SENTENZA N. 425
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitti di attribuzione sorti a seguito del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche) e in particolare degli artt. 1, comma 4; 3, commi 1, 2 e 3; 4; 5; 6; 7; 8; 10, commi 1, 2, 3; 11; 12; 15 e 16, promossi con ricorsi della Regione Emilia-Romagna, della Provincia autonoma di Trento e della Provincia autonoma di Bolzano, notificati il 22 e il 20 dicembre 1997, depositati in Cancelleria il 29 e il 30 successivi, ed iscritti ai nn. 60, 62 e 63 del registro conflitti 1997.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e per la Provincia autonoma di Trento, Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Con ricorso regolarmente notificato e depositato (R. confl. n. 60 del 1997) la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), e in particolare agli artt. 3, commi 1, 2 e 3; 5, commi 2, 3, 4 e 6; 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1, 2 e 3; 11; 12; 15; 16, per violazione degli artt. 117, primo comma; 118, primo comma, della Costituzione; 4 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari); 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa); della «legislazione statale ordinaria nei settori della caccia e della protezione della natura»; dei «principi costituzionali attinenti al rapporto tra Stato e Regioni e in particolare del principio di leale collaborazione».
Secondo la Regione ricorrente sulla base della legge n. 86 del 1989 l’attuazione statale delle direttive comunitarie in via regolamentare non sarebbe a priori esclusa neppure nelle materie nelle quali le Regioni dispongono di potestà legislativa, ma in tali materie il regolamento governativo dovrebbe operare in via meramente suppletiva e potrebbe essere integralmente sostituito dalla legislazione regionale. In altri termini, il regolamento non potrebbe innovare al riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, ma dovrebbe limitarsi, recependo la normativa posta dalla direttiva, a statuire le regole sostanziali, procedurali e organizzative in base alle quali tali preesistenti competenze possono esercitarsi. Al contrario, il regolamento impugnato da un lato assumerebbe illegittimamente il ruolo della legge nel definire i rapporti tra lo Stato e le Regioni, dall’altro attribuirebbe alle autorità centrali una serie di compiti sovraordinati o comunque interferenti con le competenze della Regione.
In particolare, l’art. 3, commi 1, 2 e 3, affida al Ministro dell’ambiente poteri che non troverebbero fondamento e copertura legislativa, e che potrebbero essere salvati soltanto se dovessero essere intesi come meri compiti di formalizzazione e trasmissione di determinazioni sostanziali assunte in sede locale.
Anche l’art. 5 conferisce al Ministro poteri (di valutazione di incidenza dei piani o progetti sui siti di importanza comunitaria, secondo la procedura ivi prevista, nel caso di piani di rilevanza nazionale) che la direttiva non richiede siano imputati allo Stato.
Laddove poi mantiene la competenza regionale (nel caso cioè di piani di rilevanza regionale), il regolamento stabilisce tuttavia i contenuti della relazione per la valutazione di incidenza (sulla base dell’allegato G) e ogni ulteriore regola procedurale: tali previsioni - secondo la ricorrente - sarebbero invasive delle competenze regionali e potrebbero essere fatte salve solo se fossero intese come meramente suppletive. In particolare, esse non potrebbero comunque trovare applicazione per quelle opere per le quali la legislazione regionale prescriva la più gravosa procedura di valutazione di impatto ambientale, la quale assumerà, in relazione al sito di rilievo comunitario, anche il significato della valutazione di incidenza.
Analoghe censure vengono rivolte all’art. 6, che dispone l’applicazione del medesimo regime alle zone di cui all’art. 1, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
L’art. 7, al comma 2, secondo il quale il Ministro definisce le linee guida per il monitoraggio dello stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali di interesse comunitario, introdurrebbe una atipica funzione di indirizzo e coordinamento in violazione dell’art. 8 della legge n. 59 del 1997 e, comunque, lederebbe il principio di leale cooperazione, non prevedendo il parere regionale. Priva di fondamento sarebbe la considerazione che la tutela della flora e della fauna rappresenta un interesse fondamentale per lo Stato, in quanto non potrebbe comunque discenderne una completa espropriazione della competenza regionale, senza considerare che è compito del legislatore individuare gli eventuali profili di interesse nazionale.
L’art. 8, comma 5, secondo il quale il Ministro indica le misure necessarie perché le catture o le uccisioni accidentali di talune specie animali non abbiano un significativo impatto sulle specie in questione, individuerebbe anch’esso un arbitrario potere ministeriale, o darebbe vita a un anomalo e atipico atto di indirizzo.
L’art. 10, comma 1, attribuirebbe al Ministro poteri - quanto alle misure da adottare perché il prelievo e lo sfruttamento di esemplari di fauna e flora selvatiche siano compatibili con la conservazione delle specie medesime - che non gli sono assolutamente affidati dalla normativa comunitaria, mentre il comma 3 porrebbe alla legislazione regionale limitazioni più severe di quelle previste dall’art. 15 della direttiva, limitazioni che non potrebbero essere contenute in un atto regolamentare neppure se fossero riconducibili all’interesse nazionale.
L’art. 11 risulterebbe lesivo delle competenze regionali in materia di caccia, riservando, al comma 1, al Ministro i poteri di deroga ai divieti generali, e ponendo, al comma 2, una disciplina più severa di quella contenuta nell’art. 15 della direttiva. Anche il comma 3 dell’art. 11 sarebbe illegittimo, se inteso come fonte di autonomi poteri decisori ministeriali.
L’art. 12 configura, ai commi 1 e 2, poteri ministeriali, quanto alla autorizzazione alla reintroduzione delle specie, che sarebbero illegittimi per la parte in cui eccedono quelli previsti dalla legislazione statale vigente. Il comma 3, oltre a prevedere una autorizzazione ministeriale analoga a quella di cui al comma 2, detta una disciplina che appare restrittiva rispetto a quella stabilita nell’art. 22 della direttiva.
