SENTENZA N. 114
ANNO 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giuliano AMATO;
Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 480, 500, 501, 511, 757, 758, 759 e 821, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), promosso dalla Regione Campania con ricorso notificato il 1° marzo 2021, depositato in cancelleria il 4 marzo 2021, iscritto al n. 12 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2021.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2022 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi l’avvocato Almerina Bove per la Regione Campania e gli avvocati dello Stato Chiarina Aiello e Eugenio De Bonis per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2022.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 1° marzo 2021 e depositato il 4 marzo 2021 (reg. ric. n. 12 del 2021), la Regione Campania ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 480, 500, 501, 511, 757, 758, 759 e 821, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023).
1.1.– La Regione Campania impugna l’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020, il quale prevede che «[c]on decreto del Ministro della salute sono stabiliti le modalità di accesso e i requisiti per l’erogazione delle risorse del fondo di cui al comma 479, anche al fine del rispetto del limite di spesa previsto dal medesimo comma».
Il citato comma 479 istituisce «a decorrere dall’anno 2021, nello stato di previsione del Ministero della salute […] un fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro annui, destinato, nei limiti del medesimo stanziamento, al rimborso diretto, anche parziale, delle spese sostenute per l’acquisto da parte degli ospedali, sia pubblici sia privati convenzionati, di test genomici per il carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce». Tale disposizione persegue il «fine di garantire alle donne con carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce un trattamento personalizzato sulla base di informazioni genomiche, evitando il ricorso a trattamenti chemioterapici e l’aggravamento del rischio di contagio da COVID-19 per la riduzione delle difese immunitarie».
Secondo la ricorrente, l’impugnato art. 1, comma 480, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione, in quanto il fondo istituito dal citato comma 479 afferirebbe alla materia «tutela della salute» di competenza legislativa concorrente.
1.2.– Vengono dalla Regione impugnati anche i commi 500 e 501 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, i quali danno attuazione al comma 499 della medesima legge. Tale ultima disposizione prevede che, per le finalità di cui alla legge 10 febbraio 2020, n. 10 (Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica), «è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023».
A parere della ricorrente, i citati commi 500, il quale prevede che «[i]l Ministro della salute, con proprio decreto da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua i centri di riferimento e le modalità di svolgimento della formazione e della simulazione sui cadaveri», e, 501, il quale statuisce che «[i]l Ministro della salute, con proprio decreto da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse di cui al comma 499 anche al fine di individuare le specifiche attività oggetto di finanziamento», ometterebbero di assicurare il coinvolgimento delle Regioni nell’individuazione dei centri di riferimento, previsti dalla legge n. 10 del 2020, e delle modalità e dei criteri di riparto delle risorse espressamente demandati ad un decreto del Ministro della salute. Così disponendo, le impugnate disposizioni si porrebbero altresì in contrasto con l’art. 4, comma 1, della legge n. 10 del 2020, in base al quale «[i]l Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua le strutture universitarie, le aziende ospedaliere di alta specialità e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) da utilizzare quali centri di riferimento per la conservazione e l’utilizzazione dei corpi dei defunti ai fini di cui alla presente legge».
I commi 500 e 501 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 si porrebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost. nella parte in cui non prevedono alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione in quanto il fondo suddetto afferirebbe alla materia «tutela della salute» di competenza legislativa concorrente.
1.3.– L’impugnazione regionale verte anche sull’art. 1, comma 511, della legge n. 178 del 2020, il quale prevede che, «[c]on decreto del Ministro dell’istruzione, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di utilizzazione delle risorse del fondo di cui al comma 510». Tale ultima disposizione ha istituito «nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione […] un fondo, con una dotazione di 3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021», al «fine di ampliare l’offerta formativa dei licei musicali e consentire l’attivazione dei corsi a indirizzo jazzistico e nei nuovi linguaggi musicali».
A parere della ricorrente le citate disposizioni, istituendo il suddetto fondo e determinando l’istituzione di nuovi corsi di studio, afferirebbero alla materia dell’istruzione, «coperta» da competenza legislativa regionale concorrente e tuttavia l’impugnato art. 1, comma 511, della legge n. 178 del 2020, non prevedrebbe alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni nella determinazione dei criteri di ripartizione della somme stanziate, così violando gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost.
1.4.– La Regione ha impugnato anche i commi 757 e 758 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, i quali prevedono, rispettivamente, che «[è] istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Fondo per il recupero della fauna selvatica, con una dotazione di 1 milione di euro per l’anno 2021. Il Fondo è destinato al fine di sostenere l’attività di tutela e cura della fauna selvatica svolta dalle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, il cui statuto preveda finalità di tutela e cura della fauna selvatica e che gestiscano centri per la cura e il recupero della fauna selvatica ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, con particolare riferimento alle specie faunistiche di interesse comunitario di cui alle direttive 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, e 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro della salute, sono definite le modalità di utilizzo del Fondo di cui al presente comma» (comma 757); e che, «[e]ntro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare l’elenco dei centri per il recupero della fauna selvatica operanti nel rispettivo territorio e afferenti alle associazioni di cui al comma 757» (comma 758).
Secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate sarebbero volte a sostenere i cosiddetti «“centri di recupero fauna selvatica o animali selvatici” (acronimo CRAS)» e ciò sarebbe «desumibile anche dall’onere imposto alle regioni di comunicare l’elenco dei centri gestiti dalle suddette associazioni».
Le disposizioni sarebbero pertanto inquadrabili nella materia della tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di esclusiva competenza statale, e in quella del prelievo venatorio, di competenza residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma della citata disposizione costituzionale.
La Regione Campania mette, poi, in evidenza come, a rilevare in materia, sia la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (si citano le sentenze n. 104 [recte: 107] del 2014, n. 303 del 2013, n. 278, n. 116 e n. 106 del 2012 e n. 233 del 2010) – costituirebbe il livello minimo di salvaguardia della fauna selvatica, le cui previsioni di tutela possono essere dalle Regioni modificate nell’esercizio della loro competenza residuale in materia di caccia, nella sola direzione dell’innalzamento del livello di salvaguardia.
