Sentenza n. 104 del 2021

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SENTENZA N. 104

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10, commi 1 e 2, e 18, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, promossi dalla Regione Umbria e dalla Regione Toscana con ricorsi notificati il 22-27 agosto e il 23-28 agosto 2019, depositati in cancelleria il 23 agosto e il 30 agosto 2019, iscritti, rispettivamente ai numeri 92 e 94 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 41 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 27 aprile 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione Umbria in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 16 marzo 2021;

deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 23 agosto 2019 (reg. ric. n. 92 del 2019), la Regione Umbria ha impugnato gli artt. 10, commi 1 e 2, e 18, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58.

1.1.– La prima disposizione impugnata, di cui all’art. 10, commi 1 e 2, modifica la disciplina degli incentivi per la realizzazione degli interventi per le costruzioni con ridotto impatto ambientale e con maggiore sicurezza riguardo agli eventi sismici, rispettivamente prevista dagli artt. 14 e 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 (Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale), convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2013, n. 90.

Essa introduce la possibilità, per il soggetto che effettua opere di efficientamento energetico o di riduzione del rischio sismico, di optare, in sostituzione della detraibilità fiscale, per uno sconto immediato praticato dall’esecutore delle opere, il quale potrà beneficiare a sua volta di un credito di imposta da ripartire in 5 quote annuali di pari valore, con possibilità di cessione del credito stesso ai propri fornitori. Sono vietate ulteriori trasmissioni delle quote, così come la cessione a istituti di credito e a intermediari finanziari.

È denunciata la violazione dell’art. 3 della Costituzione, sia per la ingiustificata discriminazione in danno delle piccole e medie imprese, che non avrebbero una «capacità fiscale» tale da poter utilizzare in compensazione la cessione dell’incentivo da parte di chi appalta le opere, sia per contrasto con il principio di ragionevolezza, perché sarebbe ostacolata la realizzazione dell’obiettivo di massima diffusione dell’incentivo.

La disposizione impugnata violerebbe anche l’art. 41 Cost. e il principio di libertà d’impresa economica privata, in quanto l’incentivo, così come disciplinato, sarebbe limitato alle sole imprese di maggiori dimensioni, e l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, che sancisce il principio per cui le politiche di regolamentazione dei mercati devono garantire un livello elevato di protezione dei consumatori.

È infine denunciata la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. – che riconosce alle Regioni competenze nelle materie «protezione civile», «governo del territorio» e «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» – nonché dell’art. 117, quarto comma, Cost., che riconosce le competenze regionali nelle materie «incentivi e aiuti alle imprese» e «artigianato e industria».

1.1.1.– Ad avviso della Regione ricorrente, l’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019 non potrebbe essere ascritto esclusivamente alle materie di competenza esclusiva «tutela della concorrenza», «sistema tributario dello Stato» o «tutela dell’ambiente». Sarebbero, infatti, coinvolte plurime competenze regionali, quali «protezione civile», «governo del territorio» e «sostegno all’innovazione per i settori produttivi», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., nonché «incentivi e aiuti alle imprese» e «artigianato e industria», di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. La norma impugnata violerebbe le competenze regionali in queste materie, sia perché essa contiene norme di estremo dettaglio in materie di competenza concorrente, in cui la legge statale dovrebbe limitarsi a dettare i princìpi fondamentali, sia perché non riconosce alcuna attribuzione regionale, nemmeno nelle materie di competenza regionale residuale.

1.1.2.– La Regione Umbria ritiene, inoltre, che le agevolazioni fiscali previste dalla disposizione impugnata siano di fatto utilizzabili solo dalle imprese di grandi dimensioni, poiché – come segnalato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione – solo queste sarebbero in grado di compensare i relativi crediti d’imposta in ragione del volume dei propri debiti fiscali. Ciò determinerebbe una ingiustificata discriminazione in danno delle piccole e medie imprese, in violazione del principio di eguaglianza. Inoltre, sarebbe ostacolata la realizzazione dell’obiettivo di massima diffusione dell’incentivo, in contrasto con il principio di ragionevolezza.

