Sentenza n. 179 del 2022

SENTENZA N. 179

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 90, 92, 93, 115, 202, 597 e 649, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 1° marzo 2021, depositato in cancelleria il 4 marzo 2021, iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nell’udienza pubblica del 21 giugno 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

uditi l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Eugenio De Bonis per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 21 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 1° marzo 2021 e depositato il 4 marzo 2021 (reg. ric. n. 12 del 2021), la Regione Campania ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 90, 92, 93, 115, 202, 597 e 649, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), complessivamente in riferimento agli artt. 97, 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.1.– In merito all’impugnativa dell’art. 1, comma 90, della legge n. 178 del 2020, la ricorrente precisa che questa norma prevede, congiuntamente al comma 89, non impugnato, l’istituzione di un fondo che, al fine di incentivare la ripresa dei flussi di turismo di ritorno, consente ai cittadini italiani residenti all’estero l’ingresso gratuito nella rete dei musei, delle aree e dei parchi archeologici di pertinenza pubblica, senza prevedere alcun tipo di coinvolgimento regionale nella determinazione delle modalità attuative di tale misura.

Secondo la Regione Campania, la norma impugnata, in quanto finalizzata a «incentivare la ripresa dei flussi di turismo di ritorno», afferirebbe, «in via principale e diretta», alla materia del turismo, di competenza legislativa residuale delle regioni. Inoltre, in quanto volta a realizzare questa finalità attraverso l’accesso gratuito alla rete dei musei, delle aree e dei parchi archeologici di pertinenza pubblica, interverrebbe nella materia della «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali», oggetto di competenza concorrente, «peraltro involgendo istituzioni museali pubbliche non statali, in assenza di alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni».

Pertanto, la disposizione in esame si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 Cost. e con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.2.– Anche le disposizioni di cui ai commi 92 e 93 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 interverrebbero, secondo la ricorrente, nelle materie del turismo e della «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali», istituendo un fondo «al precipuo scopo di tutelare e valorizzare le aree di particolare interesse geologico e speleologico, nonché di sostenerne lo sviluppo e la gestione ambientalmente sostenibile e di promuoverne la fruizione pubblica, […] omettendo, tuttavia, di prevedere alcuna forma di coinvolgimento regionale nella determinazione dei criteri di ripartizione delle somme stanziate nel fondo».

Pertanto, anche queste disposizioni violerebbero gli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 Cost. e il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.3.– La disposizione di cui all’art. 1, comma 115, della legge n. 178 del 2020 afferirebbe, invece, alla materia dello spettacolo; sarebbe pertanto riconducibile alla «valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali», comprensiva anche delle azioni a sostegno dello spettacolo.

Di conseguenza, «le norme statali avrebbero dovuto prevedere il previo coinvolgimento e [la previa] condivisione delle Regioni in ordine ai criteri e modalità di riparto delle risorse statali stanziate, […] trattandosi di materia di competenza legislativa concorrente».

Di qui la violazione degli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.4.– In merito al comma 202 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, la ricorrente lamenta il fatto che le disposizioni di cui ai commi 201 e 202 prevedono la costituzione di un fondo finalizzato alla concessione di contributi alle imprese non industriali, «incidendo in settori notoriamente attratti alla competenza regionale, quali, a titolo esemplificativo, il commercio o l’agricoltura». In particolare, si tratterebbe di materie di competenza legislativa residuale delle regioni (a titolo esemplificativo, commercio e agricoltura) e concorrente (commercio con l’estero e sostegno all’innovazione per i settori produttivi). Quanto detto renderebbe necessario il «ricorso ad un’adeguata attività di coordinamento» (è richiamata in tal senso la sentenza n. 63 del 2008 di questa Corte).

Pertanto, la disposizione di cui al comma 202, non prevedendo alcuna forma di coinvolgimento delle regioni nella determinazione delle modalità e dei criteri di ripartizione delle somme stanziate, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., e con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

1.5.– Il comma 597 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 – che ha sostituito il comma 4 dell’art. 13-quater del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58 – è, invece, impugnato perché interverrebbe in materia di turismo, rientrante nella competenza legislativa residuale delle regioni. In particolare, la creazione di una banca dati statale – in aggiunta a quelle regionali – delle strutture ricettive nonché degli immobili destinati alle locazioni brevi, invaderebbe l’anzidetta competenza legislativa residuale (è citata al riguardo la sentenza n. 84 del 2019).

La ricorrente sottolinea inoltre che, in base alla norma impugnata, le regioni trasmettono al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo i dati inerenti alle strutture ricettive, mentre il quarto periodo dello stesso comma, stabilendo che con decreto del medesimo ministro sono definite le modalità di acquisizione dei codici identificativi regionali, non prevede alcun coinvolgimento delle regioni nella definizione delle stesse.

La difesa regionale aggiunge che, se anche si volesse ricondurre la disciplina in esame alla competenza legislativa statale in materia di coordinamento informativo statistico e informatico (ex art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.), siffatta competenza dovrebbe, in ragione dell’interferenza con la materia del turismo, essere esercitata nel rispetto del principio di leale collaborazione (è richiamata la sentenza n. 384 del 2005).

Pertanto, il comma 597 violerebbe gli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost. e il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Sarebbe inoltre violato l’art. 97 Cost. «in considerazione del danno, in termini di certezza dell’attività amministrativa e del buon andamento pregiudicato dalla duplicazione di adempimenti e di dati informativi oltre che della sovrapposizione tra le finalità del codice identificativo previsto dalle disposizioni impugnate e quelli che le singole Regioni – quali la Regione Campania – hanno previsto».

1.6.– Da ultimo, la Regione Campania ha impugnato il comma 649 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 – che ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 85 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126 –, in quanto interverrebbe in materia di trasporto pubblico locale, rientrante nella competenza residuale delle regioni.

La difesa regionale richiama, sul punto, la sentenza n. 211 del 2016 di questa Corte, sull’assunto che da siffatta decisione si deduca l’illegittimità costituzionale di disposizioni statali istitutive di fondi nel settore dei trasporti che non prevedono un adeguato coinvolgimento delle regioni.

Da quanto detto la ricorrente trae la conclusione dell’illegittimità costituzionale del comma 649, nella parte in cui non prevede che i criteri di riparto del fondo previsto nella norma impugnata siano definiti d’intesa con le regioni, per violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

2.– Con atto depositato il 9 aprile 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che siano dichiarate inammissibili o non fondate tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso.

2.1.– In premessa, l’Avvocatura generale rileva che la legge n. 178 del 2020 avrebbe introdotto una serie di misure finalizzate ad attuare obiettivi di politica economica, anche in considerazione dell’evoluzione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, le quali concorrerebbero a superare la crisi economica e sociale, rafforzando, altresì, alcuni rilevanti settori; a tal fine, la citata legge conterrebbe una serie di disposizioni che prevedono finanziamenti, con vincolo di destinazione, relativi a diversi ambiti di competenza.