Tale legge – ricorda ancora la ricorrente – pur non menzionando espressamente i centri di recupero della fauna selvatica, avrebbe individuato un nucleo minimo di tutela e, del pari, avrebbe attribuito alle Regioni e alle Province autonome la regolamentazione delle attività di soccorso della fauna selvatica. Ciò sarebbe ricavabile, per un verso, dall’art. 1, comma 3, della legge n. 157 del 1992, in base al quale le Regioni e le Province autonome potrebbero introdurre «autonomamente» le norme relative alla gestione e alla tutela della fauna selvatica, in conformità alle convenzioni internazionali, alle direttive comunitarie e alla stessa legge n. 157 del 1992; per l’altro, dall’art. 4, comma 6, della citata legge, secondo cui le Regioni prevedono le norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione di fauna selvatica.
In altri termini, seppur la legge statale non preveda espressamente i centri di recupero della fauna selvatica, questi dovrebbero essere intesi come una delle forme in cui le Regioni attuano la tutela della fauna selvatica che lo Stato ha inteso loro attribuire. Tant’è che, a partire dal 1992, le Regioni e le Province autonome avrebbero provveduto autonomamente a legiferare in materia, essendone derivato un quadro normativo eterogeneo, nel quale risultano individuati, con caratteristiche proprie, i requisiti autorizzatori, le modalità di svolgimento delle attività di recupero, le forme di finanziamento e le formole organizzative e gestionali dei suddetti centri. Proprio con riguardo a tali ultimi aspetti si registrerebbe – così ancora la ricorrente – una varietà di moduli: gestione diretta pubblica regionale, delega alle Province, affidamento a istituzioni scientifiche pubbliche o private in convenzione, ad associazioni di protezione ambientale, ad associazioni venatorie o ad organizzazioni professionali agricole.
Per quanto riguarda la Regione Campania, la gestione della fauna selvatica sarebbe disciplinata dalla legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina dell’attività venatoria in Campania), la quale, all’art. 4, comma 1, prevede che «[l]a Giunta regionale, sentito l’Istituto superiore per la ricerca ambientale (ISPRA), autorizza l’istituzione di centri di recupero della fauna selvatica ai sensi dell’articolo 4, comma 6, della legge 157/1992 con le finalità di soccorrere, riabilitare e reintrodurre esemplari di fauna selvatica feriti. Tali autorizzazioni possono essere concesse al Corpo Forestale dello Stato, ai dipartimenti scientifici delle università, alle associazioni venatorie, alle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente che operano in Campania». Ai sensi dell’art. 4, comma 2, della citata legge regionale, l’autorizzazione, poi, «è subordinata alla predisposizione di un progetto esecutivo che illustri nel dettaglio le strutture, le funzioni e le risorse, sia finanziarie sia professionali, e di un dettagliato programma di gestione».
Alla luce del delineato contesto normativo, secondo la ricorrente i commi 757 e 758 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, violerebbero gli artt. 3, 97, 118, 119 e 120 Cost.
In particolare, le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, in modo «irrazionale e in spregio al buon andamento e al corretto funzionamento della pubblica amministrazione», limiterebbero il finanziamento ai soli centri di recupero gestiti dalle associazioni di protezione ambientale, determinando, in presenza di una esplicita eterogeneità regionale, una disparità di trattamento a causa delle differenti realtà organizzative e gestionali individuate dalle singole Regioni.
Ciò risulterebbe con evidenza proprio nel caso della Regione Campania, dove, pur in presenza di diverse strutture private gestite da associazioni di protezione ambientale, «l’unico CRAS autorizzato» è «il CRAS “ex Frullone” dell’Istituto di Patologia e Sanità animale dell’Università Federico II – Facoltà di Medicina Veterinaria, presso il presidio Ospedaliero Veterinario di Napoli – ASL».
Le disposizioni impugnate si porrebbero in contrasto anche con l’art. 118 Cost., in quanto inciderebbero sui principi di adeguatezza e sussidiarietà nell’esercizio delle funzioni amministrative, poiché il meccanismo di finanziamento non risulterebbe omogeneo rispetto alle stesse funzioni amministrative che lo Stato avrebbe inteso conferire alle Regioni, determinando anche il condizionamento di altri compiti regionali in tema di prelievo venatorio, a causa dell’impatto che l’attività delle strutture in parola avrebbe sulla pianificazione venatoria e sulle modalità di esercizio della caccia.
Le disposizioni impugnate violerebbero altresì gli artt. 118 e 120 Cost., poiché, nell’istituire il suddetto fondo, non prevedrebbero alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria a causa dell’intreccio tra competenze statali in materia di tutela dell’ambiente e quelle regionali in materia di caccia; e l’art. 119 Cost., «correlato al precedente», per il mancato coinvolgimento delle Regioni nella istituzione del suddetto fondo, il quale costituirebbe un finanziamento a destinazione vincolata in un ambito in cui sarebbe presente un intreccio di materie di competenza statale e di quella regionale.
1.5.– La ricorrente impugna anche l’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020, il quale prevede che «[a]l fine di realizzare progetti pilota di educazione ambientale destinati a studenti degli istituti comprensivi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado, site nei comuni che ricadono nelle zone economiche ambientali di cui all’articolo 4-ter del decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 dicembre 2019, n. 141, nelle riserve MAB-UNESCO e nei siti naturalistici dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, un fondo con una dotazione di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i criteri e le modalità di riparto del fondo di cui al periodo precedente. Alle attività previste dal presente comma, comprese quelle che coinvolgono i docenti scolastici, si provvede nel limite delle risorse del fondo di cui al primo periodo, oltre che nei limiti delle disponibilità del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica interessata».