1.1.3.– Sarebbe violato anche l’art. 41 Cost., che, nel sancire la libertà d’impresa economica privata, esprime il principio della parità di trattamento delle imprese concorrenti in un dato settore. Nel caso di specie, l’incentivo sarebbe limitato alle imprese maggiori, senza che questa limitazione sia funzionale a un interesse sociale rilevante.

1.1.4.– Inoltre, la limitazione delle imprese che possono avvantaggiarsi dell’incentivo determinerebbe una riduzione della concorrenza e ciò si risolverebbe in un pregiudizio per il consumatore, per la minore possibilità di scelta dell’operatore che offre condizioni più vantaggiose. Pertanto, la disposizione impugnata contrasterebbe anche con l’art. 117, primo comma, Cost., per violazione del principio fissato dall’art. 169 TFUE, che sancisce il principio per cui le politiche di regolamentazione dei mercati devono garantire un livello elevato di protezione dei consumatori.

1.1.5.– In data 11 novembre 2020 la difesa della Regione Umbria ha depositato dichiarazione di rinuncia parziale al ricorso, relativamente all’impugnazione dell’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019 e ha chiesto che – anche in difetto di accettazione della stessa rinuncia da parte del resistente, non costituito in giudizio – sia dichiarata la cessazione della materia del contendere, limitatamente all’impugnazione di tale disposizione.

1.2.– È impugnato, inoltre, l’art. 18, commi 1 e 2, dello stesso d.l. n. 34 del 2019. Il primo comma di questa disposizione – rubricata «Norme in materia di semplificazione per la gestione del Fondo di garanzia per le PMI» – elimina la previsione dell’art. 18, comma 1, lettera r), secondo periodo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quest’ultima disposizione affidava alla Conferenza unificata il potere di individuare, «tenuto conto dell’esistenza di fondi regionali di garanzia, le regioni sul cui territorio il fondo limita il proprio intervento alla controgaranzia dei predetti fondi regionali e dei consorzi di garanzia collettiva fidi […]».

Il comma 2 dell’art. 18 stabilisce, d’altra parte, il termine di efficacia della limitazione dell’intervento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (d’ora in avanti, il Fondo statale), laddove sia già disposta.

Ad avviso della Regione Umbria, queste disposizioni si porrebbero in contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., per l’illegittima eliminazione del momento procedimentale di confronto tra Stato e Regioni nella gestione delle attività del Fondo statale.

È denunciato, altresì il contrasto delle disposizioni impugnate con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto sarebbero violate le attribuzioni regionali nelle materie di competenza concorrente «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» e nella materia di competenza residuale «incentivi e aiuti alle imprese».

1.2.1.– Osserva la difesa regionale che il sistema dei consorzi di garanzia collettiva fidi (cosiddetti confidi) agevola l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese (PMI). La disciplina in esame dovrebbe ascriversi, dunque, alle materie di competenza regionale “incentivi e aiuti alle imprese” e “sostegno all’innovazione per i settori produttivi” (sono richiamate in particolare le sentenze n. 68 del 2017, n. 77 del 2005 e n. 14 del 2004).

La parte ricorrente ritiene che la gestione del Fondo statale di garanzia, regolata dall’art. 2, comma 100, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), rappresenti una chiamata in sussidiarietà di una funzione pubblica di spettanza regionale, ai sensi dell’art. 119 Cost. Questa è consentita quando l’allocazione della funzione pubblica a livello centrale costituisce imprescindibile attuazione dei princìpi di adeguatezza e differenziazione nello svolgimento delle funzioni pubbliche. Ciò impone al legislatore statale di predisporre adeguati meccanismi di partecipazione delle Regioni all’esercizio delle funzioni pubbliche accentrate, al fine di evitare l’integrale soppressione delle attribuzioni regionali. Nel caso in esame, l’intervento della Conferenza unificata rappresentava lo strumento per coinvolgere le Regioni e garantirne le attribuzioni.