Chiarito ciò, in via preliminare, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, in primo luogo, per la genericità dei motivi dedotti dalla ricorrente, la quale muoverebbe dall’erroneo presupposto che le singole disposizioni impugnate abbiano inteso disciplinare direttamente e in modo esclusivo le materie espressamente indicate e di asserita competenza concorrente e residuale. Così facendo, la Regione Campania darebbe per scontata e presupposta la violazione delle proprie prerogative costituzionali, omettendo qualsiasi interpretazione delle disposizioni denunciate, rispetto alle quali si sarebbe limitata alla mera trascrizione. Inoltre, la ricorrente avrebbe omesso qualsiasi indagine circa l’eventuale collegamento sistematico con altre disposizioni e altre materie «trasversali», nelle quali risulterebbero prevalenti contenuti e finalità di politica economica generale o la fissazione dei livelli minimi uniformi di prestazione.

In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile anche per la genericità con la quale sono invocate le norme parametro, in quanto le relative disposizioni costituzionali sarebbero meramente richiamate nelle rubriche dei singoli motivi e mancherebbe qualsiasi articolazione tesa alla dimostrazione delle violazioni lamentate. Così operando – continua la difesa statale – la ricorrente avrebbe fatto ricadere su questa Corte «il duplice compito di interpretare le norme denunciate e di operarne il raccordo (di concordanza o di dissonanza) con i parametri costituzionali».

In terzo luogo, il ricorso apparirebbe «complessivamente inammissibile» in quanto le doglianze sul mancato coinvolgimento della Regione, nella fase attuativa dei singoli fondi previsti, si risolverebbe in una denuncia «astratta e formale», poiché non verrebbe concretamente dimostrato il pregiudizio che il mancato coinvolgimento provocherebbe sull’esercizio dell’azione amministrativa di quest’ultima.

Tutti i motivi di ricorso sarebbero, comunque sia, non fondati.

2.2.– In particolare, quanto all’impugnativa del comma 90 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri ne deduce preliminarmente l’inammissibilità, poiché la presunta invasione delle competenze regionali discenderebbe, semmai, dal comma 89, che ha istituito il fondo, e non dal comma 90, che reca la disciplina sull’utilizzazione del fondo in esame. Peraltro, nei confronti di quest’ultima disposizione non sarebbe stata svolta alcuna censura, mentre il comma 89 non è stato impugnato.

Nel merito, la difesa statale ritiene che il turismo non sia «l’oggetto primario della disciplina», bensì soltanto «lo strumento di attuazione di una disciplina che mira a finalità più ampie».

In particolare, secondo l’Avvocatura generale, la norma impugnata costituirebbe «una misura di promozione della cittadinanza attiva» degli italiani residenti all’estero. Pertanto, se lo status di cittadinanza deve intendersi come «la qualificazione giuridica del legame particolare tra un dato soggetto e un dato territorio e la società ivi insediata», nella nozione di cittadinanza rientrerebbero «tutte le misure idonee a garantire e a rafforzare il legame effettivo del soggetto con il territorio e la società nazional[e]». Da quanto detto la difesa statale trae la conclusione che la norma di cui al comma 90 rientrerebbe nella competenza statale esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera i), Cost. in materia di «cittadinanza».

Inoltre, in ragione del fatto che la misura prevista dalla norma impugnata attiverebbe «un proficuo flusso di interscambio a base culturale tra l’Italia e il resto del mondo», essa costituirebbe anche «una forma di esercizio della competenza statale esclusiva in materia di “rapporti internazionali dello Stato” ex art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.».

2.3.– Inammissibile sarebbe anche l’impugnativa del comma 92, che individua le finalità del fondo di cui al comma 91 (non impugnato), non essendo rinvenibili nel ricorso «censure specifiche» nei confronti di questa disposizione.

Non fondate sarebbero poi le questioni promosse nei confronti del comma 93, in quanto le previsioni da esso recate rientrerebbero nella competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e di tutela dell’ambiente, mentre sarebbe estranea la finalità di valorizzazione dei beni stessi. In particolare, la difesa statale richiama la giurisprudenza di questa Corte per sottolineare come siano riconducibili alla «tutela dei beni culturali» i provvedimenti diretti a garantire la conservazione, l’integrità e la sicurezza dei beni culturali, come appunto gli «interventi di riqualificazione e di adeguamento degli impianti di illuminazione ordinaria, di sicurezza e di fruibilità multimediale», finanziati con il fondo statale di cui si discute.

Di qui la conseguenza che, trattandosi di normativa che ricade nel perimetro delle potestà legislative statali di tipo esclusivo, non sarebbe configurabile in capo allo Stato alcun onere procedimentale di leale collaborazione; peraltro, aggiunge l’Avvocatura generale, la denunciata violazione dell’art. 120 Cost. sarebbe «del tutto fuori quadro», poiché l’esercizio dell’attività legislativa sfuggirebbe alle procedure di leale collaborazione.

Secondo la difesa statale, la lamentata lesione della sfera di competenza regionale non si determinerebbe neppure se la materia disciplinata dalla normativa impugnata fosse ritenuta attinente alla «valorizzazione», anziché alla «tutela» dei beni culturali. In questo caso, infatti, un’interpretazione costituzionalmente orientata dovrebbe indurre a ritenere che spetti al Ministro per gli affari regionali e le autonomie l’individuazione dei soggetti legittimati a ottenere le risorse del fondo di cui al comma 91 e che sia di competenza delle regioni il trasferimento delle stesse secondo criteri determinati dai medesimi enti territoriali.

2.4.– Non fondate sarebbero anche le censure promosse nei confronti del comma 115. In particolare, la Regione non avrebbe contestato che rientri nella competenza legislativa statale l’istituzione del fondo di cui al comma 114; sarebbe quindi «conseguenziale che la mera attività amministrativa di individuazione dei progetti e dei beneficiari ammessi alle erogazioni del fondo, che sono finanziate con risorse integralmente gravanti sul bilancio statale, competa ad un decreto del ministro competente alla cui adozione le Regioni non hanno titolo a prendere parte».

Nel caso di specie, il fondo di cui si discute costituirebbe lo strumento attraverso il quale lo Stato avrebbe operato «la necessaria avocazione per sussidiarietà della materia del finanziamento delle attività di spettacolo»; è richiamata sul punto la sentenza n. 255 del 2004 di questa Corte.