Secondo la difesa regionale tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., poiché, intervenendo in materia «istruzione», di competenza legislativa concorrente, non prevedrebbe alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione.
1.6.– La Regione Campania impugna, da ultimo, l’art. 1, comma 821, della legge n. 178 del 2020, il quale prevede che «[a]l fine di concorrere agli oneri sostenuti dalle regioni per l’esercizio della funzione di concessione degli indennizzi in favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, trasferita alle stesse regioni in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2021. Il fondo di cui al periodo precedente è ripartito tra le regioni interessate con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 28 febbraio 2021, in proporzione al fabbisogno derivante dagli indennizzi corrisposti».
La disposizione impugnata, poiché inciderebbe sulla materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, e le ripartizioni da essa previste avrebbero rilevanti ripercussioni sul sistema regionale, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost. nella parte in cui prevede che debba essere sentita la Conferenza Stato-Regioni, anziché che debba essere acquisita l’intesa.
2.– Con atto depositato il 9 aprile 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che siano dichiarate inammissibili e, comunque sia, non fondate tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso.
2.1.– In premessa, l’Avvocatura generale rileva che la legge n. 178 del 2020 avrebbe introdotto una serie di misure finalizzate ad attuare obiettivi di politica economica, anche in considerazione dell’evoluzione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, le quali concorrerebbero a superare la crisi economica e sociale, rafforzando, altresì, alcuni rilevanti settori; a tal fine, la citata legge conterrebbe una serie di disposizioni che prevedono finanziamenti, con vincolo di destinazione, relativi a diversi ambiti di competenza.
Chiarito ciò, in via preliminare, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, in primo luogo, per la genericità dei motivi dedotti dalla ricorrente, la quale moverebbe dall’erroneo presupposto che le singole disposizioni impugnate abbiano inteso disciplinare direttamente e in modo esclusivo le materie espressamente indicate e di asserita competenza concorrente e residuale. Così facendo, la Regione Campania darebbe per scontata e presupposta la violazione delle proprie prerogative costituzionali, omettendo qualsiasi interpretazione delle disposizioni denunciate, rispetto alle quali si sarebbe limitata alla mera trascrizione. E si aggiunge che la ricorrente avrebbe, inoltre, omesso qualsiasi indagine circa l’eventuale collegamento sistematico con altre disposizioni ed altre materie; operazione, quest’ultima, che, se fosse stata compiuta, avrebbe mostrato come, in realtà, le norme impugnate interverrebbero in materie trasversali, rispetto alle quali risulterebbero prevalenti contenuti e finalità di politica economica generale, ovvero la fissazione dei livelli minimi uniformi di prestazione.
In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile anche per la genericità con la quale sono evocate le norme parametro, in quanto le relative disposizioni costituzionali sarebbero meramente richiamate nelle rubriche dei singoli motivi, rispetto ai quali mancherebbe qualsiasi articolazione tesa alla dimostrazione delle norme che, volta a volta, si riterrebbero violate. Così operando – continua la difesa statale – la ricorrente avrebbe fatto ricadere su questa Corte il duplice compito di interpretare le norme denunciate e di operare il raccordo di concordanza o di dissonanza con i parametri costituzionali.
In terzo luogo, il ricorso apparirebbe complessivamente inammissibile in quanto le doglianze sul mancato coinvolgimento della Regione, nella fase attuativa dei singoli fondi previsti, si risolverebbe in una denuncia astratta e formale, poiché non verrebbe concretamente dimostrato il pregiudizio che il mancato coinvolgimento provocherebbe sull’esercizio dell’azione amministrativa di quest’ultima.
Tutti i motivi di ricorso sarebbero, comunque sia, non fondati.
2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene non fondata la questione relativa all’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020. Tale disposizione recherebbe una norma di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica e di tutela della salute, e afferirebbe, altresì, alla materia della perequazione delle risorse finanziarie statali di competenza esclusiva dello Stato.
La norma censurata, lungi dall’ingerirsi in profili meramente gestori del servizio sanitario regionale, introdurrebbe un finanziamento con il precipuo obiettivo di consentire una rapida valutazione del rischio ereditario per specifiche tipologie di tumori alla mammella e alle ovaie, mediante ricerca di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2. In definitiva, l’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020 non perseguirebbe l’obiettivo di regolamentare i profili organizzativi del sistema sanitario regionale, ma quello di introdurre uno specifico finanziamento finalizzato alla prevenzione. Così operando, il legislatore statale, nell’esercizio della propria competenza in materia di «tutela della salute», non farebbe altro che individuare una specifica area di intervento, cui destinare risorse pubbliche, in modo da assicurare una distribuzione uniforme in tutto il territorio nazionale delle risorse stanziate. Alla luce di tali considerazioni, secondo la difesa statale, sarebbe palese la competenza dello Stato a disciplinare anche l’accesso e l’erogazione di tali risorse.
2.3.– Anche le doglianze relative all’art. 1, commi 500 e 501, della legge n. 178 del 2020 sarebbero non fondate. Le disposizioni impugnate darebbero attuazione alla disciplina introdotta dalla legge n. 178 del 2020, la quale sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
In quest’ottica, i commi 500 e 501 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 sarebbero finalizzati a ragioni di studio, di formazione e di ricerca scientifica, e non violerebbero le competenze regionali, in quanto si porrebbero in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con le norme-principio che connotano il settore (si richiama la sentenza di questa Corte n. 192 del 2017).
A ciò la difesa statale aggiunge che la Regione, non solo avrebbe invocato genericamente la materia «tutela della salute», ma non avrebbe neppure considerato che la destinazione di corpi post mortem a finalità di ricerca, studio e formazione, troverebbe il proprio fondamento anche nel principio di solidarietà sociale, di cui all’art. 2 Cost. Inoltre, la donazione del proprio corpo o di parti di esso – favorendo lo sviluppo, la ricerca scientifica e il progresso della scienza medica – perseguirebbe anche il fine ultimo dell’accrescimento della tutela della salute individuale e collettiva.
