sancito negli artt. 104 e 107 dello
statuto e ribadito dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, nonché del
principio di leale collaborazione (art. 120, secondo comma, Cost.).
Secondo la ricorrente, inoltre, l’effetto
materialmente sottrattivo di risorse prodotto dalla regola contabile in
contestazione costringerebbe la Provincia a reperire altrove – e non nel
proprio avanzo – le risorse per la copertura del fondo pluriennale vincolato ai
fini del pareggio di bilancio. Tale effetto, inoltre, sarebbe irragionevole e
contrario ai principi di buon andamento dell’amministrazione sanciti dall’art.
97, secondo comma, Cost., dal momento che risorse disponibili (l’avanzo) non
potrebbero essere utilizzate, mentre altre risorse dovrebbero essere distolte
dai loro possibili impieghi ai soli fini di dare copertura a una spesa
pluriennale che ben potrebbe essere finanziata con l’avanzo degli esercizi
precedenti.
Infine, la ricorrente osserva che l’introduzione
del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione statale di
armonizzazione della finanza pubblica, sicché la sua limitata computabilità ai
fini del pareggio, se finanziato con l’avanzo di bilancio, sarebbe lesiva anche
del principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto regole contabili
sarebbero imposte a un certo fine (la programmazione della spesa) e poi piegate
ad altro scopo (rendere indisponibili le risorse). L’irragionevolezza della
regola qui contestata si rifletterebbe negativamente sull’esercizio delle
competenze legislative esclusive e concorrenti e delle corrispettive competenze
amministrative della Provincia, che tipicamente comportano programmazione di
spesa.
2.3.– La Provincia autonoma di Trento impugna
poi l’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016 nella
parte in cui dette disposizioni si riferiscono a essa ricorrente e ai suoi enti
locali. In subordine, propone questioni di legittimità costituzionale dei
successivi commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, nella parte in cui esso
escluderebbe l’applicazione del comma 479.
Espone al riguardo che se l’art. 1, comma 483,
della legge n. 232 del 2016 afferma che «per le regioni Friuli Venezia Giulia e
Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano,
non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente
articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata
dall’art. 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come
attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato», nondimeno, in modo del tutto
contraddittorio, il comma 475, relativo alle sanzioni per il mancato rispetto
dell’equilibrio di bilancio, conterrebbe, alle lettere a) e b), riferimenti
espliciti alle autonomie speciali e, in particolare, alle Province autonome.
La ricorrente ritiene che tali riferimenti siano
meri residui di precedenti versioni delle disposizioni e che avrebbero dovuto
essere eliminati con l’inserimento del comma 483, il quale – in coerenza con
quanto concordato con lo Stato e trasfuso nel 2014 nel nuovo art. 79 dello
statuto speciale, che disciplina in modo compiuto anche gli oneri di
partecipazione delle Province autonome al sistema della finanza statale – ne
sanciva l’estraneità al sistema di premi e sanzioni previsto dall’art. 9 della
legge n. 243 del 2012.
Pertanto, a fronte della contraddittorietà delle
disposizioni, la Provincia autonoma di Trento ha deciso l’impugnativa per
vedere affermata la prevalenza e la vigenza del comma 483, che ne esplicita
l’esclusione da tale sistema (con prosecuzione del regime della legge n. 228
del 2012). In caso contrario, laddove si dovesse ritenere che la
contraddittorietà normativa debba risolversi considerando operanti i
riferimenti alla Provincia autonoma di Trento e ai suoi enti locali contenuti
nel comma 475, lettere a) e b), la ricorrente ne contesta la legittimità
costituzionale.
2.3.1.– Ove si ritenesse che le disposizioni del
comma 475 riguardanti la Provincia autonoma di Trento non solo fossero operanti
ma dovessero altresì considerarsi conformi alla Costituzione e allo statuto, la
ricorrente in tal caso denuncia l’iniquità e l’irragionevolezza di un sistema
che la costringerebbe a subire il regime sanzionatorio di cui al comma 475, ma
senza partecipare al regime premiale di cui al comma 479.
2.3.2.– La Provincia autonoma di Trento deduce
ulteriormente l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettera
a), della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui disciplina direttamente e
in modo vincolante i rapporti finanziari degli enti locali con la medesima
Provincia.
Evidenzia come la lettera a) preveda che gli
enti locali ricadenti nel suo territorio siano privati dei trasferimenti
correnti erogati dalla Provincia medesima in misura parti all’importo dello
scostamento (saldo negativo): tale disposizione sarebbe pressoché identica a
quella di cui all’art. 1, comma 723, legge n. 208 del 2015, il cui comma 723 è
già stato impugnato davanti a questa Corte, presentando gli stessi vizi.
Precisa al riguardo la Provincia autonoma di
Trento che tale impugnazione è coltivata sempre nell’avversata ipotesi che
debba considerarsi la disposizione applicabile alla ricorrente nonostante
l’esclusione disposta dal già menzionato comma 483. In tal caso – si prosegue –
si tratterebbe di un mero "trasferimento” di un meccanismo sanzionatorio
previsto per la generalità dei Comuni a quelli della ricorrente Provincia, solo
adattandolo alla circostanza che è da essa che i Comuni ricevono parte delle
proprie risorse, senza tenere alcun conto delle specifiche responsabilità e
competenze della Provincia autonoma nel governo del sistema locale (fondate
sugli artt. 79, 80 e 81 dello statuto, in particolare in materia di finanza
locale) e delle regole proprie del rapporto tra fonti statali e fonti
provinciali nelle materie di competenza provinciale, dettate dall’art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992. Né, secondo la ricorrente, la competenza statale
prevista – in collegamento con quella in materia di coordinamento della finanza
pubblica – dall’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012 – o, comunque dal
comma 4 del medesimo articolo – potrebbe giustificare tale meccanico
trasferimento, essendo evidente, ad avviso della Provincia, che tale competenza
generale andrebbe esercitata nel rispetto delle regole speciali poste dallo statuto
di autonomia e dalle sue norme di attuazione, contenute, in particolare, negli
artt. 79, commi 3 e 4, 80, comma 1, e 81, sussistendo unicamente un
potere-dovere di adeguamento da parte della Provincia autonoma alla normativa
statale, senza che essa possa applicarsi direttamente ed immediatamente nelle
materie di sua competenza. Diversamente, il comma 475, lettera a), da un lato,
ignorerebbe completamente la responsabilità e i poteri della Provincia
autonoma, in contrasto con il citato art. 79 dello statuto, e inoltre
disciplinerebbe direttamente la materia, anche in violazione dell’art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992, stabilendo che ogni ente locale che non rispetti il
vincolo del saldo non negativo subisca una corrispondente decurtazione del
trasferimento provinciale per la parte corrente.
Secondo la ricorrente, spetterebbe invece alla
medesima il compito di disciplinare autonomamente le conseguenze – all’interno
del sistema provinciale – del mancato rispetto del principio del saldo non
negativo da parte degli enti locali la cui azione essa regola e finanzia.
2.3.3.– La Provincia autonoma di Trento,
inoltre, denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475,
lettera b), della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui introduce sanzioni
rispetto al sistema di pareggio di bilancio.
La ricorrente precisa che anche tale profilo di
censura deve ritenersi proposto in via cautelativa, laddove non dovesse
ritenersi prevalente il comma 483, che dispone la non applicazione alle
Provincie autonome dell’intero comma 475.
In tal caso, il comma 475, lettera b),
contrasterebbe con il principio di determinazione e di certezza sancito
nell’accordo del 15 ottobre 2014 e trasfuso nell’art. 79 dello statuto
speciale, in forza del quale i possibili trasferimenti finanziari dalla
Provincia autonoma allo Stato devono ritenersi descritti in modo esaustivo
dallo stesso art. 79, secondo quanto ivi espressamente affermato nel comma 1 e
ribadito dal comma 2, secondo cui «le misure di cui al comma 1 possono essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’art. 104 e fino alla
loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica». Inoltre, il comma 4 dell’art. 79 dispone espressamente che
«nei confronti della regione e delle province e degli enti appartenenti al
sistema territoriale regionale integrato non sono applicabili disposizioni
statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o
concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di
stabilità interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo». A sua
volta, il successivo comma 4-quater dispone – nel teso all’epoca vigente – che
«a decorrere dall’anno 2016, la regione e le province conseguono il pareggio
del bilancio come definito dall’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243»,
con la precisazione, contenuta nel seguente comma 4-quinquies, che «restano
ferme le disposizioni in materia di monitoraggio, certificazione e sanzioni
previste dai commi 460, 461 e 462 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n.
228».
Secondo la ricorrente, si tratterebbe di un
sistema compiuto, che non tollererebbe commistioni con un diverso sistema
sanzionatorio o premiale.
2.3.4.– Ulteriormente, sempre nell’ipotesi di
applicabilità del citato comma 475, lettera b), la Provincia autonoma di Trento
ne deduce l’illegittimità laddove esso prevede che, «in caso di mancato
versamento» degli importi previsti, «si procede al recupero di detto
scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti
aperti presso la tesoreria statale». Si tratterebbe, ad avviso della
ricorrente, di una disposizione che violerebbe palesemente il principio di
leale collaborazione e dell’accordo, consentendo allo Stato non solo di
determinare unilateralmente l’an e il quantum del
presunto debito, ma addirittura di attribuirsi direttamente la somma in
questione, sottraendola alla Provincia, approfittando del fatto, del tutto
casuale, che essa si trovi presso la tesoreria statale. Per tale ragione una
simile sottrazione, in assenza di qualunque giusto procedimento, violerebbe
altresì le regole di base dell’autonomia finanziaria garantita dagli artt. 70 e
seguenti dello statuto speciale.
2.3.5.– Infine, la Provincia autonoma di Trento
lamenta l’incongruità e l’irragionevolezza del nesso che l’impugnato comma 475
cercherebbe di instaurare tra il meccanismo sanzionatorio del versamento per
tre anni di un terzo dell’importo dello scostamento e la disposizione dell’art.
9, comma 2, della legge n. 243 del 2012. Quest’ultima, infatti, richiede che
siano previste «misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il
triennio successivo»: misure di correzione che portano a recuperare lo
squilibrio, ma che, secondo la ricorrente, nulla avrebbero a che fare con il
meccanismo afflittivo di cui al comma 475, lettera b), la cui applicazione non
migliorerebbe, per l’ente che lo subisce, l’equilibrio tra entrate e uscite.
2.3.6.– In via ulteriormente subordinata la
Provincia autonoma di Trento deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, della legge n. 232 del 2016 nella
parte in cui la coinvolgerebbero nel solo sistema sanzionatorio, ma non anche
in quello premiale.
Tale impugnazione, si precisa, è proposta in via
cautelativa, nel caso in cui la ricorrente soggiaccia allo specifico regime
sanzionatorio di cui al comma 475, senza, tuttavia, partecipare al sistema
premiale di cui al comma 479: tanto accadrebbe se si considerassero operanti e
legittimi i riferimenti espliciti alle Province autonome contenuti nel comma
475 e, di converso, il comma 483, che assicurerebbe comunque la non
applicazione del comma 479, il quale, del resto, riferisce il meccanismo
premiale alle sole Regioni.
Una simile ricostruzione del significato
complessivo delle disposizioni impugnate sarebbe per la ricorrente palesemente
illegittimo, in quanto – si sostiene – la legge n. 243 del 2012 prevederebbe un
impianto nel quale il sistema delle sanzioni non potrebbe essere disgiunto da
quello dei premi, destinando i «proventi delle sanzioni a favore dei premi agli
enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi» (art. 9,
comma 4, lettera c, della legge n. 243 del 2012). In attuazione di tali
disposti, la legge n. 232 del 2016, accanto alle sanzioni del comma 475,
introduce al comma 479 la previsione di corrispettive misure premiali. Sicché,
laddove la Provincia autonoma fosse costretta a soggiacere al predetto sistema,
l’incasso derivante dalle sanzioni – comprese quelle a suo carico, nell’ipotesi
di uno squilibrio di bilancio – costituirebbe il fondo da ripartire tra gli
enti virtuosi. Ma, in tal caso, il comma 483 escluderebbe dal sistema dei premi
essa ricorrente e lo stesso farebbe il comma 479, lettera a), riferendosi
soltanto alle Regioni. In questi termini, il comma 479, lettera a), e il comma
483, nella parte in cui ne esclude l’applicabilità alla Provincia autonoma di
Trento, si porrebbero in contrasto con l’art. 9, comma 4, della legge
rinforzata n. 243 del 2012, che include le autonomie speciali tra i destinatari
del sistema sanzionatorio e di quello premiale.
Secondo la ricorrente, essendo la legge statale
rinforzata vincolante per la legge ordinaria in forza dell’art. 81 Cost. e
dell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, anche tali disposizioni
risulterebbero violate. Inoltre, nelle parti indicate i predetti commi 483 e
479, lettera a), violerebbero anche il principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., in quanto determinerebbero un’evidente e ingiustificata discriminazione
tra le Province autonome – che si troverebbero esposte al sistema delle
sanzioni, ove non riuscissero a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non
potrebbero mai godere del riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la
totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera il correlato
beneficio.
Poiché, tuttavia, detta discriminazione verrebbe
automaticamente meno escludendo le Province autonome dallo specifico sistema di
premi e sanzioni di cui ai commi 475 e 479, come previsto appunto dal comma
483, tale esclusione terrebbe ferma la richiesta avanzata dalla ricorrente in
via principale.
2.4.– Si è costituito anche in questo giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato.
Osserva la difesa dello Stato che le
disposizioni in questione hanno la finalità di contribuire al raggiungimento
degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall’appartenenza all’Unione
europea, per cui si tratta di misure di risparmio riconducibili a una scelta di
fondo del legislatore statale. In questa prospettiva le disposizioni
legislative in oggetto sarebbero dunque espressione di un principio di
coordinamento della finanza pubblica e, come tali, non si pongono in contrasto
con l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione all’ente ricorrente; peraltro,
in termini generali, la specificità delle prescrizioni di per sé non sarebbe
idonea a escludere il carattere di principio di una norma (è richiamata la sentenza n. 23 del
2014 di questa Corte).
Il Presidente del Consiglio dei ministri,
inoltre, evidenzia che, ai sensi dell’art. 105 dello statuto speciale, «[n]elle
materie attribuite alla competenza della regione o della provincia, fino a
quando non sia diversamente disposto con leggi provinciali o regionali, si
applicano le leggi dello Stato». La citata disposizione prevederebbe dunque
che, anche in caso di materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva
della Provincia autonoma, qualora la stessa non abbia legiferato e fino a
quando ciò non avvenga, la normativa statale sia destinata a trovare
applicazione.
3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
con ricorso spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 24
febbraio 2017, iscritto al n. 22 del registro ricorsi del 2017, ha impugnato,
tra gli altri, l’art. 1, commi 463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 483 e
519, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 48, 49, 51, 63 e 65
della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia); agli artt. 3, 25, secondo comma, 81, primo e sesto
comma, 97, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, e 136 Cost; all’art.
5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, all’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001; al principio dell’accordo; ai principi di
ragionevolezza e di leale collaborazione e alle norme di attuazione contenute
nel d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale); nel
decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni
al d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale), e nel
decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza
regionale); all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e agli artt. 3, comma 2 e 9,
della legge n. 243 del 2012.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
premette di non ignorare l’esistenza dell’art. l, comma 638, della legge n. 232
del 2016, ma parimenti ritiene che tale clausola di salvaguardia non sarebbe di
per sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle
autonomie speciali, e in particolar modo a essa ricorrente – tra cui quelle
aventi contenuto lesivo dell’autonomia stessa, come le norme impugnate –
possano trovare comunque applicazione.