In definitiva, sostiene l’Avvocatura generale, le peculiari caratteristiche dell’attività di spettacolo (nella specie, musicale) renderebbero «imprescindibile» che «lo Stato sia autonomamente presente sia a livello finanziario che a livello operativo, onde prevenire le inevitabili lacune dell’intervento regionale, ostacolato dalla frammentarietà territoriale e dalla ristrettezza dei bilanci regionali».

Da ultimo, la difesa statale sottolinea come l’intervento finanziario statale contestato dalla ricorrente si ponga come misura economica adottata per fronteggiare l’emergenza pandemica, il che rafforzerebbe la competenza statale in materia.

2.5.– Anche con riguardo alla disposizione recata dal comma 202, l’Avvocatura generale ritiene che si tratti di «un intervento finanziario emergenziale interamente a carico del bilancio statale, non contestato in quanto tale dalla ricorrente». Pertanto, non sarebbe chiara la ragione per la quale la Regione rivendica una competenza a partecipare alla determinazione dei criteri, degli importi e delle modalità di erogazione di un fondo, istituito con il comma 201 e la cui legittimità non è contestata.

Peraltro, precisa la difesa statale, la misura di cui al comma 201 (non impugnato) costituirebbe esercizio della competenza statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza», da intendersi «in senso “propositivo”, cioè come ristabilimento delle condizioni di una corretta concorrenza tra imprese, alcune delle quali siano state poste in condizioni concorrenziali deteriori da eventi calamitosi loro non imputabili». In particolare, si tratterebbe di un intervento statale rientrante tra gli aiuti esenti dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea, ai sensi del regolamento (CE) n. 651/2014/UE del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato, in quanto volti a rimediare ai danni provocati da terremoti, valanghe, frane, inondazioni, trombe d’aria, uragani, eruzioni vulcaniche e incendi boschivi di origine naturale.

Al riguardo, la previsione di tali misure nell’ambito della normativa europea sugli aiuti di Stato dimostrerebbe la loro «ontologica connessione con la materia della concorrenza».

2.6.– Sarebbero non fondate anche le questioni promosse nei confronti del comma 597, che ha sostituito il comma 4 dell’art. 13-quater del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, istituendo, presso il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (oggi: Ministero del turismo), una banca dati delle strutture ricettive e degli immobili destinati alle locazioni brevi.

La disposizione impugnata rientrerebbe nella competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., essendo volta a tutelare i consumatori e a evitare l’evasione fiscale nel settore turistico. Peraltro, osserva l’Avvocatura generale, la norma in esame farebbe salvo quanto stabilito nelle leggi regionali, prevedendo l’inclusione, nella suddetta banca dati, dei dati regionali con i relativi codici identificativi, «ove adottati».

Sarebbe dunque incomprensibile la ragione per la quale il decreto del Ministro del turismo (previsto nell’impugnato comma 597) dovrebbe coinvolgere le regioni nell’attività di acquisizione dei codici da queste adottati.

2.7.– Quanto all’impugnativa del comma 649, l’Avvocatura generale ricostruisce, preliminarmente, il quadro normativo nel quale si inserisce la norma impugnata, sottolineando che quest’ultima modifica l’art. 85 del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, che aveva già previsto l’istituzione di un fondo a favore delle imprese esercenti servizi di trasporto di passeggeri mediante autobus, non soggetti a obblighi di servizio pubblico.

La difesa statale ritiene manifestamente infondate le questioni promosse, in ragione del fatto che la norma impugnata disciplinerebbe l’erogazione di risorse a favore di soggetti che svolgono attività non riconducibili al trasporto pubblico locale. I servizi di quest’ultima tipologia si caratterizzerebbero infatti per l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, espressamente esclusi dalla disposizione in esame.

Pertanto, l’attività di gestione e di erogazione delle risorse prevista nel fondo di cui al comma 649 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 sarebbe estranea alla competenza legislativa residuale delle regioni.

Peraltro, la misura in esame si collocherebbe «in un contesto di interventi di sostegno ai settori più direttamente interessati dalle misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19»; di conseguenza, la normativa impugnata sarebbe riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato», di «perequazione delle risorse finanziarie», di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di «profilassi internazionale» (ex art. 117, secondo comma, lettere e, m e q), nonché «alla determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato nelle materie di legislazione concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.».

3.– In prossimità della data fissata per l’udienza la Regione Campania ha depositato una memoria con la quale comunica di aver deliberato la rinuncia al ricorso limitatamente alle disposizioni di cui all’art. 1, commi 90, 92, 93 e 115, della legge n. 178 del 2020. In particolare, la difesa regionale dichiara di non avere più interesse a coltivare il giudizio in quanto, in sede attuativa, il Governo ha coinvolto le regioni e quindi «è stato di fatto riparato il vulnus arrecato dalle indicate disposizioni alle prerogative regionali».

Quanto invece ai commi 202, 597 e 649, la Regione dichiara che persiste l’interesse alla coltivazione del giudizio.

3.1.– Preliminarmente, la difesa regionale replica alle diverse eccezioni di inammissibilità sollevate dal resistente.

Innanzitutto, ritiene che l’atto introduttivo non incorra nel vizio di genericità lamentato dalla controparte, sia in ordine alle censure mosse sia in ordine alle norme costituzionali invocate come parametro (a tal fine richiama le sentenze n. 123 e n. 114 del 2022, con le quali questa Corte ha deciso le altre questioni promosse con il medesimo ricorso).

Prive di fondamento sarebbero anche le eccezioni di inammissibilità relative all’asserita mancata impugnativa delle disposizioni istitutive dei fondi oggetto dei commi impugnati. Al riguardo, la Regione precisa di aver inteso impugnare soltanto le norme che disciplinano le modalità di riparto dei fondi – dei quali non è invece contestata né l’istituzione né le finalità – senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle regioni (sono richiamate, in proposito, le sentenze n. 123 e n. 40 del 2022).

3.2.– Nel merito, quanto al comma 202, la ricorrente ribadisce che «la legittimità costituzionale di disposizioni che prevedono misure di sostegno alle imprese in difficoltà, la cui scomparsa costituirebbe un danno che esorbita la dimensione regionale, è subordinata alla previsione di un’intesa con le regioni condotta in base al principio di leale collaborazione» (sono richiamate le sentenze n. 63 del 2008 e n. 303 del 2003). Siffatta affermazione varrebbe a maggior ragione nel caso di specie poiché si tratterebbe di un fondo che «non è indistintamente destinato a tutte le imprese in difficoltà, ma soltanto a quelle non industriali».

Peraltro – aggiunge la difesa regionale – anche a voler ritenere la normativa impugnata afferente alla materia della tutela della concorrenza, il coinvolgimento delle regioni sarebbe comunque necessario, in ragione della sua trasversalità e dell’intreccio con le materie del commercio, dell’agricoltura e del turismo, di competenza residuale regionale (sono richiamate le sentenze n. 123 e n. 114 del 2022).