Con la soppressione di questo momento procedimentale di confronto tra Stato e Regioni, sarebbero violati i princìpi di sussidiarietà e leale collaborazione, di cui agli artt. 117 e 119 Cost. Sarebbe, inoltre, violato l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., per la compressione delle attribuzioni regionali nella materia di competenza concorrente «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» e nella materia di competenza residuale «incentivi e aiuti alle imprese».

Attraverso l’intervento della Conferenza unificata, era riconosciuta una modalità di compartecipazione delle Regioni a un procedimento connesso alla gestione del Fondo statale e incidente sulle loro attribuzioni costituzionali. Oltre ad assicurare l’efficiente coordinamento degli strumenti di accesso al credito a livello nazionale e territoriale, questo meccanismo avrebbe permesso alle Regioni di pianificare in modo razionale l’esercizio delle proprie competenze in materia di «incentivi e aiuti alle imprese», perseguendo politiche pubbliche più adeguate.

D’altra parte, con specifico riguardo agli incentivi alle imprese, neppure l’esigenza dell’uniforme tutela della concorrenza sul territorio nazionale potrebbe giustificare la completa estromissione delle Regioni in questa materia.

Al solo scopo di realizzare un accentramento decisionale, la disposizione impugnata avrebbe irragionevolmente irrigidito la gestione del Fondo statale e avrebbe, inoltre, invaso la sfera di competenza regionale. Oltre a violare il principio di leale collaborazione, sarebbero state illogicamente parificate situazioni regionali del tutto diverse. Infatti, al dichiarato scopo di prevenire ipotetici abusi da parte di alcune Regioni, il legislatore statale avrebbe soppresso la partecipazione delle autonomie regionali, finendo per colpire e danneggiare anche quelle virtuose.

La Regione Umbria ritiene, dunque, che la disposizione impugnata contrasti con gli artt. 117 e 119 Cost., poiché essa avrebbe eliminato qualsiasi forma di coinvolgimento regionale nella gestione degli incentivi alle imprese e nei processi decisionali che incidono sull’esercizio delle competenze costituzionali delle Regioni.

Si evidenzia, inoltre, che la Commissione bicamerale per le questioni regionali, nel parere reso sul disegno di legge di conversione del d.l. n. 34 del 2019, aveva ritenuto opportuno «un approfondimento al fine di individuare modalità alternative a quella della disposizione abrogata per garantire forme di coinvolgimento del sistema delle autonomie territoriali nella gestione del fondo».

1.2.2.– La difesa regionale deduce, infine, che il successivo art. 13, comma 3, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), convertito con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40, non sarebbe satisfattivo dell’interesse regionale fatto valere con il ricorso, poiché si limiterebbe ad anticipare – dal 31 dicembre 2020 al 10 aprile 2020 – il termine della limitazione dell’intervento del Fondo statale. La questione dovrebbe, quindi, ritenersi «trasferita» sulla nuova disposizione.

1.2.3.– Nelle memorie depositate il 27 ottobre 2020 ed il 6 aprile 2021, la difesa regionale ha ribadito gli argomenti già illustrati nei propri atti e ha insistito nell’accoglimento delle conclusioni ivi formulate.

1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non si è costituito nel giudizio promosso dalla Regione Umbria e non ha svolto alcuna attività difensiva.

2.− Con ricorso depositato il 30 agosto 2019, anche la Regione Toscana ha impugnato, in primo luogo, l’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019, in relazione all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. e al principio di leale collaborazione.

2.1.– La parte ricorrente ritiene che la disposizione in esame, nel favorire i soli operatori economici di grandi dimensioni, che possono avere la liquidità necessaria per applicare lo sconto ivi previsto, restringa la concorrenza nell’offerta dei servizi di riqualificazione energetica e dei lavori antisismici e danneggi così le piccole e medie imprese. Limitando la fruibilità dei benefici alle sole imprese di grandi dimensioni, l’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019 interferirebbe con le materie affidate dall’art. 117, quarto comma, Cost. alla potestà residuale delle Regioni, con particolare riferimento all’industria, alle attività produttive, all’artigianato e alla promozione del sistema produttivo regionale.