3.1.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
impugna l’art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della legge n.
232 del 2016, per incompetenza, con violazione dell’art. 81, comma sesto,
Cost., e dell’art. 5 della legge cost. n. l del 2012.
Premette la ricorrente che l’art. 1, comma 466,
primo, secondo e quarto periodo, della legge n. 232 del 2016, altro non farebbe
che riprodurre quanto stabilisce l’art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge
rinforzata n. 243 del 2012, come novellato dalla legge n. 164 del 2016.
Sennonché – obietta la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la competenza a
dettare le regole conformative dell’obbligo del pareggio di bilancio, che grava
sugli enti territoriali e sulla Regione medesima per effetto degli artt. 81 e
119 Cost. (e anche dell’art. 97 Cost.), deve ritenersi riservata, dall’art. 81,
sesto comma, Cost., e dall’art. 5 della legge cost. n. l del 2012, a una legge
rinforzata, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
Ne conseguirebbe, secondo tale prospettazione, che la comune legge ordinaria
non potrebbe sostituirsi alla legge rinforzata con riguardo agli oggetti
riservati alla seconda, pena la violazione della riserva. Secondo la
ricorrente, l’identità tra i precetti contenuti nelle disposizioni impugnate
con quelli dettati dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012 non escluderebbe ma,
piuttosto, confermerebbe la sussistenza dell’invasione di competenza. Sarebbe
poi violato, per effetto della riproduzione di norme riservate ad altra fonte,
anche il principio di certezza del diritto (e dunque il principio di
ragionevolezza), occultando ai cittadini e agli operatori l’effettiva fonte di
validità e operatività del precetto.
Secondo la ricorrente, le considerazioni sopra
esposte non potrebbero essere superate affermando che le norme impugnate
abbiano carattere attuativo della legge rinforzata, ad esempio rappresentando
un’applicazione all’esercizio finanziario 2017 delle regole generali stabilite
dalla legge n. 243 del 2012. A suo avviso, infatti, sarebbe evidente il loro
carattere duplicativo: il comma 466, esattamente come
il citato art. 9, commi l e l-bis, detterebbe a sua volta norme generali, che
si applicano a tutti i bilanci successivi, «[a] decorrere dall’anno 2017» per
quanto riguarda l’obbligo di equilibrio e la composizione delle entrate e delle
uscite finali, e «[a] decorrere dall’esercizio 2020» per quanto riguarda
l’inclusione del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, solo se
finanziato dalle entrate finali.
3.2.– Fermo il carattere assorbente della
censura rivolta all’art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della
legge n. 232 del 2016, la Regione autonoma impugna ulteriormente lo stesso
comma 466, secondo e quarto periodo, laddove elenca i titoli di entrata e di
spesa considerabili ai fini del rispetto della regola dell’equilibrio di
bilancio, escludendo l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente (secondo
periodo) e ponendo limiti all’utilizzo dell’avanzo di bilancio (quarto
periodo). Tali censure riprendono analoghe doglianze proposte contro le
identiche disposizioni della legge n. 243 del 2012, novellata dalla legge n.
164 del 2016.
Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
che, secondo quanto prevede il comma 466, tra le entrate finali che possono
essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio non
troverebbe immediata collocazione l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente.
La ricorrente ritiene che la mancata espressa menzione di tale posta di
bilancio possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo
del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio
precedente. Tale timore sarebbe confermato dalla disciplina degli spazi
finanziari coperti dall’avanzo dettata dall’art. 10, commi 3 e 4, della legge
n. 243 del 2012. Le disposizioni citate pongono una disciplina limitativa
all’utilizzo dell’avanzo di amministrazione, prevedendo che esso possa
impiegato sulla base di intese a livello regionale o dei patti di solidarietà
nazionali. In applicazione dell’art. l0, comma 4, l’art. l, comma 485, della
stessa legge n. 232 del 2016 dispone che per «[…] favorire gli investimenti, da
realizzare attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli
esercizi precedenti e il ricorso al debito, per gli anni 2017, 2018 e 2019,
sono assegnati agli enti locali spazi finanziari nell’ambito dei patti
nazionali, di cui all’articolo 10, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n.
243, nel limite complessivo di 700 milioni di euro annui, di cui 300 milioni di
euro destinati a interventi di edilizia scolastica».
Ove l’interpretazione descritta fosse corretta,
ad avviso della ricorrente i concreti effetti lesivi della norma impugnata
sarebbero particolarmente evidenti (e perciò anche irragionevolmente
discriminatori) proprio per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha
come principale fonte di entrata le compartecipazioni ai tributi erariali e il
gettito derivante dalla presenza sul territorio regionale di grandi gruppi (e
quindi di grandi contribuenti, che comunemente praticano operazioni societarie
o intragruppo, con rilevanti effetti tributari),
circostanze che renderebbero molto variabile, di anno in anno, la dimensione
delle entrate regionali. A causa di ciò l’ammontare delle entrate non sarebbe
prevedibile dalla ricorrente e quindi non sarebbe programmabile ex ante, dal
momento che essa avrebbe contezza dell’entità della compartecipazione di sua
spettanza solo a versamento avvenuto e dunque a saldo, secondo quanto previsto
dalle norme di attuazione dello statuto speciale. La combinazione delle
speciali regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare
composizione dei soggetti passivi d’imposta, che rende mutevole la massa
imponibile, e con i meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente
previsti, comporterebbe la fisiologica formazione di avanzi (o disavanzi) di
bilancio. Questi costituirebbero una parte essenziale della finanza regionale e
dovrebbero trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata
dell’anno seguente, utili ai fini del pareggio di bilancio. Diversamente, la
disposizione sarebbe, ad avviso della Regione, lesiva della propria autonomia
finanziaria e illegittima sotto diversi profili, che vengono prospettati sulla
base della premessa che un simile meccanismo non avrebbe alcuna base nella
legge cost. n. l del 2012 (i cui principi, al contrario, sarebbero anch’essi in
parte violati) e che, dunque, nella fissazione delle regole di equilibrio finanziario
non potrebbero essere sovvertiti i principi di base dell’autonomia finanziaria
regionale.
La ricorrente osserva al riguardo che l’avanzo
di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato accertato
e rappresentato nei rendiconti, sarebbe un elemento patrimoniale della Regione
autonoma, reso, tuttavia, dalla norma impugnata indisponibile per l’ente (salvo
che alle condizioni di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, come
novellata dalla legge n. 164 del 2016), generando una situazione equivalente
alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva
all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi
erariali di spettanza regionale.
Ad avviso della Regione, la disposizione
restrittiva verrebbe quindi a ledere le norme dello statuto speciale sulle
quali si fonda la sua autonomia finanziaria e, dunque, le norme contenute nel
Titolo IV della legge cost. n. l del 1963: l’art. 48 – che costruisce la
finanza dell’ente come finanza propria della Regione – l’art. 49 – che le
attribuisce quote dei tributi erariali – l’art. 51 – che individua le altre
entrate della Regione – e l’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle
norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. Sarebbero
violate anche le corrispondenti norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale
della Regione contenute nell’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost.,
invocato anche in combinazione con l’art. l0 della legge cost. n. 3 del 2001,
ove più favorevole. Considerando poi l’effetto sostanziale "sottrattivo” sopra
descritto, secondo la Regione autonoma risulterebbe violato anche il principio
dell’accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti
finanziari tra essa e lo Stato, principio sotteso agli artt. 63 e 65 dello
statuto speciale, nonché alle norme di attuazione contenute nel d.P.R. n. 114
del 1965, nel d.lgs. n. 8 del 1997, nel d.lgs. n. 137 del 2007 e ribadito, con
riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall’art. 27 della legge n.
42 del 2009.
Secondo la ricorrente la norma non potrebbe
nemmeno giustificarsi con le esigenze della solidarietà nazionale menzionate
dall’art. 48 dello statuto speciale, o con quelle di concorso della Regione
alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni,
menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché
dall’art. 5, comma 2, della legge cost. n. l del 2012. Ad avviso della Regione
autonoma, sarebbe ipotizzabile che l’avanzo di amministrazione venga
"sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di
essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle
amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea; ma tale forma
di concorso alla sostenibilità del debito pubblico sarebbe comunque
incompatibile con molteplici parametri costituzionali. Sarebbe violato,
anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla
sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in
disavanzo e bilanci in attivo; la possibilità di compensazioni, del resto,
sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243
del 2012, in relazione alle operazioni di investimento. Tale principio, secondo
la ricorrente, si ricaverebbe dall’art. 81, primo comma, Cost., che impone allo
Stato di assicurare «l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio
bilancio» e dall’art. 119, primo comma, Cost. che, analogamente, impone agli
enti territoriali «l’equilibrio dei relativi bilanci».
La Regione deduce altresì la violazione
dell’art. 97, primo comma, Cost., laddove impone a tutte le amministrazioni,
sia singolarmente che nel loro complesso, di avere un bilancio in equilibrio.
Al riguardo si precisa che la ricorrente sarebbe legittimata a far valere anche
la violazione degli artt. 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost., sia
perché, come ritenuto in dottrina, quella dell’equilibrio dei rispettivi
bilanci è una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di governo
mutuamente si prestano, sia perché la declinazione dell’equilibrio di bilancio
come equilibrio complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli
avanzi di amministrazione, avrebbe un ovvio impatto sull’autonomia finanziaria
della Regione autonoma, la quale si vedrebbe impossibilitata a utilizzare ai
fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell’esercizio
precedente.
Ulteriormente, questo meccanismo violerebbe
anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di
responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nell’art. 81
Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale
l’approvazione dei bilanci. In tal caso, infatti, l’organo rappresentativo, che
risponde al corpo elettorale, si troverebbe costretto dalla norma impugnata ad
approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli
esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione,
non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, in quanto imputato
al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso.
In terzo luogo, sarebbe violato anche il
principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale
n. l del 2012, che vorrebbe appositamente regolate le modalità attraverso le
quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni. Osserva al riguardo la ricorrente
che non potrebbe dirsi regolazione quello che è solo un effetto indiretto – per
quanto voluto – di una regola contabile (non a caso contenuta in una
disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla sostenibilità
del debito pubblico, oggetto, invece, di altra previsione).
Sotto tale profilo risulterebbero inoltre
violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., dal momento che la norma produrrebbe effetti del tutto
casuali e non correlati a una vera e propria "capacità contributiva” dell’ente,
poiché la presenza di una avanzo di amministrazione non sarebbe di per sé
sintomatica di una situazione finanziaria dell’ente realmente buona, né
significherebbe che tutto quell’avanzo possa essere contabilizzato a servizio
del debito consolidato della amministrazioni pubbliche. Detto rilievo di
irragionevolezza sarebbe poi confermato, sul piano dei dati normativi, dal
fatto che la norma impugnata si pone in contrasto con la logica interna del
sistema delineato dalla legge rinforzata n. 243 del 2012, che configura il
pareggio di bilancio come un obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2:
«[l]’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine»). La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbe quindi costantemente ostacolata
nel raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione alla
propria disponibilità delle risorse che pure statutariamente le spettano, ma
che non potrebbe ragionevolmente riuscire a impiegare nell’anno di riscossione
per la struttura stessa del meccanismo di riscossione. In tal caso, sarebbe
evidente la ridondanza di tale violazione sull’esercizio di competenze
costituzionalmente riservate alla Regione autonoma, che richiedono
l’approvazione di spese e l’erogazione di fondi.
3.3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
censura ulteriormente il predetto comma 466, quarto periodo, laddove stabilisce
che «[…] a decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è
incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle
entrate finali».
Osserva che detta disposizione pone limiti alla
rilevanza dell’avanzo di bilancio se utilizzato per finanziare il fondo
pluriennale vincolato, consentendo, cioè, il computo di tale fondo ai fini
dell’equilibrio di bilancio solo se sia stato finanziato tramite le entrate
finali (e quindi non con l’avanzo di amministrazione).
Tali censure, che sono sul punto coincidenti con
quelle della Provincia autonoma di Trento, considerano la previsione per cui, a
partire dall’esercizio 2020, l’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra
le entrate e le spese finali è consentita solo nella parte in cui esso è
finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi, della possibilità di
considerare il fondo stesso ai fini dell’equilibrio di bilancio se esso sia
stato finanziato tramite l’avanzo di esercizio. Secondo la Regione, tale
disposizione restrittiva lederebbe anzitutto la propria autonomia finanziaria,
violando le norme contenute nel Titolo IV dello statuto, in particolare l’art.
48 – che configura la finanza dell’ente come finanza propria – l’art. 49 – che
attribuisce alla Regione autonoma quote dei tributi erariali – l’art. 51 – che
individua le altre entrate della Regione autonoma – e l’art. 63, ultimo comma,
che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato
ivi previsto. Secondo la ricorrente, sarebbero lese anche le norme
sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione dettate dall’art. 119,
primo, secondo e sesto comma, Cost., ove più favorevole, in combinazione con
l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; nonché, in ragione degli effetti
sostanzialmente sottrattivi che derivano dalla norma qui contestata, il
principio dell’accordo, ricavabile dagli artt. 63 e 65 dello statuto speciale e
confermato dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e dalle norme di attuazione
elencate al precedente punto.
Ad avviso della ricorrente, tali limitazioni
alla computabilità del fondo pluriennale vincolato rimarrebbero
incostituzionali anche nell’ipotesi in cui esse dovessero ritenersi strumentali
alla sostenibilità del debito pubblico, per ragioni corrispondenti a quelle
esposte al punto precedente in relazione alla problematica dell’avanzo di
amministrazione. Sarebbe infatti violato anche il principio di cui all’art. 5,
comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che vuole appositamente
regolate le modalità con cui gli enti territoriali concorrono alla
sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
Inoltre, sarebbero lesi il principio di ragionevolezza e il principio di
eguaglianza, considerato che tale contributo sarebbe automaticamente generato
in funzione dell’applicazione di una regola contabile che è dettata a
tutt’altri fini e non di un reale capacità contributiva dell’ente, visto che la
presenza dell’avanzo di bilancio non è necessariamente strutturale, bensì può
dipendere – e nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
effettivamente dipenderebbe – dalle regole costituzionali sulle entrate
regionali, fondate sulle compartecipazioni, e dall’indisponibilità di
informazioni sulla base imponibile, monopolizzate dallo Stato.
Anche in questo caso – si prosegue –
analogamente a quanto accade con i limiti previsti dall’art. l, comma 466,
secondo periodo, della legge n. 232 del 2016 per gli altri utilizzi dell’avanzo
di bilancio, l’irragionevolezza della regola contestata si rifletterebbe
negativamente sull’esercizio delle competenze legislative e amministrative
della Regione, che tipicamente comportano programmazione di spesa. Poiché
l’introduzione del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione
statale di armonizzazione della finanza pubblica, la sua limitata computabilità
ai fini del pareggio, se finanziato con l’avanzo di bilancio, sarebbe lesiva
anche del principio costituzionale di leale collaborazione.
3.4.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
impugna anche l’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016, nel caso in cui
tale disposizione si dovesse interpretare nel senso di coinvolgere la Regione
nel sistema sanzionatorio relativo al pareggio di bilancio, ma non in quello
premiale di cui al comma 479. Secondo la ricorrente, in tale ipotesi si
produrrebbe la violazione della legge n. 243 del 2012, e in particolare
dell’art. 9, comma 4, che prevede un impianto nel quale il sistema delle
sanzioni non potrebbe essere disgiunto dal sistema dei premi.