3.3.– La Regione Campania contesta, poi, le argomentazioni addotte a sostegno della non fondatezza delle questioni relative al comma 597, non avendo precisato, il resistente, «a quali, tra le plurime ed eterogenee materie» previste dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., si ritenga ascritta la disposizione. Secondo la ricorrente, la disposizione di cui al comma 597 afferirebbe chiaramente alla materia del turismo, di competenza residuale regionale, poiché la previsione di un codice identificativo di riferimento per ogni singola unità ricettiva invaderebbe «apertamente» la sfera di competenza delle regioni, a cui spetta di esercitare le funzioni di promozione, vigilanza e controllo sull’esercizio delle attività turistiche.

Al riguardo, la difesa regionale dà conto dell’avvenuta emanazione del decreto del Ministro del turismo 29 settembre 2021, n. 161 (Regolamento recante modalità di realizzazione e di gestione della banca di dati delle strutture ricettive e degli immobili destinati alle locazioni brevi di cui all’articolo 13-quater del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), previsto nella disposizione impugnata, precisando che esso è stato adottato sentita la Conferenza unificata, che ha espresso, il 20 maggio 2021, parere favorevole sul relativo schema. Ciò nondimeno, siffatto parere non sarebbe idoneo a garantire un adeguato coinvolgimento delle regioni, che, trattandosi di un intervento attinente a una materia di competenza residuale (turismo), avrebbe dovuto assumere la forma dell’intesa (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 123 del 2022).

La ricorrente sottolinea, inoltre, come il citato decreto ministeriale abbia espressamente previsto la generazione da parte della banca dati statale di un codice alfanumerico in sostituzione del codice identificativo nel caso in cui una regione non ne abbia adottato uno proprio, disponendo «impegni a carico delle regioni, uniche titolari delle informazioni necessarie ad implementarla». Quanto appena detto confermerebbe l’incidenza negativa dell’intervento legislativo impugnato sulla sfera di competenza regionale.

3.4.– Infine, la ricorrente contesta l’assunto di parte avversa secondo cui la disposizione di cui al comma 649 non sarebbe ascrivibile alla materia del trasporto pubblico locale, in ragione dell’assenza di obblighi di servizio pubblico. Al riguardo, la difesa regionale fa notare come sia pacifico che nell’ambito dei servizi di trasporto pubblico sono ricompresi anche quelli cosiddetti autorizzati.

Pertanto, anche a voler ritenere che la disposizione impugnata afferisca alle materie del sistema tributario e contabile dello Stato, della perequazione delle risorse finanziarie, della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, e di profilassi internazionale, il coinvolgimento delle regioni in sede di determinazione dei criteri di riparto sarebbe necessario, a causa del chiaro intreccio con la materia del trasporto pubblico locale.

4.– All’udienza del 21 giugno 2022 l’Avvocatura generale dello Stato ha comunicato l’accettazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, della rinuncia parziale al ricorso presentata dalla difesa regionale.

Considerato in diritto

1.– La Regione Campania ha promosso, con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 12 del 2021), fra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 90, 92, 93, 115, 202, 597 e 649, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), complessivamente in riferimento agli artt. 97, 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

2.– Con separate decisioni (sentenze n. 123 e n. 114 del 2022) questa Corte ha già definito le altre questioni promosse dalla Regione Campania con il medesimo ricorso.

3.– In via preliminare occorre rilevare che sulle questioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 90, 92, 93 e 115, della legge n. 178 del 2020 è intervenuta la rinuncia al ricorso da parte della Regione Campania, con accettazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. Con riferimento alle citate disposizioni va dichiarata, pertanto, l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 23, vigente ratione temporis, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (tra le più recenti, sentenze n. 123 e n. 114 del 2022; ordinanze n. 142, n. 133 e n. 130 del 2022).

4.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale che non sono state oggetto di rinuncia, questa Corte è chiamata preliminarmente ad esaminare le eccezioni di inammissibilità formulate dall’Avvocatura generale dello Stato. Si tratta, per vero, di eccezioni prospettate in relazione a tutte le norme impugnate e, quindi, non solo a quelle oggetto dell’odierno giudizio.

In proposito, valgono anche nel presente giudizio le considerazioni svolte da questa Corte, in occasione dei giudizi sulle altre norme impugnate con il medesimo ricorso (sentenze n. 123 e n. 114 del 2022), in relazione all’eccezione di inammissibilità per genericità dei motivi dedotti, a quella per difetto di motivazione delle lamentate violazioni dei singoli parametri costituzionali e, infine, a quella concernente il presunto carattere astratto delle censure formulate.

4.1.– Nessuna di queste eccezioni è fondata.

4.1.1.– Nella specie, le questioni, pur formulate in maniera estremamente sintetica, superano la soglia minima di chiarezza e, quindi, consentono lo scrutinio del merito.

Risulta, infatti, chiaro che la ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni in esame per il solo fatto che esse, dopo aver istituito fondi a destinazione vincolata – che inciderebbero su materie di competenza regionale, concorrente o residuale, di volta in volta espressamente individuate – e aver istituito una banca dati – che anch’essa interferirebbe con materia di attribuzione regionale –, non hanno previsto alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, né, per un verso, nella determinazione dei criteri di ripartizione delle risorse dei fondi stessi, né, per l’altro, nella disciplina delle modalità di raccolta e gestione dei dati. Vi sarebbe, dunque, violazione del principio di leale collaborazione e delle sfere di autonomia costituzionalmente assegnate alla Regione.

Tutte le censure sono, inoltre, correttamente prospettate in riferimento ai parametri cumulativamente indicati. È, infatti, dalla violazione del principio di leale collaborazione – da rispettare, secondo la ricorrente, anche quando vi sia una chiamata in sussidiarietà – che si assume derivi la violazione delle sfere di competenza regionale.

Privo di fondamento è infine l’assunto della difesa statale secondo cui, per superare il vaglio di ammissibilità, le questioni devono essere suffragate dalla dimostrazione del pregiudizio concreto che sarebbe derivato all’esercizio dell’azione amministrativa regionale dal mancato coinvolgimento delle regioni (in questi termini, sentenze n. 123 e n. 114 del 2022).

5.– Prima di procedere all’esame delle singole censure, occorre precisare che – quanto alle questioni aventi ad oggetto i commi 202 e 649 – la Regione non contesta la legittimità costituzionale delle norme istitutive dei fondi (contenute, rispettivamente, nel comma 201 e nello stesso comma 649), ma si limita a impugnare le disposizioni che attribuiscono a decreti ministeriali, senza prevedere alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, il compito di definire i criteri di riparto, gli importi e le modalità di erogazione delle risorse stanziate con i fondi in parola, sebbene questi ultimi incidano su materie che si assumono essere di competenza regionale concorrente o residuale.