2.1.1.– In secondo luogo, la Regione Toscana impugna l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, facendo rilevare di avere richiesto, sin dal 2002, la limitazione dell’intervento del Fondo statale alla sola prestazione di controgaranzia. La richiesta è stata accolta dalla Conferenza unificata e, pertanto, nella Regione Toscana il Fondo statale ha operato solo nella forma della controgaranzia.

La ricorrente ritiene che l’abrogazione del suindicato secondo periodo della lettera r) dell’art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998 si rifletta negativamente sull’attività dei confidi e sul tessuto regionale delle PMI. Infatti, grazie al loro legame diretto e profondo con il tessuto imprenditoriale, i confidi hanno svolto una vera e propria funzione sociale, contribuendo allo sviluppo economico e sociale del territorio, a supporto di tutte le PMI.

La Regione Toscana riferisce che, dai dati sulle operazioni che i confidi presentano con la controgaranzia del Fondo statale, risulterebbe che l’onere di copertura sostenuto dallo Stato per queste operazioni è del 45 per cento, rispetto al 72 per cento di quelle realizzate con la garanzia diretta. Inoltre, attraverso l’attività dei confidi, l’effetto leva finanziaria delle risorse pubbliche sarebbe superiore rispetto a quello delle banche del 70 per cento. A parità di risorse messe a disposizione, per le PMI sarebbe, dunque, molto più efficiente l’accesso al credito tramite i confidi, rispetto all’intervento diretto da parte delle banche.

Ad avviso della ricorrente, la soppressione di uno strumento che il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva riconosciuto alle Regioni – e che era vitale per lo sviluppo del sistema produttivo regionale – lederebbe le competenze regionali in materia di industria, attività produttive, sviluppo economico, accesso al credito e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, materie tutte riconducibili alle competenze concorrenti e residuali delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

2.1.2.– D’altra parte, ad avviso della Regione Toscana, sarebbero pretestuose ed infondate le argomentazioni con cui è stata motivata la scelta normativa in esame.

In particolare, il meccanismo di cui alla richiamata lettera r) non sarebbe stato affatto utilizzato al fine di sostenere i confidi in difficoltà, assicurando loro una sorta di monopolio nell’accesso alla garanzia del Fondo. Al contrario, grazie a questo meccanismo, nella Regione Toscana si sarebbe consolidato un sistema che ha consentito negli anni di attivare un numero di operazioni di controgaranzia proporzionalmente superiore alla quota storica di risorse attribuite nell’ambito del decentramento, ai sensi del d.lgs. n. 112 del 1998.

La Regione Toscana contesta, inoltre, l’affermazione secondo la quale, nelle Regioni che hanno fatto ricorso alla lettera r), si sarebbe osservato un calo dell’operatività del Fondo statale. La diversità dei sistemi produttivi e dei mercati locali del credito si riflette nella diversità di funzionamento del Fondo statale. Né, d’altra parte, nelle Regioni in cui non è stata data applicazione all’art. 18, comma 1, lettera r), secondo periodo, del decreto n. 112 del 1998, le imprese avrebbero avuto maggiore facilità di accesso al credito grazie al Fondo statale.

La scelta introdotta dalla norma impugnata determinerebbe un’opzione privilegiata a favore del Fondo statale, che è il solo a potere offrire una garanzia illimitata a valere sul bilancio dello Stato, a differenza di qualsiasi operatore privato o fondo di garanzia regionale. Questa situazione dovrebbe indurre il Fondo statale a operare come garante di ultima istanza, favorendo sistemi di garanzia territoriali o settoriali, di carattere privato o mutualistico.

La difesa della parte ricorrente evidenzia, inoltre, che l’eventuale incremento dell’operatività del Fondo statale nelle Regioni che avevano aderito alla limitazione di cui all’art. 18, comma 1, lettera r), secondo periodo, del d.lgs. n. 112 del 1998, avverrà nell’ambito della medesima dotazione finanziaria del Fondo stesso. Pertanto, – a parità di domanda di garanzia – non si produrrebbe alcun beneficio, ma solo lo spostamento a favore del Fondo statale di operazioni che prima transitavano attraverso i confidi o i fondi regionali.

