SENTENZA
N. 17
ANNO
2018
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
-
Paolo GROSSI Presidente
-
Giorgio LATTANZI Giudice
-
Aldo CAROSI ”
-
Marta CARTABIA ”
-
Mario Rosario MORELLI ”
-
Giancarlo CORAGGIO ”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana SCIARRA ”
-
Daria de PRETIS ”
-
Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
-
Giulio PROSPERETTI ”
-
Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 1-bis, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 9-bis e
9-quinquies, del decreto-legge
24 gennaio 2015, n. 4 (Misure urgenti in materia di esenzione IMU), convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 34, promosso dalla Regione
autonoma Sardegna con ricorso
notificato il 22-27 maggio 2015, depositato in cancelleria il 28 maggio 2015 e
iscritto al n. 56 del registro ricorsi 2015 e nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del medesimo d.l. n. 4 del 2015, promossi dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con quattro ordinanze
del 16 dicembre 2015, iscritte rispettivamente ai nn. 141, 142, 143 e 157 del
registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 34 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri, dei Comuni di Perugia e di Narni, del
Comune di Regalbuto e altri, dei Comuni di Castroreale e di Centuripe, e della
Regione autonoma Sardegna, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 21 novembre
2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la
Regione autonoma Sardegna, Antonio Bartolini per i Comuni di Perugia e di Narni
e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la
notificazione il 22 maggio 2015 e depositato il 28 maggio 2015 la Regione
autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 1, commi 1, 1-bis, 3, 4, 5, 7, 8, 9,
9-bis e 9-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 (Misure urgenti in
materia di esenzione IMU) – convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
2015, n. 34 – in riferimento agli artt. 3, 7, 8, 10 e 56 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
in relazione agli artt. 51 del decreto
del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio
1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.
616), e 1 del decreto
legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
della regione Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative
alla Regione in materia di agricoltura), nonché in riferimento agli artt. 3, 53, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione
e ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
La normativa censurata – recante la
disciplina delle esenzioni dall’imposta municipale propria (IMU) prevista per i
terreni agricoli e ritenuta penalizzante, dal momento che gran parte della
superficie agricola sarda ricadrebbe nel territorio di Comuni esclusi dal
regime agevolativo in considerazione – è stata abrogata dall’art. 1, comma 13,
lettera c), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016)», a decorrere dal 2016.
1.1.– Il primo nucleo di censure
riguarda i commi 1, 1-bis e 3 dell’art. 1 del citato decreto-legge.
In particolare, il menzionato comma 1
prevede l’esenzione dall’IMU per i terreni agricoli, nonché per quelli non
coltivati: a) ubicati nei Comuni classificati totalmente montani di cui
all’elenco predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) (lettera
a); b) ubicati nelle isole minori di cui all’allegato A della legge 28 dicembre
2001, n. 448, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)», (lettera a-bis); c) ubicati
nei Comuni classificati parzialmente montani nello stesso elenco dell’ISTAT,
posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli
professionali di cui all’art. 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99,
recante «Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e
semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma
2, lettere d), f), g), l), ee), della legge 7 marzo
2003, n. 38», iscritti nella previdenza agricola (lettera b).
Il successivo comma 1-bis del medesimo
art. 1 prevede una detrazione di 200 euro – fino alla concorrenza del suo
ammontare – dall’IMU dovuta per i terreni ubicati nei Comuni di cui
all’allegato 0A del decreto-legge, posseduti e condotti dai coltivatori diretti
e dagli imprenditori agricoli professionali poc’anzi menzionati.
Infine, il comma 3 dello stesso
articolo prevede l’applicazione, tra l’altro, del comma 1 all’anno d’imposta
2014.
Tanto premesso, la ricorrente censura
anzitutto l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015
in quanto, al fine di perimetrare l’esenzione dall’IMU, avrebbe rinviato
all’elenco dei Comuni italiani redatto dall’ISTAT ai sensi dell’art. 1 della
legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani),
mentre, in virtù dell’art. 51 del d.P.R. n. 348 del
1979, tale competenza spetterebbe alla Regione, con conseguente usurpazione
della stessa da parte dello Stato. Essa, peraltro, sarebbe intimamente
connessa, oltre che, in generale, alla competenza legislativa regionale in
materia di ordinamento degli enti locali e di finanza pubblica, a quella in
materia di «agricoltura e foreste» di cui all’art. 3, comma 1, lettera d),
dello statuto speciale, comprensiva anche dello «sviluppo rurale» ai sensi
dell’art. 1 del d.lgs. n. 70 del 2004. La disposizione censurata, pertanto,
contrasterebbe anche con questi ultimi due parametri, nonché con l’art. 56
dello statuto speciale, avendo inteso derogarvi senza rispettare la procedura
all’uopo prevista. Inoltre, la norma, legificando
l’elenco predisposto dall’ISTAT, non avrebbe lasciato alla Regione alcuno
spazio di disciplina di un tipico tributo locale, con ciò violando l’art. 117,
terzo comma, Cost., che contempla la materia concorrente «coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario». In tal modo, infine, risulterebbe
lesa l’autonomia finanziaria della Regione, garantita dagli artt. 7 e 8 dello
statuto speciale e dall’art. 119 Cost.