Inoltre, l’art. l, comma 483, della legge n. 232
del 2016, nella parte in cui escludesse la ricorrente Regione dal solo sistema
dei premi, violerebbe anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.),
perché determinerebbe un’evidente e ingiustificata discriminazione tra essa –
che si troverebbe esposta al sistema delle sanzioni, per l’ipotesi che non
riuscisse a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non potrebbe mai godere del
riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la totalità delle altre
Regioni, per le quali potenzialmente opera un siffatto riconoscimento.
3.5.– La ricorrente lamenta altresì
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del
2016, laddove avrebbe irragionevolmente escluso dall’accordo tra Stato e
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia l’individuazione dell’annualità
dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) di riferimento per la verifica degli
accantonamenti dell’IMU finalizzati alla neutralità finanziaria, infrangendo il
giudicato costituzionale formatosi con la sentenza n. 188 del
2016 di questa Corte.
Espone che tale decisione ha dichiarato
incostituzionale l’art. 1, commi 711, 712 e 729, della legge n. 147 del 2013 –
nella parte in cui tali disposizioni si applicavano alla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia – in quanto contrastanti con gli artt. 49, 51, secondo comma, e 63,
quarto comma, dello statuto e con il principio di leale collaborazione. La
questione sottoposta allora all’attenzione di questa Corte riguardava
l’imposizione alla Regione autonoma, al fine di preservare la neutralità
finanziaria dopo la sostituzione dell’ICI con l’IMU, del sistema
dell’accantonamento a favore dello Stato di una parte dei tributi altrimenti
destinati agli enti locali, maggiore o minore a seconda delle previsioni di
gettito e stabilita, peraltro, senza tenere conto del minor introito causato
dai numerosi casi di esenzione dall’applicazione dell’IMU stessa (per effetto
del comma 712). Nello stesso contesto si precisava che lo Stato può sì adottare
delle determinazioni unilaterali (come accadeva per l’accantonamento), ma che
tale metodo deve essere tuttavia inteso come rimedio provvisorio per assicurare
una corretta fase di "sperimentazione finanziaria”, indispensabile per
realizzare un neutrale trapasso al nuovo sistema tributario definito dalla
riforma. Le determinazioni unilaterali, in altre parole, non potrebbero essere
permanenti, ma, per loro natura, interinali. L’attribuzione del carattere
permanente agli accantonamenti stabiliti unilateralmente su mere basi
previsionali costituiva invece una violazione del principio dell’accordo, come
emergeva confrontando la disposizione impugnata con il combinato delle norme
contenute, rispettivamente, nell’art. 49 dello statuto speciale, che prevede le
compartecipazioni regionali ai tributi erariali, nel successivo art. 51,
secondo comma, il quale stabilisce la spettanza alla Regione di
compartecipazioni e addizionali su tributi erariali che le leggi dello Stato
attribuiscono agli enti locali del proprio territorio, e nell’art. 63, quarto
comma, del medesimo statuto, il quale prevede il metodo dell’accordo, nonché
nell’art. l, comma 159, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2011)», volto ad assicurare la neutralità finanziaria
correlata a nuove forme di imposizione in sostituzione di tributi vigenti.
Nel merito, la ricorrente evidenzia come già in
occasione degli incombenti istruttori disposti in quel procedimento fosse
emerso il «[…] vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione del
precedente gettito effettivo dell’ICI, indefettibile termine di paragone per
verificare la neutralità finanziaria delle compensazioni previste dalla
riforma», cui sarebbe correlata «la sovrastima del maggior gettito dell’IMU, la
quale altererebbe ulteriormente la forbice differenziale, riverberandosi sul
calcolo dell’accantonamento per tutte le annualità successive» (sentenza n. 188 del
2016). Nella medesima sentenza, inoltre, si evidenziava che le disposizioni
statutarie e il principio di leale collaborazione erano stati violati anche
«[…] sotto un ulteriore profilo: ossia per la mancata previsione di una corretta
condivisione, da parte dello Stato, dei dati analitici necessari ad effettuare
in contraddittorio le compensazioni indispensabili ad assicurare la neutralità
della riforma fiscale nelle relazioni finanziarie tra Stato ed enti
territoriali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ed, eventualmente, le
altre operazioni di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 finalizzate alla
razionalizzazione delle risorse tributarie assegnate alla medesima Regione ed
ai propri enti locali». Così, il legislatore aveva finito per offrire «un
quadro opaco ed autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche applicative
del riparto del gettito», che si traduceva in un’«inadeguata traduzione del
modello costituzionale nel meccanismo giuridico», recante pregiudizio alla
«possibilità di un consapevole contraddittorio, finalizzato ad assicurare la
cura di interessi generali quali l’equilibrio dei reciproci bilanci, la
corretta definizione delle responsabilità politiche dei vari livelli di governo
in relazione alle scelte e alle risorse effettivamente assegnate e la
sostenibilità degli interventi pubblici in relazione alle possibili
utilizzazioni alternative delle risorse contestate, nel tessuto organizzativo
delle amministrazioni concretamente interessate al riparto del gettito
fiscale». In sintesi, pertanto, si sarebbe evidenziato, per un verso, che era
mancato il necessario accordo alla base delle modalità di compensazione per il
maggiore o minore gettito derivante dalla sostituzione dell’ICI con l’IMU, onde
conservare la neutralità finanziaria; per altro verso, a monte di ciò, veniva
posto in luce come una discussione sul punto non potesse in ogni caso essere
intavolata tra le parti in assenza di una reale condivisione dei dati di base
volti ad assicurare la neutralità finanziaria dell’operazione nel suo
complesso.
Tanto premesso, secondo la Regione ricorrente la
disposizione di cui all’art. l, comma 519, della legge n. 232 del 2016,
adottata in conseguenza della sentenza n. 188 del
2016 di questa Corte, ne soddisferebbe solo parzialmente i dettami. Se
infatti, da un lato, si dispone che «[i]l Ministero dell’economia e delle
finanze e la regione Friuli Venezia Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere
entro il 30 giugno 2017, alla verifica della misura degli accantonamenti
effettuati nei confronti della regione Friuli Venezia Giulia, ai sensi
dell’articolo l, commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147,
per gli anni dal 2012 al 2015» – richiamandosi, quindi, al metodo dell’accordo
imposto dalla sentenza poc’anzi citata – dall’altro, proprio con l’ultima parte
del comma si viene a escludere dall’accordo un elemento di estrema importanza,
sancendo cioè che la verifica riguarderà gli accantonamenti effettuati «per
effetto delle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di
imposizione locale immobiliare».
Osserva al riguardo la ricorrente che l’ultimo
anno di applicazione dell’ICI è stato il 2011 e i rendiconti dei Comuni della
Regione hanno registrato un gettito ICI nel 2011 superiore a quello del 2010.
Stando così le cose, secondo la ricorrente
sarebbe evidente che il legislatore statale abbia determinato del tutto
unilateralmente il referente temporale cui agganciare il parametro di
valutazione del gettito, scegliendo, inoltre, non l’annualità più recente, e
dunque quella meglio in grado di registrare l’effettiva dimensione del gettito
del tributo locale, ma l’annualità precedente. Tale arbitraria scelta sarebbe
pregiudizievole per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in quanto,
attraverso di essa, si sovrastimerebbe il maggior gettito e dunque si
determinerebbe un artificioso incremento delle spettanze dello Stato. Così
facendo, inoltre, quest’ultimo escluderebbe dall’accordo proprio uno di quegli
altri profili di natura contabile tra i quali rientra, come affermato nella
citata sentenza
n. 188 del 2016, «la verifica di congruità di dati e basi informative
finanziarie e tributarie», così occultando – o comunque dando per già
acquisito, a monte di ogni possibile discussione con la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia – un dato invece fondamentale, quale quello
dell’annualità di riferimento.
Secondo la ricorrente, l’art. 1, comma 519,
della legge n. 232 del 2016 contrasterebbe, altresì, con l’art. 119 Cost. e con
gli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale, nonché con l’art. 27
della legge n. 42 del 2009 e, in definitiva, con il principio dell’accordo,
secondo i principi stabiliti dalla sentenza n. 188 del
2016. Infine, proprio perché si tratta di profili di incostituzionalità già
sanzionati, sarebbe leso anche l’art. 136, Cost. e quindi sussisterebbe
violazione del giudicato costituzionale.
3.6.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
impugna l’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016, laddove questo
dovesse essere inteso nel senso di determinare l’applicazione alla ricorrente,
per l’anno 2016, delle sanzioni di cui all’art. 1, comma 723, della legge n.
208 del 2015.
Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
che, secondo quanto dispone l’art. l, comma 463, primo periodo, della legge 232
del 2016, «[a] decorrere dall’anno 2017 cessano di avere applicazione i commi
da 709 a 712 e da 719 a 734 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n.
208», cioè alcune delle disposizioni della legge di stabilità 2016 in materia
di pareggio di bilancio. La questione di costituzionalità sollevata dalla
ricorrente riguarda l’interpretazione, in relazione alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, della decorrenza della cessazione di tale applicazione
dall’anno 2017. Al riguardo, lo stesso comma 463 citato prosegue mantenendo
fermi non solo «gli adempimenti degli enti territoriali relativi al
monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all’articolo 1, comma 710,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208», ma anche «l’applicazione delle sanzioni
in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710,
accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28
dicembre 2015, n. 208». Di seguito, la disposizione precisa che «[s]ono fatti salvi gli effetti connessi all’applicazione
nell’anno 2016 dei patti di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732
dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208» (terzo periodo). Una
delle disposizioni alle quali il primo periodo dell’art. 1, comma 463, della
legge n. 232 del 2016 toglie efficacia «a decorrere dall’anno 2017» è l’art. 1,
comma 734, della legge n. 208 del 2015, il quale sanciva che «[p]er gli anni 2016 e 2017, alle regioni Friuli-Venezia
Giulia, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, alla Regione siciliana e alle
province autonome di Trento e di Bolzano non si applicano le disposizioni di
cui al comma 723 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di
stabilità interno recata dall’articolo l, commi 454 e seguenti, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato».
In estrema sintesi, secondo la ricorrente con detto comma 734 lo Stato
applicava alle indicate autonomie speciali, tra le quali la ricorrente, sia la
disciplina del patto di stabilità, sia quella del pareggio di bilancio, provvedendo
tuttavia a escludere l’applicazione delle sanzioni in caso di violazione delle
norme relative al pareggio di bilancio. La nuova disposizione di cui
all’impugnato comma 463, nel primo periodo, sopprime tale esenzione a decorrere
dall’anno 2017 mentre, contestualmente, nel secondo periodo, stabilisce che
rimane ferma «l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento
del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da
720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208».
La ricorrente ritiene che un’interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione imporrebbe di ritenere che
l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016
rimanga bensì «ferma», ma soltanto per le Regioni per le quali essa era fin
dall’inizio prevista, con l’eccezione, cioè, delle autonomie speciali di cui
all’art. 1, comma 734, della legge n. 208 del 2015. In altre parole,
l’espressione «a decorrere dall’anno 2017» dovrebbe essere intesa come rivolta
a sottoporre a monitoraggio e potenziale sanzione gli eventi contabili relativi
al 2017, lasciano impregiudicati i corrispondenti eventi relativi al 2016,
anche se la chiusura della relativa rendicontazione avverrà, come è ovvio, nel
corso del 2017. Tale impostazione sarebbe del resto confortata proprio dalla
presenza, all’interno del nuovo sistema, dell’art. 1, comma 483, della legge n.
232 del 2016, che ha tenore analogo a quello del citato comma 734, volto, cioè,
a escludere le autonomie speciali dal sistema sanzionatorio del pareggio di
bilancio.
La presente impugnazione viene prospettata,
perciò, per la contraria ipotesi in cui si dovesse ritenere che le citate
disposizioni del comma 463 sottopongano a monitoraggio e sanzione situazioni e
comportamenti relativi al 2016, ossia a un periodo nel quale quelle situazioni
e quei comportamenti ne erano esenti in ragione dell’art. 1, comma 734, della
legge n. 208 del 2015. In questo caso, espone la ricorrente, il legislatore
pretenderebbe di regolare l’esercizio trascorso con norme diverse da quelle che
lo regolavano durante l’esercizio medesimo e, così facendo, renderebbe
possibile applicare alla Regione autonoma FriuliVenezia
Giulia delle sanzioni per comportamenti tenuti in un anno – il 2016 – nel quale
essi non erano sanzionabili per espressa previsione della legge statale.
Tanto, secondo la ricorrente, contrasterebbe sia
con l’art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo del divieto di
retroattività sanzionatoria, sia con il canone di ragionevolezza di cui
all’art. 3, Cost., da ritenersi lesi per il fatto che lo Stato avrebbe prima
legiferato, esentando la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dal regime
delle sanzioni relative al pareggio di bilancio, e poi avrebbe eliminato tale
esenzione, regolando così una fattispecie – evidentemente non più modificabile
nelle sue caratteristiche storicamente consolidate – collocata nell’anno
passato in modo opposto a quanto fatto mentre esso era in corso. Secondo la
ricorrente sarebbe inoltre evidente, sempre in relazione all’art. 3 Cost., e
anche in connessione con l’art. 97 Cost., la violazione del legittimo
affidamento risposto dagli amministratori della Regione autonoma nella
permanenza, per l’anno 2016 ormai trascorso, del regime disposto dal legislatore
statale specificamente per il 2016. E tali violazioni ridonderebbero in una
lesione della autonomia finanziaria regionale consacrata dagli artt. 48 e 49
dello statuto speciale.
4.– Si è costituito anche in questo giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato.
La difesa dello Stato preliminarmente osserva
che nell’ordinamento italiano l’allineamento del sistema di regole interne con
i vincoli del nuovo patto europeo denominato Fiscal Compact è avvenuto con la
legge cost. n. 1 del 2012, la quale, novellando gli artt. 81, 97, 117 e 119
Cost., ha introdotto un principio di carattere generale, secondo cui tutte le
amministrazioni pubbliche devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese
del bilancio e la sostenibilità del debito.
Le norme impugnate non sarebbero pertanto lesive
dei princìpi in tema di riserva di legge rinforzata. Ciò in quanto il citato
art. 81, sesto comma, Cost., nel prevedere che «[i]l contenuto della legge di
bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio
tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei
principi definiti con legge costituzionale», non precluderebbe l’utilizzo di
una legge ordinaria per la disciplina di dettaglio.
Nella fattispecie le norme oggetto di ricorso,
nel rispetto dei princìpi di cui alla legge rinforzata, ne avrebbero richiamato
il contenuto al fine di dare fondamento ai successivi meccanismi applicativi
(monitoraggio e sanzioni).
In merito alla doglianza concernente il fatto
che tra le entrate finali valide ai fini dell’equilibrio di bilancio non
risulti anche l’avanzo di amministrazione dell’anno precedente, la difesa dello
Stato rileva preliminarmente che l’art. 1, comma 466, della legge n. 232 del
2016 contiene le indicazioni relative alle nuove regole di finanza pubblica
previste per le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Città
metropolitane, le Province e i Comuni al fine di adeguarle alle modifiche
recentemente apportate dalla legge n. 164 del 2016 alla disciplina
dell’equilibrio di bilancio, contenuta nella legge n. 243 del 2012, di
attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio.