2.1.3.– Infine, posto che l’abrogazione dell’art. 18, comma 1, lettera r), secondo periodo, del d.lgs. n. 112 del 1998 incide su molteplici competenze regionali, essa avrebbe dovuto essere disposta nel rispetto del principio di leale collaborazione, che guida i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie. Viceversa, la disposizione impugnata è stata emanata in assenza di alcuna intesa con le Regioni.

2.2.– Con atto depositato il 7 ottobre 2019, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni promosse con il ricorso della Regione Toscana siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

2.2.1.– Con riferimento all’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019, la difesa statale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, poiché le censure di parte ricorrente relative alla violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost. sarebbero sfornite di idonee argomentazioni.

Il ricorso non fornirebbe alcuna dimostrazione in ordine al pregiudizio per gli artigiani e per le piccole e medie imprese, né circa il nocumento che deriverebbe alla Regione dalla disposizione impugnata. In definitiva, la lamentata restrizione della concorrenza si baserebbe su elementi meramente indiziari e controvertibili, in contrasto con l’onere del ricorrente di definire il petitum e di indicare gli argomenti necessari a sorreggerlo.

2.2.1.1.– Nel merito, le disposizioni impugnate costituirebbero legittimo esercizio della competenza statale esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Non vi sarebbe, quindi, alcuna invasione di ambiti di competenza regionale, poiché spetta unicamente al legislatore statale disciplinare in modo uniforme la materia delle detrazioni fiscali. Né, d’altra parte, sarebbe possibile evocare concorrenti competenze regionali connesse alla realtà produttiva locale poiché, sia il mercato dell’efficienza energetica, sia quello della riqualificazione sismica, hanno rilievo nazionale.

L’Avvocatura generale dello Stato sottolinea, inoltre, che la disciplina delle agevolazioni fiscali o dei benefici tributari costituisce esercizio di un potere ampiamente discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua palese arbitrarietà o irrazionalità (sono richiamate le sentenze n. 17 del 2018, n. 117 del 2017 e l’ordinanza n. 46 del 2009).

D’altra parte, gli interventi “promozionali”, come quello in esame, intersecano, sotto vari profili, la materia della tutela della concorrenza e rientrano anche per questo aspetto nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. L’impatto complessivo di queste misure incide, infine, sul sistema economico generale, determinandone un assetto equilibrato, e non lede l’autonomia finanziaria della Regione.

2.2.2.– La difesa statale ritiene, altresì, non fondate le censure relative all’art. 18, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019.

Con l’intervento normativo in esame il legislatore statale ha disciplinato l’operatività di un fondo costituito con risorse proprie, senza disconoscere alle Regioni la possibilità di effettuare interventi finanziari aggiuntivi a sostegno delle imprese operanti nel loro territorio. L’intervento in esame sarebbe volto a realizzare obiettivi di politica economica che coinvolgono aspetti riconducibili ai rapporti con l’Unione europea ed alla materia della concorrenza, riservata alla potestà legislativa statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Ciò non pregiudicherebbe, peraltro, la potestà regionale di assumere iniziative di carattere finanziario a sostegno dell’imprenditoria presente sul proprio territorio.

L’Avvocatura generale dello Stato osserva, d’altra parte, che l’efficacia della disposizione impugnata non potrebbe essere limitata alla realtà produttiva regionale, in quanto la previsione di interventi promozionali rientra nella tutela della concorrenza e l’intervento legislativo statale è legittimato dalla finalità di incidere sull’equilibrio economico generale (al riguardo, sono richiamate le sentenze n. 83 del 2018; n. 63 del 2008 e n. 14 del 2004).

Infine, non sarebbe riscontrabile la violazione del principio di leale collaborazione, che verrebbe in rilievo soltanto in caso di concorrenza di competenze e non in caso di competenze distinte, come in quello in esame (è richiamata la sentenza n. 251 del 2016).

