ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
- Silvana SCIARRA "
- Daria DE
PRETIS "
- Nicolò ZANON "
- Augusto Antonio BARBERA "
- Giulio PROSPERETTI "
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettere a) e c), della legge
12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in
materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali),
promossi dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, dalle Regioni autonome
Trentino-Alto Adige/Südtirol e Friuli-Venezia Giulia, dalle Regioni Veneto,
Lombardia e Liguria, con ricorsi notificati il 27 ottobre-2 novembre,
il 28
ottobre, il 28 ottobre-2 novembre
ed il 28
ottobre 2016, depositati in cancelleria il 31 ottobre, il 4 e il 7 novembre
2016, ed iscritti ai numeri da 68 a 74 del registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2017 il Giudice relatore Giancarlo
Coraggio;
uditi gli
avvocati Renate von Guggenberg per la Provincia
autonoma di Bolzano, Giandomenico Falcon per la Provincia
autonoma di Trento e per le Regioni autonome Trentino-Alto Adige/Südtirol e
Friuli-Venezia Giulia, Fabio Cintioli per le Regioni
Lombardia e Liguria, Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato
Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.− La Provincia autonoma
di Bolzano, con ricorso spedito per la notificazione il 27 ottobre 2016 e
depositato nella cancelleria di questa Corte il 31 ottobre 2016, giusta
delibera della Giunta provinciale n. 1137 del 18 ottobre 2016, adottata in via
d’urgenza ai sensi dell’art. 54, comma 7, del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ratificata dal
Consiglio provinciale con delibera n. 13 del 25 ottobre 2016, ha impugnato, tra
l’altro, l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 12 agosto 2016, n. 164
(Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei
bilanci delle regioni e degli enti locali), che sostituisce il comma 5 della
legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione),
prevedendo che: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da
adottare d’intesa con la Conferenza unificata, sono disciplinati criteri e
modalità di attuazione del presente articolo, ivi incluse le modalità attuative
del potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia o ritardo da parte delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto
è trasmesso alle Camere per l’espressione del parere delle commissioni
parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto
può essere comunque adottato».
2.− La ricorrente ricorda che il testo previgente dell’art.
10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, prevedeva: «Con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, adottato d’intesa con la Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati
criteri e modalità di attuazione del presente articolo».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 88 del
2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione,
nella parte in cui non prevede la parola «tecnica», dopo le parole «criteri e
modalità di attuazione» e prima delle parole «del presente articolo».
3.− La doglianza della Provincia autonoma verte
sull’introduzione, quale oggetto del decreto, anche delle modalità attuative
del potere sostitutivo e sulla soppressione della precisazione del carattere
tecnico della normativa attuativa.
4.− Nel ricorso è
richiamata l’affermazione contenuta nella sentenza n. 88 del
2014 in ordine al previgente art. 10, comma 5, citato: «Poiché, peraltro,
il comma censurato si limita a stabilire che il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri disciplina criteri e modalità di attuazione dell’art.
10, è con riferimento agli altri commi del medesimo articolo che va individuato
l’effettivo spazio precettivo nel quale esso è chiamato a muoversi».
La Provincia autonoma, quindi,
rileva che il contenuto precettivo del novellato comma 5, in relazione a quanto
previsto dai commi 3 e 4 del medesimo art. 10, anch’essi novellati dalla legge
n. 164 del 2016, pone in evidenza profili di illegittimità costituzionale.
5.− Il testo originario del comma 3, dell’art. 10 stabiliva:
«Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 sono effettuate sulla base di
apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l’anno di
riferimento, l’equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli
enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione, come
definito dall’articolo 9, comma 1, lettera a). A tal fine, ogni anno i comuni,
le province e le città metropolitane comunicano alla regione di appartenenza
ovvero alla provincia autonoma di appartenenza, secondo modalità stabilite con
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5 del
presente articolo, il saldo di cassa di cui all’articolo 9, comma 1, lettera
a), che l’ente locale prevede di conseguire, nonché gli investimenti che
intende realizzare attraverso il ricorso all’indebitamento o con i risultati di
amministrazione degli esercizi precedenti. Ciascun ente territoriale può in
ogni caso ricorrere all’indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di
prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione».
Il nuovo testo dell’art. 10,
comma 3, della legge n. 243 del 2012, prevede: «Le operazioni di indebitamento
di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso
l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono
effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che
garantiscano, per l’anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui
all’articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della regione
interessata, compresa la medesima regione».
6.− La Provincia autonoma espone che il confronto tra le due
disposizioni evidenzia la soppressione del secondo periodo, con la conseguenza
di un ampliamento dell’oggetto del decreto attuativo in ordine alle modalità di
conclusione delle intese regionali e di limiti del ricorso all’indebitamento.
7.− Il testo originario del comma 4 dell’art. 10 stabiliva:
«Qualora, in sede di rendiconto, non sia rispettato l’equilibrio di cui al
comma 3, primo periodo, il saldo negativo concorre alla determinazione
dell’equilibrio della gestione di cassa finale dell’anno successivo del
complesso degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione,
ed è ripartito tra gli enti che non hanno rispettato il saldo previsto».
Il testo novellato del suddetto
art. 10, comma 4, prevede: «Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e
le operazioni di investimento realizzate attraverso l’utilizzo dei risultati di
amministrazione degli esercizi precedenti, non soddisfatte dalle intese di cui
al comma 3, sono effettuate sulla base dei patti di solidarietà nazionali.
Resta fermo il rispetto del saldo di cui all’articolo 9, comma 1, del complesso
degli enti territoriali».
8.− La Provincia autonoma espone che il confronto tra le due
disposizioni evidenzia la persistenza in fatto della fattispecie già oggetto
della disciplina previgente dell’art. 10, comma 4, che pertanto potrà essere
oggetto del potere attuativo, e non è chiaro tra quali enti dovrebbero essere
stipulati i patti di solidarietà nazionale.
9.− Pertanto, la norma impugnata non limita alla mera
attuazione tecnica la portata dispositiva del decreto, ed estende l’oggetto del
decreto alle modalità di attuazione del potere sostitutivo statale, in caso di
inerzia o di ritardo delle Regioni e delle Province autonome.
10.− Sussisterebbe,
quindi, la violazione dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), che, nel riservare a legge rinforzata
la disciplina della «facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città
metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano
di ricorrere all’indebitamento, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma,
secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall’articolo 4 della presente
legge costituzionale», esclude la possibilità di un intervento normativo
statale con fonte secondaria di natura regolamentare, se non per meri contenuti
tecnici, con violazione anche del giudicato costituzionale (art. 136 della
Costituzione), in quanto nella sostanza ripristina una legge già dichiarata
illegittima.
11.− Altro profilo di censura è delineato in relazione agli
ambiti di competenza regionale (recte: provinciale),
in violazione dell’art.
117, sesto comma, Cost., in combinato disposto con
l’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), e con l’art. 54, numero 2, dello statuto
di autonomia.
12.− La Provincia autonoma
di Bolzano: a) è dotata di autonomia finanziaria (Titolo VI dello statuto); b)
in relazione agli enti locali del territorio regionale ha potestà esclusiva in
materia di finanza locale (artt. 80 e 81 dello statuto) e ha il potere di
provvedere a definire le modalità di ricorso all’indebitamento degli stessi; c)
ha il coordinamento della finanza pubblica provinciale, che comprende la
finanza locale e i correlativi provvedimenti di controllo (artt. 80, come
modificato, e 81 dello statuto; art. 16 dello statuto; artt. 17 e 18 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale»; art. 79 dello statuto, in particolare commi 3 e 4; art. 54, n. 5,
dello statuto; art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n.