In particolare, l’art. 9, comma 1-bis, della
legge n. 243 del 2012, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), della citata
legge n. 164 del 2016, al fine della determinazione del saldo di competenza tra
entrate finali e spese finali, specifica che «le entrate finali sono quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili
ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio». Ne consegue che l’avanzo
di amministrazione non risulterebbe ricompreso tra le voci di entrata che
costituiscono gli equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto del
predetto saldo.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
che la previsione censurata risponda all’esigenza di coordinare le regole di
finanza pubblica cui sono sottoposti gli enti territoriali con le regole
europee della competenza economica, secondo cui gli avanzi di amministrazione
realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini del conto
consolidato delle Amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del
rispetto dei vincoli europei.
Non sarebbero quindi condivisibili le censure
concernenti la violazione degli artt. 48, 49, 51 e 63 dello statuto speciale,
atteso che le regole di finanza pubblica sarebbero connotate da una generalità
e sistematicità che non accetta deroghe in favore di singoli enti.
Pur potendosi comprendere le difficoltà richiamate
nel ricorso dovute alla variabilità delle entrate della Regione, il Presidente
del Consiglio dei ministri ritiene che esse debbano trovare soluzione non
nell’ambito delle regole generali di finanza pubblica, ma semmai attraverso
l’introduzione di meccanismi correttivi nell’attribuzione alla Regione del
gettito da compartecipazione ai tributi erariali, ovvero mediante una modifica
statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato,
come già avvenuto per le altre autonomie speciali.
Anche in relazione all’impugnazione del quarto
periodo del citato comma 466, la difesa statale osserva che anche tale
disposizione recepisce pedissequamente, con riferimento agli obiettivi di
finanza pubblica per il triennio 2017-2019, quanto espressamente previsto nella
fonte sovraordinata e, in particolare, dal comma l-bis del novellato art. 9
della legge n. 243 del 2012.
Evidenzia al riguardo che il menzionato art. 9,
anche nella versione originaria, precedente alle modifiche introdotte dalla
legge n. 164 del 2016, aveva provveduto a individuare i saldi rilevanti ai fini
dell’equilibrio di bilancio, escludendo l’avanzo di amministrazione, nonché le
entrate rinvenienti da debito, dalle voci di entrata che costituivano gli
equilibri di bilancio.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri
richiama quanto già sopra osservato in merito al necessario coordinamento tra
la contabilità utilizzata in sede europea e la contabilità adoperata dagli enti
territoriali, tenuto conto che il pareggio di bilancio richiesto ai predetti
enti trova una sua giustificazione nell’assunto che ognuno di essi contribuisce
a determinare il saldo consolidato delle pubbliche amministrazioni su cui
l’Italia ha un vincolo esterno da rispettare nei confronti dell’Unione europea.
Pertanto, non sarebbero fondate le censure
concernenti la compressione dell’autonomia finanziaria formulate in riferimento
allo statuto, atteso che le regole di finanza pubblica contenute nelle
disposizioni in esame sono connotate da una generalità e sistematicità che non
consente deroghe in favore di singoli enti.
Con riguardo all’impugnazione dell’art. 1, comma
519, della legge n. 232 del 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri
ritiene il ricorso infondato, in quanto si baserebbe su una lettura non
corretta della sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte.
Per quanto concerne il fatto che la norma
sarebbe il frutto di una scelta unilaterale del legislatore nazionale, il
Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come l’individuazione
dell’annualità di riferimento per calcolare il gettito ICI rappresenti il punto
di riferimento che si ritiene non debba essere oggetto di concertazione e
condivisione con la Regione, né al momento della formulazione della norma, né
tanto meno in fase di accordo. Ciò in quanto l’annualità 2010 rappresenterebbe
l’anno di riferimento preso in considerazione dalla relazione tecnica allegata
al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito nella legge 22
dicembre 2011, n. 214, con il quale si è realizzato il passaggio dall’ICI
all’IMU, il cui importo, di euro 9.193 milioni, rappresenterebbe il dato di
contabilità nazionale rilevato dall’ISTAT, per il gettito ICI 2010, risultante
dalla tabella allegata al predetto decreto-legge e che ne costituisce parte
integrante.
La difesa statale rammenta che il passaggio
dall’ICI all’IMU costituisce solo una fase della più complessa riforma fiscale
programmata dalla legge n. 42 del 2009 e cominciata nel 2011 con il decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo
Fiscale Municipale), che contiene la disciplina dell’IMU, anticipata poi in via
sperimentale proprio dall’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 «in tutti i comuni
del territorio nazionale in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23».
Pertanto, il valore del gettito dell’ICI così
determinato rappresenterebbe un dato di finanza pubblica e, in quanto tale,
farebbe venir meno le censure di unilateralità e autoreferenzialità del
comportamento del legislatore nazionale.
D’altronde, lo stesso dato – si prosegue –
sarebbe utilizzato al fine di definire i rapporti finanziari sia con i Comuni
delle Regioni a statuto ordinario, della Regione Siciliana e della Sardegna
nell’ambito del fondo di solidarietà comunale sia con le altre Regioni o
Province autonome che hanno la competenza in materia di finanza locale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene
dunque che il principio di indivisibilità di cui all’art. 5 Cost. imponga di
considerare il dato del gettito dell’ICI riferito all’anno 2010 unico per tutto
il territorio italiano al fine di definire i rapporti finanziari conseguenti
all’introduzione in via sperimentale dell’IMU.
Alla luce del quadro di riferimento sopra
descritto, si chiarirebbe anche la portata dell’art. 13, comma 17, del d.l. n.
201 del 2011, sulla quale non è intervenuta la citata sentenza n. 188 del
2016, laddove stabilisce che «[...] con le procedure previste dall’articolo
27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle
d’Aosta, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il
recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni
ricadenti nel proprio territorio».
Pertanto, il dato dell’ICI 2010, pari a euro
9.193 milioni, dovrebbe ritenersi incontestabile anche sulla base di quanto ha
ritenuto questa Corte e quindi sarebbe legittimo l’espresso riferimento operato
dall’impugnato comma 519 alle «modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in
materia di imposizione locale immobiliare».
Il resistente, inoltre, richiama quanto
affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 3
novembre 2015, n. 5008, che ha parzialmente accolto la doglianza avanzata dalla
difesa dello Stato e ha precisato che il dato di gettito stimato dell’ICI
relativo all’anno 2010, pari a euro 9.193 milioni, era stato alla base
dell’accordo del 1° marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del
citato fondo di solidarietà ed era immodificabile. Di conseguenza – si prosegue
– la norma impugnata non poteva che far riferimento alle «modifiche intervenute
rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare»,
considerato che l’utilizzo di un parametro di riferimento differente rispetto
al dato ISTAT 2010 avrebbe comportato una disparità di trattamento nei
confronti dei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, con un’irragionevole e
ingiustificata riduzione delle risorse finanziarie in loro favore, data la
necessità di mantenere invariata la dotazione complessiva del fondo. L’utilizzo
di un parametro differente avrebbe, in altri termini, comportato una violazione
del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e di indivisibilità
sancito dall’art. 5 Cost. in un contesto di federalismo non competitivo, ma
solidale, nonché del principio di ragionevolezza.
5.– Tutte le ricorrenti hanno depositato memoria
in vista dell’udienza pubblica.
5.1.– La Provincia autonoma di Bolzano,
richiamate le proprie difese, evidenzia che l’art. 1, comma 483, della legge n.
232 del 2016 è stato abrogato, a decorrere dal primo gennaio 2018, dall’art. 1,
comma 828, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello
Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio
2018-2020). Dalle schede di lettura sulla legge di bilancio 2018 si
intenderebbe che lo stesso legislatore statale riteneva operante tale
disposizione. La ricorrente, infine, richiama quanto affermato dalla recente sentenza n. 247 del
2017 di questa Corte.
Da tutto quanto in precedenza esposto
deriverebbe che la disposizione di cui alla lettera b) dell’impugnato comma
475, nella parte in cui prevede che in caso di mancato versamento degli importi
previsti si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze
depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale,
violi anche il principio di leale collaborazione e quello dell’accordo, in
quanto consentirebbe allo Stato di determinare unilateralmente se sussista un
debito, nonché a quanto esso ammonti, e, in più, anche di trattenere somme
spettanti alla Provincia autonoma di Bolzano in forza dello statuto, in
violazione dell’autonomia finanziaria a essa garantita.
5.2.– La Provincia autonoma di Trento rammenta
che nel proprio ricorso, con riferimento alle limitazioni poste dall’impugnato
comma 466, relativamente all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, aveva
lamentato che le disposizioni censurate strumentalizzassero una regola
contabile a un fine di mero e contingente coordinamento della finanza pubblica.
Tale strumentalità – si prosegue – sarebbe
confermata dallo stesso atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, in cui si riconosce che le disposizioni in questione hanno la finalità
di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti
dalla appartenenza all’Unione europea e le si qualifica come «espressione di un
principio di coordinamento della finanza pubblica».
Senonchè, obietta la
Provincia autonoma di Trento, proprio tale strumentalizzazione delle regole
sull’equilibrio del bilancio al fine di produrre contribuzioni alla finanza
pubblica sarebbe stato censurato dalla sentenza n. 247 del
2017 di questa Corte, che ha stabilito la corretta interpretazione
dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge n. 164
del 2016, dopo aver premesso che, ove le norme limitative dell’utilizzo del
fondo pluriennale vincolato (tra cui quella che stabilisce che «a decorrere
dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo
pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali»)
fossero interpretate come fonte di contribuzione ai vincoli di finanza
pubblica, esse sarebbero illegittime sotto molteplici profili, tra i quali
quelli dedotti nel presente giudizio.
Secondo la ricorrente, pertanto, la stessa
conclusione si imporrebbe anche con riferimento all’impugnato comma 466, quarto
periodo, di tenore letterale identico a quello dell’art. 1, comma 1, lettera
a), terzo periodo, della legge n. 164 del 2016, e quindi tale disposizione
andrebbe assoggettata alla stessa interpretazione correttiva o, al contrario,
qualora fosse intesa nel senso fatto proprio dal Presidente del Consiglio dei
ministri, se ne dovrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale.
5.3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
in merito alla dedotta violazione della riserva di legge rinforzata costituita
dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012, non nega che il comma 466 «recepisce
pedissequamente» – come afferma anche il Presidente del Consiglio dei ministri
– quanto prescrive l’art. 9, comma 1bis, della legge rinforzata n. 243 del
2012, senonché, per la Regione autonoma, tale identità testuale e precettiva,
lungi dall’escludere la sussistenza del vizio, ne costituirebbe il fondamento,
dacché quelle norme dovevano essere contenute nella fonte rinforzata e quindi
tanto dimostrerebbe l’incompetenza della comune legge ordinaria.
Né, secondo la medesima ricorrente, varrebbe
obiettare, come argomenta invece l’Avvocatura generale dello Stato, che la
riserva di legge di cui all’art. 5 della legge cost. n. l del 2012 e all’art.
81, sesto comma, Cost. non precluderebbe una disciplina di dettaglio oppure che
la ripetizione del contenuto dell’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del
2012 a opera del comma 466 serva a dare fondamento a meccanismi applicativi
regolati dai corrimi successivi. Osserva al riguardo la ricorrente che i due
argomenti sarebbero intrinsecamente contradditori, perché o la disciplina è
effettivamente di dettaglio e quindi potrebbe essere contenuta nella legge
ordinaria, oppure, se funge da fondamento della disciplina di dettaglio,
dovrebbe ritenersi logicamente una disciplina di principio e quindi dovrebbe
essere collocata nella fonte rinforzata.
Peraltro, per effetto della coincidenza con
quanto dispone l’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012, secondo la
Regione si tratterebbe di una disciplina sostanzialmente riproduttiva di quella
posta con legge rinforzata e che, quindi, non potrebbe essere di dettaglio
rispetto a sé stessa, risultando in definitiva viziata da incompetenza in
riferimento all’art. 81, sesto comma, Cost., e all’art. 5 della legge cost. n.
1 del 2012.
La ricorrente osserva inoltre che, come avvenuto
con le disposizioni censurate e quelle concernenti i limiti per l’utilizzo del
fondo pluriennale vincolato, lo Stato persevererebbe nel riprodurre norme in
materia di equilibrio di bilancio in occasionali leggi di bilancio. Tanto
confermerebbe le censure regionali sullo strumentale utilizzo di tali
disposizioni ai fini di contingenti esigenze di finanza pubblica, producendo
quegli «effetti novativi sulla disciplina specificativa dei principi
costituzionali di natura finanziaria e di quelli ad essi legati da un rapporto
di interdipendenza», già censurati dalla sentenza n. 247 del
2017 di questa Corte in relazione all’abuso della tecnicità contabile.
Ciò dimostrerebbe, altresì, l’interesse
sostanziale della Regione a vedere rimosse quelle disposizioni dalla legge
ordinaria, per quanto le norme continuino a vivere nell’ordinamento, trovando
la loro fonte stabile e condivisa, perché rinforzata, nell’art. 9, comma 1-bis,
della legge n. 243 del 2012, il quale dovrà però essere interpretato in base
alle direttive indicate nella citata sentenza n. 247 del
2017. Tale interesse avrebbe ricevuto espressa sanzione nella
giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe ritenuto pienamente ammissibili
– sul presupposto della lesività delle norme impugnate – le censure dirette
contro disposizioni della legge n. 164 del 2016 che violavano la riserva di
legge di cui all’art. 81, sesto comma, Cost.
Con riferimento all’illegittimità delle
limitazioni poste all’utilizzabilità dell’avanzo di amministrazione e del fondo
pluriennale vincolato, sollevate dalla ricorrente con riferimento al secondo e
quarto periodo del comma 466, anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
si richiama a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 247 del
2017. Le ragioni ivi esposte imporrebbero quindi, ad avviso della
ricorrente, la dichiarazione di incostituzionalità del comma 466, secondo e
quarto periodo, in relazione ai parametri evocati o, in alternativa,
un’interpretazione adeguatrice delle medesime disposizioni.
Relativamente alla dedotta illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, la
ricorrente rammenta che la necessità di definire consensualmente con la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia le regolazioni finanziarie conseguenti alla
riforma della fiscalità locale è stata affermata nella sentenza n. 188 del
2016 di questa Corte, la quale ha censurato, tra l’altro, sia la carenza di
neutralità dell’operazione di passaggio dall’ICI all’IMU, sia la carenza di
trasparenza. In proposito rammenta come la pronuncia abbia sottolineato che la
pianificazione del riparto di risorse conseguente alla riforma deve
necessariamente utilizzare metodologie di stima preventiva, ma che tale
operazione «rimane un fenomeno intrinsecamente giuridico e costituzionalmente
rilevante», perché «riguarda anche gli interessi delle diverse collettività
locali coinvolte, le quali hanno diritto ad un’informazione chiara e trasparente
sull’utilizzazione del prelievo obbligatorio e sulla imputabilità delle scelte
politiche sottese al suo impiego». La sentenza ha sì giustificato il sacrificio
preventivo della fiscalità territoriale, ma ciò «in attesa della definitiva
attuazione del parametro normativa, una volta che siano disponibili con
chiarezza i dati necessari per il conguaglio tra lo Stato e la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia del gettito proveniente dalle diverse tipologie
tributarie interessate dalla riforma».
Pertanto, secondo la ricorrente, se appare
logico che, in vista dell’anticipazione dell’IMU al 2012, disposto nell’ambito
della manovra realizzata dal d.l. n. 201 del 2011, il legislatore abbia
operato, anche per procedere agli accantonamenti, sulla base dei dati disponili
e quindi dell’ICI 2010 secondo stime di gettito, sarebbe, al contrario, del
tutto irragionevole che nel procedere al conguaglio non si tenesse conto dei
dati effettivi, una volta che questi siano disponibili. Al riguardo evidenzia
che il rinvio, contenuto nel d.l. n. 201 del 2011, ai dati dell’ICI 2010 è
stato fatto in sede preventiva e di programmazione, mentre la citata sentenza n. 188 del
2016 avrebbe riconosciuto il diritto della Regione a un conguaglio a
consuntivo, il quale non potrà che tenere conto dei dati effettivi.