Pertanto, non è chiesta la caducazione della norma istitutiva del fondo – che produrrebbe un danno agli stessi enti campani destinatari delle risorse – ma è invocata una pronuncia additiva, che imponga il coinvolgimento delle regioni al fine di determinare i criteri di ripartizione delle stesse risorse.

6.– Sempre in relazione alle questioni concernenti i commi 202 e 649, si deve, inoltre, ricordare come questa Corte abbia più volte affermato la necessità di applicare il principio di leale collaborazione nei casi in cui lo Stato preveda un finanziamento, con vincolo di destinazione, incidente su materie di competenza regionale (residuale o concorrente): ipotesi nella quale, ai fini della salvaguardia di tali competenze, la legge statale deve prevedere strumenti di coinvolgimento delle regioni nella fase di attuazione della normativa, nella forma dell’intesa o del parere, in particolare quanto alla determinazione dei criteri e delle modalità del riparto delle risorse destinate agli enti territoriali (da ultimo, sentenze n. 123 e n. 114 del 2022).

La necessità di predisporre simili strumenti è stata affermata da questa Corte principalmente in due evenienze: in primo luogo, quando vi sia un intreccio (ovvero una interferenza o concorso) di competenze legislative, che non permetta di individuare un «ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri» (sentenza n. 71 del 2018; in senso analogo, sentenze n. 114 e n. 40 del 2022, n. 104 del 2021, n. 74 e n. 72 del 2019 e n. 185 del 2018); in secondo luogo, nei casi in cui la disciplina del finanziamento trovi giustificazione nella cosiddetta attrazione in sussidiarietà della stessa allo Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 123, n. 114 e n. 40 del 2022, n. 74 del 2019, n. 71 e n. 61 del 2018).

7.– Passando alle singole questioni di legittimità costituzionale, si deve prendere le mosse dalle censure formulate dalla Regione Campania nei confronti del comma 202 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020.

La ricorrente lamenta che le disposizioni dei commi 201 e 202 prevedono la costituzione di un fondo finalizzato alla concessione di contributi alle imprese non industriali, «incidendo in settori notoriamente attratti alla competenza regionale, quali, a titolo esemplificativo, il commercio o l’agricoltura». Si tratterebbe di materie di competenza legislativa regionale di tipo residuale (commercio e agricoltura) e – sebbene non sia indicato come parametro asseritamente violato l’art. 117, terzo comma, Cost. – concorrente (commercio con l’estero e sostegno all’innovazione per i settori produttivi). La disposizione contenuta al comma 202, non prevedendo alcuna forma di coinvolgimento delle regioni nella determinazione delle modalità e dei criteri di ripartizione delle somme stanziate, si porrebbe quindi in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., e con il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

L’Avvocatura generale contesta questa lettura della norma impugnata, ritenendo che si tratti di «un intervento finanziario emergenziale interamente a carico del bilancio statale, non contestato in quanto tale dalla ricorrente», ascrivibile alla competenza statale esclusiva in materia di «tutela della concorrenza», da intendersi «in senso “propositivo”, cioè come ristabilimento delle condizioni di una corretta concorrenza tra imprese, alcune delle quali siano state poste in condizioni concorrenziali deteriori da eventi calamitosi loro non imputabili». In particolare, si tratterebbe di un intervento statale rientrante tra gli aiuti esenti dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione europea, ai sensi del regolamento (CE) n. 651/2014/UE del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli artt. 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2017 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, in quanto volti a rimediare ai danni provocati da terremoti, valanghe, frane, inondazioni, trombe d’aria, uragani, eruzioni vulcaniche e incendi boschivi di origine naturale.

7.1.– La questione è fondata.

La norma impugnata rimette a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con quello dello sviluppo economico, la determinazione dei criteri, degli importi e delle modalità di erogazione del fondo istituito al comma 201.

Quest’ultimo, a sua volta, istituisce un fondo con una dotazione di 500.000 euro per l’anno 2021 per l’erogazione di contributi a fondo perduto a favore «delle imprese non industriali, con sede legale o unità produttiva nei comuni in cui si sono verificati, nel corso dell’anno 2020, interruzioni della viabilità causat[e] da crolli di infrastrutture stradali rilevanti per la mobilità territoriale».

L’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore («imprese non industriali») per indicare le imprese beneficiarie del fondo è tale da intercettare anche ambiti materiali di sicura competenza regionale (ad es. commercio e agricoltura). Al contempo, non vi è dubbio che le funzioni amministrative relative a un intervento unitario nazionale a favore delle imprese che abbiano subito danni a causa del crollo di infrastrutture stradali rilevanti per la mobilità territoriale si devono radicare a livello statale, risultando evidente che solo a questo livello di governo è possibile realizzare, nel rispetto dei principi di concorrenza e di equità, adeguate politiche di sostegno economico per ridurre i disagi e i maggiori costi derivanti dalle circostanze di cui si tratta.

Scrutinando una norma statale istitutiva di un fondo a favore delle imprese in difficoltà operanti in vari settori (agricoltura, commercio, industria, pesca, turismo ecc.), questa Corte ha affermato che «il Fondo in esame risulta diretto a perseguire finalità di politica economica – costituite dal sostegno alle imprese in difficoltà, la cui scomparsa dal mercato potrebbe danneggiare il sistema economico produttivo nazionale – che, almeno in parte, sfuggono alla sola dimensione regionale […]; e che sono, perciò, tali da giustificare la deroga al normale riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni e la conseguente “attrazione in sussidiarietà” allo Stato della relativa disciplina, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (sentenza n. 242 del 2005)» (sentenza n. 63 del 2008).

Nel caso di specie, questa Corte ha poi concluso dichiarando l’illegittimità della norma impugnata nella parte in cui non prevedeva che i criteri e le modalità di attuazione dei finanziamenti fossero determinati d’intesa con la citata Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Si tratta – com’è evidente – di conclusioni che, sia pure relative a finanziamenti a favore anche di imprese industriali, espressamente escluse dal novero dei beneficiari del fondo istituito dal comma 201 e ripartito secondo quanto previsto dal comma 202 qui in esame, possono essere estese al presente giudizio.

Anche in esso, infatti, a fronte di un intervento statale volto a sostenere economicamente imprese operanti in più ambiti (tranne quello industriale), alcuni dei quali di competenza regionale, deve ritenersi operante il meccanismo della cosiddetta attrazione in sussidiarietà delle relative funzioni legislative; meccanismo che, all’allocazione a livello statale delle competenze amministrative, fa seguire un analogo “adeguamento” delle competenze legislative, solo, tuttavia, alle condizioni individuate da questa Corte in numerose decisioni, a partire dalla sentenza n. 303 del 2003. In particolare, in quest’ultima pronuncia si è precisato che «i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga soltanto se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata» (sentenza n. 303 del 2003, punto 2.2. del Considerato in diritto).