L’art. 15 del regolamento viene impugnato «in via cautelativa», in quanto esso estende i compiti del Corpo forestale dello Stato oltre quelli già individuati dalla legislazione vigente là dove la conferenza Stato-Regioni aveva richiesto espressamente la soppressione di detto articolo.
L’art. 16, comma 1, sarebbe invasivo delle competenze regionali limitatamente all’allegato G, che non avrebbe corrispondenza alcuna con gli allegati della direttiva, non costituendo pertanto norma necessaria alla sua attuazione. Il comma 2, infine, istituisce un potere regolamentare permanente di recepimento di future modifiche agli allegati della direttiva, che non potrebbe ritenersi compreso nel potere regolamentare di cui alla legge 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 1993). Si tratterebbe, pertanto, di una ipotesi di potere regolamentare illegittimamente previsto da una fonte regolamentare in materia di competenza regionale.
2. — Con ricorso regolarmente notificato e depositato (R. confl. n. 62 del 1997) la Provincia autonoma di Trento ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al medesimo d.P.R. n. 357 del 1997, e in particolare agli artt. 1, comma 4; 3, commi 1, 2 e 3; 5; 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3; 11; 12; 15; 16, per violazione degli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 15, 16 e 21; 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante lo statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, e delle relative norme di attuazione approvate con d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), e con d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché degli artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989 e dell’art. 8 della legge n. 59 del 1997.
Precisato che la Provincia autonoma è titolare, nelle materie relative alla tutela dell’ambiente, di competenza primaria, la ricorrente svolge considerazioni generali analoghe a quelle contenute nel ricorso della Regione Emilia-Romagna. Pressoché coincidenti sono anche le censure rivolte nei confronti dei singoli articoli, con la sola differenza dell’impugnativa relativa all’art. 1, comma 4, del regolamento, non oggetto del ricorso della citata Regione. Secondo tale disposizione le Regioni a statuto speciale e le Province autonome provvedono all’attuazione degli obiettivi del regolamento: in tale modo l’attività legislativa e amministrativa della Provincia verrebbe a essere subordinata agli obiettivi contenuti in un atto regolamentare, che non potrebbe neppure essere ricondotto all’esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, dovendo questa essere esercitata nei confronti della Provincia ricorrente sulla base dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 266 del 1992, nonché dell’art. 8 della legge n. 59 del 1997.
3. — Con ricorso ritualmente notificato e depositato (R. confl. n. 63 del 1997) anche la Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al medesimo d.P.R. n. 357 del 1997, e in particolare agli artt. 3; 4; 5; 6; 7; 8; 10, comma 1; 11; 12; 15, per violazione dell’art. 8, primo comma, numeri 1, 5, 6, 15, 16 e 21 del d.P.R. n. 670 del 1972, e delle relative norme di attuazione approvate con d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), con d.P.R. n. 526 del 1987, nonché con d.lgs. n. 266 del 1992.
Precisato di essere titolare di competenze legislative e amministrative di tipo esclusivo in materia di ordinamento degli uffici provinciali, urbanistica e piani regolatori, tutela del paesaggio, caccia e pesca, alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna, agricoltura, foreste e corpo forestale, patrimonio zootecnico e ittico, istituti fitologici, consorzi agrari e stazioni agrarie sperimentali, servizi antigrandine, bonifica, e di aver ampiamente esercitato tali competenze, dettando una organica disciplina legislativa in materia di tutela del paesaggio e della fauna e della flora, la Provincia ricorrente sottolinea che a essa spetta, nelle materie di competenza esclusiva, il potere di dare immediata attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari (così l’art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, poi confermato dall’art. 9 della legge n. 86 del 1989). Con il regolamento in questione, al contrario, il Governo avrebbe inteso dare applicazione alla direttiva in via regolamentare, dettando esso stesso una disciplina analitica della materia, vincolante anche per la Provincia di Bolzano, come risulterebbe dall’art. 1, comma 4, del medesimo regolamento secondo il quale «le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all’attuazione degli obiettivi del presente regolamento nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione». Nell’attuazione delle direttive comunitarie in materie di competenza esclusiva, infatti, o la direttiva è sufficientemente dettagliata, per cui spetta alla Provincia l’attività amministrativa di esecuzione, mentre lo Stato potrà intervenire soltanto tramite atti di indirizzo e coordinamento, adottati nelle forme di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992, ovvero la direttiva richiede un’attività normativa ulteriore, e in questo caso spetta alla Provincia legiferare in materia, salvo adeguarsi alle eventuali leggi statali che pongono i principi e limiti ex art. 4 dello statuto speciale. Pertanto, lo Stato non potrebbe intervenire tramite un regolamento governativo a vincolare le Province autonome, tenuto conto tra l’altro che la ricorrente aveva già disciplinato la materia con proprie leggi e che, comunque, anche in caso contrario occorrerebbe seguire il procedimento sostitutivo previsto dall’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987. Peraltro, se l’atto impugnato dovesse considerarsi come atto di indirizzo e coordinamento, esso sarebbe stato adottato in violazione dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 266 del 1992, che stabilisce l’obbligo di consultazione preventiva delle Province autonome.