473, recante «Norme di attuazione dello Statuto per la regione Trentino-Alto
Adige in materia di finanza locale»); d) rinviene negli artt. 8 e 9, in
relazione agli artt. 4 e 5 dello statuto, i limiti alla propria potestà
legislativa.
Inoltre, per la Provincia
autonoma, ai sensi degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
266 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), sono
vincolanti solo le disposizioni di legge e non quelle di fonte secondaria, ed è
escluso l’esercizio di funzioni amministrative statali in materie di competenza
provinciale.
13.− Profili di illegittimità costituzionale permarrebbero
anche considerando il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri come
atto di indirizzo e coordinamento, nella parte in cui non prevede un diretto
coinvolgimento della Provincia autonoma, ma solo quello della Conferenza
unificata, così ledendo l’art. 3 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
14.− Con specifico
riferimento alla devoluzione al decreto delle modalità attuative del potere
sostitutivo dello Stato, la norma censurata violerebbe gli artt. 120, secondo comma,
ultimo periodo, e 117,
quinto comma, Cost., non facendo la norma
riferimento ad alcuno dei presupposti costituzionali che giustificano il potere
sostitutivo, anche in relazione all’art. 3 Cost., con riguardo al profilo della ragionevolezza,
del divieto di arbitrarietà e della certezza del diritto, e ledendo in modo
ingiustificato l’autonomia legislativa che non è soggetta al potere
regolamentare dello Stato (artt. 8 e 9, in relazione agli artt. 4 e 5, dello statuto),
e quella amministrativa.
Inoltre, la normativa di attuazione
statutaria contiene una specifica disciplina relativa all’esercizio del potere
sostitutivo statale in relazione all’adempimento di obblighi comunitari che
comprendono anche quelli relativi all’equilibrio di bilancio e
all’inadempimento (art. 8 del d.P.R. 19 novembre
1987, n. 526, recante «Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle
province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616»).
15.− Infine, osserva la Provincia, che anche se la norma
impugnata fosse ricondotta al coordinamento della finanza pubblica, la stessa
violerebbe l’art.
117, terzo e sesto comma, Cost. (in combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001), che richiedono la fonte
normativa statale e limitano il potere regolamentare alle materie di competenza
legislativa statale esclusiva.
16.− La Provincia autonoma di Trento, previa deliberazione
della Giunta provinciale n. 1813 del 18 ottobre 2016, ratificata dal Consiglio
provinciale con delibera n. 9, in data 3 novembre 2016, con il ricorso spedito
per la notificazione il 28 ottobre 2016 e depositato nella cancelleria di
questa Corte il 4 novembre 2016, iscritto al n. 69 del reg. ric. 2016, ha
impugnato, tra l’altro, l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 164 del
2016.
17.− La doglianza della Provincia autonoma verte sulla disposta
rimessione ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di dettare
criteri e modalità attuative dello stesso articolo 10, nonché di dettare le
modalità attuative del potere sostitutivo dello Stato.
18.− La ricorrente richiama la sentenza n. 88 del
2014 e la relativa declaratoria di illegittimità costituzionale e rileva
che la novella non prevede più il carattere tecnico del decreto e introduce un
nuovo oggetto dello stesso costituito dalle modalità attuative del potere
sostitutivo statale.
19.− Un primo gruppo di censure investe la mancata precisazione
del carattere meramente tecnico del potere attuativo conferito, la cui
legittimità va vagliata in relazione ai commi 3 e 4 del medesimo art. 10, come
novellati, secondo il dictum della sentenza n. 88 del
2014.
20.− Secondo la Provincia autonoma di Trento l’eliminazione nel
testo novellato del comma 3 dell’art. 10 del secondo periodo estende l’oggetto
del decreto, in relazione alle operazioni di indebitamento e di investimento,
ad un compito attuativo ampio e indeterminato, rendendo necessaria la
precisazione del suo carattere tecnico.
21.− In relazione al comma 4 dell’art. 10, osserva la
ricorrente che la fattispecie oggetto del precedente testo, non più riprodotta
nella novella, persiste nei fatti, per cui la stessa potrà essere oggetto del
generale potere attuativo attribuito al decreto. Inoltre non risulta chiaro, in
relazione alla Provincia autonoma di Trento, tra quali enti dovrebbero essere
stipulati i patti di solidarietà nazionale e quale contenuto dovrebbero avere.
22.− Da ciò discenderebbe la mancata mera portata tecnica del
decreto, con la violazione dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge
cost. n. 1 del 2012, che esclude l’intervento
normativo con fonte secondaria di natura regolamentare, se non per meri
contenuti tecnici, e del giudicato costituzionale ex art. 136 Cost. Né tale vizio può intendersi sanato dalla previsione
dell’intesa con la Conferenza unificata e non più con la Conferenza permanente
per il coordinamento della finanza pubblica.
23.− Vi sarebbe, altresì, la lesione delle ordinarie regole
statutarie e costituzionali sul rapporto tra le fonti statali e la specifica
autonomia delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol.
24.− L’art. 117, sesto comma, Cost.,
in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, limita la potestà regolamentare dello Stato alle materie rimesse alla
competenza esclusiva dello stesso.
25.− Risulterebbe violata l’autonomia finanziaria della
ricorrente come tutelata dal Titolo VI dello statuto
di autonomia, con una diretta ricaduta sulla disciplina dell’indebitamento
della stessa Provincia sia in relazione a quello dei Comuni che degli enti
locali provinciali.
Con riguardo all’indebitamento
della Provincia, gli artt. 74 e 79 dello statuto non prevedono altri limiti che
quelli da essi determinati, anche con espresso riferimento al "rispetto
dell’equilibrio dei relativi bilanci ai sensi dell’art. 24 dicembre 2012, n.
243”, ed ostano, pertanto, ad una disciplina regolamentare statale che sarebbe
in contraddizione con quanto previsto dagli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992, che limita il dovere di adeguamento della Regione e delle
Province autonome alla sola legislazione e non alle fonti secondarie, e che
persino per gli atti di indirizzo e coordinamento impongono un coinvolgimento diretto
della Regione e delle Province autonome, per quanto attiene alla loro
compatibilità con lo statuto speciale e le relative norme di attuazione.
Con riguardo all’indebitamento
degli enti locali del territorio regionale, la disciplina regolamentare statale
contraddice la generale titolarità della responsabilità finanziaria posta in
capo alle Province autonome dall’art. 79, comma 4, e dagli artt. 80 e 81 dello statuto
speciale, che conferiscono ad essa la potestà legislativa primaria in
materia di finanza locale, in tutti i suoi aspetti.
26.− Un secondo gruppo di censure riguarda l’estensione del
potere attuativo alla disciplina delle modalità del potere sostitutivo, atteso
che, in primo luogo, la regolazione del potere sostitutivo non può avvenire
mediante regole tecniche.
Osserva la ricorrente che dette
modalità attuative non rinvengono, in particolare nella legge cost. n. 1 del 2012, alcuna disciplina specifica.
Con riguardo all’indebitamento
non vi sarebbe alcuna fattispecie a cui collegare modalità attuative del
potere, né può costituire fattispecie il cenno all’inerzia o al ritardo delle
Regioni, attenendo ciò al presupposto di qualunque potere sostitutivo.
Sussisterebbe, pertanto, la
violazione dell’art.
120, secondo comma, Cost., sia con riguardo all’assenza
del riferimento ad una fattispecie che ne possa integrare i presupposti, sia in
relazione alla sostituzione delle necessarie procedure legislative con il
rinvio ad un mero decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei ministri.
