SENTENZA N. 108
ANNO 2017
Simone Scagliarini
Rien ne va plus: la Consulta conferma la competenza regionale sulla ubicazione delle slot machines
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, nel procedimento vertente tra Gilupi srl ed altra e il Comune di Melendugno ed altri, con ordinanza del 22 luglio 2015, iscritta al n. 54 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visto l’atto di costituzione di Gilupi srl ed altra;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore Franco Modugno;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini, Oronzo Marco Calsolaro e Carlo Geronimo Cardia per la Gilupi srl ed altra.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 22 luglio 2015, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera h), e terzo, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)», nella parte in cui vieta il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco e all’installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti “sensibili” ivi indicati.
1.1.– Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che una società, che gestiva una sala per la raccolta di scommesse nel Comune di Melendugno, aveva chiesto, a seguito di sfratto, di poter trasferire l’attività in altro locale ubicato nello stesso Comune, venendo a ciò autorizzata sia dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato sia dal Questore di Lecce. Con ordinanza del 30 settembre 2014, il Comune aveva, tuttavia, inibito l’esercizio dell’attività nel nuovo locale, essendo lo stesso ubicato – in contrasto con quanto previsto dalla norma regionale censurata – a meno di cinquecento metri da un istituto scolastico.
Il provvedimento è stato impugnato davanti al Tribunale rimettente dalla società interessata e dalla società concessionaria che le aveva affidato il diritto di gioco sportivo sulla cui base l’attività in questione era stata avviata.
1.2.– Ad avviso del giudice a quo, le censure mosse dalle società ricorrenti al provvedimento impugnato risulterebbero infondate.
Non sarebbe condivisibile, anzitutto, la tesi sostenuta con il primo motivo di ricorso, secondo la quale la ricollocazione delle attività svolte in prossimità di luoghi “sensibili” riguarderebbe la sola raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (d’ora in avanti: TULPS), ossia con le cosiddette slot machines.
L’art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013 stabilisce, infatti, al comma 1, che «L’esercizio delle sale da gioco e l’installazione di apparecchi da gioco di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, emanato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro sono soggetti al regime autorizzatorio previsto dalle norme vigenti»; aggiungendo, al comma 2, che «Fuori dai casi previsti dall’articolo 110, comma 7, del r.d. 773/1931, l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette. L’autorizzazione è concessa per cinque anni e può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza».
Sarebbe, quindi, evidente che la norma in questione include nel divieto tutti gli apparecchi idonei per il gioco lecito indicati dall’art. 110, comma 6, del TULPS, nonché la raccolta di scommesse sportive.
Egualmente infondato risulterebbe l’ulteriore assunto delle ricorrenti, per cui, alla luce del tenore letterale della disposizione («l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri»), l’esercizio posto entro i cinquecento metri dal luogo “sensibile” non sarebbe colpito dal divieto. La disposizione andrebbe intesa, infatti, nell’opposto senso della necessità di una distanza minima di almeno cinquecento metri da detto luogo.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, inoltre, la circostanza che la società affidataria del diritto di gioco fosse stata autorizzata dal Questore di Lecce ad esercitare l’attività di raccolta di scommesse sin dal 24 agosto 2012, e dunque prima dell’entrata in vigore della legge regionale n. 43 del 2013, non renderebbe inapplicabile la disposizione censurata. Il richiesto trasferimento dell’attività presso altra sede avrebbe imposto, infatti, di riesaminare ex novo l’istanza di autorizzazione in rapporto ad uno dei requisiti fondanti, ossia l’idoneità del locale.
Insussistente risulterebbe, infine, il dedotto difetto di motivazione del provvedimento impugnato, essendo «l’iter logico-giuridico seguito dalla P.A. facilmente ricostruibile».
1.3.– Il Tribunale rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale, in parte qua, del citato art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013.
La questione sarebbe rilevante proprio in ragione del fatto che la norma impugnata impedisce l’accoglimento del ricorso.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in ragione dell’asserito contrasto della disposizione in esame con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute», di competenza legislativa concorrente, espresso dall’art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189.
Nel quadro di un complesso di misure volte a promuovere un «più alto livello di tutela della salute», e che hanno portato ad estendere i livelli essenziali di assistenza alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione dalla cosiddetta ludopatia (art. 5, comma 2, del d.l. n. 158 del 2012), la citata disposizione statale ha, infatti, previsto la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS che risultino territorialmente prossimi a istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi. Tale ricollocazione deve essere, peraltro, pianificata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (e, a seguito della sua incorporazione, dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli) sulla base dei criteri definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro della salute e previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata.