In secondo luogo, la ricorrente
denuncia l’irragionevolezza dell’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 4 del 2015. Ciò in quanto l’elenco dell’ISTAT richiamato dalla disposizione
sarebbe stato redatto sulla base di criteri – quelli dettati dall’art. 1, comma
1, della legge n. 991 del 1952, secondo cui «sono considerati territori montani
i Comuni censuari situati per almeno l’80 per cento della loro superficie al di
sopra di 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il
dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio
comunale non è minore di 600 metri, sempre che il reddito imponibile medio per
ettaro, censito, risultante dalla somma del reddito dominicale e del reddito
agrario, determinati a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589,
convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976, maggiorati del coefficiente 12
ai sensi del decreto legislativo 12 maggio 1947, n. 356, non superi le lire
2400» – previsti da una normativa abrogata dall’art. 29, comma 7, lettera a),
della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali).
Quest’ultimo ha anche soppresso le Commissioni censuarie deputate
all’aggiornamento dell’elenco, divenuto anacronistico in quanto compilato in
base a dati (non solo geografici ma anche reddituali) non più rivalutati se non
a seguito delle classificazioni periodicamente trasmesse all’ISTAT dall’Unione
nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM) e, nei casi di variazioni
amministrative, sulla base del criterio della prevalenza territoriale, mai
previsto dal legislatore. Tali rilievi integrerebbero una violazione dei
principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.).
Ad avviso della Regione, inoltre,
l’esenzione, frutto delle previsioni normative alla stregua delle quali è stato
redatto l’elenco dell’ISTAT, determinerebbe la violazione degli artt. 3 e 53
Cost. Ciò in quanto, correlandosi a criteri economico-reddituali non più
applicabili a seguito della soppressione della funzione di aggiornamento,
risulterebbe svincolata da ogni considerazione circa la capacità reddituale del
terreno agricolo; al contempo, il criterio geomorfologico non sarebbe idoneo a
supportare una valutazione della capacità contributiva derivante dalla
proprietà fondiaria. Ne conseguirebbe una grave e ingiustificata disparità di
trattamento tra territori contigui e affini per caratteristiche morfologiche ed
economiche. Tali rilevi, unitamente alla mancata considerazione che il
territorio sardo avrebbe patito nel novembre del 2013 una violenta alluvione
con gravi danni alle produzioni e alle aziende ubicate in circa cento Comuni e
che un area di circa 250 chilometri quadrati del territorio regionale
ospiterebbe numerosi poligoni militari, comproverebbero la violazione dei
menzionati parametri, minando la coerenza interna della struttura dell’imposta
con il suo presupposto economico e rendendo arbitraria l’imposizione.
La Regione estende le descritte censure
al successivo comma 3 del medesimo art. 1, stante il richiamo ivi contenuto al
comma 1.
La ricorrente impugna altresì l’art. 1,
comma 1-bis, del d.l. n. 4 del 2015 in riferimento
all’art. 97 Cost., in quanto non si evincerebbe su quali basi sia stato
compilato l’Allegato, cui la norma rinvia, contenente l’elencazione dei Comuni
che beneficiano della detrazione ivi prevista. La disposizione, inoltre,
violerebbe le competenze della Regione in materia di agricoltura e di
coordinamento del sistema tributario, nonché la sua autonomia
economico-finanziaria, in quanto spetterebbe alla ricorrente il potere di
adottare il citato elenco.
Inoltre, ad avviso della ricorrente,
l’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l. n. 4 del 2015
violerebbe l’art. 10 dello statuto speciale, secondo cui «La Regione, al fine
di favorire lo sviluppo economico dell’Isola e nel rispetto della normativa
comunitaria, con riferimento ai tributi erariali per i quali lo Stato ne
prevede la possibilità, può, ferma restando la copertura del fabbisogno
standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione: a) prevedere agevolazioni fiscali, esenzioni,
detrazioni d’imposta, deduzioni dalla base imponibile e concedere, con oneri a
carico del bilancio regionale, contributi da utilizzare in compensazione ai
sensi della legislazione statale; b) modificare le aliquote in aumento entro i
valori di imposizione stabiliti dalla normativa statale o in diminuzione fino
ad azzerarle». In particolare, la potestà regionale di modulazione
dell’imposizione fiscale postulerebbe che quest’ultima non sia di per sé iniqua,
arbitraria, discriminatoria e sganciata dalla capacità contributiva, nel qual
caso l’intervento regionale non potrebbe rimediare a tali profili di
illegittimità, dovendo essere funzionale allo sviluppo del territorio sardo.