La Provincia avanza poi censure in ordine ad alcuni specifici articoli: l’art. 3 riconoscerebbe alla ricorrente poteri soltanto propositivi per la individuazione dei siti di importanza comunitaria, mentre sarebbe riservata al Ministro la competenza per la relativa formulazione della proposta alla Commissione europea; l’art. 4 obbligherebbe la Provincia ad adottare le opportune misure per evitare il degrado degli habitat naturali, entro i termini di tre e sei mesi, senza che essa abbia alcun potere di farlo, spettandole unicamente quello di attuare direttamente la direttiva nel termine dalla medesima stabilito; l’art. 5 prescrive una dettagliata procedura relativa all’adozione e all’approvazione di piani che possano avere impatto su siti di importanza comunitaria, invadendo la competenza provinciale esclusiva in materia di urbanistica e piani regolatori; l’art. 6 pretenderebbe di applicare gli obblighi derivanti dall’art. 4, commi 2 e 3, e dall’art. 5, alle zone di cui all’art. 1, comma 5, della legge n. 157 del 1992, senza considerare che la Provincia ha competenza esclusiva anche in materia di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna; l’art. 7, obbligando la Provincia a comunicare al Ministero le misure adottate per la conservazione degli habitat naturali di interesse comunitario, e affidando al Ministro la competenza a definire le linee guida per il monitoraggio, senza che ciò sia richiesto dalla direttiva, sarebbe invasivo delle competenze provinciali; lo stesso potrebbe dirsi dell’art. 8, che fa obbligo alle Province di instaurare un sistema di monitoraggio continuo delle catture o uccisioni accidentali di talune specie faunistiche e di trasmettere un rapporto annuale al Ministero dell’ambiente. Il comma 5 di tale articolo, conferendo al Ministro il potere di indicare le misure di conservazione necessarie per assicurare che le catture o le uccisioni involontarie non abbiano un significativo impatto negativo sulle specie in questione, invaderebbe le competenze provinciali in materia di caccia. Analoga censura viene avanzata avverso l’art. 10, comma 1. Inoltre, l’art. 11, attribuendo al Ministro il potere di autorizzare le deroghe alle disposizioni previste negli artt. 8, 9 e 10, invaderebbe le competenze provinciali, così come l’art. 12, che attribuisce al Ministro il potere di dare le autorizzazioni per la reintroduzione di specie animali e vegetali e la introduzione di specie non locali. Infine, nel territorio della Provincia di Bolzano, al Corpo forestale dello Stato non potrebbero spettare, secondo quanto stabilito dalle norme di attuazione statutaria che hanno trasferito per intero alla Provincia autonoma le attribuzioni del Corpo forestale medesimo, poteri di sorveglianza, come vorrebbe invece l’art. 15 del regolamento, tanto più che la direttiva non richiede un accentramento delle funzioni di controllo in organi statali.
4. — In tutti e tre i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che i conflitti siano dichiarati non fondati. Infatti il regolamento impugnato si sarebbe limitato a prescrivere quel minimo di disciplina indispensabile per soddisfare l’obbligo di recepimento della direttiva, tenuto conto che la Commissione CE, con ricorso 11 aprile 1997, aveva convenuto la Repubblica italiana davanti alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 169 del Trattato contestando l’inadempimento dell’obbligo di comunicare le misure di attuazione della direttiva 92/43/CEE, obbligo che incombe al Governo anche se la misura di attuazione è adottata da una Regione o da una Provincia autonoma: ma le ricorrenti non hanno comunicato al Governo alcun atto normativo idoneo al recepimento della direttiva per il territorio di loro competenza. Il regolamento non fa altro che rendere operante nell’ordinamento interno il contenuto della direttiva, per quanto concerne la individuazione dei siti costituenti zone da sottoporre a speciale conservazione e l’adozione dei provvedimenti necessari alla protezione degli habitat, limitandosi, nella determinazione delle autorità interne competenti, a una ricognizione di quanto già ricavabile dal riparto di competenze tra Stato e Regioni disposto dalla legislazione quadro in tema di protezione della natura, nonché dal principio fondamentale che riserva allo Stato la responsabilità di garantire in modo unitario e completo l’adempimento degli obblighi comunitari.
5. — In prossimità dell’udienza, le ricorrenti hanno depositato memorie illustrative replicando ai rilievi avanzati dall’Avvocatura dello Stato.
5.1. — La Regione Emilia-Romagna precisa che nell’attuazione, in via amministrativa, delle direttive comunitarie incidenti su materie regionali, lo Stato può intervenire solo in via sostitutiva, in seguito al persistente inadempimento della Regione (così l’art. 11 della legge n. 86 del 1989 e l’art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977). Né d’altra parte la direttiva in questione richiederebbe uniformità di attuazione a livello statale, venendo in rilievo, in sede comunitaria, soltanto i «livelli comunitari di uniformità», assicurati appunto dalla direttiva medesima.
5.2. — La Provincia autonoma di Trento ribadisce che le molteplici norme del regolamento impugnato che prevedono poteri ministeriali risultano sprovviste di fondamento legislativo, non essendo sufficienti i generici richiami alla legislazione statale di cornice. Né si può sostenere che le alterazioni delle competenze sarebbero semplicemente una conseguenza della necessità di dare attuazione alla direttiva, in quanto, circa l’attuazione in via amministrativa delle direttive comunitarie, lo Stato può far fronte alle proprie responsabilità solo in via sostitutiva, in seguito al persistente inadempimento della Regione o della Provincia, sulla base del procedimento di cui all’art.11 della legge n. 86 del 1989 e all’art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, nonché, riguardo alla Provincia di Trento, all’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.
5.3. — La Provincia autonoma di Bolzano precisa di essersi dotata, ancor prima della emanazione della direttiva 92/43/CEE, di una disciplina legislativa organica di tutela degli ambienti naturali, e che le corrispondenti leggi provinciali, regolarmente pubblicate, erano state comunicate al Governo. Comunque, anche a voler ritenere che la Provincia avesse omesso di dare attuazione alla direttiva, lo Stato, trattandosi di materia di competenza esclusiva, sarebbe potuto intervenire solo con atti legislativi, al fine di porre principi e norme di indirizzo (o norme di dettaglio suppletive), ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, oppure avrebbe potuto utilizzare il potere sostitutivo previsto dall’art. 8 del medesimo d.P.R. n. 526, che deve essere accompagnato da una procedura di consultazione, contestazione e messa in mora: procedura che non è stata seguita nel caso di specie. Alle Province autonome, infatti, non può applicarsi la disciplina contenuta nell’art. 9, comma 4, della legge n. 86 del 1989, in quanto le norme di attuazione dello statuto speciale godono di una peculiare forza passiva. Anche a ritenere tale art. 9, comma 4, applicabile alla Provincia di Bolzano, esso dovrebbe comunque essere integrato dagli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, per cui si sarebbe dovuta seguire in ogni caso la già menzionata procedura sostitutiva. Né il regolamento impugnato si sarebbe limitato a porre la disciplina strettamente necessaria per soddisfare l’obbligo di recepimento, avendo riservato al Ministro molteplici poteri che, in base al riparto costituzionale delle competenze, spettano alla Provincia, e che la direttiva comunitaria non imponeva in alcun modo di affidare allo Stato.