Secondo l’Avvocatura generale, il richiamo a tutti questi principi costituzionali non potrebbe che indurre a concludere nel senso della legittimità dell’intervento statale, il quale, sulla base di riferimenti tecnico-scientifici, individua i centri di riferimento e le modalità di svolgimento della formazione e della simulazione sui cadaveri, con strumenti idonei a garantire l’attuazione e il rispetto dei predetti principi, in condizioni di eguaglianza sul territorio nazionale.
Con specifico riferimento, poi, al dettato del comma 500 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, la difesa statale rileva come tale disposizione vada letta in coordinamento con l’art. 4 della legge n. 10 del 2020, ove già sono previste forme di coinvolgimento anche delle Regioni, nell’individuazione delle strutture universitarie, delle aziende ospedaliere di alta specialità e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, da utilizzare come centri di riferimento per la conservazione e l’utilizzazione dei corpi dei defunti.
2.4.– Non fondata sarebbe anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 511, della legge n. 178 del 2020, il quale darebbe attuazione a quanto previsto dal precedente comma 510. Tale ultima disposizione, mirando a favorire l’ampliamento dell’offerta formativa dei licei musicali e a consentire l’attivazione dei corsi di indirizzo jazzistico e di nuovi linguaggi musicali, esprimerebbe, infatti, un principio fondamentale rivolto direttamente alle istituzioni scolastiche e fisserebbe, altresì, un obiettivo comune sul territorio nazionale, riguardante il servizio di istruzione. Da ciò conseguirebbe che non sarebbe necessario alcun coinvolgimento delle Regioni, in quanto la disposizione impugnata sarebbe espressione dell’esercizio della legittima competenza statale a determinare i principi fondamentali nella materia «istruzione».
2.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene non fondate anche le questioni relative all’art. 1, commi 757 e 758, della legge n. 178 del 2020.
La difesa statale premette che l’art. 4, comma 6, della legge n. 157 del 1992 avrebbe previsto che le Regioni adottino norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione della fauna selvatica in difficoltà.
In base a tale disposizione, le Regioni avrebbero autorizzato l’istituzione di strutture qualificate come «“pronto soccorso per animali selvatici autoctoni o migratori”, conosciute nella prassi come CRAS». Secondo l’Avvocatura, in tali strutture potrebbero essere curati solo gli animali selvatici, sia autoctoni, sia migratori, e tale limite discenderebbe dall’art. 2, comma 1, della citata legge n. 157 del 1992.
Il CRAS, pertanto, costituirebbe una delle forme di tutela della fauna selvatica di competenza delle Regioni.
Su tali presupposti, le norme impugnate, le quali peraltro avrebbero valenza esclusivamente annuale, sostanziandosi in un contributo una tantum, non inciderebbero sul sistema delineato dalle singole Regioni, né invaderebbero le prerogative di queste ultime in ordine all’istituzione e gestione dei CRAS e neppure inciderebbero sulle risorse economiche destinate allo scopo.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rileva, inoltre, che il citato comma 757 si limiterebbe all’intervento di sostegno economico destinato alle associazioni ambientalistiche riconosciute ai sensi dell’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale). Dette associazioni svolgono, per statuto, l’attività di cura e tutela della fauna selvatica, e gestiscono, nell’ambito di tale attività, i centri istituiti ai sensi della citata legge n. 157 del 1992, con particolare riferimento alle specie faunistiche di interesse comunitario di cui alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, e alla direttiva 2009/147/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, concernente la conservazione degli uccelli. In altri termini, il contributo statale non sarebbe rivolto direttamente ai soggetti operanti nel sistema CRAS, ma si indirizzerebbe ad associazioni ambientalistiche riconosciute dal citato art. 13, e sarebbe, pertanto, erronea l’interpretazione regionale secondo cui il finanziamento sarebbe limitato ai soli centri di recupero gestiti dalle associazioni di protezione ambientale, a discapito degli altri centri. Il fondo, così istituito, e il relativo meccanismo di distribuzione delle relative risorse non creerebbero un disequilibrio all’interno delle reti di gestione CRAS, ma svolgerebbero, eventualmente e tutt’al più, una funzione suppletiva rispetto a quanto già previsto a livello regionale, andando così a rafforzare un settore in sofferenza a livello di spazi e strutture.
Alla luce di tali considerazioni, secondo l’Avvocatura generale, l’intervento economico previsto dal citato comma 757 non sarebbe da ritenersi lesivo dei principi di adeguatezza e sussidiarietà nell’esercizio delle funzioni amministrative correlate al soccorso della fauna selvatica, poiché non comporterebbe alcun impatto negativo sulla pianificazione venatoria e sulle modalità di esercizio della caccia; funzioni, queste ultime, di competenza regionale.
2.6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la non fondatezza anche della questione relativa all’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020. Riguardo a tale disposizione, la difesa statale pone in evidenza come il fondo dalla stessa istituito sia destinato a siti che ricadono nelle aree protette nazionali, nonché nei siti riconosciuti a livello internazionale dall’UNESCO, al fine di sostenere iniziative di educazione ambientale a favore dei comuni ricadenti in tali territori. Tali iniziative si inserirebbero quindi nel novero delle attività che gli enti gestori già promuovono nel proprio comprensorio, in base a finalità individuate dalla legislazione vigente, e in particolare dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aeree protette), o in base a strategie, programmi e piani che avrebbero accompagnato il riconoscimento internazionale dei siti UNESCO.
In altri termini, si tratterebbe di attività istituzionali destinate ad un «target predeterminato, quello dei più giovani», e slegate dalla programmazione ordinaria scolastica.