Introducendo regole immediatamente operative in materia di distanze dai luoghi “sensibili”, la norma regionale denunciata avrebbe eluso la pianificazione a livello centrale prevista dalla norma statale: pianificazione nel cui ambito – come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa – gli strumenti di contrasto della ludopatia dovrebbero trovare la loro disciplina di base, in coerenza con la natura delle esigenze da soddisfare, che sono le medesime sull’intero territorio nazionale.
Nella materia della «tutela della salute», d’altronde, sarebbe riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniformi, ferma restando la facoltà delle Regioni di stabilire livelli più elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze. Nella specie, il legislatore pugliese non avrebbe fissato livelli di tutela più elevati, ma avrebbe disposto l’immediata entrata in vigore di misure che la legge statale aveva subordinato ad un apposito procedimento pianificatorio, con il coinvolgimento di plurimi soggetti istituzionali.
L’art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013 violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di «ordine pubblico e sicurezza»: materia alla quale la Corte costituzionale ha ricondotto non solo la disciplina dei giochi d’azzardo, ma anche quella relativa ai giochi che, pur non considerati d’azzardo, presentano, comunque sia, un elemento aleatorio e distribuiscono vincite, quali quelli previsti dell’art. 110, comma 6, del TULPS (sentenza n. 237 del 2006).
Il rimettente rileva, altresì, come il criterio teleologico, adottato dalla Corte costituzionale nell’individuazione dei contenuti della materia «ordine pubblico e sicurezza», attribuisca alla potestà legislativa statale una notevole capacità di penetrazione nelle materie di competenza regionale. Di conseguenza, le Regioni non potrebbero approvare leggi che, benché vertenti su altre materie di loro competenza, neutralizzino direttamente o indirettamente misure previste da leggi statali al fine di prevenire la commissione dei reati e il mantenimento dell’ordine pubblico, salvo che la stessa legge statale consenta alla Regione simili interventi.
Nella specie, la norma regionale sulle distanze coinvolgerebbe anche gli esercizi che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 del TULPS: controllo pacificamente svolto in vista della prevenzione dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico, tramite la verifica di una serie di requisiti oggettivi e soggettivi del richiedente l’autorizzazione. Gli esercizi in questione verrebbero sottoposti dal legislatore pugliese a penetranti restrizioni, atte ad impedirne addirittura la gestione nei comuni di ridotte dimensioni demografiche e territoriali.
La disposizione censurata inciderebbe, in questo modo, sulle autorizzazioni di pubblica sicurezza senza che la legge statale lo consenta, ed anzi in contrasto con quanto previsto dall’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello temporale. La norma statale limita, infatti, la ricollocazione ai soli punti di raccolta del gioco praticato mediante slot machines, stabilendo, altresì, che le nuove disposizioni si applichino alle sole concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge e che valgano, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere e dei luoghi di culto esistenti alla data del bando. Per converso, la norma regionale estende le regole sulle distanze a tutti gli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS e ad ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro – compresa, quindi, la raccolta di scommesse – senza operare alcuna distinzione in relazione alla data di rilascio delle concessioni.
2.– Si sono costituite le due società ricorrenti nel giudizio a quo, le quali hanno chiesto, in via principale, che la norma regionale impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza», nel cui ambito andrebbero ricondotte le prescrizioni relative a giochi e scommesse, conformemente a quanto in più occasioni affermato dalla giurisprudenza costituzionale.
Le parti private rilevano come la norma pugliese, più che tutelare categorie di persone particolarmente esposte al rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo, produca un vero e proprio «effetto espulsivo» del gioco lecito dal territorio regionale. Come emergerebbe dalle relazioni tecniche allegate all’atto di costituzione, la distanza minima prevista e l’ampiezza della lista dei luoghi considerati “sensibili” renderebbero praticamente impossibile installare sale da gioco nella quasi totalità dei comuni della Puglia, compreso il suo capoluogo.
Il limite in questione non rappresenterebbe, pertanto, una misura di contrasto della ludopatia, ma si risolverebbe in una generale regolamentazione del gioco e delle scommesse. La tutela della salute, in quanto «materia-scopo», esigerebbe, infatti, la proporzionalità dell’intervento rispetto all’obiettivo perseguito – e dunque, nella specie, la previsione di una distanza ragionevole in rapporto alla densità dei luoghi “sensibili” e alla concreta diffusione della ludopatia nel territorio regionale – senza potersi tradurre in divieti assoluti, espliciti o surrettizi.