Considerato in diritto1. — La Regione Emilia-Romagna e le Province autonome di Trento e di Bolzano ricorrono per conflitto di attribuzione contro lo Stato, in relazione al d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), adottato sulla base dell'autorizzazione conferita al Governo dall'art. 4 della legge 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1993) ad attuare in via regolamentare le direttive indicate nell'allegato C alla legge stessa, tra le quali è compresa la suddetta direttiva 92/43/CEE.
2.1. — La direttiva del Consiglio 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nell'ambito della politica di salvaguardia, protezione e miglioramento della qualità dell'ambiente, conformemente all'art. 130 R (ora art. 174) del Trattato, ha promosso, secondo tempi procedimentali definiti, la realizzazione di una rete ecologica europea coerente - denominata «Natura 2000» - costituita da zone speciali di conservazione, concernenti «siti di importanza comunitaria» la cui individuazione spetta ordinariamente agli Stati (e solo eccezionalmente alla Commissione). In tali zone, gli Stati membri sono tenuti ad attuare speciali misure di conservazione e promozione, con la connessa attività di sorveglianza e tutela delle specie animali e vegetali protette, nonché a promuovere attività di studio e ricerca. Secondo l'art. 23 della direttiva, gli Stati membri devono adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva medesima, entro due anni a decorrere dalla sua notifica, e informarne immediatamente la Commissione.
2.2. — Con l'art. 4 della legge n. 146 del 1994, il Parlamento italiano ha inteso dare attuazione alla predetta direttiva per via regolamentare, attribuendo al Governo la relativa autorizzazione. Sulla base di questa è stato emanato il regolamento in questione il quale porta la data dell'8 settembre 1997.
Tale regolamento disciplina (a) l'individuazione delle zone protette, (b) le misure di protezione dei siti e delle specie animali e vegetali in essi esistenti, nonché (c) alcune attività connesse. Il conflitto nasce in relazione a disposizioni ascrivibili a tutti e tre questi ambiti di disciplina.
(a) Circa l'individuazione delle zone protette, l'art. 3, commi 1 e 2, stabilisce che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano individuino, con proprio procedimento, i siti in cui si trovano tipi di habitat meritevoli di protezione secondo la direttiva e ne diano comunicazione al Ministero dell'ambiente. Al Ministro dell'ambiente spetta, su questa base, la proposta alla Commissione europea, ai fini della designazione delle «zone speciali di conservazione» per la formazione della rete ecologica europea.
(b) Quanto alle misure di protezione, lo stesso art. 3, al comma 3, prevede il potere del Ministro dell'ambiente di definire, nell'ambito di quanto stabilito dall'art. 3 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), le «direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale» che rivestono primaria importanza per la fauna e la flora selvatiche, al fine di assicurare la coerenza ecologica della rete «Natura 2000». L'art. 4 impone l'adozione da parte delle Regioni e delle Province autonome di «misure di conservazione» dei siti di importanza comunitaria e delle zone speciali di conservazione. L'art. 5 prevede per i siti di importanza comunitaria (e l'art. 6 per le zone di protezione dell'avifauna migratoria di cui all'art. 1, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio») una «valutazione di incidenza» ai fini dell'approvazione degli atti di pianificazione e programmazione territoriale, distinguendo procedure e competenze statali (del Ministero dell'ambiente) e regionali, a seconda che si tratti di piani a rilevanza nazionale o a rilevanza regionale e provinciale. Gli artt. 8 e 9, attraverso una serie di divieti, pongono norme di tutela delle specie animali e vegetali e dettano norme per le catture e le uccisioni accidentali delle specie animali indicate. L'art. 10 disciplina i «prelievi» di esemplari delle specie animali e vegetali protette, attribuendo al Ministero dell'ambiente il compito di definire le misure necessarie affinché essi risultino compatibili con la protezione delle specie stesse. L'art. 11 prevede la possibilità di deroghe ai divieti risultanti dagli artt. 8, 9 e 10, deroghe che possono essere autorizzate dal Ministero dell'ambiente. L'art. 12 disciplina la «reintroduzione» di specie già esistite nelle zone protette e la «introduzione» di specie nuove, subordinate però anch'esse all'autorizzazione del Ministero dell'ambiente. L'art. 15 attribuisce infine al Corpo forestale dello Stato le azioni di sorveglianza connesse all'applicazione delle norme di protezione in questione.
(c) Relativamente alle attività di studio e alla circolazione delle informazioni, l'art. 7 prevede che le Regioni e le Province autonome organizzino il «monitoraggio» dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario, secondo «linee guida» definite dal Ministero dell'ambiente. L'art. 8, commi 4 e 5, prevede uno specifico «monitoraggio» per le catture e le uccisioni accidentali di specie faunistiche indicate in allegato e che un rapporto annuale sia trasmesso al Ministero dell'ambiente il quale, sulla base delle informazioni raccolte, promuove ricerche e indica le misure necessarie a evitare effetti negativi sulle specie in questione. Gli artt. 11, comma 3, 13 e 14, infine, disciplinano la circolazione, tra Regioni e Province autonome, autorità governativa e Commissione europea, delle informazioni sulle deroghe ai divieti concesse, sull'attuazione delle misure adottate e sull'attività di ricerca e istruzione in tema di habitat naturali.
A parte, poi, devono essere considerate due disposizioni: l'art. 16 il quale, dopo aver richiamato, come integrazione del regolamento, una serie di allegati contenenti specificazioni di natura tecnica e scientifica delle nozioni generali utilizzate, prevede ch'essi possano essere modificati con decreto del Ministro dell'ambiente, in conformità alle variazioni apportate alla direttiva in sede comunitaria; l'art. 1, comma 4, che impone alle Province autonome e alle Regioni a statuto speciale l’attuazione degli obiettivi posti dal Governo con lo stesso regolamento, nel rispetto di quanto previsto dai propri statuti e dalle relative norme di attuazione.