2.3.– Il 14 ottobre 2020, la Regione Toscana ha depositato un’istanza di rinvio dell’udienza pubblica per la discussione del ricorso, al fine di permettere alla nuova Giunta regionale, nominata dal nuovo Presidente, eletto a seguito delle elezioni amministrative regionali del 20 – 21 settembre 2020, di valutare la permanenza dell’interesse a coltivare il ricorso.

In data 8 gennaio 2021, la Regione Toscana ha depositato la dichiarazione di rinuncia parziale al ricorso, limitatamente all’impugnazione dell’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019.

Il 18 febbraio 2021 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato la dichiarazione di accettazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, della rinuncia parziale al ricorso promosso dalla Regione Toscana.

2.4.– Nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, le parti hanno ribadito le argomentazioni già illustrate nei propri scritti difensivi e hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni ivi rispettivamente formulate.

Considerato in diritto

1.– La Regione Umbria e la Regione Toscana (reg. ric. n. 92 e n. 94 del 2019) hanno impugnato, in primo luogo, l’art. 10, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, in riferimento agli artt. 3, 41, 117, primo comma, quest’ultimo in relazione all’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, nonché in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.

È altresì impugnato l’art. 18, commi 1 e 2, del medesimo d.l. n. 34 del 2019, come convertito, per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 119 Cost. e del principio di leale collaborazione.

2.– I ricorsi sollevano analoghe questioni, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– Nelle more del giudizio, entrambe le Regioni ricorrenti hanno dichiarato di rinunciare all’impugnazione dell’art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019.

Con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Umbria, in mancanza di costituzione in giudizio della parte resistente, l’intervenuta rinuncia al ricorso in via principale determina l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 23 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Anche la Regione Toscana ha dichiarato di rinunciare al ricorso, limitatamente all’impugnazione del medesimo art. 10, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019. La rinuncia è stata accettata dal Presidente del Consiglio dei ministri e, di conseguenza, il processo va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019 non sono fondate.

4.1.– Il comma 1 di questa disposizione – rubricata «Norme in materia di semplificazione per la gestione del Fondo di garanzia per le PMI» – elimina la previsione dell’art. 18, comma 1, lettera r), secondo periodo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

Con essa era affidata alla Conferenza unificata il potere di individuare, «tenuto conto dell’esistenza di fondi regionali di garanzia, le regioni sul cui territorio il fondo limita il proprio intervento alla controgaranzia dei predetti fondi regionali e dei consorzi di garanzia collettiva fidi […]».

Il comma 2 dell’art. 18, impugnato dalla sola Regione Umbria, stabilisce il termine di efficacia della limitazione dell’intervento del predetto Fondo di garanzia nelle Regioni sul cui territorio essa è già disposta.

Le parti ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 119 e 117, terzo e quarto comma, Cost., e del principio di leale collaborazione, per l’illegittima eliminazione del momento procedimentale di confronto tra Stato e Regioni nella gestione delle attività del fondo di garanzia per le PMI. È inoltre denunciata la violazione delle attribuzioni regionali nella materia di competenza concorrente «sostegno all’innovazione per i settori produttivi» e in quella di competenza residuale «incentivi e aiuti alle imprese».

4.2.– Nella individuazione degli ambiti cui afferiscono le disposizioni impugnate occorre rilevare, in via preliminare, che le stesse attengono ad una pluralità di materie rispetto alle quali variamente si atteggia la competenza legislativa dello Stato e delle Regioni.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’individuazione della materia, si deve tener conto dell’oggetto, della ratio e della finalità della disciplina in questione, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2020, n. 116 del 2019, n. 108 del 2017, n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015).