A tal riguardo, la difesa statale pone in evidenza che, come avrebbe ripetutamente statuito questa Corte (si citano le sentenze n. 315 e n. 193 del 2010, n. 44, n. 269 [recte: 263] e n. 325 del 2011, n. 14 del 2012, n. 212 del 2014 e n. 36 del 2017), la disciplina delle aree protette rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato, nella materia «tutela dell’ambiente», ed è contenuta nella legge n. 394 del 1991, che detterebbe anche i principi fondamentali della materia, ai quali la legislazione regionale sarebbe chiamata ad adeguarsi (si richiamano le sentenze n. 44 del 2011, n. 315 e n. 20 del 2010).
In definitiva, si tratterebbe – come avrebbe già chiarito questa Corte (si cita la sentenza n. 367 del 2007) – di interventi ascrivibili, in base al criterio della prevalenza, alla competenza dello Stato.
2.7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, deduce, da ultimo, la non fondatezza anche della questione relativa all’art. 1, comma 821, della legge n. 178 del 2020.
Innanzitutto, la difesa statale rileva che il fondo istituito dalla disposizione impugnata costituirebbe il seguito dell’accordo del 5 novembre 2020, raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni, al fine di realizzare il concorso statale all’onere sostenuto dalle Regioni per la concessione degli indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni.
Le doglianze della ricorrente, secondo la quale la disposizione impugnata – incidendo nella materia concorrente della tutela della salute – avrebbe dovuto prevedere lo strumento operativo dell’intesa, sarebbero non fondate, atteso che si tratta di intervento dello Stato a titolo di concorso. Non sarebbe, pertanto, necessaria l’acquisizione dell’intesa, risultando, invece, sufficiente che venga sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. La ripartizione del fondo avverrebbe, infatti, in proporzione al fabbisogno derivante dagli indennizzi corrisposti e, dunque, sulla base di criteri di carattere tecnico-matematico, i quali non implicherebbero l’esercizio di scelte tali da essere assoggettate ad una previa intesa.
3.– All’udienza pubblica del 22 marzo 2022, la difesa della Regione Campania ha depositato delibera della Giunta regionale del 21 marzo 2022, n. 130 di rinuncia parziale al ricorso, per quanto interessa in questa sede, limitatamente agli impugnati commi 511 e 821.
4.– L’Avvocatura generale dello Stato, previo consenso al deposito in udienza di tale atto, ha dichiarato di accettare la rinuncia al ricorso presentata dalla difesa regionale.
Considerato in diritto
1.– La Regione Campania, con ricorso notificato il 1° marzo 2021 e depositato il 4 marzo 2021 (reg. ric. n. 12 del 2021), ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 480, 500, 501, 511, 757, 758, 759 e 821, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), in riferimento, complessivamente, agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 118, 119 e 120 della Costituzione.
2.– Resta riservata a separate decisioni la definizione delle altre questioni promosse dalla Regione Campania con il medesimo ricorso.
3.– In via preliminare occorre rilevare che sulle questioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 511 e 821, della legge n. 178 del 2020 è intervenuta la rinuncia in udienza della Regione Campania, con accettazione da parte dell’Avvocatura generale dello Stato. Con riferimento alle citate disposizioni va dichiarata, pertanto, l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 23, vigente ratione temporis delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenze n. 199 e n. 63 del 2020; ordinanza n. 23 del 2020).
4.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, le rimanenti questioni sarebbero nel loro complesso inammissibili in quanto generiche ed indeterminate. La ricorrente si sarebbe limitata, infatti, a riportare le disposizioni impugnate, a traverso la loro mera trascrizione, e ad individuare apoditticamente gli ambiti materiali di competenza regionale ai quali le prime asseritamente afferirebbero, senza il corredo argomentativo necessario alla dimostrazione della violazione delle proprie competenze costituzionali. La Regione non avrebbe, poi, neppure dimostrato il concreto pregiudizio che il mancato coinvolgimento nella determinazione dei criteri e delle modalità di riparto del fondo provocherebbe alle proprie attribuzioni.
4.1.– Salvo che per la questione avente ad oggetto l’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020 (la quale, come si dirà, deve essere dichiarata inammissibile per difetto di motivazione delle censure), l’eccezione di inammissibilità deve essere respinta.
Il ricorso introduttivo del presente giudizio, se pure effettivamente caratterizzato da una marcata sinteticità dell’impianto argomentativo, presenta, comunque sia, i requisiti minimi di ammissibilità richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte. La ricorrente, infatti, ha individuato le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione e, seppur in modo succinto, ha esplicitato, in modo non meramente assertivo (sentenza n. 23 del 2022), le ragioni del contrasto delle singole norme impugnate con i parametri evocati, potendo così ritenersi raggiunta quella soglia minima di chiarezza e completezza atta a consentire l’esame nel merito delle censure (sentenza n. 195 del 2021).
5.– Prima di passare all’esame delle singole questioni, è opportuno ricordare come questa Corte abbia più volte affermato la necessità di applicare il principio di leale collaborazione nei casi in cui lo Stato preveda un finanziamento, con vincolo di destinazione, incidente su materie di competenza regionale (residuale o concorrente): ipotesi nella quale, ai fini della salvaguardia di tali competenze, la legge statale deve prevedere strumenti di coinvolgimento delle Regioni nella fase di attuazione della normativa, nella forma dell’intesa o del parere, in particolare quanto alla determinazione dei criteri e delle modalità del riparto delle risorse destinate agli enti territoriali.
La necessità di predisporre simili strumenti è stata affermata da questa Corte principalmente in due evenienze: in primo luogo, quando vi sia un intreccio (ovvero una interferenza o concorso) di competenze legislative, che non permetta di individuare un «ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri» (sentenza n. 71 del 2018; ex plurimis, sentenze n. 40 del 2022, n. 104 del 2021, n. 74 e n. 72 del 2019 e n. 185 del 2018); in secondo luogo, nei casi in cui la disciplina del finanziamento trovi giustificazione nella cosiddetta attrazione in sussidiarietà della stessa allo Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2022, n. 74 del 2019, n. 71 e n. 61 del 2018).