Analoghe censure varrebbero con
riguardo all’invocazione dell’art. 117, quinto comma, Cost., per l’assenza dei presupposti e delle procedure
legislative dallo stesso previste.
Il conferimento ad un atto
normativo del potere esecutivo della definizione di un potere sostitutivo e
delle modalità di esercizio violerebbe l’art. 117, terzo e sesto
comma, Cost. (in
combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001), nonché il principio di
legalità sostanziale, l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e del divieto di
arbitrarietà e della certezza del diritto.
Sussisterebbe, altresì, la
lesione dei principi di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria in
relazione alle disposizioni che ne costituiscono il fondamento:
− artt. 8 e 9 dello
statuto quanto alla potestà legislativa, art. 16 del medesimo statuto con
riferimento all’autonomia amministrativa;
− Titolo VI dello statuto
con riguardo alle materie dell’organizzazione, del bilancio, dell’esercizio
dell’autonomia finanziaria e della finanza locale;
− artt. 2 e 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992, che escludono la soggezione della Provincia autonoma ad atti
regolamentari dello Stato nella disciplina delle proprie materie.
27.− La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, previa
deliberazione del Consiglio regionale n. 28 del 13 ottobre 2016, con ricorso
spedito per la notificazione il 28 ottobre 2016 e depositato nella cancelleria
di questa Corte il 4 novembre 2016, ha impugnato, tra l’altro, l’art. 2, comma
1, lettera c), della legge n. 164 del 2016.
La Regione prospetta censure e
argomentazioni analoghe a quelle della Provincia autonoma di Trento, sopra
riportate, rilevando come anche rispetto alla Regione non appare chiaro tra
quali enti dovrebbero essere stipulati i patti di solidarietà.
Così deduce la lesione dell’art. 117, terzo, quinto
e sesto comma, Cost., quest’ultimo in relazione
all’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001, che limita la potestà
regolamentare dello Stato alle materie di competenza legislativa esclusiva, e all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e del divieto di
arbitrarietà e della certezza del diritto.
Sarebbero violati, in
particolare, i princìpi di autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria
in relazione alle disposizioni che ne costituiscono il rispettivo fondamento:
− artt. 74 e 79 dello
statuto con riguardo all’indebitamento;
− artt. 4, 5 e 6 dello
statuto per la potestà legislativa;
− art. 16 con riferimento
all’autonomia amministrativa;
− Titolo VI dello statuto,
in relazione alle materie dell’organizzazione, del bilancio, dell’esercizio
dell’autonomia finanziaria e della finanza locale;
− artt. 2, 3 e 4 del
d.lgs. n. 266 del 1992.
28.− La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, previa deliberazione della Giunta regionale n. 1987 del
21 ottobre 2016, con ricorso spedito per la notificazione il 28 ottobre 2016 e
depositato nella cancelleria di questa Corte il 4 novembre 2016, ha impugnato
l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016 che modifica il comma
3 dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, prevedendo che: «Le operazioni di
indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate
attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi
precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito
regionale che garantiscano, per l’anno di riferimento, il rispetto del saldo di
cui all’articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della
regione interessata, compresa la medesima regione».
29.− Nell’impugnare detta
norma, la Regione autonoma ricorda di avere censurato con il medesimo ricorso
anche l’art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge n. 164 del
2016, nella parte in cui introduce il comma 1-bis all’art. 9 della legge n. 243
del 2012, escludendo l’utilizzo del saldo di amministrazione ai fini
dell’equilibrio del bilancio regionale, presumibilmente, per essere lo stesso
riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni
pubbliche ai fini della rendicontazione europea.
30.− La disposizione di cui all’art. 2, comma 1, lettera a),
della legge n. 164 del 2016, è censurata in quanto vincola ad intese l’utilizzo
dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, che è un elemento
patrimoniale della Regione già illegittimamente escluso dalle entrate finali
che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio
della Regione.
Tale avanzo, venendo sottratto
alla piena disponibilità della Regione autonoma, cessa di essere una componente
del patrimonio della stessa a dispetto di quanto è rappresentato nei propri
rendiconti.
Ciò integra una violazione
dell’autonomia finanziaria regionale (artt. 48, 49 e 51 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante: «Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia», art. 119, primo, secondo
e sesto comma, Cost., se più favorevole ai sensi
dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) e della
stessa autonomia politica dell’ente.
L’art. 48 dello statuto
costruisce la finanza dell’ente come una finanza propria della Regione
autonoma; l’art. 49 attribuisce alla medesima Regione quote dei tributi
erariali; l’art. 51 individua le altre entrate della Regione.
Risulta, pertanto, violato anche
il principio dell’accordo in applicazione del metodo pattizio che regola i
rapporti finanziari tra la Regione e lo Stato.
La norma censurata non può
trovare giustificazione in quanto stabilito dall’art. 119, ultimo comma, Cost.,
che richiede il rispetto dell’equilibrio di bilancio del complesso degli enti ai
fini del ricorso all’indebitamento, poiché essa condiziona non solo le
operazioni di indebitamento ma anche quelle di investimento e finalizza
l’avanzo dell’amministrazione alla sola copertura delle spese di investimento.
In ragione dell’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001, l’art. 119, ultimo comma, Cost. non potrebbe trovare
applicazione in malam partem
ad essa ricorrente, poiché l’art. 52 dello statuto prevede regole speciali per
l’indebitamento, che la facoltizza ad emettere prestiti da essa garantiti.
31.− La Regione Liguria e
la Regione Lombardia, previa delibera di autorizzazione delle rispettive Giunte
regionali, hanno impugnato, tra l’altro, con autonomi ricorsi spediti per la
notificazione il 28 ottobre 2016 e depositati nella cancelleria di questa Corte
il 4 novembre 2016, l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 164 del 2012,
che ha sostituito l’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, in
riferimento all’art. 117, sesto comma, 5 e 114 Cost.,
e all’art. 5, comma 1 (recte: comma 2), lettera b),
della legge cost. n. 1 del 2012.
Le Regioni ricorrenti hanno
prospettato analoghe censure.
32.− Dopo avere richiamato la sentenza n. 88 del
2014, esse deducono che il nuovo comma 5 dell’art. 10 della legge n. 243
del 2012 mantiene le medesime illegittimità costituzionali già censurate dal
Giudice delle Leggi.
Ciò non solo sotto un carattere
formale, non conservando la specificazione del carattere tecnico del decreto,
ma anche da un punto di vista sostanziale, verificando la natura del d.P.C.m. in relazione agli adempimenti ad esso riservati
dai commi 2 e 3 del medesimo art. 10.
33.− Così il novellato comma 3 ha eliminato ogni riferimento al
d.P.C.m., il quale tuttavia, in ragione di quanto
stabilito al comma 5, disciplina tutti gli adempimenti previsti nell’articolo
10.
34.− Il nuovo comma 4 elimina la previsione del riparto del
saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, apparentemente sanando
l’illegittimità rilevata nella sentenza n. 88 del
2014.
Tuttavia, nella misura in cui
prevede che «resta fermo il rispetto del saldo di cui all’art. 9, comma 1», del
complesso degli enti territoriali, sottintende e rimette al d.P.C.m.
il compito di definire criteri e modalità per garantire tale rispetto da parte
della Regione.
35.− Pertanto, sussiste la violazione dell’art. 117, sesto
comma, Cost., nella parte in cui la norma impugnata
consente allo Stato di adottare regolamenti in una materia concorrente, nella
quale la potestà regolamentare spetta alla Regione, atteso che l’indebitamento
va ricondotto al coordinamento della finanza pubblica.