Inoltre, poiché tale intervento dovrebbe avvenire attingendo al bilancio della
Regioni, le disposizioni censurate ne lederebbero l’autonomia finanziaria, in
violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto speciale.
Infine, in via subordinata, secondo la
ricorrente l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015,
non prevedendo che la determinazione dei Comuni montani avvenga previa intesa
con le Regioni, violerebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art.
117 Cost., in quanto sottrarrebbe a un procedimento cooperativo l’adozione di
provvedimenti coinvolgenti l’esercizio di competenze regionali, con conseguente
violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di
ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di
sussidiarietà ricondotto all’art. 119 Cost.
1.2.– Un secondo nucleo di censure
riguarda l’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l. n. 4 del
2015, che disciplinano il pagamento dell’IMU agricola relativa all’anno
d’imposta 2014.
In particolare, il menzionato comma 5
prevede che il versamento dell’imposta dovuta per l’anno 2014 – determinata
alla stregua del regime agevolativo di cui ai commi precedenti – avvenga entro
il 10 febbraio 2015, senza applicazione di interessi e sanzioni nel caso di
ritardo contenuto entro il 31 marzo 2015.
Secondo la ricorrente, i tempi
ristretti previsti dalla norma avrebbero impedito alla Regione e agli enti
locali – a cui l’art. 13, comma 6, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214,
consente di modificare l’aliquota del tributo – di compiere l’iter legislativo
o procedimentale necessario per esercitare i propri poteri di intervento
sull’imposta, considerato altresì il termine di sessanta giorni che l’art. 3,
comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto
dei diritti del contribuente), prescrive debba essere assegnato al contribuente
per il pagamento. Ne conseguirebbe la violazione dell’art. 10 dello statuto
speciale della Sardegna, attributivo del potere regionale di modulare
l’imposizione, e, conseguentemente, dell’autonomia economico-finanziaria della
Regione, ai sensi degli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e 117 e 119 Cost.
Inoltre, il breve lasso temporale avrebbe impedito alla ricorrente di adottare
disposizioni legislative di indirizzo ai Comuni per le loro determinazioni – in
violazione della competenza regionale di cui agli artt. 3, comma 1, lettera b),
e 10 dello statuto speciale in materia di ordinamento degli enti locali e di
finanza locale (si cita la sentenza n. 275 del
2007) – e agli enti locali di incidere sull’aliquota, con ulteriore
violazione della competenza regionale in materia di finanza locale e di ordinamento
degli enti locali, nonché dell’autonomia finanziaria di questi ultimi,
garantita dagli artt. 118 e 119 Cost.
1.3.– Un terzo gruppo di censure
riguarda l’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l.
n. 4 del 2015, che disciplinano le variazioni compensative derivanti
dall’attuazione del nuovo sistema di esenzione.
In particolare, l’art. 1 del d.l. n. 4 del 2015 prevede che, «[a] decorrere dall’anno
2015, le variazioni compensative di risorse conseguenti dall’attuazione delle
disposizioni di cui ai commi 1 e 2, sono operate, nelle misure riportate
nell’allegato A al presente provvedimento, per i comuni delle Regioni a statuto
ordinario e delle Regioni Siciliana e Sardegna, nell’ambito del fondo di
solidarietà comunale e con la procedura prevista dai commi 128 e 129
dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 […]» (comma 7); che «[p]er l’anno 2014, le variazioni compensative di risorse nei
confronti dei comuni conseguenti dall’attuazione delle disposizioni di cui ai
commi 3 e 4, sono confermate nella misura di cui all'allegato B al presente
provvedimento» (comma 8) e che «[i] rimborsi ai comuni sono indicati
nell’allegato C al presente provvedimento e tali comuni sono autorizzati, sulla
base del medesimo allegato, a rettificare gli accertamenti, a titolo di fondo
di solidarietà comunale e di gettito IMU, del bilancio 2014» (comma 9).
Ai sensi dell’art. 1, comma 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, «[a]l fine di assicurare ai comuni
delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione
Sardegna il ristoro del minor gettito dell’IMU, derivante dall’applicazione del
comma 1-bis, è attribuito ai medesimi comuni un contributo pari a 15,35 milioni
di euro a decorrere dall’anno 2015. Tale contributo è ripartito tra i comuni interessati,
con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, secondo una metodologia adottata sentita la
Conferenza Stato-città e autonomie locali […]», mentre il successivo comma
9-quinquies stabilisce che, «[a]l fine di assicurare la più precisa
ripartizione delle variazioni compensative di risorse di cui agli allegati A, B
e C al presente decreto, fermo restando l’ammontare complessivo delle suddette
variazioni, pari, complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l’anno 2014 e a
268.652.847,44 euro dall’anno 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze,
sulla base di una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni
italiani (ANCI) e adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie
locali, provvede, entro il 30 settembre 2015, alla verifica del gettito per
l’anno 2014, derivante dalle disposizioni di cui al presente articolo, sulla
base anche dell’andamento del gettito effettivo. Con decreto del Ministero
dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, si
provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a ciascun
comune delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della
regione Sardegna, sulla base dell’esito delle verifiche di cui al periodo
precedente».