3.1. — La Provincia di Bolzano prospetta innanzitutto la violazione della propria sfera di autonomia costituzionalmente garantita, come conseguenza dell'attuazione della direttiva per mezzo di un atto avente natura regolamentare. Ad avviso della ricorrente, ciò comporterebbe violazione del sistema di coordinamento dei poteri normativi nazionali e di quelli regionali e provinciali: sistema previsto, in riferimento alla Regione Trentino-Alto Adige e alle sue Province autonome, dal d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616) e basato sul potere delle Province (oltre che della Regione), nelle materie di loro competenza esclusiva (quali sarebbero quelle coinvolte nella disciplina regolamentare), di «dare immediata attuazione alle … direttive comunitarie, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari» (art. 7 del d.P.R. citato, confermato poi dall'art. 9, commi 1 e 3, della legge 9 marzo 1989, n. 86, recante «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari»). Ad avviso della Provincia ricorrente, l'attuazione in via regolamentare da parte del Governo di una direttiva comunitaria, con conseguenze limitative dell'autonomia provinciale, nonché in particolare la pretesa dichiarata nell'art. 1, comma 4, del regolamento, di imporre alle Province autonome (oltre che alle Regioni a statuto speciale) l'attuazione di obiettivi posti dal Governo in via regolamentare, violerebbe tale sistema, il quale conosce soltanto la legge (ed entro i limiti statutari) quale fonte abilitata, nei limiti costituzionali, a porre vincoli alla Provincia stessa nelle materie di sua competenza, in adempimento degli obblighi di adeguamento scaturenti da direttive comunitarie. Da qui, la richiesta di accoglimento del ricorso, con integrale annullamento dell'atto regolamentare.
Solo in via subordinata, la Provincia eccepisce la lesività delle competenze provinciali di singole disposizioni del regolamento, e precisamente degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 15, nelle parti sopra già indicate.
3.2. — La Regione Emilia-Romagna e la Provincia di Trento, con ricorsi di analoga impostazione, sostengono - diversamente dalla Provincia di Bolzano - non che l'adozione del regolamento nel caso di specie sia di per sé lesiva dell'autonomia regionale e provinciale, ma che la lesività di tale atto normativo derivi dai contenuti particolari di numerose disposizioni in esso contenute. La tesi, prospettata anche con riferimento agli artt. 4 e 9 della legge n. 86 del 1989, può, in sintesi, essere formulata così: il quadro delle competenze e dei rapporti tra Stato e Regioni (e Province ad autonomia speciale) è determinabile - nei limiti costituzionali e statutari - solo dalla legge; nel caso dell'attuazione di direttive comunitarie, non è esclusa l'adozione di atti regolamentari, nemmeno nelle materie di competenza regionale, purché con essi non si pretenda, per l'appunto, di determinare - alterandolo - tale quadro ma, recependo i contenuti della direttiva, ci si limiti a statuire, conformemente a tali contenuti, regole di esercizio di preesistenti competenze fissate dalla legge entro il quadro delineato dalla Costituzione; nella specie, il regolamento in questione sarebbe andato al di là di quanto sarebbe così consentito, avendo assunto il compito, proprio della legge, di configurare, in un settore della materia ambientale, i rapporti ordinamentali tra Stato e autonomie regionali e provinciali, per di più attraverso la previsione di poteri ministeriali sovraordinati e interferenti con le competenze regionali e provinciali stesse. Da qui, la richiesta di accoglimento del ricorso, con annullamento delle disposizioni che, ad avviso della Regione e della Provincia, travalicherebbero i limiti inerenti all'intervento regolamentare nell'attuazione delle direttive comunitarie. Tali disposizioni, coincidenti largamente con quelle coinvolte nel ricorso proposto dalla Provincia di Bolzano, sarebbero quelle contenute negli artt. 3, 5, 6, 7, 8, 10, 11, 12, 15, 16 del regolamento, cui si aggiunge, per la sola Provincia di Trento, l’art. 1, comma 4.
4. — I tre ricorsi per conflitto di attribuzione investono lo stesso atto regolamentare, per lo più nelle medesime sue parti, chiedendone l'annullamento totale o parziale come rimedio alla pretesa lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita delle ricorrenti. I giudizi relativi possono pertanto riunirsi per essere definiti con unica decisione.
5.1. — Viene in considerazione innanzitutto, per la sua radicalità, la doglianza della Provincia di Bolzano circa l'inidoneità del regolamento in questione, in quanto regolamento, a disciplinare i rapporti tra la Provincia stessa e lo Stato, in attuazione delle direttive comunitarie, in materie - come si sostiene essere nel caso in esame - attribuite alla competenza provinciale esclusiva.
L'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, sulla pretesa violazione del quale l'anzidetta doglianza si basa, prevede il potere della Provincia di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di sua esclusiva competenza, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo statuto speciale, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti comunitari. Ma, contrariamente all'assunto della ricorrente, il modello di rapporto tra atti comunitari, statali e provinciali che tale disposizione prefigura come normale - attuazione diretta della direttiva da parte della legge provinciale, «salvo» il doversi adeguare del legislatore provinciale, nei limiti statutari, alle leggi statali di attuazione - non risulta minimamente toccato dalla vicenda normativa qui in questione. La Provincia mantiene infatti intatto il potere di dare attuazione direttamente alla direttiva comunitaria e, nel caso in cui tale attuazione effettivamente si dia, per questa varranno i limiti che lo statuto speciale prevede, tra i quali vi è spazio per una legislazione statale di attuazione della direttiva, per la parte relativa e in conformità agli interessi di natura unitaria di cui tale legislazione è portatrice: ciò che esattamente corrisponde alla previsione dell'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987.
