SENTENZA N. 259
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Flavio Guella
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 19 ottobre 2012, n. 16 (Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore del contrasto e prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Integrazione alla legge regionale 14 ottobre 2008, n. 13 recante disposizioni relative alla promozione del sistema integrato di sicurezza urbana ed alle politiche per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini – abrogazione della legge regionale 19 giugno 2002, n. 12), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 18-21 dicembre 2012, depositato in cancelleria il 24 dicembre 2012 ed iscritto al n. 195 del registro ricorsi 2012.
Udito nell'udienza pubblica dell’8 ottobre 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato, a mezzo del servizio postale, il 18-21 dicembre 2012 e depositato il successivo 24 dicembre (r.r. n. 195 del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 19 ottobre 2012, n. 16 (Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore del contrasto e prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Integrazione alla legge regionale 14 ottobre 2008, n. 13 recante disposizioni relative alla promozione del sistema integrato di sicurezza urbana ed alle politiche per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini – abrogazione della legge regionale 19 giugno 2002, n. 12).
2.— Dopo aver riportato il contenuto delle disposizioni censurate, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che la normativa regionale ha inciso nella fase di individuazione di soggetti privati destinatari di provvedimenti pubblici ampliativi della loro sfera soggettiva introducendo, per determinati casi, una limitazione legale a monte nella possibilità di scelta tra i soggetti, privilegiandone alcuni (per ragioni sicuramente commendevoli e in linea astratta conformi ad altre disposizioni contenute in leggi statali).
Ad avviso del ricorrente, così operando, il legislatore regionale avrebbe violato la propria sfera di attribuzioni, in quanto, pur essendo precisato all’art. 1 della detta legge che la materia è regolamentata «in armonia con i principi costituzionali» e «nel rispetto delle competenze dello Stato», con la norma impugnata sarebbe disciplinato un settore rimesso, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., alla legislazione esclusiva dello Stato.
Infatti, secondo la difesa statale, non si potrebbe porre in dubbio che – come lo stesso comma 1 dell’art. 10 chiarisce attraverso un generico riferimento al “codice dei contratti” – le disposizioni impugnate, regolando la materia della scelta del contraente e della concessione di finanziamenti pubblici da parte della pubblica amministrazione, andrebbero ad incidere nel campo dell’intervento diretto o indiretto dello Stato nell’attività economica.
Si tratterebbe di materia nella quale sarebbe prioritaria la tutela della concorrenza, che non potrebbe essere alterata a pena d’incorrere in violazione di norme nazionali e sovranazionali.
Il ricorrente sottolinea come la delicatezza del settore abbia indotto il legislatore costituzionale a concentrare in capo allo Stato le relative competenze legislative, anche al fine di scongiurare una possibile disparità di trattamento sul territorio nazionale.
Esse sarebbero sottratte alle Regioni in forza della espressa indicazione contenuta nell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che rimette, tra le altre materie, anche la «tutela della concorrenza» alla competenza esclusiva statale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri osserva come tale principio sia ribadito proprio dal richiamato decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), il cui art. 4, comma 3, stabilisce: «Le regioni, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, non possono prevedere una disciplina diversa da quella del presente codice in relazione: alla qualificazione e selezione dei concorrenti; alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; alle attività di progettazione e ai piani di sicurezza; alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione dell’esecuzione, direzione dei lavori, contabilità e collaudo, ad eccezione dei profili di organizzazione e contabilità amministrative; al contenzioso. Resta ferma la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali, i contratti nel settore della difesa, i contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi, forniture».
Il ricorrente ricorda che la citata norma è stata impugnata dinanzi alla Corte costituzionale da più Regioni le quali dubitavano della legittimità di una disciplina che poneva, con legge statale, una normativa di dettaglio in materie rientranti – secondo l’ipotesi ricostruttiva – nella competenza regionale; e rimarca che la Corte costituzionale, nell’affermare la legittimità costituzionale della norma per la parte che qui interessa, ha sottolineato che è necessario «assicurare l’adozione di uniformi procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente, idonee a garantire, in particolare, il rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza».
Il Presidente del Consiglio osserva che la Corte, inoltre, ha precisato che «la nozione comunitaria di concorrenza, che viene in rilievo in questa sede e che si riflette su quella di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., è definita come concorrenza “per” il mercato, la quale impone che il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali sopra indicati» (sentenza n. 401 del 2007); ed aggiunge che la Corte ha anche affermato che la tutela della concorrenza ha «natura trasversale, non presentando i caratteri di una materia di estensione certa, ma quelli di una funzione esercitabile sui più diversi oggetti (sentenza numero 14 del 2004; si vedano, altresì, le sentenze numeri 29 del 2006; 336 del 2005 e 272 del 2004). Nello specifico settore degli appalti deve, però, ritenersi che la interferenza con competenze regionali si atteggia in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensì la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa. Ne consegue che la fase della procedura di evidenza pubblica, riconducibile alla tutela della concorrenza, potrà essere interamente disciplinata […] dal legislatore statale» (medesima sentenza n. 401 del 2007).