Ad avviso della ricorrente, il regime
compensativo così concepito, da realizzarsi attraverso il Fondo di solidarietà
comunale, sarebbe fondato su stime aleatorie e imprecise, come evincibile dalla
prevista possibilità di revisione, senza peraltro consentire la correzione
dell’ammontare complessivo delle variazioni, irrigidito negli importi
normativamente indicati. Ne deriverebbe la violazione del principio di
veridicità dei bilanci e di copertura delle spese di cui all’art. 81 Cost. e,
di conseguenza, dell’autonomia finanziaria dei Comuni (art. 119 Cost.),
destinati a sopportare gli effetti della mancanza di risorse causata dalle
norme censurate. Inoltre, stante la stretta connessione tra finanza regionale e
locale, risulterebbero violati gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale e 117
Cost., parametri che riconoscono la competenza regionale in materia di
ordinamento degli enti locali e di finanza locale.
Infine, secondo la ricorrente, l’art.
1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015,
non contemplando il coinvolgimento della Regione nel procedimento cooperativo
previsto ma solo delle autonomie locali, peraltro con le forme dell’intesa
"debole”, lederebbe il principio di leale collaborazione di cui all’art. 117
Cost. in un ambito rientrante nelle competenze regionali, con conseguente
violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di
ordinamento degli enti locali e di finanza locale e del principio di
sussidiarietà ricondotto all’art. 119 Cost.
2.– Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, deducendo l’infondatezza delle questioni proposte.
Anzitutto, le norme censurate sarebbero
espressive di principi di coordinamento della finanza pubblica, che
legittimamente il legislatore statale potrebbe imporre anche alle autonomie
speciali nell’esercizio della propria competenza in materia di sistema
tributario dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. D’altra parte, l’individuazione degli immobili agricoli esenti non
avrebbe potuto che essere uniforme sull’intero territorio nazionale. Peraltro,
rilevando solo sul piano fiscale, essa non inciderebbe sulle competenze vantate
dalla Regione in materia di agricoltura e di classificazione dei territori
montani. Inoltre, il legislatore statale sarebbe pienamente legittimato,
nell’esercizio della propria competenza esclusiva, a variare la disciplina dei
tributi erariali, quale sarebbe l’IMU, senza per ciò stesso ledere la sfera di
autonomia regionale o il principio di leale collaborazione. Da tanto
deriverebbe l’infondatezza delle censure di violazione della competenza
concorrente della Regione in materia tributaria e della sua autonomia
finanziaria. Parimenti destituito di fondamento sarebbe il dedotto contrasto
con l’art. 10 dello statuto speciale, atteso che la manovrabilità ivi prevista
sarebbe limitata «ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la
possibilità». Quanto alla dedotta violazione del principio di leale
collaborazione a opera dell’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, esso sarebbe suscettibile di deroga da
parte del legislatore statale e, comunque, nella fattispecie risulterebbe
adeguatamente salvaguardato dalla previsione del coinvolgimento degli enti
locali, anche alla luce della mancanza di competenza regionale in materia di
tributi locali.
3.– Con memoria illustrativa depositata
il 31 ottobre 2017 la Regione ha replicato alle difese svolte dal Presidente del
Consiglio dei ministri, ulteriormente argomentando in ordine alla fondatezza
delle censure formulate.
4.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del 2016, il Tribunale amministrativo regionale
(TAR) per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23
Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b),
prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni
classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove
posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli
professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente, dopo aver riferito di
essere stato adito dai Comuni di Perugia e di Narni in sede di impugnazione,
tra l’altro, dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e dei conseguenti atti di
rideterminazione delle risorse a valere sul Fondo di solidarietà comunale,
ritiene che la disposizione non sia rispettosa del principio di riserva di
legge di cui all’art. 23 Cost., al quale sarebbero assoggettate anche le norme
di agevolazione fiscale.
In particolare, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, prevedendo che l’esenzione dall’IMU di
cui all’art. 7, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992,
n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4
della legge 23 ottobre 1992, n. 421), si applichi ai terreni agricoli, nonché a
quelli non coltivati, ubicati nei Comuni classificati totalmente montani o
parzialmente montani – in quest’ultimo caso se posseduti e condotti dai
coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all’art.