Nel caso in esame, è impugnata la disposizione che abolisce la possibilità per la Conferenza unificata di limitare in alcune Regioni l’operatività del Fondo statale di garanzia per le PMI ai soli interventi in funzione di controgaranzia. Infatti, l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 34 del 2019 modifica le modalità di funzionamento del Fondo statale istituito dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), mettendo gli operatori di tutte le Regioni in grado di accedervi a parità di condizioni. Esso costituisce uno strumento di politica economica, finanziato con risorse proprie dello Stato, che ne ha conservato la gestione in via esclusiva – stabilita dall’art. 18, comma 1, lettera r), primo periodo, del d.lgs. n. 112 del 1998 – e lo stesso art. 18 del d.l. n. 34 del 2019 ha lasciato intatta questa previsione.

Riguardo al meccanismo eliminato dalla disposizione impugnata, questa Corte ha già osservato che esso «presuppone che i sistemi regionali costituiti dai fondi regionali di garanzia a favore delle PMI, ove esistenti, e dai confidi possano avere caratteristiche tali da giustificare la limitazione dell’intervento del fondo statale alla sola controgaranzia, che opera come una garanzia di secondo livello prestata a favore dei garanti» (sentenza n. 83 del 2018).

4.2.1.– Con la soppressione della possibilità prevista dal secondo periodo della citata lettera r), risulta valorizzato l’intervento pubblico di garanzia centralizzato a livello nazionale, che ha recuperato la pienezza della sua operatività, anche nei territori nei quali in precedenza era stata consentita la sua limitazione alla sola attività di controgaranzia a favore dei fondi regionali e dei consorzi di garanzia collettiva dei fidi, i cosiddetti confidi.

L’abolizione di questo meccanismo si colloca all’interno di un intervento normativo volto a perseguire gli obiettivi dello sviluppo di canali alternativi per il finanziamento delle imprese e di promozione di operazioni finanziarie innovative. Proprio al fine di realizzare questi obiettivi, lo stesso art. 18 del d.l. n. 34 del 2019, al successivo comma 3, abilita il Fondo statale a intervenire in garanzia a favore di soggetti che finanziano, tramite piattaforme di social lending e di crowdfunding (così nell’art. 18 comma 3 testé citato), progetti di investimento realizzati da micro, piccole e medie imprese, comunque operanti nei settori di attività che possono essere ammesse all’intervento dello stesso Fondo.

Dal punto di vista sistematico, la disposizione censurata si inserisce nell’ambito di un complessivo intervento destinato a realizzare una manovra funzionale allo sviluppo dell’economia e del sistema produttivo. A questi fini, essa si accompagna ad una generale revisione delle modalità di intervento del sopra indicato Fondo statale, che conferma e valorizza l’intervento pubblico di garanzia centralizzato a livello nazionale e, al contempo, introduce in relazione ad esso nuovi spazi di operatività per i confidi, al fine di rilanciarne il ruolo e l’attività (come evidenziato nella relazione governativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 34 del 2019, A. C. n. 1807, presentato il 30 aprile 2019). Tali spazi sono stati poi codificati nell’art. 13, comma 1, lettere d), e), n) e n-bis) del successivo decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23 (Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2020, n. 40.

4.3.– In effetti, anche la limitata operatività del Fondo di garanzia era ispirata alla finalità di facilitare l’accesso al credito delle PMI, attraverso il potenziamento del ruolo svolto dai confidi. Con l’attivazione della lettera r), infatti, le PMI regionali potevano accedere al Fondo statale solo rivolgendosi a un confidi (di cui dovevano sostenere i costi), mentre rimaneva precluso l’intervento in garanzia diretta, a favore di banche e altri soggetti finanziatori.

Tuttavia, nel corso degli anni in cui questo meccanismo ha avuto applicazione, si è osservato – come del resto traspare anche dai lavori preparatori della disposizione impugnata – che questa limitata operatività del Fondo statale in alcune Regioni, anziché facilitare l’accesso al credito delle PMI, può produrre effetti controproducenti, limitando la concorrenza tra gli intermediari e, con essa, la ricerca di maggiori livelli di efficienza.