Nel caso oggetto del presente giudizio, risultano senz’altro sussistere le prime due condizioni, dovendosi ritenere non irragionevole né sproporzionata la valutazione dell’interesse pubblico che ha condotto all’assunzione da parte dello Stato delle attribuzioni esercitate, quand’anche interferenti con competenze regionali. La considerazione della ricaduta che il crollo di infrastrutture stradali rilevanti per la mobilità territoriale può avere sul «tessuto economico e produttivo delle imprese non industriali» è così evidente da non richiedere ulteriori apprezzamenti circa la sicura rilevanza dell’interesse pubblico in materia e l’esigenza dell’esercizio unitario della relativa funzione. Si tratta, infatti, di imprese che, per dimensioni e per tipologia dell’attività svolta (si pensi a quelle agricole), si avvalgono principalmente delle infrastrutture stradali, il cui venir meno non può essere agevolmente sostituito da altre modalità di trasporto delle materie prime e dei prodotti, e si tratta al contempo di realtà economiche non solo assolutamente vitali per il contesto in cui si collocano ma altresì di potenziale decisivo rilievo per la stessa economia nazionale.

Carente – e non a caso oggetto del petitum della ricorrente – è invece la terza condizione richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte per consentire l’attrazione in sussidiarietà: non è previsto, infatti, un adeguato coinvolgimento delle regioni interessate, che, nel caso di specie, potrebbe proficuamente realizzarsi nella sede istituzionale della Conferenza Stato-regioni.

Muovendo dalla prospettiva indicata, dunque, la disposizione contenuta al comma 202 deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con quello dello sviluppo economico, di determinazione dei criteri, degli importi e delle modalità di erogazione del fondo di cui al comma 201, sia adottato previa intesa nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

8.– Oggetto dell’impugnativa regionale è poi il comma 597 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, che ha sostituito il comma 4 dell’art. 13-quater del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58.

Secondo la Regione Campania, la disposizione impugnata, prevedendo la creazione di una banca dati statale – in aggiunta a quelle regionali – delle strutture ricettive nonché degli immobili destinati alle locazioni brevi, invaderebbe l’ambito di competenza legislativa residuale regionale in materia di turismo. In particolare, in base al terzo periodo del citato comma 4 dell’art. 13-quater del d.l. n. 34 del 2019, come convertito e poi sostituito dalla norma impugnata, le regioni sarebbero tenute a trasmettere al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo i dati inerenti alle strutture ricettive, mentre il quarto periodo dello stesso comma affiderebbe a un decreto del medesimo Ministro la definizione delle modalità di acquisizione dei codici identificativi regionali, e tutto ciò senza che sia previsto alcun coinvolgimento delle regioni nella definizione delle stesse.

Anche a voler ricondurre la disciplina in esame alla competenza legislativa statale in materia di coordinamento informativo statistico e informatico (ex art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.) – aggiunge la difesa regionale – si dovrebbe nondimeno ritenere che la stessa competenza debba, in ragione dell’interferenza con la materia del turismo, essere esercitata nel rispetto del principio di leale collaborazione.

In definitiva, il comma 597 violerebbe gli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost. (quest’ultimo, indicato solo nel titolo del punto 13 del ricorso, dedicato al comma 597) e il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Sarebbe inoltre violato l’art. 97 Cost. «in considerazione del danno, in termini di certezza dell’attività amministrativa e del buon andamento pregiudicato dalla duplicazione di adempimenti e di dati informativi oltre che della sovrapposizione tra le finalità del codice identificativo previsto dalle disposizioni impugnate e quelli che le singole Regioni – quali la Regione Campania – hanno previsto».

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che le questioni promosse nei confronti del comma 597 non siano fondate, in quanto la disposizione, diretta a tutelare i consumatori e a evitare l’evasione fiscale nel settore turistico, costituirebbe esercizio della competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Essa farebbe comunque salvo quanto stabilito nelle leggi regionali, prevedendo l’inclusione, nella suddetta banca dati, dei dati regionali con i relativi codici identificativi, «ove adottati».

8.1.– Preliminarmente, occorre rilevare d’ufficio che difetta ab imis, nella delibera di autorizzazione ad impugnare della Giunta regionale della Campania, approvata il 22 febbraio 2021, il riferimento al parametro di cui all’art. 119 Cost. (peraltro, indicato nel ricorso senza alcuna motivazione), quale ragione di impugnativa dell’art. 1, comma 597, della legge n. 178 del 2020.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nel richiedere, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, «“una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione” (sentenze n. 154 del 2017 e n. 110 del 2016; nello stesso senso sentenze n. 46 del 2015, n. 198 del 2012), poiché “l’omissione di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta dalla difesa nel ricorso” (sentenza n. 239 del 2016)» (sentenza n. 128 del 2018, richiamata nella sentenza n. 166 del 2021; in termini, tra le più recenti, anche sentenza n. 129 del 2021).

Di conseguenza, la censura relativa alla violazione dell’art. 119 Cost., promossa con riguardo all’art. 1, comma 597, della legge n. 178 del 2020 deve essere dichiarata inammissibile.

8.2.– La questione prospettata non è invece fondata in relazione agli altri parametri invocati, che, sebbene plurimi, possono essere trattati congiuntamente, risultando unitaria la ragione di censura.

Preliminare al suo esame è l’individuazione dell’ambito materiale inciso dalla disposizione impugnata, nonché, ancor prima, la ricostruzione della ratio e delle finalità da essa perseguite, e del quadro normativo in cui si inserisce.

8.2.1.– Il comma 597 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 ha sostituito il comma 4 dell’art. 13-quater del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, prevedendo, tra l’altro, che, «[a]i fini della tutela dei consumatori, presso il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è istituita una banca di dati delle strutture ricettive, nonché degli immobili destinati alle locazioni brevi ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, identificati mediante un codice da utilizzare in ogni comunicazione inerente all’offerta e alla promozione dei servizi all’utenza, fermo restando quanto stabilito in materia dalle leggi regionali. La banca di dati raccoglie e ordina le informazioni inerenti alle strutture ricettive e agli immobili di cui al presente comma. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo i dati inerenti alle strutture ricettive e agli immobili di cui al presente comma con i relativi codici identificativi regionali, ove adottati. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di realizzazione e di gestione della banca di dati e di acquisizione dei codici identificativi regionali nonché le modalità di accesso alle informazioni che vi sono contenute».