1 del d.lgs. n. 99 del 2004, iscritti nella previdenza agricola – nell’elenco
predisposto dall’ISTAT, rimetterebbe a detto Istituto – o a chi per esso – la
determinazione dei presupposti di fatto per l’applicazione del regime
agevolativo. Ciò, tuttavia, senza vincolo legislativo alla discrezionalità
amministrativa, atteso che l’art. 1 della legge n. 991 del 1952, che
originariamente disciplinava la formazione dell’elenco, è stato abrogato
dall’art. 29, comma 7, lettera a), della legge n. 142 del 1990, con la
conseguenza che il successivo mantenimento della classificazione sarebbe
avvenuto sulla base di parametri non più determinati legislativamente bensì
assolutamente discrezionali. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 23 Cost.,
mentre il rimettente considera manifestamente infondati i vizi di legittimità
costituzionale della norma dedotti dai ricorrenti in riferimento agli artt. 3,
81 e 119 Cost.
In punto di ammissibilità, il TAR
ravvisa l’interesse all’impugnazione non nell’intento di non subire i tagli a
valere sul Fondo di solidarietà comunale correlati al regime agevolativo,
quanto nel mantenimento dello status quo ante alterato dall’inclusione dei
Comuni ricorrenti nel giudizio a quo tra quelli parzialmente montani a opera
dell’elenco dell’ISTAT, con conseguente assoggettamento alla decurtazione a
valere sul predetto Fondo. Inoltre, la questione sarebbe rilevante in quanto la
legittimità dell’impugnato elenco e degli atti conseguenti di rideterminazione
delle risorse stanziate a valere sul Fondo di solidarietà comunale dipenderebbe
dalla soluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale.
5.– Con atto depositato il 13 settembre
2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione
di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata inammissibile o,
comunque, manifestamente infondata.
L’interveniente sostiene che la norma
censurata si sarebbe limitata a rinviare a un elenco preesistente, onde
l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove l’ordinanza di
rimessione, atteso che il legislatore non avrebbe attribuito all’ISTAT alcun
potere discrezionale in merito, limitandosi a recepire l’elencazione –
peraltro, tendenzialmente immutabile, in quanto fondata su dati fisici – quale
presupposto per l’esenzione dall’IMU. Ne deriverebbe l’inammissibilità della
questione o, comunque, la manifesta infondatezza della stessa, poiché,
attraverso il rinvio al preesistente provvedimento di contenuto tecnico, la
norma di legge avrebbe esattamente individuato i presupposti applicativi del
regime agevolativo.
6.– Con atto depositato il 13 settembre
2016 si sono costituiti i Comuni di Perugia e di Narni, parti nel giudizio a
quo, i quali, dopo aver evidenziato come la loro collocazione nell’elenco
dell’ISTAT tra i Comuni parzialmente montani li abbia assoggettati a riduzioni
di risorse a valere sul Fondo di solidarietà comunale non compensati dal
maggior gettito tributario atteso, svolgono argomentazioni adesive alla
prospettazione del rimettente, evidenziando che le norme censurate hanno
trovato applicazione negli anni 2014 e 2015 prima di essere abrogate e
sostituite dall’art. 1, comma 13, della legge n. 208 del 2015.
Con memoria illustrativa depositata il
31 ottobre 2017 i citati Comuni hanno ulteriormente argomentato la loro
adesione alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese
svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
7.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione
seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione
dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente
montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da
coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei
comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente riferisce di essere stato
adito dai Comuni di Regalbuto, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Niscemi,
Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio, Graniti, Catenanuova, Gaggi
e Pietraperzia in sede di impugnazione dell’elenco dell’ISTAT richiamato
dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e delle
tabelle a quest’ultimo allegate sub A e B e di aver pronunciato sentenza non
definitiva, riconoscendo l’impugnabilità dell’elenco dell’ISTAT, stante anche
la natura non recettizia del rinvio a esso operato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, e disponendo incombenti istruttori,
volti, tra l’altro, ad accertare i criteri della classificazione rifluita
nell’elenco, al cui esito sarebbe risultato come la sua formazione a opera
della Commissione censuaria centrale sia stata sostanzialmente legislativamente
vincolata solo fino all’abrogazione dell’art. 1 della legge n. 991 del 1952.
In considerazione di ciò, il rimettente
solleva la descritta questione di legittimità costituzionale, sostenendone la
non manifesta infondatezza con argomenti coincidenti con quelli già esposti
nell’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del 2016
e la rilevanza in ragione del fatto che l’illegittimità dell’elenco, e,
conseguentemente, delle tabelle riportanti le variazioni compensative a valere
sul Fondo di solidarietà comunale, discenderebbe inevitabilmente dalla
soluzione della questione di legittimità costituzionale sollevata.
8.– Con atto depositato il 13 settembre
2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di
legittimità costituzionale proposta sia dichiarata inammissibile o, comunque,
manifestamente infondata e adducendo argomenti coincidenti con quelli svolti in
ordine all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 141 del
2016.