6.– Ciò premesso, la Regione impugna anzitutto l’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020, con il quale si prevede che «[c]on decreto del Ministro della salute sono stabiliti le modalità di accesso e i requisiti per l’erogazione delle risorse del fondo di cui al comma 479, anche al fine del rispetto del limite di spesa previsto dal medesimo comma».
Il citato comma 479 statuisce che «[a]l fine di garantire alle donne con carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce un trattamento personalizzato sulla base di informazioni genomiche, evitando il ricorso a trattamenti chemioterapici e l’aggravamento del rischio di contagio da COVID-19 per la riduzione delle difese immunitarie, a decorrere dall’anno 2021, nello stato di previsione del Ministero della salute, è istituito un fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro annui, destinato, nei limiti del medesimo stanziamento, al rimborso diretto, anche parziale, delle spese sostenute per l’acquisto da parte degli ospedali, sia pubblici sia privati convenzionati, di test genomici per il carcinoma mammario ormonoresponsivo in stadio precoce».
Secondo la ricorrente, l’impugnato art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020, violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., nella parte in cui non prevede alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione, in quanto il fondo istituito dal citato comma 479 afferirebbe alla materia «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente.
La questione è fondata.
6.1.– Come dichiarato espressamente dall’art. 1, comma 479, della legge n. 178 del 2020, lo stanziamento delle risorse dallo stesso previste persegue il fine di garantire alle donne, colpite dal carcinoma mammario in stadio precoce, un trattamento personalizzato sulla base di informazioni genomiche, che non comporti l’utilizzo di chemioterapie, evitando così anche l’aggravamento del rischio di contagio da COVID-19 per la riduzione delle difese immunitarie.
Le risorse di cui alla citata disposizione vengono stanziate per il rimborso diretto dei test prognostici multigenici o test genomici, ossia per dei particolari strumenti di valutazione prognostica del carcinoma mammario, volti ad individuare le pazienti cui non è possibile assicurare un significativo beneficio mediante l’utilizzo della chemioterapia adiuvante, evitando in tali ipotesi l’esposizione agli effetti tossici dei chemioterapici durante e dopo il trattamento.
In altri termini, tali test genomici sono strumenti volti a supportare il medico oncologo nella individuazione del piano di trattamento più appropriato per la singola paziente.
Seppur i test prognostici multigenici non siano inseriti nei livelli essenziali di assistenza, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), le previsioni di cui al citato comma 479 e quelle dell’impugnato comma 480, dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, che alle prime danno attuazione, sono espressione della competenza esclusiva statale in materia di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto volte a disciplinare la qualità e gli esiti delle cure oncologiche.
Le richiamate previsioni, tuttavia, indubbiamente afferiscono anche all’ambito materiale «tutela della salute», di competenza concorrente, poiché coinvolgono necessariamente profili che attengono alla concreta erogazione delle prestazioni in parola.
È, del resto, in tal senso significativa la posizione della difesa statale, la quale, nel tentare di giustificare la disposizione impugnata, afferma che le previsioni in essa contenute fisserebbero principi fondamentali della materia «tutela della salute».
L’assunto, di per sé non fondato – non potendo certo considerarsi alla stregua di un principio fondamentale la previsione concernente l’attuazione di uno specifico e determinato stanziamento di risorse – conferma tuttavia l’afferenza della norma impugnata all’ambito materiale di competenza concorrente.
Ricorre, pertanto, quella situazione di concorso di competenze, nessuna delle quali può considerarsi prevalente, che, alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale, rende applicabile il principio di leale collaborazione.
Del resto, come ha avuto modo di chiarire questa Corte nella recente sentenza n. 40 del 2022, accogliendo analoga questione sullo stanziamento di risorse per il potenziamento dei test di Next-Generation Sequencing di profilazione genomica dei tumori, l’incremento delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, anche quando detto incremento attiene al riparto delle disponibilità finanziarie necessarie ad assicurare livelli essenziali di assistenza, «non può prescindere dal coinvolgimento delle Regioni, alle quali compete la programmazione e l’organizzazione dei servizi sanitari sul territorio, fino alla concreta erogazione delle prestazioni», poiché è solo per il tramite della «leale collaborazione orientata al bene comune che il modello pluralistico riconosciuto dalla Costituzione può […] svilupparsi, “in una prospettiva generativa” (sentenza n. 168 del 2021), verso la migliore tutela del diritto alla salute».
6.2.– L’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020, poiché rimette esclusivamente al decreto ministeriale le modalità di attuazione del comma 479 dell’art. 1 della medesima legge, viola il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., nonché gli altri parametri evocati dalla ricorrente, che tutelano le competenze regionali nella materia in esame.
Alla luce delle considerazioni svolte, va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 480, della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministero della salute sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
6.3.– La natura delle prestazioni contemplate dalla norma censurata, il loro rilievo in termini di adeguatezza del trattamento, e, quindi, la rilevanza per il diritto alla salute delle pazienti colpite da carcinoma mammario, impongono che sia garantita la continuità nella erogazione delle risorse finanziarie (disposta dal decreto del Ministro della salute 18 maggio 2021, recante «Modalità di riparto e requisiti di utilizzo del fondo per i test genomici ormonoresponsivo per il carcinoma mammario in stadio precoce»), dovendo di conseguenza rimanere «“salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti”» (sentenze n. 71 del 2018 e n. 50 del 2008; nello stesso senso, fra le altre, sentenze n. 246 del 2019 e n. 74 del 2018).
7.– Vengono dalla Regione impugnati anche i commi 500 e 501 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020, i quali danno attuazione al comma 499 dell’art. 1 della medesima legge. Tale ultima disposizione prevede che, per le finalità di cui alla legge 10 febbraio 2020, n. 10 (Norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica), «è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023».