Se dunque la Provincia fa uso del potere che le è proprio di dare attuazione alla direttiva comunitaria, incontrerà i limiti di natura legislativa - e solo legislativa - che, secondo lo statuto speciale, la propria legislazione è tenuta a rispettare, conformemente ai principi costituzionali di cui la norma di attuazione costituisce un'esplicitazione. Ma se, invece, attuazione legislativa provinciale non vi è, cambia il quadro normativo di riferimento. Non trova cioè applicazione l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 ed entrano in campo altri e diversi principi nei quali - come si dirà più oltre - si fa necessariamente strada il potere-dovere dello Stato di assicurare l'adempimento degli obblighi comunitari, ciò di cui, unitariamente e per tutto il territorio nazionale, lo Stato stesso è responsabile.
Non vale - contrariamente all'avviso della ricorrente - richiamare la posizione speciale della Provincia di Bolzano, quale risulta dall'art. 8 delle norme di attuazione citate. Tale disposizione prevede una procedura di «messa in mora» degli organi regionali e provinciali del Trentino-Alto Adige, inadempienti nei confronti degli obblighi comunitari, e il potere sostitutivo del Consiglio dei ministri, nei confronti dell'Amministrazione regionale o provinciale che non abbia provveduto nel termine stabilito dal Governo. La procedura indicata, modellata su quella a suo tempo prevista dal terzo comma dell'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, riguarda, e non potrebbe non riguardare, soltanto il caso di adempimento attraverso provvedimenti di natura amministrativa e non anche quello in cui l'atto comunitario, fonte di obblighi per gli Stati membri, richieda un intervento di natura legislativa.
Per concludere su questo punto: l'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987 prevede il caso in cui vi sia attuazione legislativa (regionale e) provinciale degli obblighi comunitari; l'art. 8, il caso di inattuazione amministrativa degli stessi obblighi. Se la direttiva ha da essere attuata in via legislativa e la legge provinciale o regionale manca, non trova dunque applicazione né l'art. 7 né l'art. 8. Se invece la Provincia esercita la propria potestà legislativa, in attuazione della direttiva comunitaria, varrà la previsione dell'art. 7 con i limiti che essa, conformemente alle norme statutarie, stabilisce rispetto alla possibile ingerenza della normazione dello Stato, e in particolare all'ingerenza da parte di norme regolamentari, nella normazione provinciale. In breve, delle due l'una: o manca un'attuazione legislativa provinciale, e allora il richiamo agli artt. 7 e 8 delle disposizioni di attuazione è fuori luogo; oppure non manca, e allora si applica l'art. 7, con piena soddisfazione della pretesa avanzata della Provincia di non vedere la propria potestà legislativa limitata da norme regolamentari dello Stato.
Per queste ragioni, la lesione dell'autonomia legislativa provinciale, lamentata sulla base del richiamo agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, non è riscontrabile e, per questa parte, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Provincia di Bolzano deve essere respinto.
5.2. — Passando ora all'esame delle singole disposizioni del regolamento, a opera delle quali le ricorrenti ritengono, l'una - la Provincia di Bolzano - la lesione diretta delle proprie competenze e le altre - la Provincia di Trento e la Regione Emilia-Romagna - l'alterazione dei rapporti ordinamentali con l'autorità statale, inammissibile in via regolamentare, vengono innanzitutto in considerazione quelle norme del regolamento che possono ricondursi al coordinamento delle attività delle Regioni e delle Province autonome, ai fini della loro rappresentazione necessariamente unitaria presso l'Unione europea. Si tratta di funzioni che allo Stato, in generale, spettano indubitabilmente, come riconosciuto ora dall'art. 2 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e che, con riguardo alla materia interessata dal regolamento in questione, ricadono nella responsabilità attribuita al Ministro dell'ambiente dal tuttora vigente art. 1, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale).
Si tratta innanzitutto dell'art. 3, commi 1 e 2, in tema di comunicazione al Ministro dell'ambiente, da parte delle Regioni e delle Province autonome, dei siti di importanza comunitaria ai fini della proposta alla Commissione europea, nonché in tema di designazione delle «zone speciali di conservazione» a seguito della definizione dei siti da parte della Commissione stessa.
La premessa da cui muovono le ricorrenti è che, in tema di individuazione delle zone speciali di conservazione, le Regioni e le Province autonome siano soggette alle determinazioni ministeriali, sia in sede di proposta alla Commissione europea, sia in sede di designazione delle «zone speciali». Ma tale interpretazione è infondata, in quanto le norme censurate mirano esclusivamente a porre l'autorità di governo nazionale in condizione di adempiere all'obbligo di comunicazione derivante dalla direttiva, senza che vi sia in esse alcun elemento da cui arguire uno spostamento di competenze circa il diverso potere di individuazione sostanziale dei siti da sottoporre a speciale protezione, potere che rimane disciplinato dalle norme sui rapporti Stato-Regioni e Province autonome in materia ambientale. Distinto dunque il potere di individuazione dei siti da quello di formulazione della proposta, di comunicazione e di conseguenziale designazione delle zone, cade di per sé la ragione della censura.
Nella medesima categoria di poteri di coordinamento delle attività regionali e provinciali ai fini della loro rappresentazione unitaria presso l'Unione europea rientrano inoltre le funzioni previste dall'art. 7, commi 1 e 2, del regolamento, in tema di «monitoraggio» dello stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse comunitario, attività che spetta alle Regioni e alle Province autonome effettuare, con comunicazione al Ministero dei risultati. Le ricorrenti si dolgono della circostanza che la descritta attività regionale e provinciale debba avvenire secondo linee guida definite dal Ministero dell'ambiente. Ma l'esigenza di uniformare le operazioni, alla stregua di criteri unitari, è evidente, anche in considerazione dell'art. 17, paragrafo 1, della direttiva che prevede il dovere degli Stati membri di trasmettere periodicamente alla Commissione relazioni nazionali conformi al modello elaborato dal Comitato previsto dall'art. 20 della direttiva stessa, ed è corollario necessario della funzione di raccordo con l'organizzazione comunitaria che in materia spetta al Ministero.