9.– Con atto depositato il 13 settembre
2016 si sono costituiti i Comuni di Regalbuto, Belpasso, Santa Maria di
Licodia, Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio, Graniti,
Catenanuova e Gaggi, parti nel giudizio a quo, i quali, dopo aver evidenziato
che la loro collocazione nell’elenco dell’ISTAT tra i Comuni non più esenti
dall’imposizione, come in precedenza, li ha assoggettati a riduzioni di risorse
a valere sul Fondo di solidarietà comunale, svolgono argomentazioni adesive
alla prospettazione del rimettente, evidenziando che le norme censurate hanno
trovato applicazione negli anni 2014 e 2015 prima di essere abrogate e
sostituite dall’art. 1, comma 13, della legge n. 208 del 2015.
Con memoria illustrativa depositata il
30 ottobre 2017 i citati Comuni hanno ulteriormente argomentato la loro
adesione alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese
svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri.
10.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 143 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione
seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b),
prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni
classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove
posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli
professionali) nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente, riferendo di essere
stato adito dai Comuni di Castroreale, Rodì Milici e Centuripe in sede di
impugnazione dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 e delle tabelle a quest’ultimo allegate
sub A e B, solleva la descritta questione di legittimità costituzionale,
sostenendone la rilevanza e la non manifesta infondatezza con argomenti
coincidenti con quelli già esposti nelle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141 e n. 142 del 2016.
11.– Con atto depositato il 13
settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia
dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata e adducendo
argomenti coincidenti con quelli svolti in ordine alle ordinanze iscritte al
reg. ord. n. 141 e n. 142 del 2016.
12.– Con atto depositato il 13
settembre 2016 si sono costituiti i Comuni di Castroreale e di Centuripe, parti
nel giudizio a quo, svolgendo argomentazioni adesive alla prospettazione del
rimettente coincidenti con quelle contenute nell’atto di intervento relativo
all’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016.
Il 30 ottobre 2017 i citati Comuni
hanno depositato una memoria illustrativa del medesimo tenore di quella
depositata dai Comuni intervenuti nel giudizio introdotto dall’ordinanza
iscritta al reg. ord. n. 142 del 2016.
13.– Con ordinanza iscritta al reg. ord. n. 157 del 2016, sempre il TAR per il Lazio, sezione
seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost., questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b), prevede l’esenzione
dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni classificati totalmente
montani o parzialmente montani (in tal caso, ove posseduti e condotti da
coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali) nell’elenco dei
comuni italiani predisposto dall’Istat».
Il rimettente riferisce di essere stato
adito dai Comuni di Moricone, Sezze, Bagnoregio, Ischia di Castro, Genazzano,
Rignano Flaminio, Magliano Romano, Torrice, Carbognano, Sgurgola, Arpino, Rocca
Priora, Cori, Bassano Romano, Lariano, Fondi, Paliano, Aquino, Piedimonte San
Germano, Montelibretti, Capranica, San Lorenzo Nuovo, Tessennano, Tuscania,
Gavignano, Anguillara Sabazia, Casalvieri, Nazzano, Rocca di Papa, San Vito
Romano, Posta Fibreno, Morlupo, Castelliri, Olevano Romano, Priverno e
Castelnuovo Cilento, nonché dall’Anci Lazio, in sede di impugnazione
dell’elenco dell’ISTAT richiamato dall’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 4 del 2015 e delle tabelle a quest’ultimo allegate sub A e B e di aver
pronunciato sentenza non definitiva, tra l’altro riconoscendo l’impugnabilità
dell’elenco, stante anche la natura non recettizia del rinvio a esso operato
dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015, e
disponendo incombenti istruttori volti, tra l’altro, ad accertare i criteri
della classificazione rifluita nell’elenco dell’ISTAT, al cui esito sarebbe
risultato come la sua formazione a opera della Commissione censuaria centrale
sia stata sostanzialmente legislativamente vincolata solo fino all’abrogazione
dell’art. 1 della legge n. 991 del 1952.
In considerazione di ciò, il rimettente
solleva la descritta questione di legittimità costituzionale, sostenendone la
rilevanza e la non manifesta infondatezza con argomenti coincidenti con quelli
già esposti nelle ordinanze iscritte al reg. ord. n.
141, n. 142 e n. 143 del 2016.
14.– Con atto depositato il 27
settembre 2016 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata e adducendo argomenti
coincidenti con quelli svolti in ordine alle ordinanze iscritte al reg. ord. n. 141, n. 142 e n. 143 del 2016.
15.– Con atto depositato il 4 ottobre
2016 si è costituita la Regione autonoma Sardegna, parte nel giudizio a quo,
svolgendo argomentazioni adesive alla prospettazione del rimettente.