Le disposizioni impugnate prevedono che «[i]l Ministro della salute, con proprio decreto da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, individua i centri di riferimento e le modalità di svolgimento della formazione e della simulazione sui cadaveri» (comma 500); e che «[i]l Ministro della salute, con proprio decreto da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse di cui al comma 499 anche al fine di individuare le specifiche attività oggetto di finanziamento» (comma 501).
A parere della ricorrente, tali disposizioni, omettendo di assicurare il coinvolgimento delle Regioni, sia nell’individuazione dei centri di riferimento, già previsti dalla legge n. 10 del 2020, sia nella definizione delle modalità e dei criteri di riparto delle risorse espressamente demandati al decreto del Ministro della salute, si porrebbero in contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., nella parte in cui non prevedono alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione, in quanto il fondo suddetto afferirebbe alla materia «tutela della salute» di competenza legislativa concorrente.
Le questioni sono fondate.
7.1.– La legge n. 10 del 2020 all’art. 1 definisce il proprio oggetto, specificando che essa «detta norme in materia di disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem a fini di studio, di formazione e di ricerca scientifica da parte di soggetti che hanno espresso in vita il loro consenso».
Ai fini del presente giudizio meritano di essere ricordati anche alcuni dei contenuti dell’art. 4 della citata legge, recante disposizioni sui «[c]entri di riferimento».
Tale articolo, al comma 1, prevede che «il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua le strutture universitarie, le aziende ospedaliere di alta specialità e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) da utilizzare quali centri di riferimento per la conservazione e l’utilizzazione dei corpi dei defunti ai fini di cui alla presente legge».
L’art. 8 della legge n. 10 del 2020, recante la rubrica «[r]egolamento di attuazione», prevede, poi, che, «su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» venga adottato un regolamento, «ai sensi dell’art. 17, comma 1, lettera b), della legge n. 400 del 1988», con il quale – per ciò che rileva ai presenti fini – si provvede a: «a) stabilire le modalità e i tempi, comunque non superiori a dodici mesi, per la conservazione, per la richiesta, per il trasporto, per l’utilizzo e per la restituzione del corpo del defunto in condizioni dignitose alla famiglia da parte dei centri di riferimento di cui all’articolo 4, prevedendo che si possa procedere alla sepoltura dei corpi dei defunti per cui la famiglia di appartenenza non richiede la restituzione, nonché le modalità per le comunicazioni tra l’ufficiale dello stato civile e i centri di riferimento»; «b) indicare le cause di esclusione dell’utilizzo dei corpi dei defunti ai fini di cui alla presente legge».
Dal raffronto tra le disposizioni ora richiamate e l’art. 1, comma 500, della legge n. 178 del 2020, risulta chiaramente che – come posto in evidenza dalla ricorrente – quest’ultimo reca una previsione distonica rispetto a quelle degli artt. 4, comma 1, e 8 della legge n. 10 del 2020, superando il procedimento di concertazione da esse prefigurato.
7.2.– La disciplina sulla disposizione del proprio corpo e dei tessuti post mortem, dettata dalla legge n. 10 del 2020 e, di conseguenza, gli impugnati commi 500 e 501, che ne costituiscono attuazione, devono essere ricondotti, in ragione del loro oggetto, innanzitutto, alla competenza esclusiva statale nella materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) (sentenze n. 262 del 2016 e n. 253 del 2006). La disciplina in parola afferisce, peraltro, anche alla materia, di competenza concorrente, «tutela della salute», non solo perché l’attività di ricerca sui cadaveri e sui relativi tessuti è finalisticamente orientata al miglioramento delle pratiche mediche, ma anche perché si prevede il coinvolgimento di strutture ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, incidendo in tal modo su aspetti inerenti all’organizzazione del sistema sanitario.
Le previsioni di cui alla legge n. 10 del 2020, in forza degli obiettivi espressamente richiamati dal citato art. 1, e quelle degli impugnati commi 500 e 501 della legge n. 178 del 2020, afferiscono altresì agli ambiti di competenza concorrente della ricerca scientifica e della formazione professionale degli operatori sanitari.
L’intreccio di competenze, proprio della disciplina in esame, non può essere composto facendo ricorso al criterio della prevalenza, poiché nessuno di tali ambiti, né dal punto di vista qualitativo, né da quello quantitativo, manifesta un rilievo prevalente sugli altri (in senso analogo sentenza n. 72 del 2019).
Versandosi, pertanto, in un caso di inscindibile sovrapposizione o intreccio di competenze, è fondata la richiesta della ricorrente di un coinvolgimento regionale tramite l’intesa, nell’adozione dei decreti ministeriali previsti dagli impugnati commi 500 e 501.
Coinvolgimento che, non a caso, era previsto dai richiamati artt. 4, comma 1, e 8 della legge n. 10 del 2020 e che le impugnate disposizioni hanno inteso superare.
7.3.– I commi 500 e 501 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 devono essere, pertanto, dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono che il decreto del Ministero della salute sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
8.– L’impugnazione regionale verte anche sui commi 757 e 758 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020.
Il comma 757 istituisce, nello stato di previsione del Ministero della transizione ecologica, il Fondo per il recupero della fauna selvatica, con una dotazione di 1 milione di euro per l’anno 2021.
Come si legge nella stessa disposizione, «[i]l Fondo è destinato al fine di sostenere l’attività di tutela e cura della fauna selvatica svolta dalle associazioni ambientaliste riconosciute ai sensi dell’articolo 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349, il cui statuto preveda finalità di tutela e cura della fauna selvatica e che gestiscano centri per la cura e il recupero della fauna selvatica ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, con particolare riferimento alle specie faunistiche di interesse comunitario di cui alle direttive 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, e 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministro della salute, sono definite le modalità di utilizzo del Fondo di cui al presente comma».