Alla luce dei suddetti principi, il ricorrente ritiene che le disposizioni impugnate siano invasive della competenza statale, in quanto – a prescindere dalle finalità perseguite e dai mezzi a tal fine utilizzati – regolerebbero per la sola Regione Umbria una materia il cui assetto sarebbe rimesso unicamente allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Sulla base di tali rilievi, sempre secondo il ricorrente, andrebbe dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa censurata.
3.— La Regione Umbria non ha svolto attività difensiva.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato, a mezzo del servizio postale, il 18-21 dicembre 2012 e depositato il successivo 24 dicembre (r.r. n. 195 del 2012), ha promosso – in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Umbria 19 ottobre 2012, n. 16 (Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore del contrasto e prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Integrazione alla legge regionale 14 ottobre 2008, n. 13 recante disposizioni relative alla promozione del sistema integrato di sicurezza urbana ed alle politiche per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini – abrogazione della legge regionale 19 giugno 2002, n. 12).
La norma censurata stabilisce che:«1. Nel rispetto del codice dei contratti e del relativo regolamento d’attuazione, la Giunta regionale, sentite le organizzazioni imprenditoriali e sindacali operanti sul territorio regionale, può adottare, con proprio atto, misure e criteri per l’attribuzione alle imprese, individuali o collettive, vittime di reati di mafia e di criminalità organizzata, di posizioni preferenziali nei bandi per la concessione di finanziamenti pubblici e per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti, aziende e società regionali, individuando altresì i requisiti necessari ai fini del riconoscimento della predetta qualità. 2. Le misure di cui al comma 1 possono consistere anche nell’affidamento in via prioritaria di contratti di cottimo fiduciario, secondo le disposizioni contenute negli articoli 125 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione della direttiva 2004/17/CE e della direttiva 2004/18/CE)».
Ad avviso del ricorrente, tali disposizioni si pongono in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto esse – come chiarito anche dallo stesso comma 1 attraverso un generico riferimento al “codice dei contratti” – regolando la materia della scelta del contraente e della concessione di finanziamenti pubblici da parte della pubblica amministrazione e introducendo, per determinati casi, una limitazione legale a monte nella possibilità di scelta tra i soggetti, privilegiandone alcuni, verrebbero ad incidere nel campo dell’intervento diretto o indiretto dello Stato nell’attività economica, materia nella quale sarebbe prioritaria la «tutela della concorrenza», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, come ribadito dal citato d.lgs. n. 163 del 2006, art. 4, comma 3.
2.— Come risulta dal testo dell’impugnato art. 10, comma 1, della legge della Regione Umbria n. 16 del 2012, la normativa impugnata affida alla Giunta regionale la potestà di adottare «misure e criteri» per attribuire alle imprese, vittime di reati di mafia e di criminalità organizzata, «posizioni preferenziali» nei bandi per la concessione di finanziamenti pubblici e per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti, aziende e società regionali, individuando, altresì, i requisiti necessari ai fini del riconoscimento della predetta qualità. La norma, dunque, prevede due fattispecie distinte e non omogenee, accomunate soltanto dalla finalità di predisporre apposite iniziative a favore di imprese, individuali o collettive, vittime di reati di mafia e di criminalità organizzata: da un lato, bandi per la concessione di finanziamenti pubblici; dall’altro, bandi per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti dalla norma stessa menzionati.
I procedimenti per la concessione di finanziamenti pubblici trovano la loro norma-quadro nell’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e successive modificazioni. Ai sensi di tale disposizione (comma 1), «La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi».
Come questa Corte ha già affermato, le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione (sentenze n. 50 del 2008, punto 3 del Considerato in diritto; n. 423 del 2004, punto 7.6 del Considerato in diritto). Inoltre, è stato chiarito che appartengono «alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale, tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone o delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale» (sentenza n. 14 del 2004, punto 4 del Considerato in diritto).
Nel caso in esame, i finanziamenti pubblici previsti dalla norma censurata attengono, per l’appunto, alla realtà produttiva regionale, non incidono su aspetti inerenti alla tutela della concorrenza ed hanno la finalità di porre in essere interventi regionali di sostegno alle imprese vittime di reati di mafia e di criminalità organizzata, per tali dovendosi intendere le imprese «che abbiano subito danni, a qualsiasi titolo, in conseguenza di delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice penale purché il fatto delittuoso sia stato tempestivamente denunciato e riscontrato in sede giudiziale» (art. 10, comma 3, della legge regionale n. 16 del 2012).