Sussiste, altresì, la violazione
dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost.
n. 1 del 2012, che assegna ad una legge ordinaria rinforzata la disciplina
dell’indebitamento delle Regioni.
L’esclusione della previsione
della natura tecnica del decreto ne avalla il contenuto discrezionale.
Né la previsione dell’adozione
di intese con la Conferenza unificata può sanare tale illegittimità, atteso che
permane l’attribuzione della disciplina attuativa dell’indebitamento ad una
fonte di natura regolamentare, anziché a legge rinforzata.
36.− La Regione Veneto, previa deliberazione della Giunta
regionale n. 1717 del 26 ottobre 2016, con ricorso spedito per la notificazione
il 28 ottobre 2016 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 7 novembre
2016, ha impugnato l’art. 2 della legge n. 164 del 2016, per la violazione
degli artt. 117, sesto comma, 118, 119 e 81, sesto comma, Cost.,
nonché dell’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost.
n. 1 del 2012.
Le censure, tuttavia, si
incentrano sulle modifiche introdotte all’art. 10, comma 5, della legge n. 243
del 2012, e dunque sul comma 1, lettera c) del suddetto art. 2.
Assume la ricorrente che la
novella dei commi 3 e 4 del suddetto art. 10 determina un’ampiezza del decreto
attuativo in contrasto con quanto statuito dalla sentenza n. 88 del 2014 e in
violazione dei suddetti parametri costituzionali e dell’art. 5, comma 2, della
legge cost. n. 1 del 2012.
37.− La Regione premette che la legge n. 243 del 2012,
modificata dalla norma impugnata, è legge rinforzata in ragione di quanto
stabilito dall’art. 81, sesto comma, Cost. Il rinvio
ad un atto regolamentare elude l’obbligo previsto da tale disposizione in
quanto attribuisce al d.P.C.m. il compito di
disciplinare i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le
spese dei bilanci e la sostenibilità.
Ricorda, quindi, come con la
sentenza n. 88 del 2014 si era ritenuta illegittima l’attribuzione, al decreto
attuativo di cui al comma 5 dell’art. 10, di una potestà di natura
discrezionale e non meramente tecnica.
Tale illegittimità sarebbe
rinnovata dalla novella, poiché il d.P.C.m. dovrà
disciplinare le modalità, le condizioni e pur anche i contenuti quantitativi e
qualitativi delle intese regionali relative alle operazioni di indebitamento
assunte per finanziare spese di investimento e alle operazioni di investimento
realizzate attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli
esercizi precedenti. Inoltre per le ipotesi non rientranti nell’ambito delle
menzionate intese, occorrerà far riferimento a patti di solidarietà nazionale,
il cui contenuto verosimilmente sarà conformato proprio dal d.P.C.m.
in questione.
Il d.P.C.m.
sarebbe diretto a disciplinare non solo le ipotesi di indebitamento, ma anche
la diversa fattispecie delle operazioni di investimento realizzate attraverso
l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, che non
può formare oggetto di una disciplina regolatoria
affidata a una fonte sub legislativa, ledendo l’autonomia politica, gestoria, amministrativa e finanziaria delle Regioni, con
conseguente violazione degli artt. 118 e 119 Cost.
Né tali illegittimità sono
sanate dalla previsione dell’intesa in sede di Conferenza unificata.
38.− In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato.
39.− La difesa dello Stato, nel dedurre la non fondatezza delle
questioni, ha svolto le seguenti considerazioni.
Esclude che la novellazione del comma 3 dell’art. 10, che ha incluso nelle
intese le operazioni che prevedono l’utilizzo dell’avanzo di bilancio e ha
superato il riferimento al saldo di cassa finale (in coerenza con le modifiche
apportate all’art. 9), così alterando i contenuti della disposizione
originaria.
Le censure ritenute fondate
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 2014 non possono essere
riferite al novellato art. 10, comma 4, poiché relative ad un meccanismo non
più previsto.
Il nuovo testo del comma 4
disciplina i patti di solidarietà nazionale gestiti dallo Stato, che non
interferiscono e non incidono sull’autonomia regionale, in quanto diretti ad
introdurre un ulteriore elemento di flessibilità nella disciplina dell’equilibrio
di bilancio, per attribuire agli enti locali la possibilità di realizzare
ulteriori operazioni di investimento finanziate mediante il ricorso al debito e
l’utilizzo dell’avanzo degli esercizi precedenti, non soddisfatte dalle intese
regionali.
L’adesione degli enti
territoriali ai patti di solidarietà nazionale è facoltativa ed interviene solo
successivamente all’esperimento della procedura d’intesa gestita dalla Regione
di appartenenza.
Afferma inoltre il Governo che
la composizione degli interessi che afferiscono ai patti di solidarietà
nazionale è da ricomprendere nell’ambito del coordinamento della finanza
pubblica, e che il contenuto del d.P.C.m. non debba
necessariamente avere natura meramente tecnica.
Sussiste la possibilità di
ricorrere al conflitto di attribuzione e comunque il carattere discrezionale
del decreto può essere vagliato solo dopo l’adozione dello stesso, essendo in
precedenza il sospetto di illegittimità costituzionale privo di attualità ed
effettività.
Il potere di controllo
sostitutivo di cui all’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, è
finalizzato a garantire l’attivazione nella gestione delle intese, dato il
carattere cruciale delle stesse per il finanziamento della spesa per
investimenti, e trova fondamento nell’art. 120, secondo comma, Cost.
I previsti criteri e modalità
attuativi sono da disciplinare previa intesa in sede di Conferenza unificata.
40.− Le Province autonome di Trento e di Bolzano, la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, la Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol e la Regione Veneto, hanno depositato memorie con le quali
insistono nell’accoglimento dei ricorsi. In particolare la Provincia autonoma
di Trento, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Regione
Veneto, hanno ricordato come sia intervenuto il d.P.C.m.
di attuazione 21 febbraio 2017, n. 21 (Regolamento recante criteri e modalità
di attuazione dell’articolo 10, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243,
in materia di ricorso all’indebitamento da parte delle regioni e degli enti
locali, ivi incluse le modalità attuative del potere sostitutivo dello Stato,
in caso di inerzia o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome
di Trento e di Bolzano), che all’art.1, comma 4, sancisce: «Fermo restando il
rispetto del saldo di cui all’articolo 9, comma 1, della legge 24 dicembre
2012, n. 243, del complesso degli enti territoriali delle regioni o delle
province autonome, compresa la medesima regione o provincia autonoma, alle
regioni e alle province autonome che esercitano le funzioni in materia di
finanza locale in via esclusiva le disposizioni del presente decreto si
applicano compatibilmente con gli statuti speciali e le relative norme di
attuazione, nonché con gli accordi con lo Stato in materia di finanza pubblica.
Restano fermi gli obblighi di comunicazione di cui al comma 9 dell’articolo 2,
riferiti al complesso degli enti territoriali delle regioni o delle province
autonome, nei tempi concordati con le predette autonomie speciali».
Tuttavia per l’ambiguità che
persiste nel testo del regolamento insistono nella declaratoria di
illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
Considerato in diritto
1.− Riservata a separate
pronunce la decisione dell’impugnazione delle altre disposizioni della legge 12
agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia
di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), vengono in esame,
in questa sede, le sole questioni relative all’art. 2, comma 1, lettere a) e
c), della medesima legge n. 164 del 2016, promosse dalle Province autonome di
Trento e di Bolzano, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalle Regioni Lombardia, Liguria e
Veneto.