Il comma 758, dal suo canto, dispone che «[e]ntro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare l’elenco dei centri per il recupero della fauna selvatica operanti nel rispettivo territorio e afferenti alle associazioni di cui al comma 757».
Le associazioni contemplate dalle disposizioni impugnate, mediante il richiamo all’art. 13 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale), sono quelle «a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni […] individuate con decreto del Ministro dell’ambiente [ora Ministero della Transizione ecologica] sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell’azione e della sua rilevanza esterna».
8.1.– Le doglianze regionali muovono dal presupposto che le disposizioni impugnate afferiscano, tanto alla materia «tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di esclusiva competenza statale, quanto alla disciplina del prelievo venatorio, riconducibile, ai sensi del quarto comma della citata disposizione costituzionale, alla materia «caccia», di competenza residuale delle Regioni.
Su tali basi, a parere della ricorrente, le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto: con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, limitando il finanziamento ai soli centri di recupero gestiti dalle associazioni di protezione ambientale, riconosciute a norma dell’art. 13 della legge n. 349 del 1986, determinerebbero una irragionevole disparità di trattamento, incidente, altresì, sul buon andamento e sul corretto funzionamento dell’amministrazione regionale; con l’art. 118 Cost., in quanto il meccanismo di finanziamento non risulterebbe omogeneo rispetto alle stesse funzioni amministrative che lo Stato avrebbe inteso conferire alle Regioni; con gli artt. 118, 119 e 120 Cost., poiché, nell’istituire il suddetto fondo, non è stata prevista alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria a causa dell’intreccio tra le competenze statali in materia di tutela dell’ambiente e quelle regionali in materia di caccia.
Diversamente dalle questioni precedentemente esaminate, la Regione Campania, nel censurare i richiamati commi 757 e 758, denuncia, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’istituzione in sé del fondo e non solo del mancato coinvolgimento regionale nella determinazione dei criteri e delle modalità di riparto del medesimo.
Le questioni non sono fondate.
8.2.– Contrariamente a quanto assume la ricorrente, i commi 757 e 758 dell’art. 1 della legge n. 178 del 2020 non possono essere ricondotti anche alla competenza legislativa regionale in materia di caccia.
Le disposizioni impugnate, destinando risorse alla tutela, alla cura e al recupero della fauna selvatica, perseguono evidentemente e in modo esclusivo finalità di tutela ambientale, ricadendo così inequivocabilmente nell’ambito della materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
8.3.– Al riguardo, non può essere accolta la tesi della difesa regionale, in base alla quale le previsioni contestate afferirebbero, comunque sia, anche alla richiamata competenza regionale in materia di caccia, in quanto la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) avrebbe demandato alle Regioni la disciplina sul recupero degli animali selvatici. Nella valutazione della conformità a Costituzione dell’istituzione di un fondo a destinazione vincolata è, infatti, dirimente la titolarità della competenza costituzionale nel cui ambito materiale le previsioni possono, anche se solo in modo prevalente, essere ricondotte. E, come si è detto, le norme impugnate rientrano a pieno titolo nella competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente. L’istituzione di detto fondo, concretizzandosi nel sostegno delle associazioni operanti nel sistema del recupero degli animali selvatici, non interferisce, d’altro canto, in alcun modo con l’esercizio della potestà normativa che lo Stato, a traverso gli artt. 1, comma 3, e 4, comma 6, della legge n. 157 del 1992, ha inteso demandare alle Regioni.
8.4.– In definitiva, l’erroneità del presupposto interpretativo, da cui muove la ricorrente, rende non fondate tutte le questioni di legittimità costituzionale, promosse in riferimento agli artt. 3, 97, 118, 119 e 120 Cost.
9.– La ricorrente impugna, da ultimo, anche l’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020, il quale prevede che «[a]l fine di realizzare progetti pilota di educazione ambientale destinati a studenti degli istituti comprensivi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado, site nei comuni che ricadono nelle zone economiche ambientali di cui all’articolo 4-ter del decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 dicembre 2019, n. 141, nelle riserve MAB-UNESCO e nei siti naturalistici dichiarati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, un fondo con una dotazione di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti i criteri e le modalità di riparto del fondo di cui al periodo precedente. Alle attività previste dal presente comma, comprese quelle che coinvolgono i docenti scolastici, si provvede nel limite delle risorse del fondo di cui al primo periodo, oltre che nei limiti delle disponibilità del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa dell’istituzione scolastica interessata».
Secondo la difesa regionale tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., poiché, intervenendo nella materia «istruzione», di competenza legislativa concorrente, non prevede alcuna forma di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali, necessaria in forza del principio di leale collaborazione.
9.1.– La questione è inammissibile, poiché la ricorrente non ha adeguatamente motivato le ragioni del contrasto della norma censurata con gli evocati parametri costituzionali.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, dal tenore letterale della disposizione impugnata non emerge affatto, in modo chiaro e di immediata evidenza, il collegamento con la materia «istruzione», e, pertanto, tale collegamento avrebbe dovuto essere specificamente dimostrato nel ricorso. Non risulta, in particolare, chiaro e, comunque sia, non è spiegato il nesso tra il comma 759 e la programmazione ordinaria scolastica, non potendo tale nesso esser fatto discendere dalla semplice circostanza che i progetti finanziati dalla disposizione impugnata siano rivolti agli studenti delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado.
9.2.– La questione avente ad oggetto l’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020 deve essere pertanto dichiarata inammissibile.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell’art. 1, comma 480, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023), nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministero della salute sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 500 e 501, della legge n. 178 del 2020, nella parte in cui non prevedono che il decreto del Ministero della salute sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 759, della legge n. 178 del 2020, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118, 119 e 120 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 757 e 758, della legge n. 178 del 2020, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 511 e 821, della legge n. 178 del 2020, promosse dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2022.
F.to:
Giuliano AMATO, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2022.