Rammenta inoltre come la menzionata sentenza
abbia sottolineato che «il Presidente del Consiglio dei ministri non rispond[e] alla censura regionale, secondo cui le stime
contenute nelle disposizioni impugnate avrebbero un vizio genetico derivante
dalla grave sottovalutazione del precedente gettito effettivo dell’ICI,
indefettibile termine di paragone per verificare la neutralità finanziaria
delle compensazioni previste dalla riforma», con conseguente «sovrastima del
maggior gettito dell’IMU, la quale altererebbe ulteriormente la forbice
differenziale, riverberandosi sul calcolo dell’accantonamento per tutte le
annualità successive», ma ha anche aggiunto che «malgrado le puntuali richieste
istruttorie in proposito formulate da questa Corte, non vi è traccia nella
risposta dell’Avvocatura generale dello Stato di informazioni e quantificazioni
finanziarie circa il problema sollevato dalla ricorrente in ordine al mancato
rispetto della neutralità finanziaria».
Dunque – prosegue la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia – non solo non vi sarebbe alcun giudicato costituzionale
sul punto relativo al gettito dell’ICI, ma piuttosto il significato sarebbe
esattamente opposto a quello sostenuto dal Presidente del Consiglio dei
ministri: non nel senso dell’incontestabilità del dato di partenza (cioè il
gettito dell’ICI riferito all’anno 2010), bensì della necessità di quantificare
il gettito di tale imposta secondo dati reali e condivisi. E tale giudicato,
appunto, sarebbe violato dalla pretesa della norma impugnata di imporre
unilateralmente un determinato anno di riferimento. Infine, secondo la
ricorrente sarebbe del tutto irrilevante la giurisprudenza amministrativa
citata dal resistente, che considera immodificabile il dato di riferimento
all’anno 2010 in quanto su di esso era intervenuto l’accordo con l’Associazione
nazionale comuni italiani (ANCI). In proposito, la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia replica di non essere mai stata parte di tale accordo, funzionale alla
determinazione del fondo di solidarietà comunale, cui i Comuni friulani non
partecipano, sicché, da un lato, a nulla rileverebbe che il gettito dell’ICI
2010 fosse stato assunto quale base per la determinazione del fondo;
dall’altro, l’adozione dei dati reali per il conguaglio sarebbe priva di ogni
effetto sulla dotazione di quel fondo e non ne avrebbe alcuno sui Comuni delle
Regioni a statuto ordinario.
Considerato
in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra gli altri, i commi
463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 483 e 519 dell’art. 1 della legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 81, primo e sesto comma, 97, 117,
terzo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, 136 Cost. e all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione); all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale) – in relazione agli artt. 3 e 9 della
legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della
Costituzione), come modificato dalla legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche
alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle
regioni e degli enti locali) – agli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia); ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione
e a quello dell’accordo in materia di finanza regionale (di cui agli artt. 63 e
65 dello statuto speciale e 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante
«Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione»); nonché in relazione alle norme di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di finanza regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114,
concernente la finanza regionale); al decreto legislativo 31 luglio 2007, n.
137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia
Giulia in materia di finanza regionale).
2.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la
Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 475,
lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 79,
commi 1, 3 e 4, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) – in
relazione alle corrispondenti norme di attuazione (in particolare, artt. 17 e
18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza
regionale e provinciale», e decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante
«Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento») – agli
artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione di cui
all’art. 120 Cost. e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito dalla legge 23
dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»; al principio di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; agli artt. 81 e 97 Cost., anche in
relazione alla legge cost. n. l del 2012 e alla legge n. 243 del 2012.
3.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la
Provincia autonoma di Trento ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 466,
quarto periodo, 475, lettere a) e b), 479, lettera a), e 483, primo periodo
(nella parte in cui richiama il precedente comma 479), della legge n. 232 del
2016 in riferimento agli artt. 8, 16, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto
di autonomia – in relazione alle corrispondenti norme di attuazione (in
particolare, artt. 17, 18 e 19 del d.lgs. n. 268 del 1992; art. 2 del d.lgs. n.
266 del 1992); all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo
1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione
Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità» – agli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120
Cost. e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito dalla legge n. 190 del 2014;
al principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost. e all’art. 81
Cost., anche in relazione alla legge cost. n. 1 del 2012 e alla legge n. 243
del 2012.
4.– Riservata a separate pronunce la decisione
delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi
indicati in epigrafe, i giudizi relativi a quelle precedentemente descritte
debbono essere riuniti, in ragione della parziale coincidenza delle norme
censurate e dei parametri evocati.
Seguendo l’ordine delle disposizioni impugnate,
ai fini del presente giudizio le doglianze delle ricorrenti possono essere
sinteticamente rappresentate come segue.
4.1.– L’art. 1, comma 463, della legge n. 232
del 2016 è stato impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 97 Cost. e agli artt. 48 e 49
dello statuto speciale.
I motivi dell’impugnazione sono dichiaratamente
cautelativi in relazione alle potenziali interpretazioni del complesso dettato
normativo.
La ricorrente teme che l’abrogazione dell’art.
1, comma 734, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016)» – il quale aveva previsto che, per gli anni 2016 e 2017, alle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige/Südtirol,
alla Regione Siciliana e alle Province autonome di Trento e di Bolzano non si
applicassero le disposizioni di cui al comma 723 e restasse ferma la disciplina
del patto di stabilità interno recata dall’art. l, commi 454 e seguenti, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», come
attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato, e «l’applicazione delle
sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo
comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della
legge 28 dicembre 2015, n. 208» – possa indurre a interpretare il comma 463 nel
senso di sottoporre (retroattivamente) a monitoraggio e sanzione situazioni e
comportamenti relativi al 2016, cioè a un periodo nel quale gli enti friulani
ne sarebbero stati esenti in ragione del medesimo comma 734 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015.
4.2.– L’art. l, comma 466, della legge n. 232
del 2016 è stato impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
limitatamente al primo, secondo e quarto periodo, e dalla Provincia autonoma di
Trento, limitatamente al quarto periodo, in rifermento agli artt. 81, 97 e 119,
Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 e ai principi di
ragionevolezza e di eguaglianza, oltre che ai parametri contenuti nei rispettivi
statuti.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
impugna la norma nella parte in cui elenca i titoli di entrata e di spesa
considerati ai fini del rispetto dell’equilibrio di bilancio, escludendo
l’eventuale avanzo di amministrazione dalla parte attiva del bilancio stesso.
Nel corso dell’udienza la difesa della Regione – che al momento del ricorso non
conosceva la sopravvenuta sentenza n. 247 del
2017 di questa Corte – ha dichiarato di condividere l’interpretazione adeguatrice contenuta in tale sentenza, perimetrando le
proprie censure sul diverso regime che entrerebbe in vigore nell’esercizio
2020.
Ciò anche in considerazione del fatto che
l’avanzo di amministrazione sarebbe un cespite di proprietà dell’ente
territoriale e non potrebbe essere "espropriato” per finalità afferenti ai
vincoli generali di finanza pubblica.
Secondo la ricorrente, i concreti effetti lesivi
della norma impugnata sarebbero particolarmente intensi e irragionevolmente
discriminatori proprio per se stessa, in quanto la diacronia nella riscossione
delle entrate costituenti la principale risorsa regionale (compartecipazioni ai
tributi erariali) e la disomogeneità temporale della maturazione dei proventi
derivati dalle operazioni sociali e infragruppo delle aziende di notevoli
dimensioni operanti sul territorio renderebbero molto variabile, di anno in
anno, la dimensione delle entrate regionali, «non prevedibile e non
programmabile ex ante […]».
L’avanzo di amministrazione dell’esercizio
precedente, una volta accertato e rappresentato nei rendiconti, sarebbe un
elemento patrimoniale della Regione, che la norma impugnata renderebbe
indisponibile da parte dell’ente (salvo che alle condizioni di cui all’art. 10
della legge n. 243 del 2012, come novellata dalla legge n. 164 del 2016),
generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse,
analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di
entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.
La disposizione lederebbe anche le norme dello
statuto speciale sulle quali è fondata l’autonomia finanziaria. Considerando
poi l’effetto sostanziale "sottrattivo”, risulterebbe violato anche il
principio dell’accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i
rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Ad avviso della ricorrente, la norma non
potrebbe nemmeno giustificarsi con le esigenze della solidarietà nazionale o
con quelle di concorso della Regione alla sostenibilità del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto
comma, e 97, primo comma, Cost., nonché dall’art. 5, comma 2, della legge cost.
n. l del 2012.
L’avanzo di amministrazione potrebbe essere
"sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di
essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle
amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea, ma tale forma
di concorso alla sostenibilità del debito pubblico, secondo la ricorrente,
sarebbe comunque incompatibile con molteplici parametri costituzionali. Sarebbe
violato, anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve
risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica
di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo; la possibilità di compensazioni,
del resto, sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della
legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
lamenta anche la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., la cui combinazione
costituirebbe una sorta di garanzia reciproca per tutti i livelli di governo,
sia sotto il profilo dell’equilibrio individuale che di quello complessivo dei
bilanci.
Il descritto meccanismo violerebbe, inoltre,
secondo la ricorrente, il principio di veridicità, di trasparenza dei bilanci e
di responsabilità politica, implicito, oltre che negli artt. 81 e 97 Cost.,
nelle norme statutarie che ne riservano al Consiglio regionale l’approvazione.
L’organo rappresentativo regionale, che risponde al corpo elettorale, si
troverebbe costretto dalla norma impugnata ad approvare un bilancio non
trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli esercizi precedenti, pur
registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai
fini del pareggio di bilancio, in quanto verrebbe imputato al consolidamento
dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso. L’elettore verrebbe
così privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della
finanza regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli
amministratori e dei rappresentanti eletti.
Risulterebbero infine violati il principio di
ragionevolezza e il principio di eguaglianza, dal momento che la norma
produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a una vera e propria
"capacità contributiva” dell’ente, poiché la presenza di un avanzo di
amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una favorevole situazione
finanziaria, né potrebbe significare che l’avanzo possa essere contabilizzato a
servizio del debito consolidato delle amministrazioni pubbliche.
La ricorrente contesta poi la disposizione
secondo cui, a partire dall’esercizio 2020, l’inclusione del fondo pluriennale
vincolato tra le entrate e le spese finali sarebbe consentita solo nella parte
in cui esso è finanziato con le entrate finali.
La disposizione lederebbe anzitutto l’autonomia
finanziaria della Regione e avrebbe effetti sostanzialmente sottrattivi delle
risorse necessarie per finanziare le funzioni statutariamente assegnate. Le
limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato sarebbero
incostituzionali in relazione all’eventuale finalizzazione alla sostenibilità
del debito pubblico, anche in riferimento ai principi in tema di equilibrio di
bilancio e sostenibilità del debito di cui agli artt. 81 e 97 Cost.
Sarebbero altresì lesi il principio di ragionevolezza
e il principio di eguaglianza, in quanto tale contributo, così indirettamente
imposto, sarebbe automaticamente generato in funzione dell’applicazione di una
regola contabile dettata per fini diversi dalla reale "capacità contributiva”
dell’ente, visto che la presenza di un avanzo di bilancio potrebbe dipendere –
come nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – dalla peculiarità
dei flussi finanziari inerenti alle entrate regionali.
Le censure dell’art. 1, comma 466, quarto
periodo, della legge n. 232 del 2016 da parte della Provincia autonoma di
Trento sono sostanzialmente coincidenti con quelle rivolte alla medesima norma
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
4.3.– Il successivo comma 475, lettere a) e b),
è stato impugnato dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in riferimento
agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, in relazione alle
corrispondenti norme di attuazione; agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119
Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al
principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e all’accordo del
15 ottobre 2014, recepito dalla legge n. 190 del 2014, e, quindi, al principio
pattizio; al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e agli artt.
97 e 81 Cost., anche in relazione alla legge cost. n. l del 2012 e alla legge
n. 243 del 2012.
Il comma citato introdurrebbe misure
sanzionatorie a carico degli enti locali in caso di mancato conseguimento del
saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese
finali. La norma in questione disciplinerebbe gli effetti del mancato
conseguimento del «saldo non negativo» da parte dei Comuni, introducendo una
disciplina specifica per la Regione Siciliana e la Regione autonoma della
Sardegna, nonché per le autonomie speciali che hanno competenza in materia di
finanza locale (Regione autonoma Valle d’Aosta, Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia e Province autonome).
Secondo le ricorrenti, tale norma interferirebbe
con l’assetto dei rapporti finanziari intercorrenti con lo Stato, che comprende
anche la finanza dei Comuni dei rispettivi territori, come previsto nello
statuto speciale, anche a seguito dell’accordo del 15 ottobre 2014 e delle
conseguenti modificazioni statutarie intervenute.
Il comma impugnato, inoltre, non sarebbe
conforme alle previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la
potestà legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in
materia di finanza locale.
L’obbligo di effettuare un versamento
all’entrata del bilancio dello Stato in relazione allo scostamento registrato,
di importo corrispondente a un terzo, si porrebbe in contrasto con l’autonomia
finanziaria prevista dal Titolo VI dello statuto speciale e disciplinata in
particolare dall’art. 79, comma 4, dello stesso – a seguito dell’accordo del 15
ottobre 2014 – come modificato ai sensi dell’art. 104 dello statuto.
Le Province autonome evidenziano, con riguardo
all’art. 117, terzo comma, Cost., che esse non gravano sul bilancio dello Stato
per il finanziamento della spesa dei propri Comuni. Inoltre, le medesime
rispondono direttamente dell’obiettivo macroeconomico assegnato dallo Stato su
base provinciale attraverso gli accordi.
Quindi, le somme sottratte agli enti locali non
potrebbero comunque confluire nelle casse erariali.
4.4.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato anche il combinato disposto
dei commi 479 e 483 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, in riferimento
all’art. 81 Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 e all’art. 9,
comma 4, della cosiddetta legge rinforzata n. 243 del 2012.
Le ricorrenti dubitano che tali disposizioni
includano le autonomie speciali nel sistema delle relazioni finanziarie
collegato alla riscossione delle sanzioni e all’erogazione dei premi da parte
dello Stato.
La legge n. 232 del 2016, accanto alle
previsioni sanzionatorie di cui all’art. 1, comma 475, introduce, al comma 479,
anche quella di corrispettive misure premiali.
Secondo le ricorrenti, mentre il comma 475
prevede espressamente una riduzione dei trasferimenti erariali a carico degli
enti locali inadempienti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, il successivo comma 479 non farebbe
menzione, per il regime premiale, delle autonomie speciali.
L’art. 1, comma 483, della medesima legge n. 232
del 2016 – poi abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2018, dall’art. 1, comma
828, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato
per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) –
nella formulazione vigente al momento del ricorso stabiliva che «[p]er le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nonché
per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le
disposizioni di cui ai comma 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la
disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo 1, commi 454 e
seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi
sottoscritti con lo Stato».