Precludendo in radice l’esercizio del gioco lecito nella Regione, la norma censurata impedirebbe di indirizzare la “domanda di gioco” verso la legalità e, quindi, di contrastare la diffusione del gioco illegale, attorno al quale notoriamente proliferano ulteriori fenomeni criminosi, quali il riciclaggio, l’incremento dei patrimoni della criminalità organizzata e forme di violenza nei confronti dei giocatori insolventi. Lo strumento più efficace per contrastare l’illegalità sarebbe costituito, in effetti, dalla presenza di una normativa che ponga limiti all’attività, ma che, al contempo, risponda alla richiesta di gioco lecito che fisiologicamente proviene dalla popolazione. Di questa strategia sarebbe espressione l’art. 38 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, in legge 4 agosto 2006, n. 248, che ha riformato il settore del gioco, anche al fine di assicurarne l’adeguamento al diritto comunitario, prevedendo, da un lato, l’apertura di settemila nuovi punti vendita e, dall’altro, una serie di misure intese a contenere il fenomeno del gioco illegale.
La stretta connessione fra disciplina uniforme dei giochi e ordine pubblico sarebbe confermata dall’art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», il quale stabilisce che, entro il 30 aprile 2016, vengano definite in sede di Conferenza unificata «le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età». È, inoltre, previsto che le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata siano recepite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti.
Tale disposizione ribadirebbe l’intento, già espresso dal legislatore statale con l’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, di porre dal centro i criteri-guida volti a garantire l’uniforme collocazione dei centri di raccolta del gioco sul territorio nazionale, menzionando, tuttavia, espressamente l’ordine pubblico tra i fini della nuova disciplina e non prevedendo l’intervento del Ministero della salute nel relativo procedimento di adozione: il che confermerebbe la prevalenza dell’ordine pubblico nella gerarchia degli obiettivi perseguiti.
Nella medesima direzione si sarebbe mosso, peraltro, già prima, l’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), recante delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici. Nell’ambito dei relativi principi e criteri direttivi, il comma 2, lettera e), del citato art. 14 ha previsto, in particolare, la fissazione di parametri di distanza dai luoghi “sensibili” validi per l’intero territorio nazionale, «comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica».
In via subordinata, ove non si condividessero tali argomenti, l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013 dovrebbe essere ritenuto costituzionalmente illegittimo – secondo le parti private – per violazione della competenza statale in materia di tutela della salute.
Come posto in evidenza nell’ordinanza di rimessione, stabilendo un divieto a carattere generale, immediatamente applicabile e svincolato dalla pianificazione a livello nazionale, la norma regionale si sarebbe posta in evidente contrasto con le previsioni dell’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012, qualificabili come principi fondamentali della materia.
Né varrebbe obiettare che la Regione ha previsto un livello di tutela della salute più elevato di quello stabilito dallo Stato, giacché la norma regionale di dettaglio non potrebbe, in ogni caso, ampliare l’ambito dell’intervento fissato dalla legge statale di principio. Il divieto in questione, d’altra parte, non innalzerebbe il livello di tutela, ma si limiterebbe a produrre l’«effetto espulsivo» del gioco lecito dianzi evidenziato.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)», nella parte in cui vieta il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di sale da gioco e all’installazione di apparecchi da gioco nel caso di ubicazione a distanza inferiore a cinquecento metri pedonali dai luoghi cosiddetti “sensibili” ivi indicati.
Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in ragione del suo contrasto con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute» espresso dall’art. 7, comma 10, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189. La richiamata norma statale ha, infatti, previsto – a fini di prevenzione della cosiddetta ludopatia – la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante slot machines che risultino ubicati in prossimità di determinati luoghi “sensibili”. Tale ricollocazione – riguardante le sole concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge – è, peraltro, subordinata ad un procedimento di pianificazione che coinvolge plurimi soggetti istituzionali: procedimento che il legislatore regionale, introducendo una disciplina immediatamente operativa, avrebbe completamente eluso.
La norma denunciata violerebbe, inoltre, l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza»: materia alla quale andrebbe ricondotta la disciplina dei giochi d’azzardo o che, comunque sia, presentino un elemento aleatorio e distribuiscano vincite. La regolamentazione regionale sulle distanze coinvolgerebbe, d’altra parte, anche gli esercizi che accettano scommesse, assoggettandoli a penetranti restrizioni, tali da impedire addirittura, di fatto, la loro gestione nei comuni di ridotte dimensioni. In tal modo, essa inciderebbe – senza che la legge statale lo consenta – sulle autorizzazioni di pubblica sicurezza cui detti esercizi sono sottoposti, finalizzate alla prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico.