La ratio sottesa all’intervento normativo in esame è espressamente individuata nella eliminazione di «anacronistiche barriere di accesso e limitazioni della concorrenza» (così definite nella relazione al già richiamato d.d.l. di conversione, A. C. n. 1807), suscettibili di risolversi in danno delle PMI. La scelta di evitare la precedente limitata operatività del Fondo statale ha dunque l’obiettivo di favorire la dinamica concorrenziale nel settore del credito alle PMI. Si tratta di un intervento che aspira a realizzare il corretto funzionamento del mercato, impedendo che si continuino a determinare le condizioni per una sua alterazione, attraverso l’ampliamento dell’operatività del fondo in tutte le Regioni.

4.4.– A tale riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che la nozione di concorrenza comprende sia le misure legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di promozione, dirette a eliminare limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese (concorrenza “nel mercato”), ovvero a prefigurare procedure concorsuali che assicurino la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza “per il mercato”). In questa accezione promozionale, attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenze n. 83 del 2018, n. 299 del 2012, n. 401 del 2007 e n. 14 del 2004).

La disciplina degli aiuti pubblici, compatibili con il mercato interno, rientra, quindi, in questa accezione dinamica di concorrenza, che contempla le misure pubbliche dirette a ridurre squilibri e a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo degli assetti concorrenziali.

In tale ambito, l’intervento dello Stato si giustifica quando – per l’accessibilità a tutti gli operatori e per l’impatto complessivo – è volto ad incidere sull’equilibrio economico generale. Appartengono, invece, alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni «gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale», tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (ex plurimis, sentenze n. 83 del 2018, n. 259 del 2013, n. 242 del 2005 e n. 14 del 2004).

4.5.– Sulla base di queste considerazioni, la disposizione impugnata – in quanto inserita in un complessivo disegno di politica economica e, al contempo, destinata a correggere una possibile distorsione nel settore del credito alle PMI – va ricondotta alla materia della tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e risulta, quindi, conforme al riparto costituzionale di competenze.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, dato il carattere «finalistico» della competenza attribuita in materia allo Stato, «la tutela della concorrenza assume […] carattere prevalente e funge da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare nelle materie di loro competenza, concorrente o residuale […], potendo influire su queste ultime fino a incidere sulla totalità degli ambiti materiali entro cui si estendono, sia pure nei limiti strettamente necessari per assicurare gli interessi alla cui garanzia la competenza statale esclusiva è diretta» (sentenza n. 56 del 2020; nello stesso senso ex plurimis, sentenze n. 287 del 2016, n. 2 del 2014, n. 291 e n. 18 del 2012, n. 150 del 2011, n. 288 e n. 52 del 2010, n. 452, n. 431, n. 430 e n. 401 del 2007 e n. 80 del 2006).

In quanto riconducibile ad un ambito materiale di competenza esclusiva trasversale dello Stato e non eccedendo rispetto ai limiti di quanto necessario a perseguire i propri obiettivi, la norma impugnata è dunque espressione di attribuzioni statali destinate a prevalere anche sulle competenze regionali, delle quali le ricorrenti lamentano la lesione. Infatti, se è pur vero che l’intervento statale si riflette su diverse competenze regionali, si tratta, a ben vedere, di un’incidenza mediata, inevitabilmente connessa al carattere trasversale della competenza statale cui tale intervento è comunque riconducibile in via prevalente. Pertanto, non può essere accolta la censura delle Regioni relativa alla Conferenza unificata.

D’altra parte, il principio di leale collaborazione non è invocabile neppure in funzione della chiamata in sussidiarietà, poiché, sin dalla sua istituzione, la gestione del Fondo centrale di garanzia rientra tra le funzioni amministrative riservate in via esclusiva allo Stato, ai sensi dello stesso art. 18, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998.

Peraltro, tenendo conto delle interazioni che comunque ci sono fra il predetto Fondo centrale, i fondi regionali e le realtà produttive locali, la previsione di meccanismi collaborativi, pur non essendo costituzionalmente dovuta, rimane nondimeno un’opzione che il legislatore statale può opportunamente considerare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 28 giugno 2019, n. 58, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Umbria e dalla Regione Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;

2) dichiara estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2019, promosse dalla Regione Umbria e dalla Regione Toscana con ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 20 maggio 2021.