Secondo le ricorrenti, il sistema delineato
risulterebbe contraddittorio e sarebbe illegittimo nel caso in cui si
considerassero prevalenti e vigenti i riferimenti alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, alla Provincia autonoma di Trento e ai rispettivi enti
locali, contenuti nel comma 475, lettere a) e b). Risulterebbe, infatti,
discriminatorio e iniquo partecipare al sistema sanzionatorio di cui al comma
475, senza poter partecipare al sistema premiale di cui al comma 479. Sarebbe
violato, in particolare, il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.),
determinandosi un’ingiustificata discriminazione tra le ricorrenti – che si
troverebbero esposte al sistema delle sanzioni, per l’ipotesi in cui non
riuscissero a conformarsi ai vincoli di bilancio, senza poter beneficiare del
riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la totalità delle altre
Regioni, per le quali potenzialmente opera tale riconoscimento.
4.5.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
ha impugnato l’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, in quanto
contrasterebbe, oltre che con l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della
scelta di riferirsi al gettito dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) percepito
in un anno arbitrariamente individuato, con l’art. 119 Cost. e con gli artt.
48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale, nonché con l’art. 27 della legge n.
42 del 2009 e, in definitiva, con il principio dell’accordo, secondo i principi
stabiliti dalla sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte. Infine, trattandosi di profili di
violazione ivi già accertati, la norma contrasterebbe con l’art. 136 Cost., per
violazione del giudicato costituzionale derivante dalla citata sentenza.
La disposizione di cui all’art. l, comma 519,
della legge n. 232 del 2016 sarebbe stata adottata, secondo la ricorrente, in
conseguenza della menzionata sentenza n. 188 del
2016, sostanzialmente disattendendone i contenuti.
Se, per un verso, la norma impugnata dispone che
«[i]l Ministero dell’economia e delle finanze e la Regione Friuli Venezia
Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 20l7, alla
verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della
Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo l, commi 711,
712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015»
– richiamandosi quindi al metodo dell’accordo imposto dalla richiamata
pronuncia – essa stabilisce, poi, che la verifica ha a oggetto gli
accantonamenti realizzati «per effetto delle modifiche intervenute rispetto
all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare».
In tal modo il legislatore statale avrebbe
individuato del tutto unilateralmente il riferimento temporale cui agganciare
il parametro di valutazione del gettito, scegliendo non l’annualità relativa ai
singoli accantonamenti, ma un’annualità unica, arbitrariamente identificata nel
2010, esercizio finanziario in cui l’andamento del gettito è risultato essere,
in sede di conguaglio, maggiormente favorevole allo Stato.
Tale arbitraria scelta sarebbe pregiudizievole
per la ricorrente, in quanto consentirebbe una sovrastima del maggior gettito,
determinando un artificioso incremento delle spettanze dello Stato. In tal
modo, inoltre, quest’ultimo escluderebbe dall’accordo proprio uno di quegli
«altri profili di natura contabile» tra i quali rientrerebbe «la verifica di
congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie», così occultando
o comunque dando per già acquisito, a monte di ogni possibile interlocuzione
con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, un dato considerato fondamentale
nella sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte, quale quello dell’annualità di
riferimento.
5.– Seguendo l’ordine delle disposizioni
impugnate, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri possono, a loro
volta, essere, ai fini del presente giudizio, così sinteticamente
rappresentate.
5.1.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato,
il comma 463 sancirebbe «il venir meno delle precedenti disposizioni in materia
di pareggio di bilancio degli enti territoriali».
Il Presidente del Consiglio dei ministri, pur
ammettendo che tale disposizione, di carattere generale, faccia venir meno, a
decorrere dall’anno 2017, l’applicazione dei commi da 709 a 712 e da 719 a 734
dell’art. l della legge n. 208 del 2015, precisa che «il comma 734 è riprodotto
dal comma 483 della legge n. 232 del 2016, il quale stabilisce che resta ferma
la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’art. 1, commi 454 e
seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi
sottoscritti con lo Stato». Quindi, non vi sarebbero le ventilate modifiche al
quadro legislativo previgente, di cui si duole la ricorrente.
5.2.– Con riguardo alla lamentata lesione
dell’autonomia finanziaria regionale dovuta alla mancata inclusione dell’avanzo
di amministrazione tra le entrate finali, che impedirebbe il raggiungimento del
pareggio di bilancio, il Presidente del Consiglio dei ministri fa presente che
la norma censurata risponderebbe all’esigenza di coordinare le regole di
finanza pubblica, cui sono sottoposti gli enti territoriali, con le regole
europee della competenza economica, secondo le quali gli avanzi di
amministrazione realizzati in esercizi precedenti non sarebbero conteggiati ai
fini del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche utilizzato per la
verifica del rispetto dei vincoli europei.
La censura rivolta all’art. 1, comma 466, quarto
periodo, della legge n. 232 del 2016 in materia di fondo pluriennale vincolato
non sarebbe fondata, perché la disposizione non farebbe che recepire
pedissequamente quanto espressamente previsto nella fonte sovraordinata, il
comma 1-bis del novellato art. 9 della legge n. 243 del 2012, il quale individua
i saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio.
5.3.– Con riguardo alle censure mosse nei
confronti dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), delle legge n. 232 del 2016,
il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che esso si inserirebbe in un
sistema normativo articolato e complesso, finalizzato al perseguimento di
obiettivi di contenimento della spesa pubblica derivanti dall’appartenenza
all’Unione europea.
Tali previsioni costituirebbero principi di
coordinamento della finanza pubblica che non potrebbero che trovare uniforme
applicazione anche nei confronti delle autonomie speciali e dei rispettivi enti
locali e, come tali, non si porrebbero in contrasto con l’autonomia
riconosciuta dalla Costituzione alle ricorrenti.
La Regione o la Provincia autonoma che si
sottraesse a misure destinate a operare sull’intero territorio nazionale non
adempirebbe all’obbligo solidaristico di cui agli artt. 2 e 5 Cost.,
avvantaggiando indebitamente i propri residenti rispetto ai cittadini del
restante territorio nazionale.
5.4.– Le censure rivolte all’art. 1, commi 479 e
483, della legge n. 232 del 2016, secondo l’Avvocatura generale dello Stato,
sarebbero infondate, in quanto il comma 483 prevederebbe espressamente che alle
ricorrenti non si applicano le disposizioni in materia di sanzioni e premialità
connesse alla disciplina del pareggio di bilancio di cui ai commi 475 e 479,
trovando, invece, applicazione il regime sanzionatorio connesso alla disciplina
del patto di stabilità interno.
A decorrere dall’anno 2018, con il venir meno
del vincolo di quest’ultimo, il corpus giuridico di riferimento sarebbe
costituito dalla sola disciplina del pareggio di bilancio, in attuazione degli
accordi rispettivamente sottoscritti con lo Stato (in particolare, art. 8 del
Protocollo d’intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
del 23 ottobre 2014, recepito dall’art. 1, comma 517, della legge n. 190 del
2014, e punto 10 dell’accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto
Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014,
recepito dal comma 4-quater dell’art. 79 dello statuto speciale).
5.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri
ritiene non fondate le censure promosse nei confronti dell’art. 1, comma 519,
della legge n. 232 del 2016, in quanto sarebbero basate su una lettura non
corretta della sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte.
Per quanto riguarda l’annualità ICI di
riferimento, la difesa statale fa presente che essa sarebbe frutto di
un’elaborazione tecnica predisposta nell’ambito della complessa riforma fiscale
programmata dalla legge n. 42 del 2009. Il valore dell’ICI così determinato
sarebbe un dato di finanza pubblica e, quindi, prerogativa del legislatore
statale.
Inoltre, secondo la difesa statale, in un
contesto di federalismo solidale, l’utilizzo di un parametro differente,
determinando una disparità di trattamento nei confronti dei Comuni delle
Regioni a statuto ordinario – che, data la necessità di mantenere invariata la
dotazione complessiva del fondo di solidarietà comunale, avrebbero visto
ridursi le risorse finanziarie in loro favore – avrebbe comportato una
violazione del principio di uguaglianza, nonché del principio di ragionevolezza.
6.– All’esame delle questioni dovrà procedersi
secondo un ordine che conduce a dare la precedenza a quelle che investono
parametri della Costituzione piuttosto che dei singoli statuti speciali, dal
momento che riguardano omogenei ambiti di riferimento, così da meritare un
contestuale scrutinio.
6.1.– Quanto alle questioni promosse dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nei confronti dell’art. 1, comma 463,
della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e
97 Cost., nonché agli artt. 48 e 49 dello statuto speciale, occorre premettere
che la disposizione oggetto di contestazione è formulata con una tecnica
normativa ambigua a causa dei continui rinvii ad altre disposizioni
potenzialmente antagoniste, tanto da giustificare, da un lato, la cautelativa
impugnazione della ricorrente e, dall’altro, la rassicurante replica della
difesa statale.
La disposizione prevede che «[a] decorrere
dall’anno 2017 cessano di avere applicazione i commi da 709 a 712 e da 719 a
734 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Restano fermi gli
adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla
certificazione del saldo di cui all’articolo 1, comma 710, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, nonché l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato
conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi
dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Sono fatti salvi gli effetti connessi all’applicazione nell’anno 2016 dei patti
di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732 dell’articolo 1 della legge 28
dicembre 2015, n. 208».
Le questioni – come sintetizzate nel precedente
punto 4.1. – non sono fondate nei sensi appresso indicati.
Dalla formulazione dell’impugnato comma 463
emerge una comune ratio delle norme in relazione alle quali sono disposti
rinvii e abrogazioni. Essa è rinvenibile in due complementari principi già
affermati da questa Corte: a) per quel che riguarda il sistema informativo, non
sono lesivi dell’autonomia degli enti locali «gli obblighi di trasmissione
all’amministrazione centrale di dati ed informazioni, […] che debbono
necessariamente rispettare criteri di omogeneità ai fini della comparazione e
del consolidamento dei dati. E, una volta riconosciuta la competenza del
Ministero a provvedere al coordinamento informativo, non ha fondamento la
censura secondo cui si attribuirebbe ad esso una potestà [normativa, nel caso
in esame] fuori dalle materie di competenza statale esclusiva» (sentenza n. 36 del
2004); b) per quel che attiene al sistema sanzionatorio, «[l]a finanza
delle Regioni a statuto speciale è […] parte della "finanza pubblica allargata”
nei cui riguardi lo Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di
coordinamento, nell’esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie
speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza
pubblica» (sentenza
n. 425 del 2004). Ne consegue che – anche in relazione al sistema
sanzionatorio che costituisce naturale deterrente per ogni singola infrazione
degli enti territoriali ai vincoli di finanza pubblica – non può essere ipotizzata
«una differenziazione per gli enti operanti nelle autonomie speciali in
relazione ad un aspetto […] che non può non accomunare tutti gli enti operanti
nell’ambito del sistema della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 425 del
2004).
Ciò è tanto vero che in nessuno degli accordi
stipulati dallo Stato con le autonomie speciali in materia di finanza pubblica
– e men che meno nei relativi statuti speciali – viene configurata un’esenzione
dal sistema informativo nazionale e da quello sanzionatorio riservato agli enti
sub-regionali o sub-provinciali che pongono in essere violazioni dei vincoli
nazionali ed europei od omettono di perseguire i correlati obiettivi.
Adempimenti, obiettivi e sanzioni devono essere
parametrati, nell’ambito delle autonomie speciali, alla peculiare disciplina
dei singoli statuti e degli accordi stipulati con lo Stato. Sotto tale profilo,
il sistema sanzionatorio nazionale deve essere rapportato alla specifica disciplina
degli enti locali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, così come i
proventi delle sanzioni eventualmente applicate devono confluire nelle casse
regionali, anziché in quelle statali, dal momento che è la Regione stessa a
finanziare i medesimi enti locali e a rispondere per il mancato conseguimento
dell’obiettivo macroeconomico assegnato su base regionale. Analogo discorso
vale per la "certificazione dei saldi” da parte degli enti locali operanti nel
territorio dell’autonomia speciale.
Pur dovendosi osservare – con riguardo alla
norma impugnata – che «l’accentuarsi della complessità tecnica della
legislazione in materia finanziaria possa determinare effetti non in linea con
il dettato costituzionale e creare delle zone d’ombra in grado di rendere ardua
la giustiziabilità di disposizioni non conformi a
Costituzione [… e che] è concreto il rischio che un tale modo di legiferare
pregiudichi la trasparenza in riferimento al rapporto tra politiche di
bilancio, responsabilità politica delle strategie finanziarie e accessibilità
alle informazioni da parte delle collettività amministrate» (sentenza n. 247 del
2017), è comunque ragionevole dedurre dalla complessa trama della norma impugnata
che nessuna delle disposizioni in essa richiamate abbia mai comportato
l’esonero, per gli enti territoriali delle autonomie speciali, dagli obblighi
informativi relativi alle esigenze della finanza pubblica allargata e neppure
dal sistema sanzionatorio delle infrazioni, ferme restando le peculiarità
dell’ordinamento finanziario di tali autonomie precedentemente menzionato.
In definitiva, la riconduzione di tutte le
disposizioni coinvolte nella formulazione dell’impugnato comma 463 alla
medesima ratio legis, come sopra specificata, comporta la non fondatezza delle
questioni sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
6.2.– In ordine alle questioni promosse dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento nei
confronti del primo, secondo e quarto periodo del successivo comma 466 – come
sintetizzate nel precedente punto 4.2. – è necessaria una premessa inerente
alla pregressa giurisprudenza di questa Corte e al contesto in cui si colloca
detta norma.
6.2.1.– Già in precedenza era stato impugnato –
con i ricorsi iscritti ai numeri 68, 69, 70, 71 e 74 del registro ricorsi 2016
– l’art. 1, comma 1, lettere b), ed e), della legge n. 164 del 2016, sulla base
dell’assunto secondo cui tale norma avrebbe precluso l’utilizzazione
dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato alle loro
naturali scadenze. Con due distinte sentenze questa Corte aveva respinto tale
interpretazione, adottandone un’altra, costituzionalmente orientata.
Quanto all’avanzo di amministrazione, è stato
affermato che «[l]e intese [in ordine alla volontaria messa a disposizione da
parte degli enti territoriali del proprio avanzo di amministrazione]
costituiscono […] lo strumento per garantire un equilibrio di bilancio non
limitato al singolo ente ma riferito all’intero comparto regionale. […] [S]e è
vero che nella previsione è presente un obbligo procedimentale che condiziona
l’immediata utilizzabilità degli avanzi di amministrazione, è anche vero che la
concreta realizzazione del risultato finanziario rimane affidata al dialogo fra
gli enti interessati che l’avvio dell’intesa dovrebbe comportare. […] Alla
stregua di tali considerazioni […] non si è in presenza di una espropriazione
dei residui di amministrazione. […] Egualmente infondata è l’ulteriore censura
della Regione, secondo cui la norma introdurrebbe il vincolo di utilizzare i
risultati di amministrazione per i soli investimenti, violando, così, la sua
autonomia finanziaria. La disposizione, in effetti, dà per scontato il vincolo,
ma ciò fa solo nei limiti connessi al positivo espletamento dell’intesa» (sentenza n. 252 del
2017) e che «gli enti territoriali in avanzo di amministrazione hanno la
mera facoltà – e non l’obbligo – di mettere a disposizione delle politiche
regionali di investimento una parte o l’intero avanzo. È infatti nella piena
disponibilità dell’ente titolare dell’avanzo partecipare o meno alle intese in
ambito regionale. Solo in caso di libero esercizio di tale opzione l’ente può
destinare l’avanzo all’incremento degli spazi finanziari regionali» (sentenza n. 247 del
2017).
Per quel che riguarda il fondo pluriennale
vincolato, nella medesima pronuncia era stato ribadito che «accertamenti,
impegni, obbligazioni attive e passive rimangono rappresentati e gestiti in
bilancio secondo quanto programmato a suo tempo dall’ente territoriale.