2.– Le questioni sottoposte all’esame di questa Corte vertono su una misura di “prevenzione logistica” della “dipendenza da gioco d’azzardo” (cosiddetto “gioco d’azzardo patologico” o “ludopatia”) che, dopo essere stata sperimentata a livello locale tramite regolamenti e ordinanze di autorità comunali, è stata adottata negli ultimi anni a livello legislativo da larga parte delle Regioni. Si tratta della previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi cosiddetti “sensibili”: frequentati, cioè, da categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili di fronte alla tentazione del gioco d’azzardo.
In questa prospettiva si colloca anche il censurato art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013, come è reso palese tanto dal titolo della legge – «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)» – quanto dalle indicazioni del suo art. 1, comma 1, lettera a), ove si afferma che la legge stessa reca disposizioni finalizzate «alla prevenzione e al contrasto delle dipendenze da gioco, nonché per il trattamento terapeutico e per il recupero dei soggetti coinvolti, nell’ambito delle competenze regionali in materia socio-sanitaria».
Il citato art. 7 esordisce stabilendo, al comma 1, che l’esercizio delle sale da gioco e l’installazione di apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) (d’ora in avanti: TULPS), nonché «ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro» sono «soggetti al regime autorizzatorio previsto dalle norme vigenti». Il successivo comma 2 – contro il quale più specificamente si dirigono, in effetti, le censure del rimettente – soggiunge che, fuori dei casi previsti dall’art. 110, comma 7, del TULPS (che individua apparecchi per il gioco lecito di ridotta “pericolosità” sotto il profilo considerato), «l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette».
Al riguardo, è del tutto condivisibile l’assunto del rimettente – che fonda la questione e ne condiziona la rilevanza nel giudizio a quo – secondo il quale la distanza lineare indicata dalla norma segna il distacco minimo delle attività avute di mira rispetto alle aree tutelate. L’esigenza di rispetto della ratio legis rende, infatti, emendabile da parte dell’interprete la non felice formulazione del precetto, che, a causa di una doppia negazione, sembrerebbe primo visu esigere, anziché vietare, la collocazione di sale e apparecchi da gioco in prossimità dei luoghi “sensibili” («l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri»).
3.– Ciò posto, giova esaminare anzitutto – per ragioni di priorità logico-giuridica, invertendo l’ordine delle doglianze prospettato nell’ordinanza di rimessione – la censura di violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.): censura a cui supporto vengono richiamate le pronunce di questa Corte che hanno ascritto a detta materia la disciplina dei giochi d’azzardo o che, comunque sia, presentino un elemento aleatorio e distribuiscano vincite (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006).
3.1.– La censura non è fondata.
Questa Corte ha già escluso che possano ricondursi alla materia considerata due norme della Provincia autonoma di Bolzano (artt. 1 e 2, comma 2, della legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13, recante «Disposizioni in materia di gioco lecito») che, similmente a quella in esame, prevedono distanze minime dai luoghi “sensibili” per la collocazione di sale e apparecchi da gioco (sentenza n. 300 del 2011).
La conclusione non può che essere confermata con riguardo alla norma pugliese oggetto dell’odierno scrutinio.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’individuazione della materia nella quale si colloca la norma impugnata, si deve tener conto dell’oggetto, della ratio e della finalità della disciplina da essa stabilita, «tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato» (ex plurimis, sentenze n. 140 del 2015 e n. 167 del 2014; analogamente sentenze n. 175 del 2016 e n. 245 del 2015).
Nella specie, il legislatore pugliese non è intervenuto per contrastare il gioco illegale, né per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti: aspetti che – come posto in evidenza dalle citate sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006 – ricadono nell’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», la quale attiene alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale» (tra le altre, sentenze n. 118 del 2013, n. 35 del 2011 e n. 129 del 2009).
Il legislatore regionale è intervenuto, invece – come già anticipato – per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della “dipendenza da gioco d’azzardo”: fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo.
La disposizione in esame persegue, pertanto, in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale.
3.2.– A quanto precede non giova opporre – come fa il rimettente – che la norma censurata inciderebbe su esercizi commerciali, quali quelli che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 del TULPS – controllo finalizzato alla prevenzione dei reati e alla tutela dell’ordine pubblico – finendo, così, per interferire indebitamente con questo stesso regime autorizzatorio.