Con memoria illustrativa depositata il
31 ottobre 2017 la Regione ha ulteriormente argomentato la propria adesione
alla prospettazione del rimettente, replicando altresì alle difese svolte dal
Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe
la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 1, commi 1, 1-bis, 3, 4, 5, 7,
8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 (Misure
urgenti in materia di esenzione IMU), convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 marzo 2015, n. 34, in riferimento agli artt. 3, 7, 8, 10 e 56 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
in relazione agli artt. 51 del decreto del Presidente della Repubblica 19
giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna
in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), e 1 del decreto legislativo 6
febbraio 2004, n. 70 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione
Sardegna concernenti il conferimento di funzioni amministrative alla Regione in
materia di agricoltura), nonché in riferimento agli artt. 3, 53, 81, 97, 117,
118 e 119 della Costituzione e ai principi di leale collaborazione e di
sussidiarietà.
Con quattro ordinanze dal medesimo
contenuto, indicate in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale (TAR)
per il Lazio, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 23 Cost.,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015 «nella parte in cui, alle lett. a) e b),
prevede l’esenzione dall’IMU agricola per i terreni ubicati nei comuni
classificati totalmente montani o parzialmente montani (in tal caso, ove
posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali)
nell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’Istat».
2.– In considerazione della parziale
identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i giudizi devono
essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica
pronuncia.
Deve inoltre essere dichiarata
ammissibile la costituzione dei Comuni di Perugia, Narni, Regalbuto, Belpasso,
Santa Maria di Licodia, Modica, Sortino, Santa Venerina, Aci Sant’Antonio,
Graniti, Catenanuova, Gaggi, Castroreale, Centuripe e della Regione autonoma
Sardegna, parti costituite nei giudizi a quibus.
3.– Prima di esaminare le questioni
sottoposte allo scrutinio di questa Corte, occorre illustrare la manovra
realizzata attraverso la normativa denunciata e l’evoluzione del contesto in
cui essa si inserisce, anche per comprendere l’interesse che ha indotto la
Regione autonoma Sardegna e i Comuni ricorrenti nei giudizi a quibus alle rispettive impugnazioni.
L’art. 7, comma 1, lettera h), del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti
territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), in
materia di Imposta comunale sugli immobili (ICI), aveva previsto l’esenzione
per «i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai
sensi dell’articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984». Per individuare i
terreni esenti si faceva riferimento all’ubicazione nel territorio dei Comuni
di cui all’elenco allegato alla circolare del Ministero delle finanze –
Dipartimento entrate fiscalità locale – Servizio I del 14 giugno 1993, n. 9.
Detta esenzione, estesa all’Imposta
municipale propria (IMU) – sostitutiva dell’ICI – dall’art. 9, comma 8, del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di
federalismo Fiscale Municipale), è stata mantenuta dall’art. 13 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il quale ha statuito al
comma 13 che «[r]estano ferme le disposizioni
dell’articolo 9» del d.lgs. n. 23 del 2011.
Successivamente, l’art. 4, comma 5-bis,
del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure
di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n.
44, ha previsto che – con apposito decreto ministeriale – potessero essere
individuati i Comuni nei quali si sarebbe dovuta applicare la citata esenzione
dall’IMU sulla base dell’altitudine riportata nell’elenco dei Comuni italiani
predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché,
eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni.
L’art. 22, comma 2, del decreto-legge
24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia
sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha
sostituito l’art. 4, comma 5-bis, del d.l. n. 16 del
2012, demandando a un decreto del Ministro dell’economia e finanze, a decorrere
dal periodo d’imposta 2014, l’individuazione dei Comuni in cui applicare
l’esenzione dall’IMU sulla base del criterio dell’altitudine riportata
nell’elenco dell’ISTAT, altresì diversificando tra i terreni posseduti da coltivatori
diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti alla previdenza
agricola, e gli altri. Il medesimo comma 2 ha anche disposto che dal complesso
delle disposizioni sopra descritte dovesse derivare un maggior gettito
complessivo annuo non inferiore a 350 milioni di euro, da recuperare alle casse
dell’erario a opera del medesimo decreto. Il decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze del 28 novembre 2014, recante «Esenzione
dall’IMU, prevista per i terreni agricoli, ai sensi dell’articolo 7, comma 1,
lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504», ha dato
attuazione alle norme illustrate.
L’art. 1 del d.l.
n. 4 del 2015, oggetto delle odierne censure, modifica nuovamente il regime di
esenzione dall’IMU per i terreni agricoli montani e parzialmente montani,
disponendo, a decorrere dal 2015 (comma 1) e per il 2014 (comma 3), l’esenzione
per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, ubicati nei Comuni
classificati totalmente montani nell’elenco dell’ISTAT (comma 1, lettera a),
nelle isole minori (comma 1, lettera a-bis) e nei Comuni classificati
parzialmente montani nello stesso elenco dell’ISTAT, ove posseduti e condotti
dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti
nella previdenza agricola (comma 1, lettera b).