In considerazione della parziale
identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i sette giudizi, come
sopra delineati, devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e
decisi con un’unica pronuncia.
2.− Il vaglio delle questioni di legittimità costituzionale
sollevate in relazione a queste disposizioni, che modificano i commi 3 e 5
dell’art. 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per
l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81,
sesto comma, della Costituzione), rende necessario tratteggiare il sistema
normativo in cui esse si collocano con riguardo sia alla disciplina precedente
che a quella intervenuta successivamente.
3.− Occorre prendere le mosse dalla legge costituzionale 20
aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale) che, come è noto, ha riformulato gli artt. 81, 97, 117 e
119 della Costituzione.
3.1.− La legge è sostanzialmente attuativa del patto "Euro
Plus”, approvato dai Capi di Stato e di Governo della zona euro l’11 marzo 2011
e condiviso dal Consiglio europeo il 24-25 marzo 2011. Con esso gli Stati
membri si sono impegnati ad adottare misure volte a perseguire gli obiettivi
della sostenibilità delle finanze pubbliche, della competitività,
dell’occupazione e della stabilità finanziaria, e in particolare a recepire
nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’Unione europea fissate
nel patto di stabilità e crescita, ferma restando «"la facoltà di scegliere lo
specifico strumento giuridico nazionale” cui ricorrere, purché avente «"una
natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione
o normativa quadro)” e tale da "garantire la disciplina di bilancio a livello
sia nazionale che subnazionale”» (sentenza n. 88 del 2014).
A sua volta, la direttiva
relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri (direttiva
2011/85/UE del Consiglio dell’8 novembre 2011), cui si è data attuazione con il
decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 54 (Attuazione della direttiva 2011/85/UE
relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri), ha
stabilito regole minime comuni atte a garantire una disciplina uniforme di
bilancio negli Stati membri. In particolare nell’art. 5 si prevede che
«Ciascuno Stato membro si dota di regole di bilancio numeriche specifiche che
promuovano effettivamente l’osservanza dei suoi obblighi derivanti dal TFUE nel
settore delle politiche di bilancio, nell’ambito di una prospettiva pluriennale
per l’intera amministrazione pubblica».
Infine, con il Trattato sulla
stabilità, sul coordinamento e sulla governance
nell’Unione economica e monetaria (meglio noto come Fiscal Compact),
sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 e in vigore dal 1° gennaio 2013,
ratificato in Italia con la legge 23 luglio 2012, n. 114 (Ratifica ed
esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria tra il Regno
del Belgio, la Repubblica di Bulgaria, il Regno di Danimarca, la Repubblica
federale di Germania, la Repubblica di Estonia, l’Irlanda, la Repubblica
ellenica, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, la Repubblica italiana,
la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania,
il Granducato di Lussemburgo, l’Ungheria, Malta, il Regno dei Paesi Bassi, la
Repubblica d’Austria, la Repubblica di Polonia, la Repubblica portoghese, la
Romania, la Repubblica di Slovenia, la Repubblica slovacca, la Repubblica di
Finlandia e il Regno di Svezia, con Allegati, fatto a Bruxelles il 2 marzo
2012), come già ricordato nella sentenza n. 88 del 2014, «gli Stati contraenti,
all’art. 3, comma 2, si sono impegnati a recepire le regole del "patto di
bilancio” "tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente –
preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo
rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio”». Con il
Trattato le parti contraenti si impegnavano, in particolare, ad introdurre ed
applicare, tra l’altro, la regola secondo cui il bilancio della pubblica amministrazione
deve essere in pareggio o in avanzo. Ai sensi del Protocollo n. 12 (Procedura
per i disavanzi eccessivi) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
particolarmente significativa è l’affermazione secondo cui per pubblica
amministrazione si intende, fra l’altro, l’amministrazione statale, regionale o
locale.
3.2.− Le modifiche alla Costituzione rispondono dunque alle
finalità e agli obblighi previsti in sede europea e nella sostanza comportano
l’introduzione del principio dell’equilibrio tra entrate e spese, riferito non
al singolo ente ma al complesso di tutte le pubbliche amministrazioni.
3.3.− Vengono in rilievo anzitutto gli artt. 81 e 119 Cost., come novellati.
Quanto al primo, il sesto comma,
nella nuova formulazione, afferma per il «complesso delle pubbliche
amministrazioni» i princìpi dell’equilibrio di bilancio tra entrate e spese e
della sostenibilità del debito, riservando ad una legge, approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, il potere di stabilire,
oltre che il contenuto della legge di bilancio, «le norme fondamentali e i
criteri volti ad assicurare» l’implementazione dei due princìpi.
Nell’art. 119 Cost.,
poi, al primo comma, dopo il riconoscimento dell’autonomia finanziaria di entrata
e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, è stata aggiunta
la seguente specificazione: «nel rispetto dell’equilibrio dei relativi
bilanci», nonché l’inciso: «e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Al
secondo periodo del sesto comma, secondo cui le autonomie «possono ricorrere
all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento», è stato poi
aggiunto l’inciso: «con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a
condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato
l’equilibrio di bilancio».
A proposito di quest’ultima
disposizione, nei lavori parlamentari della legge costituzionale (Relazione
delle Commissioni permanenti I e V della Camera presentata alla Presidenza il
21 febbraio 2012), si chiarisce che il principio del pareggio di bilancio viene
riferito alla singola autonomia territoriale, ma che, con la novella del sesto
comma, assume rilievo l’equilibrio complessivo dell’aggregato regionale degli
enti locali, atteso che il debito è possibile solo se compensato
dall’equilibrio del contesto regionale di cui il singolo ente fa parte;
l’indebitamento non solo deve finanziare spese di investimento, ma è condizionato,
oltre che alla contestuale definizione di piani di ammortamento, al rispetto di
tale equilibrio.
4.− È alla luce di questo principio fondamentale che vanno
lette le ulteriori modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 1 del
2012.
In particolare, il nuovo primo
comma dell’art. 97 Cost., secondo cui «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza
con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la
sostenibilità del debito pubblico», rinvia ad una nozione unitaria di pubblica
amministrazione.
L’art. 117 Cost., a sua volta, è stato
modificato, sancendo che la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici»
rientra negli ambiti di competenza legislativa esclusiva statale e non più −
come nell’originario riparto competenziale −
nelle materie di competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni. Ed è bene
ricordare che questa Corte ha costantemente affermato che di regola i principi
fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato, nell’esercizio della
competenza di coordinamento della finanza pubblica, si applicano anche ai
soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del
2015, n. 54
del 2014, n.
30 del 2012, n.
229 del 2011, n.
120 del 2008, n.
169 e n. 82
del 2007, n.
417 del 2005, n.
353 e n. 36
del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di
bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle
amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della
Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
5.− A chiusura del sistema, il comma 2, lettera b), dell’art.
5, della legge cost. n. 1 del 2012 rimette ad una
legge rinforzata la disciplina della facoltà dei Comuni, delle Province, delle
Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano di ricorrere all’indebitamento, ai sensi dell’art. 119, sesto comma,
secondo periodo, Cost., come novellato.