La norma regionale si muove su un piano distinto da quella del TULPS. Per quanto si è detto, essa non mira a contrastare i fenomeni criminosi e le turbative dell’ordine pubblico collegati al mondo del gioco e delle scommesse, ma si preoccupa, «piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli», segnatamente in termini di prevenzione di «forme di gioco cosiddetto compulsivo» (sentenza n. 300 del 2011). In quest’ottica, la circostanza che l’autorità comunale, facendo applicazione della disposizione censurata, possa inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal questore – come nel caso oggetto del giudizio principale – non implica alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all’autorità di pubblica sicurezza.
3.3.– Il giudice a quo, a sostegno della censura in esame, allega anche il fatto che la norma impugnata rischierebbe di impedire la gestione di sale da gioco nei comuni «di ridotte dimensioni demografiche e territoriali».
Sviluppando tale argomento, le parti private costituite assumono che l’art. 7 della legge reg. Puglia n. 43 del 2013, per come è congegnato, più che tutelare le “fasce deboli” della popolazione rispetto al rischio della ludopatia, produrrebbe un vero e proprio «effetto espulsivo» del gioco d’azzardo lecito dal territorio regionale. La distanza minima prevista (cinquecento metri per il percorso pedonale più breve) e l’ampiezza del catalogo dei luoghi ritenuti “sensibili” renderebbero, infatti – secondo le stesse parti private – praticamente impossibile installare sale da gioco nella quasi totalità dei comuni della Puglia, compreso il suo capoluogo.
In questi termini, il rilievo si rivela, peraltro, inconferente rispetto alla censura sottoposta all’esame della Corte. Esso non incide, infatti, sul versante della competenza ad adottare la norma impugnata – rispetto al quale resta fermo quanto in precedenza osservato – ma su quello del contenuto della regolamentazione concretamente adottata. Al legislatore pugliese si rimprovera, in sostanza – segnatamente dalle parti private – di aver emanato una norma eccedente lo scopo e idonea a paralizzare le iniziative imprenditoriali nel settore del gioco lecito, ledendo anche l’affidamento di chi aveva in esso investito. Tali profili esulano, tuttavia, dall’odierno thema decidendum, non essendo la Corte chiamata a verificare la conformità della norma impugnata a parametri diversi da quelli attinenti a profili di competenza.
La conclusione non è inficiata dall’ulteriore deduzione delle parti private, secondo la quale, vietando di fatto l’installazione di sale per il gioco lecito nella Regione, la norma denunciata finirebbe per incentivare il gioco illecito e i fenomeni criminosi ad esso collegati, in quanto impedirebbe di incanalare la fisiologica “domanda di gioco” della popolazione nei binari della legalità. Quello addotto – ove pure, in ipotesi, sussistente – rappresenterebbe, comunque sia, un effetto indiretto o riflesso della norma impugnata, non rilevante, alla luce della ricordata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’individuazione della materia nel cui ambito la norma stessa si colloca.
4.– L’altra censura del giudice a quo – la prima nel suo ordine espositivo – è quella di violazione dei principi fondamentali posti dallo Stato nella materia, di competenza legislativa concorrente, «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.): doglianza che fa perno sul dedotto contrasto della norma censurata con l’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012.
Nella cornice di un complesso di misure intese a promuovere «un più alto livello di tutela della salute» (così il titolo del decreto-legge) e che hanno portato, tra l’altro, ad estendere i livelli essenziali di assistenza alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da «ludopatia» – intesa «come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall’Organizzazione mondiale della sanità» (art. 5, comma 2, del d.l. n. 158 del 2012, ora peraltro abrogato) – il citato art. 7 reca, ai commi 4 e seguenti, una serie di disposizioni intese a contrastare l’insorgenza di detta patologia. Il comma 10 – che qui interessa – prevede, in questa chiave, la progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS – ossia con le cosiddette slot machines – che risultino ubicati in prossimità di luoghi “sensibili” (in specie, istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi). La ricollocazione deve essere, peraltro, pianificata dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato – e, dopo la sua incorporazione, dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli – tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata. Lo stesso comma 10 dell’art. 7 del d.l. n. 158 del 2012 aggiunge che le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge e che valgono, per ciascuna concessione, in funzione della dislocazione territoriale dei luoghi “sensibili” (esclusi i centri socio-ricreativi e sportivi) esistenti alla data del relativo bando.