La Regione Campania appunta le sue censure solo sul terzo e sul quarto periodo del comma 4 dell’art. 13-quater del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, nel testo sostituito dall’impugnato comma 597, sicché il thema decidendum deve intendersi così delimitato.

Il terzo periodo prevede che «[l]e regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo i dati inerenti alle strutture ricettive e agli immobili di cui al presente comma con i relativi codici identificativi regionali, ove adottati».

Il quarto periodo, nel testo vigente al momento dell’impugnativa, stabiliva che «[c]on decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabilite le modalità di realizzazione e di gestione della banca di dati e di acquisizione dei codici identificativi regionali nonché le modalità di accesso alle informazioni che vi sono contenute».

A tale quarto periodo sono state successivamente apportate – nelle more del presente giudizio – minime modifiche ad opera dell’art. 1, comma 373, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024), che ha inoltre introdotto un quinto periodo, secondo cui «[p]er le esigenze di contrasto dell’evasione fiscale e contributiva, la banca dati è accessibile all’amministrazione finanziaria degli enti creditori per le finalità istituzionali».

Con il decreto del Ministro del turismo 29 settembre 2021, n. 161 (Regolamento recante modalità di realizzazione e di gestione della banca di dati delle strutture ricettive e degli immobili destinati alle locazioni brevi di cui all’articolo 13-quater del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58), è stata data attuazione alla normativa impugnata. Dalle premesse del decreto risulta che sul suo schema è stata sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che, nella seduta del 20 maggio 2021, ha espresso parere favorevole su di esso.

Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Campania ha dichiarato che l’acquisizione del parere favorevole della Conferenza unificata non ha fatto venir meno il suo interesse alla coltivazione del giudizio, giacché il coinvolgimento delle regioni sarebbe dovuto avvenire nella forma “forte” dell’intesa.

8.2.2.– Quanto all’ambito materiale inciso dalla norma impugnata, la Regione ricorrente ne lamenta l’interferenza con la sua competenza legislativa residuale in materia di turismo, richiamando a sostegno delle sue censure la sentenza n. 84 del 2019, con la quale questa Corte ha sostanzialmente riconosciuto che nella competenza regionale residuale in materia di turismo rientra la possibilità di «prevedere che anche i locatori turistici e i relativi intermediari debbano munirsi di un apposito codice identificativo di riferimento per ogni singola unità ricettiva, da utilizzare nella pubblicità, nella promozione e nella commercializzazione dell’offerta turistica».

Con la sentenza n. 80 del 2012 (con la quale sono stati decisi alcuni ricorsi regionali avverso il cosiddetto codice del turismo) questa Corte ha peraltro precisato che «la competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di turismo non esclude la legittimità di un intervento legislativo dello Stato volto a disciplinare l’esercizio unitario di determinate funzioni amministrative nella stessa materia (ex plurimis, sentenze n. 76 e n. 13 del 2009, n. 94 del 2008, n. 339 e n. 88 del 2007, n. 214 del 2006)».

8.2.3.– Alla luce della ricostruzione del quadro normativo, della delimitazione del thema decidendum e dell’oggetto delle censure, e infine della giurisprudenza costituzionale sul riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni in materia di turismo, si può procedere alla definizione dell’ambito materiale al quale la disposizione impugnata va ricondotta.

Al riguardo, è evidente che la normativa in esame, per quanto in effetti intercetti la materia del turismo, è di per sé rivolta ad assicurare un’adeguata tutela dei consumatori e a contrastare l’evasione fiscale attraverso il coordinamento dei dati a tal fine rilevanti. Quest’ultima finalità è divenuta ancora più manifesta a seguito delle modifiche operate dal richiamato art. 1, comma 373, della legge n. 234 del 2021, che hanno reso accessibile la banca dati «all’amministrazione finanziaria degli enti creditori per le finalità istituzionali».

Se, dunque, la finalità primaria della banca dati statale è quella di coordinare i dati regionali e di operare una sorta di reductio ad unitatem degli stessi e dei relativi codici identificativi, si deve ritenere che la disposizione censurata non interferisca con le competenze regionali in materia di turismo se non nei limiti strettamente necessari ai fini di un mero coordinamento, secondo quella logica che questa Corte ha ritenuto sottesa alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.): vale a dire, l’assicurazione di «una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione» (in questo senso, tra le tante, sentenze n. 161 del 2019, n. 139 del 2018, n. 284 e n. 251 del 2016, e n. 17 del 2004; nello stesso senso, sentenze n. 261 del 2017, n. 23 del 2014 e n. 46 del 2013).

Alla luce di questa ricostruzione, la questione promossa non è fondata.

9.– Infine, la Regione Campania ha impugnato il comma 649 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 – che ha sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 85 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126 –, in quanto interverrebbe in materia di trasporto pubblico locale, rientrante nella competenza residuale delle regioni.

Più precisamente, il comma 649 sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che i criteri di riparto del fondo ivi istituito siano definiti d’intesa con le regioni, per violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., e del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

La difesa statale ritiene manifestamente infondate le questioni promosse, in ragione del fatto che la norma impugnata disciplinerebbe l’erogazione di risorse a favore di soggetti che svolgono attività non riconducibili al trasporto pubblico locale. I servizi di quest’ultima tipologia si caratterizzerebbero infatti per l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, espressamente esclusi dalla disposizione in esame. Pertanto, l’attività di gestione e di erogazione delle risorse del fondo sarebbe estranea alla competenza legislativa residuale delle regioni.

Peraltro, la misura in esame si collocherebbe «in un contesto di interventi di sostegno ai settori più direttamente interessati dalle misure di contenimento dell’epidemia da Covid-19»; di conseguenza, la normativa impugnata sarebbe riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato», di «perequazione delle risorse finanziarie», di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», di «profilassi internazionale» (ex art. 117, secondo comma, lettere e, m e q, Cost.), nonché «alla determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato nelle materie di legislazione concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.».

9.1.– La questione è fondata.

Anche in questo caso la pluralità di parametri evocati è funzionale, nella prospettiva della ricorrente, a sostenere un’unica ragione di censura della norma impugnata. Infatti, la Regione Campania, sull’assunto che la disposizione in esame afferisca alla materia di competenza legislativa regionale residuale del trasporto pubblico locale, ritiene che il comma 649 sia costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nel sostituire il comma 2 dell’art. 85 del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, non prevede che i criteri di cui al comma 1 dello stesso articolo siano definiti d’intesa con le regioni. Le censure della ricorrente si appuntano dunque sul solo comma 2 del citato art. 85, come modificato dalla norma impugnata.