A questa legge è anche affidata
la individuazione di una serie di elementi, tra cui le norme fondamentali e i
criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci
e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, e
in particolare il contenuto della legge di bilancio dello Stato, e le modalità
attraverso le quali gli enti in questione concorrono alla sostenibilità del
debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
6.− In effetti la legge
rinforzata poi emanata, la n. 243 del 2012, ha disciplinato, al Capo IV,
l’applicazione del principio dell’equilibrio complessivo tra entrate e spese
nei confronti delle Regioni e degli enti locali (artt. da 9 a 12), fissando la
regola nuova − rispetto al previgente patto di stabilità – del
raggiungimento di un unico saldo, che deve essere "non negativo”, precisando
inoltre, all’art. 9, comma 1, che la regola contabile dell’equilibrio di
bilancio si applica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome; e, all’art. 10, comma 1, che le condizioni di ricorso
all’indebitamento si applicano anche nei confronti delle autonomie speciali.
7.− Questa legge è stata poi modificata dalla legge n. 164 del
2016, con riguardo sia all’art. 9 che all’art. 10, articolo, quest’ultimo, in
cui rientrano le norme impugnate.
7.1.− Rilevanti sono, peraltro, anche le modifiche apportate
all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, attesa la loro portata generale:
− l’art. 1, comma 1,
lettera a), nel modificare il comma 1 di tale articolo, ha sostituito i quattro
saldi di riferimento ai fini dell’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli
enti locali ivi previsti (un saldo non negativo, in termini di competenza e di
cassa, tra le entrate finali e le spese finali, e un saldo non negativo, in
termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti,
incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti) con un
unico saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le
spese finali. Pertanto sono stati soppressi gli obblighi di pareggio per la
cassa e le spese correnti;
− l’art.1, comma 1,
lettera b), della legge n. 164 del 2016 ha poi introdotto, nello stesso art. 9,
il comma 1-bis, con cui viene specificato quali sono le entrate finali e le
spese finali che devono essere prese in considerazione ai fini della
determinazione del saldo non negativo.
7.2.− Quanto alle disposizioni che qui direttamente interessano,
l’art. 2 della legge n. 164 del 2016 ha modificato l’art. 10, commi 3 e 4,
della legge n. 243 del 2012, concernenti il ricorso all’indebitamento da parte
delle Regioni e degli enti locali e le operazioni di investimento; nonché il
comma 5, relativo al decreto al quale sono rimessi criteri e modalità di
attuazione dell’articolo medesimo e modalità di attuazione del potere
sostitutivo dello Stato.
La lettera a) del comma 1
dell’art. 2 della legge n. 164 del 2016 ha sostituito il comma 3, il quale,
nella versione originaria, nel primo periodo, disponeva che «Le operazioni di
indebitamento di cui al comma 2 sono effettuate sulla base di apposite intese
concluse in ambito regionale che garantiscano, per l’anno di riferimento,
l’equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti
territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione, come
definito dall’articolo 9, comma 1, lettera a)».
La modifica introdotta subordina
all’acquisizione di intese regionali, che garantiscano il rispetto del saldo di
cui all’art. 9, comma 1 (come novellato), della legge n. 243 del 2012, le
operazioni di indebitamento e quelle di investimento realizzate attraverso
l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti. Dunque,
in modo coerente con le modifiche apportate all’art. 9, viene meno il
riferimento al saldo di cassa finale; come pure sono soppressi gli ultimi due
periodi del testo originario.
L’art. 2, comma 1, lettera b),
della legge n. 164 del 2016 sostituisce il comma 4 dell’art. 10 della legge n.
243 del 2012 nei termini seguenti: «Le operazioni di indebitamento di cui al
comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso l’utilizzo dei
risultati di amministrazione degli esercizi precedenti, non soddisfatte dalle
intese di cui al comma 3, sono effettuate sulla base dei patti di solidarietà
nazionali. Resta fermo il rispetto del saldo di cui all’articolo 9, comma 1,
del complesso degli enti territoriali».
L’art. 2, comma 1, lettera c),
della legge n. 164 del 2016 sostituisce il comma 5 dell’art. 10 della legge n.
243 del 2012 come segue: «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
da adottare d’intesa con la Conferenza unificata, sono disciplinati criteri e
modalità di attuazione del presente articolo, ivi incluse le modalità attuative
del potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia o ritardo da parte delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Lo schema del decreto
è trasmesso alle Camere per l’espressione del parere delle commissioni
parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario. I pareri sono
espressi entro quindici giorni dalla trasmissione, decorsi i quali il decreto
può essere comunque adottato».
Il testo originario dell’art.
10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, su cui è intervenuta la sentenza n.
88 del 2014 – di cui in seguito −, prevedeva: «Con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per
il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalità
di attuazione del presente articolo».
8.− Venendo al merito
delle questioni sollevate, in primo luogo vanno vagliate quelle proposte dalla
Provincia autonoma di Bolzano, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla
Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla Regione Liguria, dalla Regione
Lombardia e dalla Regione Veneto (quest’ultima Regione ha così specificato
l’impugnazione proposta in generale in relazione all’art. 2 della legge n. 164
del 2016), in relazione all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 164 del
2016, che modifica l’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012.
8.1.− Le Province autonome di Trento e di Bolzano e la Regione
Trentino-Alto Adige/Südtirol denunciano che la mancata affermazione normativa
del carattere tecnico del decreto, come ritenuto necessario dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 88 del
2014, è lesiva del giudicato costituzionale.
8.2.− Inoltre, tutte le ricorrenti assumono che le loro
competenze, provinciali e regionali, escluderebbero l’esercizio della potestà
regolamentare ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost.,
attesa, altresì, la riserva di legge rinforzata di cui all’art. 5, comma 2,
lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012.
In particolare la Provincia
autonoma di Bolzano, la Provincia autonoma di Trento, la Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol, nel complesso, denunciano la violazione dell’art.
5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del
2012, che, nel prevedere l’adozione di legge rinforzata, esclude la possibilità
di un intervento normativo statale con fonte secondaria di natura
regolamentare, se non per meri contenuti tecnici, con lesione anche del
giudicato costituzionale (art. 136 della Costituzione), in quanto nella
sostanza viene ripristinata una legge già dichiarata illegittima. Né tale vizio
può intendersi sanato dalla previsione dell’intesa con la Conferenza unificata
e non più con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica.
8.3.− Le Province autonome
di Trento e di Bolzano e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, nel
complesso, prospettano anche la lesione degli ambiti di competenza provinciali
e regionali, in violazione dell’art. 117, terzo comma, e sesto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), e con l’art. 54, numero 2), del d.P.R.
n. 670 del 1972 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), che limita la
potestà regolamentare dello Stato alle materie rimesse alla competenza
esclusiva dello stesso; degli artt. 4, 5, 6, 8, 9 16, 54, numero 5), e delle
disposizioni contenute nel Titolo VI dello statuto; dell’art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 473 (Norme di attuazione dello
statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di finanza locale); degli
artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale) e degli artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo
16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e
leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento).
8.4.− Anche la Regione Liguria, la Regione Lombardia e la
Regione Veneto hanno dedotto la violazione dell’art. 5, comma 2, lettera b),
della legge cost. n. 1 del 2012, e, nel complesso,
degli artt. 5, 81, sesto comma, 114, 117, sesto comma, 118, 119 Cost.,
poiché il d.P.C.m., dovendo disciplinare non solo le
ipotesi di indebitamento, ma anche la diversa fattispecie delle operazioni di
investimento realizzate attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione
degli esercizi precedenti, violerebbe l’autonomia politica, gestoria,
amministrativa e finanziaria delle Regioni.
8.5.− In secondo luogo, le Province autonome di Trento e di
Bolzano e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol contestano la
rimessione al decreto delle modalità attuative del potere sostitutivo dello
Stato, mancando il fondamento normativo primario.