Pertanto, l’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei
titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso meramente
tecnico-contabile, quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti
nazionali. Tale aggregazione contabile non incide né quantitativamente né temporalmente
sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni
e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alle scadenze del
fondo pluriennale vincolato. [… L]a qualificazione normativa del fondo
pluriennale vincolato costituisce una definizione identitaria univoca
dell’istituto, la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di
conservare la copertura delle spese pluriennali. Ciò comporta che nessuna
disposizione – ancorché contenuta nella legge rinforzata – ne possa implicare
un’eterogenesi semantica e funzionale senza violare l’art. 81 della
Costituzione» (sentenza
n. 247 del 2017).
Quanto, infine, ai contenuti della "legge
rinforzata”, era stato affermato che la stessa individua le modalità di
perseguimento del "pareggio” (recte: equilibrio) di
bilancio, come enunciato all’art. 81 Cost., ma non può ridefinirlo attraverso
indiretti tecnicismi contabili, perché tale interpretazione «non risulta
neppure in linea con i precetti di copertura e di equilibrio contenuti
nell’art. 81 Cost. Il bilancio non può considerarsi in equilibrio in assenza di
copertura delle spese impegnate e degli oneri derivanti da obbligazioni già
perfezionate. Tale copertura avviene attraverso l’accantonamento e il
conseguente vincolo giuridico posto su cespiti appropriati. La ventilata
possibilità che il vincolo autorizzatorio all’esecuzione di tali spese – nella
fattispecie contenuto nel fondo pluriennale vincolato – possa essere rimosso ex
lege, costringendo l’ente territoriale a trovare nuove coperture o a rendersi
inadempiente, è un’opzione ermeneutica che entra in diretta collisione con i
precetti contenuti nell’art. 81 Cost. Neppure la legge rinforzata potrebbe introdurre
una statuizione di tal genere: quest’ultima colliderebbe con il principio di
previa e costante copertura della spesa dal momento dell’autorizzazione fino a
quello dell’erogazione. In definitiva, la disciplina degli equilibri
economico-finanziari del bilancio di competenza non può prescindere dai profili
giuridici inerenti alla gestione dei cespiti attivi e passivi e, di
conseguenza, dal risultato di amministrazione, nella cui determinazione non
possono confluire partite contabili aleatorie o di incerta realizzazione. Ove
fosse condivisa la lettura delle ricorrenti, il concetto di equilibrio dei
singoli bilanci pubblici sarebbe sottomesso a una serie di potenziali variabili
normative che metterebbero in crisi non solo l’equilibrio patrimoniale dell’ente,
ma la sua stessa immagine di soggetto operante sul mercato in qualità di
committente» (sentenza
n. 247 del 2017).
Corollario di tali pronunce è che – ove le norme
contenute nella legge rinforzata, o comunque riconducibili al coordinamento
della finanza pubblica, precludessero l’utilizzazione negli esercizi successivi
dell’avanzo di amministrazione e dei fondi destinati a spese pluriennali – il
cosiddetto pareggio verrebbe invece a configurarsi come "attivo strutturale
inertizzato”, cioè inutilizzabile per le destinazioni già programmate e, in
quanto tale, costituzionalmente non conforme agli artt. 81 e 97 Cost.
Tenuto conto che le spese di natura pluriennale
coincidono quasi specularmente con le risorse destinate agli investimenti,
verrebbe, tra l’altro, contraddetto il principio di anticiclicità
delle politiche di bilancio introdotto dal nuovo art. 81, primo comma, Cost.,
poiché per contrastare le fasi avverse del ciclo economico non potrebbero
essere impiegate nemmeno le risorse già disponibili per gli investimenti.
Infine, per quel che riguarda i tecnicismi
contabili inerenti alle rilevazioni statistiche in ambito nazionale ed europeo,
questa Corte ha affermato che essi possono essere elaborati liberamente dal
legislatore purché la loro concatenazione non alteri concetti base
dell’economia finanziaria quali «risultato di amministrazione» e «fondo
pluriennale vincolato» e, più in generale, non violi i principi costituzionali
della copertura delle spese, dell’equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.) e
della "chiamata” degli enti territoriali ad assicurare la sostenibilità del
debito (art. 97, primo comma, secondo periodo, Cost.).
È stato in proposito chiarito che
«[l]’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2
e 3 della spesa deve essere intesa in senso tecnico-contabile, come criterio
matematico armonizzato ai fini del consolidamento dei conti nazionali, mentre
devono ritenersi inalterate e intangibili le risorse legittimamente accantonate
per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli
esercizi anteriori alla scadenza. Gli aggregati in discussione – è bene
ricordarlo – non esauriscono la consistenza del bilancio degli enti
territoriali per cui, ove non specificamente ivi inserito, il fondo pluriennale
vincolato può trovare allocazione e gestione conforme in diversa partita
contabile» (sentenza
n. 247 del 2017).
6.2.2.– Tanto premesso, le questioni proposte
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di
Trento nei confronti dell’art. 1, comma 466, primo, secondo e quarto periodo,
della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost., sono
anzitutto ammissibili, in quanto è correttamente prospettata la ridondanza
della pretesa violazione sulla loro autonomia.
Esse sono inoltre fondate in riferimento ai
citati parametri, nonché all’art. 119 Cost. Il menzionato comma 466 è
illegittimo nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini
della determinazione dell’equilibrio del bilancio le spese vincolate nei
precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di
competenza. È illegittimo altresì nella parte in cui non prevede che l’impiego
dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato abbia effetti
neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio del bilancio di
competenza.
Una lettura logico-sistematica della
disposizione induce a ritenere che – a differenza di quanto ritenuto nelle
richiamate sentenze
n. 247 e n.
252 del 2017 di questa Corte in ordine all’art. 1, comma 1, della legge n.
164 del 2016 – non è possibile un’interpretazione adeguatrice
della stessa.
La norma stabilisce che «[a] decorrere dall’anno
2017 gli enti di cui al comma 465 del presente articolo devono conseguire il
saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese
finali, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n.
243. Ai sensi del comma 1-bis del medesimo articolo 9, le entrate finali sono
quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto
dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni
2017-2019, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è
considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto
della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento. A decorrere
dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo
pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali.
Non rileva la quota del fondo pluriennale vincolato di entrata che finanzia gli
impegni cancellati definitivamente dopo l’approvazione del rendiconto dell’anno
precedente».
Essa, dando attuazione al contenuto delle
disposizioni precedentemente oggetto di interpretazione adeguatrice,
stabilisce che dal 2020 «tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo
pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».
La pur ambigua formulazione lascia intendere che
le somme vincolate nei precedenti esercizi, siano esse provenienti dall’avanzo
o dagli altri cespiti soggetti a utilizzazione pluriennale, debbano trovare
finanziamento nelle sole entrate di competenza.
Si tratta di una precisazione semantica e
funzionale incompatibile con l’interpretazione adeguatrice
seguita nella sentenza
n. 247 del 2017 di questa Corte.
Ciò significa che, a differenza di quanto
consentito fino al 2019, per il 2020 (esercizio finanziario che viene già in
rilievo per effetto della programmazione triennale 2018-2020) gli enti
territoriali sarebbero astretti tra due alternative, entrambe non conformi ai
principi contenuti nei parametri evocati dalle ricorrenti: a) rinuncia a
onorare gli impegni e le obbligazioni passive previste dal fondo pluriennale
vincolato a far data dal 2020; b) ricerca di una nuova copertura per impegni e
obbligazioni già perfezionati negli anni precedenti secondo una scansione
pluriennale inscindibilmente collegata al programma realizzativo degli
investimenti e degli interventi aventi cadenza diacronica rispetto al singolo
esercizio finanziario (per naturale articolazione, il fondo pluriennale
vincolato e l’avanzo di amministrazione in esso eventualmente confluito sono
serventi a conservare le risorse destinate agli investimenti e agli interventi
pluriennali secondo il cronoprogramma della loro esecuzione).
Tale inevitabile preclusione all’interpretazione
costituzionalmente orientata viene peraltro confermata dalla circolare del
Ministero dell’economia e delle finanze del 20 febbraio 2018, n. 5, recante
«Chiarimenti in materia di pareggio di bilancio per il triennio 2018-2020 per
gli enti territoriali di cui all’articolo 1, commi da 465 a 508, della legge 11
dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017), come modificata dalla legge 27
dicembre 2017, n. 205 (Legge di bilancio 2018)», laddove si ribadisce che
l’interpretazione adeguatrice di questa Corte vale
fino al 2019, mentre per il 2020 dovrebbe entrare in vigore proprio la
previsione contestata dalle ricorrenti: «[s]i ritiene che gli strumenti
previsti dal legislatore […] rappresentino un efficace mezzo di utilizzo – e
progressivo smaltimento – dell’avanzo di amministrazione da parte degli enti
territoriali, in linea con le interpretazioni della Corte costituzionale
espresse nella richiamata sentenza n. 247 del
2017. […] Il richiamato comma 466 precisa, inoltre, che, a decorrere dal
2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il Fondo pluriennale vincolato
di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Come già
precedentemente evidenziato, per Fondo pluriennale di entrata e di spesa
finanziato dalle entrate finali – valido ai fini del rispetto dei vincoli di
finanza pubblica a decorrere dall’esercizio 2020 – si intende il Fondo al netto
della quota finanziata dal ricorso all’indebitamento e di eventuali quote
derivanti da mutui e prestiti confluite in avanzo di amministrazione».
A prescindere dal complesso e non di rado oscuro
ordito normativo, in ordine al quale questa Corte ha già rilevato un deficit di
trasparenza bisognoso di un tempestivo e definitivo superamento, non v’è dubbio
che la mancata previsione della "neutralità finanziaria” per tutte le partite
di entrata e spesa di natura pluriennale derivanti da programmi, già perfezionati
in termini di copertura negli esercizi precedenti, comporta un evidente vulnus
per l’ente territoriale con riguardo sia al principio del pareggio di cui
all’art. 81 Cost., sia a quello dell’art. 97, primo comma, primo periodo, Cost.
(equilibrio individuale degli enti facenti parte della finanza pubblica
allargata: sentenza
n. 247 del 2017). Infatti, nell’ambito delle spese di natura pluriennale e,
in particolare, degli investimenti, il principio della copertura consiste
nell’assoluto equilibrio tra risorse e spese, sia in fase previsionale che
durante l’intero arco di realizzazione degli interventi.
La sottrazione ex lege di parte delle risorse
attuative di programmi già perfezionati negli esercizi precedenti finisce per
ledere anche l’autonomia dell’ente territoriale che vi è sottoposto. La
riduzione di quelle necessarie per l’attuazione – da parte degli enti
territoriali – del piano pluriennale degli interventi, la cui piena copertura è
ascrivibile a precedenti esercizi, pregiudica l’autonomia e la sana gestione
finanziaria di tali enti, «entrando in contrasto con detti parametri
costituzionali, nella misura in cui non consente di finanziare adeguatamente le
funzioni. [… In tale prospettiva il] principio del buon andamento – ancor più
alla luce della modifica intervenuta con l’introduzione del nuovo primo comma
dell’art. 97 Cost. ad opera della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1
(Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale) – è strettamente correlato alla coerenza della legge [o, nel
caso dell’ente locale, della delibera] di bilancio con la programmazione delle
attività e dei servizi che si intendono finanziare a legislazione vigente» (sentenza n. 10 del
2016).
Con riguardo alla fattispecie in esame, la
riduzione in itinere dei fondi stanziati per fronteggiare spese pluriennali e
la conseguente incertezza sulla loro definitiva entità non consentono una
proficua utilizzazione degli stessi, in quanto «[s]olo
in presenza di un ragionevole progetto di impiego è possibile realizzare una
corretta ripartizione delle risorse […] e garantire il buon andamento dei
servizi con esse finanziati» (sentenza n. 188 del
2015).
6.2.3.– La complessità della disciplina posta in
essere dal legislatore statale e le eccezioni sollevate dall’Avvocatura
generale dello Stato impongono alcune precisazioni circa gli effetti della
presente pronuncia e delle precedenti (sentenze n. 247
e n. 252 del
2017), in ordine agli equilibri della finanza pubblica allargata.
Per quel che riguarda l’impiego dell’avanzo di
amministrazione, è stato già affermato che, sia nel caso in cui venga
volontariamente destinato a liberare spazi finanziari in ambito regionale (sentenza n. 252 del
2017), sia nel caso in cui venga impiegato dall’ente titolare, il saldo di
tali opzioni risulterà comunque pari a zero, poiché entrambe sono ancorate ad
una quantità sicura e delimitata, l’avanzo libero (ferma restando
l’utilizzazione dell’avanzo vincolato alle scadenze e per gli scopi previsti
dal "vincolo”), e, nell’ambito di tale grandezza, si espandono e si riducono in
modo complessivamente circoscritto.
Parimenti, il fondo pluriennale vincolato è
strutturato proprio in modo da preservare l’equilibrio complessivo tra risorse
e fabbisogno di spesa, malgrado l’inevitabile diacronia delle relative
transazioni finanziarie nel periodo di attuazione dei singoli progetti (art. 3
del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in
materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1
e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»).
È evidente, tuttavia, che gli avanzi di
amministrazione degli enti territoriali, impiegabili per liberare spazi
finanziari o consentire nuove spese agli enti che ne sono titolari, e le
riserve conservate nel fondo pluriennale vincolato devono essere assoggettati a
una rigorosa verifica in sede di rendiconto.
Per questo motivo il legislatore ha previsto
puntuali controlli di legittimità-regolarità delle sezioni regionali della
Corte dei conti sui bilanci consuntivi degli enti territoriali (procedura di
parifica per i rendiconti regionali, controllo ex art. 148-bis del decreto
legislativo 18 agosto del 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali», come introdotto dall’art. 3, comma 1,
lettera e, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni
urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché
ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012»,
convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, sui
rendiconti degli enti locali).
Peraltro, le manipolazioni finanziarie del
risultato di amministrazione degli enti territoriali sono state recentemente
oggetto di pronuncia della Corte di cassazione, la quale le ha inquadrate nelle
fattispecie penali di falsità ideologica di cui agli artt. 479 e seguenti del
codice penale (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 30 marzo
2018, n. 14617).
Inoltre, questa Corte ha sottolineato (sentenza n. 274 del
2017) che gli avanzi di amministrazione correttamente accertati non possono
essere confusi con i saldi di cassa, cioè le liquidità momentanee esistenti in
corso di esercizio che talune Regioni hanno utilizzato in passato secondo una
prassi che ha prodotto gravi lesioni agli equilibri dei rispettivi bilanci a
causa delle mancate verifiche delle relative coperture.
I saldi attivi di cassa, infatti, non sono di
per sé sintomatici di sana e virtuosa amministrazione, in quanto legati a una
serie di variabili negative – tra le quali spicca la possibile esistenza di
debiti sommersi – in grado di dissimulare la reale situazione
economico-finanziaria dell’ente.
Al contrario, l’avanzo di amministrazione
correttamente accertato – come sostenuto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia – determina la sussistenza di veri e propri cespiti impiegabili sia
direttamente che per liberare spazi finanziari di altri enti, secondo la mutua
solidarietà su base regionale.
In definitiva, la tutela del principio di
"neutralità finanziaria” rivendicato dalle ricorrenti coincide proprio con la
modifica in parte qua della disposizione impugnata e, pertanto, alla luce delle
esposte considerazioni gli effetti della presente declaratoria di incostituzionalità
dell’art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016 – nei termini
precedentemente specificati – non comportano aggravi alle complessive
risultanze della finanza pubblica allargata da parte delle gestioni di bilancio
degli enti territoriali.