La disposizione, dunque, persegue uno scopo indennitario o risarcitorio, in coerenza con gli obiettivi individuati dalla legge ora citata (art. 10, comma 1, e artt. 3 e seguenti) e, pertanto, estraneo alla materia dei contratti pubblici.
Orbene, il ricorso (come, del resto, la deliberazione del Consiglio dei ministri che l’ha preceduto) trascura del tutto i suddetti profili, non argomenta in alcun modo in ordine ai finanziamenti pubblici e alla loro natura giuridica, tratta soltanto della disciplina dei contratti pubblici richiamando l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, al cui ambito applicativo, però, come ora si è detto, i finanziamenti pubblici restano estranei.
Ne deriva che l’impugnazione come sviluppata dalla difesa statale, nella parte relativa alla potestà della Giunta regionale di concedere i suddetti finanziamenti alle imprese previste dalla normativa censurata, si rivela priva di supporto argomentativo, mentre il parametro costituzionale evocato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), nonché il parametro interposto (art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006) risultano non pertinenti.
Pertanto, in parte qua, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
3.— La questione promossa con riguardo alla potestà della Giunta regionale di adottare «posizioni preferenziali» per le imprese come sopra individuate nei bandi per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti, aziende e società regionali (art. 10, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2012), nonché per l’affidamento in via prioritaria di contratti di cottimo fiduciario (art. 10, comma 2, della stessa legge regionale), è fondata.
Questa Corte, con giurisprudenza costante, ha chiarito che l’intera disciplina delle procedure ad evidenza pubblica è riconducibile alla tutela della concorrenza, con la conseguente titolarità della potestà legislativa, in via esclusiva, in capo allo Stato. In particolare, la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti, delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libera prestazione dei servizi, della libertà di stabilimento, nonché dei principi costituzionali di trasparenza, di parità di trattamento, di non discriminazione (ex plurimis: sentenze n. 28 del 2013; n. 339 del 2011; n. 186 del 2010; n. 283 del 2009 e n. 401 del 2007).
È stato, altresì, precisato che, con riferimento (tra gli altri) al principio di parità di trattamento, è necessario che le procedure di affidamento e i criteri di aggiudicazione siano disciplinati dal legislatore statale, appunto perché riconducibili alla tutela della concorrenza (sentenza n. 28 del 2013, punto 10 del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, la norma censurata, ad onta del richiamo al rispetto del “codice dei contratti” e del relativo regolamento di attuazione contenuto nell’incipit della norma stessa, non si conforma alla disciplina statale e, segnatamente, all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006, in forza del quale le Regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella del detto codice, in relazione (tra gli altri) alla qualificazione e selezione dei concorrenti, alle procedure di affidamento ed ai criteri di aggiudicazione. Essa, infatti, consente alla Giunta regionale di adottare, in uno specifico ambito territoriale, misure e criteri per attribuire a determinate imprese «posizioni preferenziali» nei bandi per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli altri soggetti nella norma medesima individuati. In tal guisa operando, si introduce per dette imprese (e sia pure per ragioni commendevoli, come nota la difesa erariale) un criterio preferenziale destinato inevitabilmente a risolversi in un’alterazione del libero gioco della concorrenza, andando così ad incidere in una materia riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Considerazioni analoghe valgono anche per le misure concernenti l’affidamento «in via prioritaria» di contratti di cottimo fiduciario. Invero, il carattere generico e ambiguo della formula adottata la rende poco coerente con l’art. 125, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, cui la formula stessa si richiama. Peraltro, la norma ora menzionata chiarisce che l’affidamento mediante cottimo fiduciario avviene nel rispetto (tra gli altri) del principio di parità di trattamento, che deve ritenersi in contrasto con un affidamento «prioritario».
Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni che precedono, va dichiarata l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Umbria n. 16 del 2012, limitatamente alle parole «e per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti, aziende e società regionali»; b) dell’art. 10, comma 2, della medesima legge.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Umbria 19 ottobre 2012, n. 16 (Misure per l’attuazione coordinata delle politiche regionali a favore del contrasto e prevenzione del crimine organizzato e mafioso, nonché per la promozione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile. Integrazione alla legge regionale 14 ottobre 2008, n. 13 recante disposizioni relative alla promozione del sistema integrato di sicurezza urbana ed alle politiche per garantire il diritto alla sicurezza dei cittadini – abrogazione della legge regionale 19 giugno 2002, n. 12), limitatamente alle parole «e per l’affidamento di contratti con la Regione e con gli enti, aziende e società regionali»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della medesima legge della Regione Umbria n. 16 del 2012;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Umbria n. 16 del 2012, nella parte relativa alla potestà della Giunta regionale di attribuire alle imprese, nella norma stessa indicate, posizioni preferenziali nei bandi per la concessione di finanziamenti pubblici, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2013.