8.6.− Nell’insieme, le Province autonome di Trento e di Bolzano,
e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, prospettano la violazione
degli artt. 120, secondo comma, in particolare l’ultimo periodo, e 117, terzo,
quinto e sesto comma, Cost. (in
combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n.
3 del 2001), non facendo la norma riferimento ad alcuno dei presupposti
costituzionali che giustificano il potere sostitutivo (già disciplinato
dall’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526,
recante «Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle province autonome
di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616»), anche in relazione all’art. 3 Cost., con riguardo ai profili della ragionevolezza, del
divieto di arbitrarietà e della certezza del diritto.
La norma lederebbe in modo
ingiustificato l’autonomia legislativa delle ricorrenti, che non è soggetta al
potere regolamentare dello Stato (artt. 8 e 9, in relazione agli artt. 4 e 5
dello statuto regionale), nonché quella amministrativa, in relazione alle
materie dell’organizzazione, del bilancio, dell’esercizio dell’autonomia
finanziaria (art. 16 dello statuto regionale), e quella finanziaria.
9.− La questione proposta in relazione alla violazione del
giudicato costituzionale non è fondata.
10.− Va ricordato al riguardo che la disposizione, nella sua
precedente formulazione, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, con
la sentenza n. 88 del 2014, «nella parte in cui non prevede la parola
"tecnica”, dopo le parole "criteri e modalità di attuazione” e prima delle
parole "del presente articolo”».
10.1.− La Corte ha anzitutto escluso la violazione dei parametri relativi
alla competenza regionale, affermando che il riferimento deve essere all’art.
5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del
2012, il quale prevede l’adozione di una disciplina statale attuativa.
Quest’ultima non è in alcun modo limitata ai princìpi generali, e il suo
contenuto deve essere eguale per tutte le autonomie a garanzia dell’omogeneità
dei trattamenti, connaturata alla logica della riforma, atteso che i vincoli
generali in materia di indebitamento devono valere «in modo uniforme per tutti
gli enti, [e pertanto] solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali
scelte […]. I vincoli imposti alla finanza pubblica, infatti, se hanno come
primo destinatario lo Stato, non possono non coinvolgere tutti i soggetti
istituzionali che concorrono alla formazione di quel "bilancio consolidato
delle pubbliche amministrazioni” in relazione al quale va verificato il
rispetto degli impegni assunti in sede europea e sovranazionale».
Da tutto ciò la sentenza deduce
l’esistenza di una riserva di legge rinforzata e quindi la necessità di
verificare l’ambito operativo del decreto in questione, poiché «se è
indubbiamente corretto, infatti, il rilievo delle ricorrenti, secondo cui la
disciplina della materia è affidata dalla legge cost.
n. 1 del 2012 alla legge rinforzata, è anche vero che la natura stessa
dell’atto legislativo esclude che esso debba farsi carico di aspetti della
disciplina che richiedono solo apporti tecnici, cosicché questa Corte ha
affermato la legittimità di un tal genere di disciplina con riferimento al
parametro di cui all’art. 117, sesto comma, Cost.».
Sulla base di tali premesse, la
sentenza ha ritenuto che per il comma 3 dell’art. 10, relativo alle operazioni
d’indebitamento, il decreto aveva solo il compito di stabilire le modalità di
comunicazione del saldo di cassa e degli investimenti che s’intendono
realizzare, con la conseguenza che il suo ambito era quello tecnico del
coordinamento informativo e statistico di competenza esclusiva dello Stato
(art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.), non
venendo così in rilievo profili di discrezionalità. Quanto al comma 4, invece,
poiché veniva rimessa al decreto, in caso di mancato rispetto dell’equilibrio
del bilancio regionale allargato, la ripartizione del saldo negativo tra gli
enti territoriali inadempienti, esso comportava l’esercizio di un potere di
natura discrezionale.
Di qui l’illegittimità della
norma impugnata nella parte in cui veniva riservato al decreto un compito
attuativo non meramente tecnico.
11.− Secondo questa Corte
(sentenza n. 350
del 2010): «[…] perché vi sia violazione del giudicato costituzionale, è
necessario che una norma ripristini o preservi l’efficacia di una norma già
dichiarata incostituzionale» e che in particolare «le decisioni di accoglimento
hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale è quindi precluso non
solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria
efficacia, bensì il perseguire e raggiungere, "anche se indirettamente”, esiti
corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi della Costituzione».
Nel caso di specie la pronuncia
additiva della sentenza
n. 88 del 2014 è stata adottata dopo una verifica del concreto atteggiarsi
del decreto (carattere tecnico o discrezionale) in relazione al contenuto
precettivo dei precedenti commi dell’art. 10, contenuto che quindi assume un
valore determinante. Ne consegue che in presenza di una significativa modifica
di quest’ultimo, anche in relazione al diverso contesto determinato dalla novellazione dell’art. 9, non sussiste, sia sotto il
profilo sostanziale che formale, il ripristino o la conservazione del
significato della norma dichiarata costituzionalmente illegittima.
12.− La questione, dunque, non è fondata.
13.− La seconda questione, sollevata da tutte le ricorrenti,
sia pure con diverse censure in ragione del diverso status di autonomia, pone
il problema della riconducibilità della disciplina in esame alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato, quale presupposto della potestà
regolamentare ex art. 117, sesto comma, Cost., e
della necessità di un carattere meramente tecnico.
14.− La questione è fondata.
15.− Come si è chiarito nella sentenza n. 88 del
2014, i commi 3 e 4 della legge n. 243 del 2012 alla cui attuazione è
destinato il regolamento, trovano fondamento costituzionale nell’art. 5, comma
2, lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012, che
prevede una disciplina statale attuativa da adottare con legge rinforzata,
cosicché è da escludere che lo Stato possa esercitare in materia una potestà
regolamentare integrativa e non meramente tecnica.
Come nel caso precedente,
pertanto, occorre procedere al vaglio dei commi in questione per verificare la
portata della disciplina affidata al regolamento.
Ebbene, quanto al comma 3, non
vi è dubbio che il riferimento alle intese in termini così generali potrebbe
comportare l’esercizio di un potere tanto di natura meramente tecnica, quanto
di natura discrezionale. È anzi da presumere che la novità e la rilevanza
dell’istituto esigano una disciplina caratterizzata per la maggior parte da
scelte discrezionali.
Nel comma 4 il riferimento è ai
patti di solidarietà nazionale, da porre in essere qualora la cessione o la
richiesta di spazi finanziari, finalizzati ad investimenti da realizzare
attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi
precedenti, non sia stata soddisfatta dalle intese, e ciò senza ulteriori
specificazioni. Anche questo istituto, dunque, richiede una disciplina di
dettaglio, che potrebbe costituire esercizio di un potere tanto di natura
meramente tecnica, quanto di natura discrezionale.
Come nel caso precedente ciò
impone di riservare al decreto un compito attuativo meramente tecnico per
ricondurre a legittimità costituzionale la norma impugnata.
16.− Il comma 5 dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, è
pertanto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la
parola «tecnica», dopo le parole «criteri e modalità di attuazione» e prima
delle parole «del presente articolo».
17.− Va, in proposito,
ribadito che il discrimine fra i due profili e il relativo vaglio di
legittimità costituzionale hanno modo di spiegarsi adeguatamente nelle sedi
competenti, poiché, qualora il decreto dovesse esorbitare dai limiti tracciati,
incidendo così sulle prerogative delle autonomie speciali, resta ferma la
possibilità «di esperire i rimedi consentiti dall’ordinamento, ivi compreso, se
del caso, il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte» (sentenza n. 88 del
2014).