Secondo il rimettente, il legislatore pugliese – introducendo norme immediatamente operative in tema di distanze delle sale e degli apparecchi da gioco rispetto ai luoghi “sensibili” – avrebbe “scavalcato” il procedimento di pianificazione prefigurato dalla norma statale (destinato a svolgersi a livello centrale con la partecipazione di plurimi soggetti istituzionali), violando, con ciò, un principio fondamentale della legislazione statale in materia di «tutela della salute».
4.1.– Anche tale censura non è fondata.
Alla luce di quanto in precedenza posto in evidenza, la riconducibilità della norma regionale in esame nell’ambito della materia «tutela della salute» non è, in effetti, contestabile. Il discorso è, tuttavia, diverso con riguardo alla valenza da attribuire all’evocata norma interposta di cui all’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012.
Come rilevato anche dal Consiglio di Stato (sezione terza, sentenza 10 febbraio 2016, n. 579), dalla citata norma statale si ricava soltanto il principio della legittimità di interventi di contrasto della ludopatia basati sul rispetto di distanze minime dai luoghi “sensibili”, non anche quello della necessità della previa definizione della relativa pianificazione a livello nazionale.
La pianificazione prefigurata dalla disposizione statale invocata come norma interposta non è, peraltro, mai avvenuta, non essendo stato emanato, malgrado il tempo trascorso, il decreto interministeriale che doveva definirne i criteri. Il che rende l’intiero meccanismo inoperante, non potendosi ritenere che la mancanza di detto decreto paralizzi sine die la competenza legislativa regionale (al riguardo, sentenza n. 158 del 2016).
4.2.– Le conclusioni ora esposte trovano puntuale conferma in successivi interventi dello stesso legislatore statale, richiamati anche – ma in opposta direzione – dalle parti private.
L’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) ha conferito, infatti, al Governo la delega legislativa per il riordino in un codice delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, prevedendo, tra i criteri di delega – assieme a quello dell’adeguamento della normativa «all’esigenza di prevenire i fenomeni di ludopatia ovvero di gioco d’azzardo patologico e di gioco minorile» (lettera a del comma 2) – l’altro della fissazione «di parametri di distanza dai luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale», ma con espressa garanzia della «salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale», che risultassero coerenti con i principi stabiliti dal decreto delegato (lettera e del comma 2). Ciò a dimostrazione del fatto che simili discipline potevano essere medio tempore adottate anche in assenza della pianificazione prevista dal d.l. n. 158 del 2012.
È ben vero che con la formula «discipline regolatorie […] emanate a livello locale» il legislatore intendeva riferirsi a quelle adottate dai comuni, in applicazione delle norme che regolano i poteri dei relativi organi rappresentativi: norme che – come riconosciuto anche da questa Corte (con particolare riguardo ai sindaci, sentenza n. 220 del 2014) – si prestano ad essere interpretate come idonee a legittimare l’adozione di misure di contrasto della ludopatia, anche per quanto attiene all’imposizione di distanze minime delle sale da gioco rispetto ai luoghi “sensibili”. Risulta, tuttavia, evidente come la legittimazione a disciplinare la materia debba riconoscersi, a fortiori, alle Regioni, tramite lo strumento legislativo.
Essendo rimasta anche la ricordata delega legislativa inattuata, è da ultimo intervenuta la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)». Frammezzo ad un complesso di altre disposizioni intese ad aggiornare la disciplina dei giochi e delle scommesse, anche in funzione della lotta alla ludopatia, l’art. 1, comma 936, della legge ora citata ha previsto che entro il 30 aprile 2016 vengano definite, in sede di Conferenza unificata, «le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età». Le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata dovrebbero essere recepite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti.
La disposizione, rivolta chiaramente al futuro, suona come ulteriore riprova del fatto che i criteri per la dislocazione delle sale da gioco, anche nell’ottica della tutela della salute, non dovevano essere necessariamente fissati in forza dell’art. 7, comma 10, del d.l. n. 158 del 2012. La nuova previsione legislativa – più ampia della precedente, perché non limitata ad alcuni tipi di apparecchi da gioco, né alle sole concessioni successive all’entrata in vigore della legge – finisce, d’altro canto, per assorbire il meccanismo di pianificazione previsto dalla norma del 2012.
Ma anche il procedimento previsto dal citato art. 1, comma 936, della legge n. 208 del 2015 non si è ad oggi ancora perfezionato.
5.– Alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni vanno dichiarate, dunque, entrambe non fondate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge della Regione Puglia 13 dicembre 2013, n. 43, recante «Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)», sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera h), e terzo, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2017.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Franco MODUGNO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2017.