6.2.4.– Restano assorbite le ulteriori censure
rivolte al citato comma 466.
6.3.– Le questioni sollevate dalle Province
autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell’art. 1, comma 475, lettere
a) e b), della legge n. 232 del 2016 e quella sollevata dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia verso il comma 483 in correlazione con tale disposizione
(considerato 4.4) sono fondate, in riferimento all’art. 117, terzo comma,
Cost., nella parte in cui si prevede che gli importi delle sanzioni eventualmente
applicate agli enti locali vengano versati nel bilancio statale anziché in
quello delle predette autonomie speciali.
La disposizione impugnata stabilisce che, «[a]i
sensi dell’articolo 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, in caso
di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 466 del presente articolo:
a) l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di
riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo
corrispondente allo scostamento registrato. Le province della Regione siciliana
e della regione Sardegna sono assoggettate alla riduzione dei trasferimenti
erariali nella misura indicata al primo periodo. Gli enti locali delle regioni
Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di
Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati
dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo
corrispondente allo scostamento registrato. Le riduzioni di cui ai precedenti
periodi assicurano il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24
dicembre 2012, n. 243, e sono applicate nel triennio successivo a quello di
inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del
triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del
bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l’anno
di competenza delle medesime quote, presso la competente sezione di tesoreria
provinciale dello Stato, al capo X dell’entrata del bilancio dello Stato, al
capitolo 3509, articolo 2. In caso di mancato versamento delle predette somme
residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai
commi 128 e 129 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228; b) nel
triennio successivo la regione o la provincia autonoma è tenuta ad effettuare
un versamento all’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a
un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui
all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243. Il versamento è
effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello
di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto
scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti
aperti presso la tesoreria statale […]».
Questa Corte ha affermato – in tema di sanzioni
agli enti locali insistenti sui territori delle Province autonome di Trento e
di Bolzano (e il principio è altresì valido per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia) – che «la materia della finanza provinciale di Trento e
di Bolzano è ispirata al principio dell’accordo, il quale nel caso di specie si
è manifestato, tra l’altro, attraverso una legislazione peculiare finalizzata
all’attuazione e al rispetto dei vincoli macroeconomici di matrice europea e
nazionale. È altresì indiscutibile che la vigilanza e la concreta attuazione di
tale specifico quadro finanziario – ferma restando la competenza in termini di
controllo di legittimità-regolarità sui bilanci degli enti locali da parte
della competente sezione di controllo della Corte dei conti (sentenza n. 40 del
2014) – è demandata alle Province autonome in coerenza con gli obiettivi
assegnati alla finanza provinciale. Le disposizioni provinciali – emanate a
seguito dello specifico strumento dell’accordo – assumono così carattere di
"parametro normativo primario per la gestione finanziaria degli enti
sub-regionali tra i quali, appunto, gli enti locali territorialmente
interessati” (sentenza
n. 40 del 2014). Tuttavia il carattere generale e indefettibile dei vincoli
di finanza pubblica esige che, indipendentemente dallo speciale regime di cui
godono gli enti locali delle autonomie speciali nel perseguimento degli
obiettivi macroeconomici, i colpevoli scostamenti registrati nelle singole
gestioni di bilancio debbano trovare riscontro in un omogeneo sistema sanzionatorio,
proporzionato all’entità delle infrazioni – nel caso in esame riferite ad un
ordito normativo di matrice regionale o provinciale – commesse dagli enti
locali. Dunque, a prescindere dalla complessa e costante successione delle
diverse formulazioni normative che lo hanno espresso nel tempo, il principio di
indefettibilità delle sanzioni per gli enti territoriali che si discostano
colpevolmente dagli obiettivi di finanza pubblica – se inteso in modo conforme
alla peculiare disciplina provinciale [e regionale] – non contrasta coi
parametri statutari invocati dalle ricorrenti e le relative censure risultano
pertanto infondate» (sentenza n. 94 del
2018).
Se l’indefettibilità di un comune regime
sanzionatorio – pur articolato nel tempo in modo mutevole in ragione dei
profili tecnici attuativi dei vincoli europei e nazionali – per tutti gli enti
locali interessati al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica spiega
per quale motivo non venga in rilievo nella sua determinazione la competenza
del legislatore provinciale, ciò non comporta che il legislatore statale possa
prescrivere che l’importo delle sanzioni eventualmente applicate agli enti
locali delle autonomie speciali – cui è demandato, nell’ambito della propria
competenza in materia di finanza locale, il finanziamento dei propri enti e la
responsabilità dell’obiettivo macroeconomico assegnato – debba confluire nelle
casse dello Stato anziché in quelle delle autonomie stesse.
La disposizione impugnata deve essere quindi
dichiarata costituzionalmente illegittima in parte qua in riferimento all’art.
117, terzo comma, Cost., "coordinamento della finanza pubblica”.
6.3.1.– Restano assorbite le ulteriori censure
rivolte dalle Province autonome all’art. 1, comma 475, della legge n. 232 del
2016.
6.4. – Le questioni di legittimità
costituzionale promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla
Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 1, comma 483, della legge
n. 232 del 2016, anche in combinato disposto col precedente comma 479, lettera
a), in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1
del 2012, all’art. 9, comma 4, della legge n. 243 del 2012 e ai rispettivi
parametri statutari, non sono fondate nei sensi appresso indicati.
L’art. 1, comma 479, della legge n. 232 del
2016, per la parte che qui interessa, prevede che «a) alle regioni che
rispettano il saldo di cui al comma 466 e che conseguono un saldo finale di
cassa non negativo fra le entrate e le spese finali, sono assegnate, con
decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, entro il 30 luglio di
ciascun anno, le eventuali risorse incassate dal bilancio dello Stato alla data
del 30 giugno ai sensi del comma 475, lettera b), per essere destinate alla
realizzazione di investimenti. L’ammontare delle risorse per ciascuna regione è
determinato mediante intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Le regioni
che conseguono il saldo finale di cassa non negativo trasmettono al Ministero
dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello
Stato le informazioni concernenti il monitoraggio al 31 dicembre del saldo di
cui al comma 466 e la certificazione dei relativi risultati, in termini di
competenza e in termini di cassa, secondo le modalità previste dai decreti di
cui al comma 469. Ai fini del saldo di cassa rileva l’anticipazione erogata
dalla tesoreria statale nel corso dell’esercizio per il finanziamento della
sanità registrata nell’apposita voce delle partite di giro, al netto delle
relative regolazioni contabili imputate al medesimo esercizio […]».
L’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016
stabilisce che «[p]er le regioni Friuli Venezia
Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di
Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del
presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata
dall’articolo 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228,
come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato».
Le censure sono proposte dalle ricorrenti in via
cautelativa, qualora non si ritenesse prevalente la clausola di "non applicabilità”
contenuta nel comma 483 – peraltro abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2018 –
laddove si dovesse intendere che le autonomie speciali siano coinvolte nel
sistema sanzionatorio previsto dal comma 475 ma non in quello premiale,
previsto dal comma 479.
A prescindere dall’incerto orientamento
legislativo in materia di clausole di salvaguardia, che caratterizza il
delicatissimo settore delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie
speciali, la disposizione impugnata è suscettibile di applicazione alle
autonomie speciali ricorrenti soltanto nei sensi precedentemente specificati.
Le ricorrenti operano – come già precisato – in un regime che è eterogeneo ed
esterno rispetto all’ordinario sistema di finanziamento degli enti locali, ma
non sono esentate dal sistema sanzionatorio generale. Valgono sul punto anche
le precedenti osservazioni di cui al considerato 6.3 in ordine alla soggezione
delle autonomie speciali al sistema sanzionatorio, pur nella peculiarità delle
rispettive regole di finanza pubblica.
In definitiva, dalle esposte considerazioni
deriva inequivocabilmente che le autonomie ricorrenti – mentre sono soggette ai
vincoli e agli obiettivi di finanza pubblica secondo la peculiare disciplina
per esse prevista – non partecipano ai fondi statali che riguardano
rispettivamente l’incameramento dell’importo delle sanzioni e la correlata
erogazione dei premi afferenti al regime ordinario degli altri enti
territoriali. Dal che deriva la non fondatezza delle questioni in esame.
6.5.– La questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, promossa in riferimento
all’art. 136 Cost. per violazione del giudicato costituzionale relativo alla sentenza n. 188 del
2016 di questa Corte, deve essere anteposta, rispetto alle altre, in quanto
riveste carattere di priorità logica, proprio perché «attiene all’esercizio
stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale
di cui si assume la violazione (ex plurimis, sentenze n. 5 del
2017, n. 245
del 2012 e n.
350 del 2010)» (sentenza n. 231 del
2017).
La ricorrente ritiene che detta disposizione
riproduca la medesima norma, in tema di relazioni economico-finanziarie con lo
Stato – l’art. 1, comma 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(Legge di stabilità 2014)» – già dichiarata illegittima (sentenza n. 188 del
2016) nella parte in cui si applica alla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia.
La questione è fondata.
In tema di violazione del giudicato
costituzionale, questa Corte «ha già precisato (ex plurimis,
sentenze n. 250
e n. 5 del 2017,
n. 72 del 2013
e n. 350 del
2010) che tale vizio sussiste ogniqualvolta una disposizione intenda
"mantenere in piedi o […] ripristinare, sia pure indirettamente, […] gli
effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della […]
pronuncia di illegittimità costituzionale” (sentenza n. 72 del
2013), ovvero "ripristini o preservi l’efficacia di una norma già
dichiarata incostituzionale” (sentenza n. 350 del
2010). Pertanto, il giudicato costituzionale è violato non solo quando il
legislatore adotta una norma che costituisce una "mera riproduzione” (sentenze n. 73 del
2013 e n.
245 del 2012) di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche
quando la nuova disciplina mira a "perseguire e raggiungere, ‘anche se
indirettamente’, esiti corrispondenti” (sentenze n. 73 del
2013, n. 245
del 2012, n.
922 del 1988, n.
223 del 1983, n.
88 del 1966)» (sentenza n. 231 del
2017).
La disposizione impugnata prevede che «[i]l
Ministero dell’economia e delle finanze e la regione Friuli Venezia Giulia
procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 2017, alla
verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della
Regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo 1, commi 711, 712 e 729,
della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015, per
effetto delle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di
imposizione locale immobiliare».
L’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013
era stato dichiarato illegittimo nella parte riferita alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia – dopo un’analitica istruttoria finanziaria effettuata in
contraddittorio con le parti (ordinanza istruttoria del 14 gennaio 2016) –
dalla sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte per violazione del principio di neutralità
degli effetti fiscali della riforma in tema di relazioni finanziarie tra Stato
e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, principio fissato dal combinato dei
commi 157 e 159 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2011)», norme interposte in relazione ai profili attuativi
di detta riforma. Ciò in quanto il legislatore statale, anziché conguagliare il
preventivo accantonamento secondo il gettito effettivamente maturato dopo la
sostituzione dell’ICI con l’imposta municipale propria (IMU) aveva «proceduto
in via unilaterale mediante la stabilizzazione dell’accantonamento, determinato
su base esclusivamente estimatoria. Avendo la ricorrente richiamato il criterio
di neutralità previsto dal combinato dei suddetti commi 157 e 159, è in
relazione a questi ultimi che deve essere dichiarata la illegittimità
costituzionale della disposizione impugnata» (sentenza n. 188 del
2016).
La declaratoria di incostituzionalità era
sorretta da plurime ragioni, tra le quali è utile ricordare «b) la norma
impugnata non configura[va] l’accantonamento come istituto provvisorio
suscettibile di rideterminazione, nel senso già precisato da questa Corte con
la sentenza n.
77 del 2015; c) non [era] stato rispettato il principio di neutralità degli
effetti della riforma nell’ambito delle relazioni finanziarie tra Stato e
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; d) la norma impugnata non prevede[va]
l’ostensibilità dei dati analitici di composizione
del gettito, necessari per compiere le operazioni di conguaglio, stabilizzare e
mettere a regime le entrate fiscali della Regione e dei propri enti locali. […]
In ordine alle dichiarate illegittimità sono necessarie alcune precisazioni
circa gli effetti dalle stesse prodotti sul meccanismo dell’accantonamento.
Quest’ultimo, proprio in base al principio dell’equilibrio dinamico del
bilancio, verrà meno a far data dalla pubblicazione della presente sentenza,
fermo restando tuttavia che per i decorsi esercizi gli accantonamenti effettuati
in via preventiva dovranno essere conciliati con i dati del gettito fiscale
accertato, restituendo alla Regione ricorrente le somme trattenute in
eccedenza» (sentenza
n. 188 del 2016).
La norma in esame – anziché prevedere i termini
finanziari iniziali e finali di paragone del conguaglio tra le somme
accantonate e il gettito effettivamente accertato, idonei a rendere
effettivamente neutrali gli effetti della riforma fiscale – ripropone quale
termine "convenzionale” «per gli anni dal 2012 al 2015» il gettito 2010, cioè
il meno favorevole alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in ragione
delle "oscillazioni” del gettito fiscale di tale Regione, dipendenti, tra
l’altro, dalla sua posizione transfrontaliera.
Al di là del fatto che il conguaglio deve
avvenire su dati reali e non teorici per tramutare l’accantonamento in
contributo definitivo per la finanza statale, è chiaro che, nel caso in esame,
il legislatore statale ha perseguito – sia pure attraverso una diversa tecnica
normativa – lo stesso risultato cui tendeva la norma dichiarata illegittima con
la sentenza n.
188 del 2016 di questa Corte (in senso conforme, sentenza n. 231 del
2017).
Alla luce della giurisprudenza costituzionale,
l’impugnato comma 519, perseguendo esiti corrispondenti a quelli dell’art. 1,
comma 729, della legge n. 147 del 2013, già ritenuto costituzionalmente
illegittimo dalla sentenza
n. 188 del 2016 di questa Corte nella parte riferita alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, contrasta con l’art. 136 Cost., violando il giudicato
costituzionale.
Esso, pertanto, deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo poiché determina il contributo definitivo agli
obiettivi di finanza pubblica dovuto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia in riferimento alle risultanze del gettito 2010, anziché a quelle degli
esercizi in cui sono stati effettuati gli accantonamenti, e non prevede che la
determinazione dei relativi conguagli sia effettuata in contraddittorio con la
Regione stessa, attraverso la condivisione dei dati fiscali analitici, relativi
ai periodi di imposizione soggetti agli accantonamenti interessati al
conguaglio.
6.5.1.– Restano assorbite le altre censure
relative all’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi
indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 466, della legge 11 dicembre
2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e
bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), nella parte in cui stabilisce
che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell’equilibrio del bilancio
degli enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi
debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza e nella parte in
cui non prevede che l’inserimento dell’avanzo di amministrazione e del fondo
pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti
neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio dell’esercizio di
competenza;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della
legge n. 232 del 2016 nella parte in cui prevede che gli enti locali delle
Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli-Venezia Giulia
sono tenuti a versare l’importo della sanzione per il mancato conseguimento
dell’obiettivo di finanza pubblica al bilancio dello Stato anziché a quello
delle suddette autonomie speciali;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232
del 2016;
4) dichiara
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016, promossa, in riferimento
agli artt. 3, 25, secondo comma, e 97 della Costituzione, nonché agli artt. 48
e 49 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 479, lettera a), e 483, della legge n. 232
del 2016, promosse, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., agli artt. 81 e 97 Cost., all’art. 5 della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), e all’art. 9, comma 4, della legge 24
dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio
di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento,
con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2018.