Ad analoghe considerazioni, con conseguente riconoscimento della competenza dello Stato, si presta l'obbligo di trasmissione al Ministero da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano del rapporto annuale previsto dall'art. 8, comma 4, del regolamento e l'obbligo del Ministero di trasmettere ogni due anni alla Commissione europea la relazione sulle deroghe ai divieti concesse, secondo l'art. 11, comma 3, del regolamento.
5.3. — Passando ora alla considerazione del regolamento nella parte in cui contiene norme riguardanti materia nella quale esiste competenza regionale e provinciale, viene in rilievo il quadro costituzionale nel quale si collocano i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome, nell'attuazione di direttive comunitarie.
5.3.1. — Tale quadro è definito dalle due proposizioni seguenti: l'esistenza di una normativa comunitaria comportante obblighi di attuazione nazionali non determina, di per sé, alcuna alterazione dell'ordine normale delle competenze statali, regionali o provinciali, conformemente al principio che l'ordinamento comunitario è, in linea di massima, indifferente alle caratteristiche costituzionali (accentrate, decentrate, regionali o federali) degli Stati membri, alla luce delle quali hanno da svolgersi i processi nazionali di attuazione; lo Stato, tuttavia, per la forza della responsabilità ch'esso porta sul piano comunitario, e per la particolare cogenza che tale responsabilità assume nell'ordinamento costituzionale in conseguenza dell'art. 11 della Costituzione, è tenuto e quindi abilitato a mettere in campo tutti gli strumenti, compatibili con la garanzia delle competenze regionali e provinciali, idonei ad assicurare l'adempimento degli obblighi di natura comunitaria (sentenza n. 126 del 1996).
La ricerca di un equilibrio il più possibile rispettoso delle esigenze costituzionali poste dalla pluralità delle competenze, da un lato, e dall'unitarietà della responsabilità, dall'altro, è approdata alla soluzione configurata organicamente dalla legge contenente le norme generali sulla «partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario» (legge n. 86 del 1989), basata, per un verso, sul potere delle Regioni ad autonomia speciale e ordinaria e delle Province autonome di Trento e Bolzano di dare immediata attuazione alle direttive comunitarie, nell'esercizio delle loro competenze legislative esclusive o concorrenti (art. 9, commi 1 e 2, nella formulazione risultante dall'art. 13 della legge 24 aprile 1998, n. 128) e, per l'altro verso, sul potere dello Stato di dettare tutte le disposizioni necessarie per l'adempimento degli obblighi comunitari, disposizioni peraltro applicabili, nelle Regioni e nelle Province autonome, soltanto nel caso in cui manchino leggi regionali o provinciali (siano esse successive o anteriori) adeguate agli obblighi stessi (art. 9, comma 4).
Allo Stato, dunque, il compito di supplire all'eventuale inerzia con proprie norme, colmando la lacuna; alle Regioni e alle Province autonome il potere di far uso in qualunque momento delle proprie competenze, rendendo di conseguenza inapplicabile la normativa statale. Da ciò deriva che ordinariamente, nel caso dell'attuazione di direttive comunitarie, la «rivendicazione» delle competenze regionali e provinciali deve avvenire non attraverso la contestazione nel giudizio costituzionale della normativa statale ma attraverso l'esercizio concreto delle proprie competenze: competenze il cui possibile esercizio, secondo il sistema descritto, perdura intatto.
5.3.2. — A quanto precede occorre aggiungere che l'esecuzione comunitaria non è un passe-partout che consente allo Stato di vincolare le autonomie regionali e provinciali senza rispettare i principi della propria attività normativa. Anche nell'adozione della normativa di attuazione comunitaria, il regolamento statale - al di là dei casi di riserva di legge previsti dalla Costituzione - incontra il limite del principio di legalità. Tale principio che, come numerose volte e a diversi riguardi questa Corte ha riconosciuto, domina i rapporti tra lo Stato stesso e le Regioni e le Province autonome, costituisce un aspetto della loro stessa posizione che queste ultime sono abilitate a difendere nel giudizio costituzionale (tra le ultime, sentenze nn. 169 del 1999, 250 del 1996, 278 del 1993).
Ove dunque il regolamento, in attuazione della direttiva, detti norme che pretendano, sia pure in via suppletiva, di imporsi direttamente alle Regioni e alle Province autonome, esso deve potersi basare su un fondamento legislativo «che vincoli e diriga la scelta del Governo» (sentenza n. 150 del 1982), fondamento che - ben si intende - le stesse direttive comunitarie che la legge indica nell'abilitare il Governo all'attuazione regolamentare, contribuiscono a determinare.
A criteri non dissimili si ispira del resto l'art. 9, comma 4, della legge n. 86 del 1989 il quale, nel prevedere la possibilità di adempimento in via regolamentare degli obblighi di attuazione comunitaria in materie di competenza regionale o provinciale, quando manchi la disciplina delle Regioni e delle Province, rinvia all'art. 4 della stessa legge. E in virtù di tale rinvio risulta non solo che l'attuazione regolamentare è possibile nelle materie non coperte da riserva di legge (comma 1), ma anche che la legge detta le necessarie disposizioni quando occorra effettuare scelte non riconducibili alla semplice attuazione della direttiva, ovvero occorra individuare le autorità pubbliche cui affidare le funzioni amministrative inerenti all'applicazione della nuova disciplina, innovando, si deve intendere, rispetto alle attribuzioni spettanti in via generale agli organi esistenti (comma 3).
5.3.3. — In sintesi, quanto precede può riassumersi nelle seguenti proposizioni: sotto il profilo del rispetto delle competenze regionali e provinciali, l'attuazione regolamentare di direttive comunitarie è ammissibile in quanto le norme statali attuative sono cedevoli di fronte a diverse scelte normative regionali e provinciali, nei limiti in cui esse siano costituzionalmente e statutariamente ammissibili; sotto il profilo del rispetto del principio di legalità nei rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, è ammissibile in quanto il regolamento non vincoli queste al di là di quanto già non discenda dagli obblighi comunitari e i poteri che prevede si inseriscano in compiti già affidati in via generale in capo alle autorità considerate.