I primi due commi dell’art. 85 del citato d.l. n. 104 del 2020, come convertito, recitano: «1. Al fine di sostenere il settore dei servizi di trasporto di linea di persone effettuati su strada mediante autobus e non soggetti a obblighi di servizio pubblico, nonché di mitigare gli effetti negativi derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, è istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, destinato:

a) nella misura di 20 milioni di euro per l’anno 2020, a compensare i danni subiti dalle imprese esercenti i servizi di cui all’alinea del presente comma ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285, ovvero sulla base di autorizzazioni rilasciate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi del regolamento (CE) n. 1073/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, ovvero sulla base di autorizzazioni rilasciate dalle regioni e dagli enti locali ai sensi delle norme regionali di attuazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, in ragione dei minori ricavi registrati, in conseguenza delle misure di contenimento e di contrasto all’emergenza da COVID-19, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 31 dicembre 2020 rispetto alla media dei ricavi registrati nel medesimo periodo del precedente biennio;

b) nella misura di 20 milioni di euro per l’anno 2021, al ristoro delle rate di finanziamento o dei canoni di leasing, con scadenza compresa anche per effetto di dilazione tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2020 e concernenti gli acquisti effettuati, a partire dal 1° gennaio 2018, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di veicoli nuovi di fabbrica di categoria M2 e M3, da parte di imprese esercenti i servizi di cui all’alinea ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285, ovvero sulla base di autorizzazioni rilasciate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi del regolamento (CE) n. 1073/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, ovvero sulla base di autorizzazioni rilasciate dalle regioni e dagli enti locali ai sensi delle norme regionali di attuazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422.

2. Con uno o più decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono stabiliti i criteri e le modalità per l’erogazione delle risorse di cui al comma 1. Relativamente agli interventi di cui alla lettera a) del comma 1, tali criteri, al fine di evitare sovracompensazioni, sono definiti anche tenendo conto dei costi cessanti, dei minori costi di esercizio derivanti dagli ammortizzatori sociali applicati in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e dei costi aggiuntivi sostenuti in conseguenza della medesima emergenza. Sono in ogni caso esclusi gli importi recuperabili da assicurazione, contenzioso, arbitrato o altra fonte per il ristoro del medesimo danno».

Nelle more del presente giudizio, alla previsione del comma 649 è stata data attuazione con il decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, 25 giugno 2021 (Misure compensative per le imprese esercenti servizi di trasporto passeggeri con autobus non soggetti ad obblighi di servizio pubblico) e con il decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, 28 ottobre 2021 (Misura per l’erogazione di ristori per il rinnovo del parco rotabile a favore delle imprese di trasporto di persone su strada), entrambi adottati senza un coinvolgimento delle regioni in sede di Conferenza Stato-regioni.

9.2.– Delimitati il thema decidendum e il contesto normativo in cui si colloca la norma impugnata, si deve rilevare che, ai fini della definizione dell’odierno giudizio, risulta dirimente la risposta all’obiezione del Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, come visto, fonda le proprie conclusioni di manifesta infondatezza delle questioni promosse sull’estraneità all’ambito del trasporto pubblico locale delle attività finanziate dal fondo in esame. Il trasporto pubblico locale implicherebbe infatti sempre l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, espressamente esclusi dalla disposizione in contestazione.

Al riguardo, questa Corte non può non rilevare come, nell’ampia platea di imprese beneficiarie del fondo previsto nella norma impugnata, siano comprese (per espressa indicazione, sia nella lettera a, sia nella lettera b, del citato comma 1) anche quelle «esercenti i servizi di cui all’alinea del presente comma […] sulla base di autorizzazioni rilasciate dalle regioni e dagli enti locali ai sensi delle norme regionali di attuazione del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422», e dunque imprese esercenti attività riconducibili a quelle oggetto di disciplina regionale.

Come questa Corte ha rilevato anche di recente, «[i]l decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), attuando appunto la delega operata con la legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), ha attribuito alle Regioni e agli enti locali funzioni e compiti nella materia del trasporto pubblico locale, prevedendo, in particolare (art. 6, comma 1), la delega alle Regioni dei compiti di programmazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale “non già compresi nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione”» (sentenza n. 163 del 2021).

La norma impugnata opera, dunque, non un generico rinvio al decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), ma un preciso richiamo alle «norme regionali di attuazione» dello stesso decreto legislativo, con ciò riferendosi chiaramente a un ambito nel quale sussiste la competenza legislativa regionale.

9.3.– Ricondotta, sia pure solo in parte, la disciplina oggetto dell’impugnativa regionale alla materia del trasporto pubblico locale, questa Corte deve richiamare la costante giurisprudenza costituzionale secondo cui «la materia del trasporto pubblico locale appartiene alla competenza legislativa residuale regionale, sia pur con i limiti derivanti dall’eventuale rilievo di competenze esclusive dello Stato» (sentenza n. 163 del 2021; nello stesso senso, sentenze n. 129, n. 38 e n. 16 del 2021, n. 163 e n. 56 del 2020, n. 74 del 2019 , n. 137 e n. 78 del 2018, n. 211 del 2016, n. 273 del 2013 e n. 222 del 2005).

Al riguardo, questa Corte ha, in plurime occasioni, «dichiarato costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalità ai fini del riparto o riduzione di fondi o trasferimenti destinati ad enti territoriali nella misura in cui non prevedevano “a monte” lo strumento dell’intesa con la Conferenza, non solo nel caso di intreccio di materie (sentenza n. 168 del 2008), ma anche in caso di potestà legislativa regionale residuale (ex plurimis, la sentenza n. 27 del 2010 e di nuovo la n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessità dell’intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (così la sentenza n. 211 del 2016, che richiama, a sua volta, la sentenza n. 273 del 2013).

Si deve pertanto concludere nel senso della fondatezza della questione promossa e, di conseguenza, dichiarare l’illegittimità costituzionale del comma 649 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui non prevede che – limitatamente alle risorse destinate alle imprese esercenti servizi di trasporto pubblico locale – il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (oggi, Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di determinazione dei criteri e delle modalità per l’erogazione delle risorse di cui al comma 1 dell’art. 85 del d.l. n. 104 del 2020, come convertito, sia adottato previa intesa nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 202, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, di determinazione dei criteri, degli importi e delle modalità di erogazione del fondo di cui al comma 201 del medesimo art. 1, sia adottato previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui non prevede che – limitatamente alle risorse destinate alle imprese esercenti servizi di trasporto pubblico locale – il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (oggi, Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, di determinazione dei criteri e delle modalità per l’erogazione delle risorse di cui al comma 1 dell’art. 85 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, sia adottato previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 597, della legge n. 178 del 2020, promossa, in riferimento all’art. 119 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 597, della legge n. 178 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 della Costituzione, e al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 90, 92, 93 e 115, della legge n. 178 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, 118 e 119 Cost. e al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2022.