18.− L’ ulteriore questione posta in relazione all’art. 2,
comma 1, lettera c), della legge n. 164 del 2016 riguarda la rimessione al
decreto delle modalità attuative del potere sostitutivo dello Stato.
Si prospetta, nel complesso, la
violazione degli artt. 120, secondo comma, ultimo periodo, e 117, quinto comma,
Cost.,
deducendosi che la norma non fa riferimento ad alcuno dei presupposti
costituzionali che giustificano il potere sostitutivo; dell’art. 3 Cost., con riguardo al profilo della ragionevolezza, del
divieto di arbitrarietà e della certezza del diritto, nonché al principio di
legalità sostanziale; dell’art. 117, terzo e sesto comma, Cost.
(richiamato ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), i quali richiedono la fonte normativa
statale e limitano il potere regolamentare alle materie di competenza legislativa
statale esclusiva; dei princìpi di autonomia legislativa, amministrativa e
finanziaria, in relazione alle disposizioni statutarie che ne costituiscono il
fondamento.
19.− Va premesso che il
riferimento effettuato dalla Provincia autonoma di Bolzano all’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 non è conferente, atteso che la
Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare con la sentenza n. 425 del
1999 che: «Tale disposizione prevede una procedura di "messa in mora” degli
organi regionali e provinciali del Trentino-Alto Adige, inadempienti nei
confronti degli obblighi comunitari, e il potere sostitutivo del Consiglio dei
ministri, nei confronti dell’Amministrazione regionale o provinciale che non
abbia provveduto nel termine stabilito dal Governo. La procedura indicata,
modellata su quella a suo tempo prevista dal terzo comma dell’art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, riguarda, e non potrebbe non
riguardare, soltanto il caso di adempimento attraverso provvedimenti di natura
amministrativa e non anche quello in cui l’atto comunitario, fonte di obblighi
per gli Stati membri, richieda un intervento di natura legislativa».
Egualmente inconferente il
richiamo all’art. 117, quinto comma, Cost., poiché,
come più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 270 del
2016 e n.
250 del 2015), la norma si riferisce alla partecipazione delle Regioni
«alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari», e in
questo ambito riconosce alle Regioni stesse «il potere di attuare gli atti
dell’Unione europea nelle materie di loro competenza».
20.− La questione è fondata per violazione dell’art. 120,
secondo comma, Cost.
La disposizione introduce,
all’evidenza, una riserva di legge in materia di disciplina del potere
sostitutivo, disciplina che in effetti è stata adottata con l’art. 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Alla stregua di tale chiaro disposto
costituzionale, questa Corte ha più volte affermato (sentenze n. 338 del
1989 e n.
177 del 1988) che le ipotesi in cui può essere esercitato il potere
sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni o delle Province autonome e
le modalità di esercizio dello stesso debbono essere previste da un atto
fornito di valore di legge.
21.− Pertanto è costituzionalmente illegittima, perché lede i
principi enunciati dall’art. 120, secondo comma, Cost.,
la previsione impugnata che rimette al decreto le modalità di attuazione del
potere sostitutivo dello Stato in relazione all’inerzia o ritardo delle Regioni
o delle Province ad autonomia speciale.
22.− Sono assorbite le ulteriori censure.
23.− La sola Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censura
l’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, che sostituisce il
comma 3 dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012.
La ricorrente prospetta che la
novella, nel vincolare ad intese l’utilizzo degli avanzi di amministrazione,
violi l’autonomia finanziaria e l’autonomia politica dell’ente (artt. 48, 49,
51 e 52 dello statuto di autonomia, art. 119, primo, secondo e sesto comma, se
più favorevole ai sensi dell’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001), in quanto comporta la perdita di disponibilità delle riserve di
amministrazione e quindi una loro sostanziale espropriazione; inoltre perché
vincola il loro utilizzo ai soli investimenti.
24.− La questione non è fondata.
25.− La nuova formulazione del comma 3 dell’art. 10 della legge
n. 243 del 2012 va letta nel contesto scaturito dalla riforma prima delineata.
Le intese in esso previste costituiscono, infatti, lo strumento per garantire
un equilibrio di bilancio non limitato al singolo ente ma riferito all’intero
comparto regionale. Ciò evidentemente impone di mettere in relazione quegli
enti che, grazie alle loro riserve di amministrazione, hanno la disponibilità
di "spazi finanziari”, secondo l’espressione tecnica usata nel d.P.C.m. adottato ai sensi del citato comma 5 dell’art. 10
della legge n. 243 del 2012 e quegli enti che tali spazi chiedono di utilizzare
per spese di investimento da coprire con il ricorso all’indebitamento;
indebitamento che viene così neutralizzato nel bilancio complessivo degli enti
in questione.
In questo quadro la soluzione
adottata dal legislatore costituisce il punto di equilibrio fra le esigenze
della riforma e il rispetto delle autonomie finanziarie, come conformate dalla
riforma stessa. Difatti, se è vero che nella previsione è presente un obbligo
procedimentale che condiziona l’immediata utilizzabilità degli avanzi di
amministrazione, è anche vero che la concreta realizzazione del risultato
finanziario rimane affidata al dialogo fra gli enti interessati che l’avvio
dell’intesa dovrebbe comportare.
26.− Quanto alle modalità e
ai contenuti delle intese, nulla dice la disposizione e pertanto, allo stato,
essi devono ritenersi rimessi alla disponibilità delle parti, come
indirettamente è confermato dall’art. 2 del d.P.C.m.
21 febbraio 2017, n. 21 (Regolamento recante criteri e modalità di attuazione
dell’articolo 10, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di
ricorso all’indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali, ivi
incluse le modalità attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia
o ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano), in cui la procedura che si sviluppa al seguito dell’"avviso”
presuppone la formulazione di apposite domande di "cessione e acquisizione di
spazi finanziari”.
Peraltro la genericità della
previsione, che ne fa una disposizione essenzialmente di principio, potrebbe
senza dubbio richiedere, oltre all’intervento meramente tecnico affidato al
regolamento, una disciplina integrativa che, come si è già chiarito, deve
essere adottata con atti di livello normativo primario.
27.− Alla stregua di tali considerazioni, la censura della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia non è fondata, poiché non si è in
presenza di una espropriazione dei residui di amministrazione.
28.− Egualmente infondata è l’ulteriore censura della Regione,
secondo cui la norma introdurrebbe il vincolo di utilizzare i risultati di
amministrazione per i soli investimenti, violando, così, la sua autonomia
finanziaria.
La disposizione, in effetti, dà
per scontato il vincolo, ma ciò fa solo nei limiti connessi al positivo
espletamento dell’intesa.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di
legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1,
lettera c), della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24
dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e
degli enti locali), nella parte in cui, nel sostituire l’art. 10, comma 5,
della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma,
della Costituzione), non prevede la parola «tecnica», dopo le parole «criteri e
modalità di attuazione» e prima delle parole «del presente articolo»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1,
lettera c), della legge n. 164 del 2016, nella parte in cui, nel sostituire
l’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, prevede «, ivi incluse le
modalità attuative del potere sostitutivo dello Stato, in caso di inerzia o
ritardo da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano»;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 164 del 2016, che sostituisce
l’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, promossa, in riferimento
all’art. 136 della Costituzione, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano
e dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, che modifica
l’art. 10, comma 3, della legge n. 243 del 2012, promossa, in riferimento agli
artt. 48, 49, 51, 52 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), all’art. 119, primo, secondo e
sesto comma, Cost., in relazione all’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con
il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6
dicembre 2017.