5.4. — Alla luce di queste regole di giudizio, appaiono ingiustificate le doglianze della Regione e delle Province ricorrenti mosse agli artt. 3, comma 3, in tema di direttive del Ministro dell'ambiente per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale; 4, in tema di misure di conservazione; 5 e 6, in tema di «valutazione d'incidenza» e di zone di protezione speciale; 8, in tema di tutela delle specie faunistiche; 10, in tema di prelievi; 11, in tema di deroghe ai divieti posti dagli artt. 8, 9 e 10; 12, in tema di «introduzioni e reintroduzioni»; 15, in tema di sorveglianza e 16, comma 2, del regolamento in tema di modifiche degli allegati al regolamento stesso.
Analiticamente, l'art. 3, comma 3, concernente le direttive per la gestione delle aree di collegamento ecologico funzionale - nozione definita alla lettera p) dell'art. 2 - corrisponde all’art. 10 della direttiva, inquadra la funzione prevista nell'art. 3 della legge n. 394 del 1991, e la attribuisce al Ministro dell’ambiente che, dalla disposizione generale contenuta nell’art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986 è chiamato alla responsabilità di promuovere e curare l’adempimento delle direttive comunitarie concernenti l’ambiente e il patrimonio naturale.
L'art. 4, che prevede l'adozione di misure di conservazione, è la traduzione in norma nazionale del corrispondente art. 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva, mentre i termini previsti per l'adozione sono una logica integrazione del contenuto della norma comunitaria, necessaria al fine di rendere effettivo l'obbligo che da essa discende.
Gli artt. 5 e 6 del regolamento (quest'ultimo in relazione alle zone di protezione di habitat lungo la rotta di migrazione dell'avifauna, a norma dell'art. 1, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che a sua volta ha recepito le direttive 79/409/CEE, 85/411/CEE e 91/244/CEE), in tema di valutazione di incidenza ambientale da parte dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome, corrispondono all'art. 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva, si inquadrano nella disciplina nazionale vigente in materia e contengono regole sull'articolazione del procedimento di valutazione, rese necessarie dalla natura stessa di tale valutazione. Il comma 4 prevede i caratteri della «relazione documentata» da presentarsi a cura dei proponenti di piani e progetti e prescrive, per la loro predisposizione, l'osservanza di quanto indicato nell'allegato G al regolamento, allegato che, come rilevato dalle ricorrenti, non trova corrispondenza nella direttiva. Ma la semplice lettura del contenuto di tale allegato, per il suo carattere esclusivamente tecnico, induce a ritenere privi di ogni consistenza i rilievi avanzati (sentenze nn. 61 del 1997, 461 del 1992 e 483 del 1991).
Quanto agli artt. 8, 10, 11 e 12, concernenti la tutela delle specie faunistiche, i prelievi e le deroghe ai divieti nonché le norme sulle introduzioni e le reintroduzioni, essi, per la parte sostantiva, corrispondono agli artt. 12, 14, 15, 16 e 22 della direttiva mentre, per la parte procedurale, prevedono funzioni del Ministro dell'ambiente, rientranti nei suoi compiti generali. La censura, poi, mossa all’art. 10, comma 3, di disporre ultra vires rispetto all’art. 15 della direttiva, sembra potersi basare esclusivamente sul rinvio, contenuto nel citato comma 3, alle specie indicate dall'intero allegato E (corrispondente all'allegato V della direttiva, comprensivo di una lettera a), relativa alle specie animali, e di una lettera b) relativa alle piante) per vietare tutti i mezzi di cattura non selettivi, mentre l’art. 15 della direttiva si riferisce alla sola lettera a) del suo allegato V. Si tratta all'evidenza di un errore materiale privo di qualsiasi conseguenza. Non può infatti venire in mente che la norma regolamentare abbia inteso vietare i «mezzi di cattura non selettivi suscettibili di perturbare gravemente la tranquillità» delle piante.
L'art. 15 in tema di sorveglianza dà attuazione all'art. 11 della direttiva richiamando i compiti assegnati dalla legge al Corpo forestale dello Stato (art. 8, comma 4, della legge n. 349 del 1986 e art. 21 della legge n. 394 del 1991), ferma restando l'eventualità di una diversa disciplina legislativa regionale e provinciale, dove l'ordinamento la consente.
Infine, l'art. 16, comma 2, del regolamento prevede le modifiche degli allegati alla stregua delle variazioni apportate alla direttiva in sede comunitaria e ne attribuisce la competenza al Ministro dell'ambiente con proprio decreto. Una volta che l'attività del Ministro sia concepita come strettamente vincolata, «in conformità» alle modifiche comunitarie operate, secondo l'art. 19 della direttiva, per l'adeguamento degli allegati al «progresso tecnico e scientifico», la norma regolamentare, più che istituire un potere normativo ministeriale appare prevedere un atto di recepimento materiale che non è difficile inquadrare nei compiti che spettano al Ministro stesso, alla stregua del già citato art. 1 della legge n. 349 del 1986.
6. — Della disposizione dell’art. 1, comma 4, del regolamento, la quale stabilisce che «le Regioni a statuto speciale e le Province di Trento e di Bolzano provvedono all’attuazione degli obiettivi del presente regolamento nel rispetto di quanto previsto dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione», è difficile comprendere il significato nel contesto del regolamento in cui è inserita. E’ da rilevare peraltro che dal regolamento medesimo non risulta alcuna predisposizione di obiettivi, muovendosi esso invece all’interno di quelli contenuti nella direttiva della quale costituisce attuazione. Quale che possa essere il motivo che ha indotto il Governo a inserire tale previsione, a questa stregua dalla norma impugnata non può dunque derivare alcun effetto lesivo dell’autonomia delle ricorrenti.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara che spetta allo Stato dare attuazione con il regolamento contenuto nel d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 novembre 1999.