Seppure in misura minore rispetto alla
normativa immediatamente precedente, il comma 1 riduce la platea dei Comuni
esenti rispetto al novero originario, determinando così la produzione di un
maggior gettito tributario, che viene compensato dalle variazioni operate dai
successivi commi da 7 a 9 e acquisito dallo Stato in base agli importi
determinati, per ciascun Comune, negli allegati A, B e C (questi ultimi due per
l’anno 2014). Il comma 7, in particolare, prevede che, a decorrere dal 2015, le
variazioni compensative avvengano a valere sulla ripartizione del Fondo di
solidarietà comunale, istituito nello stato di previsione del Ministero
dell’interno dall’art. 1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», e destinato a essere
ripartito tra i Comuni medesimi (secondo la disciplina dettata dall’art. 1,
commi da 380-ter a 380-novies, della legge n. 228 del 2012). In tal modo, la
norma assicura che, anche a regime, della manovra benefici l’erario, il quale
trattiene le somme non trasferite dal Fondo di solidarietà comunale agli enti
locali, mentre questi ultimi, nelle intenzioni del legislatore, non subirebbero
alcuna riduzione di risorse, godendo in misura equivalente del maggior gettito
diretto dell’IMU, frutto della riduzione delle esenzioni.
Peraltro, nella consapevolezza della
possibilità di scostamenti tra maggior gettito tributario e riduzione dei
trasferimenti, il successivo comma 9-quinquies prevede, secondo «una
metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e
adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali», la «verifica
del gettito per l’anno 2014, derivante dalle disposizioni di cui al presente
articolo, sulla base anche dell’andamento del gettito effettivo», alla stregua
della quale provvedere alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a
ciascun Comune in base agli allegati A, B e C. Tale aggiornamento è
successivamente avvenuto ad opera dell’art. 8, comma 10, del decreto-legge 19
giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali.
Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo
del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale
nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, che ha previsto per l’anno
2015 un contributo di 57,5 milioni di euro da ripartire tra i Comuni «tenendo
conto della verifica del gettito per l’anno 2014 derivante dalle disposizioni
di cui all’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4».
A decorrere dal 2016, l’art. 1, comma
13, lettera c), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2016)», ha abrogato l’art. 1, commi da 1 a 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, con la conseguenza che il descritto
regime ha trovato applicazione solo negli anni 2014 e 2015.
4.– Tanto premesso e passando all’esame
del ricorso della Regione autonoma Sardegna, il primo nucleo di censure
riguarda l’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l. n. 4
del 2015.
Del comma 1 si è già detto; il
successivo comma 1-bis prevede una detrazione di 200 euro – fino alla
concorrenza del suo ammontare – dall’IMU dovuta per i terreni ubicati nei
Comuni di cui all’allegato 0A del decreto-legge, posseduti e condotti dai
coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali; il comma 3
dello stesso articolo prevede l’applicazione del comma 1 anche all’anno
d’imposta 2014.
Secondo la ricorrente, i commi 1, 1-bis
e 3 contrasterebbero: a) con gli artt. 3, lettera d), dello statuto speciale
della Sardegna, 51 del d.P.R. n. 348 del 1979 e 1 del
d.lgs. n. 70 del 2004, che attribuirebbero alla Regione la competenza esclusiva
in materia di «agricoltura e foreste», comprensiva anche dello «sviluppo
rurale» e della classificazione dei territori montani; b) con gli artt. 117,
terzo comma, e 119 Cost., nonché 7 e 8 dello statuto speciale, in quanto non
avrebbero lasciato alle Regione alcuno spazio di disciplina di un tipico
tributo locale, con ciò ledendo altresì l’autonomia finanziaria regionale; c)
con gli artt. 7, 8 e 10 dello statuto speciale, da un lato, in quanto la
potestà di modulazione dell’imposizione fiscale attribuita da quest’ultimo
parametro alla ricorrente postulerebbe che l’imposizione stessa non sia di per
sé illegittima, e, dall’altro, in quanto tale intervento dovrebbe avvenire
attingendo al bilancio della Regione, conseguentemente ledendone l’autonomia
finanziaria.
Ad avviso della Regione, inoltre, i
commi 1 e 3 contrasterebbero: a) con l’art. 56 dello statuto, avendo inteso
derogare alla normativa di attuazione statutaria in materia di agricoltura
senza rispettare la procedura all’uopo prevista; b) con gli artt. 3 (sotto il
profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza), 53 (sotto il profilo della
capacità contributiva) e 97 (sotto il profilo del buon andamento
dell’amministrazione) Cost., in quanto il richiamato elenco dell’ISTAT sarebbe
stato redatto sulla base di criteri previsti da una normativa abrogata da oltre
venti anni, unitamente all’organo preposto all’aggiornamento, e sarebbe
divenuto anacronistico perché compilato secondo dati (non solo geomorfologici
ma anche reddituali) non più rivalutati e, nei casi di variazioni
amministrative, sulla base del criterio della prevalenza territoriale, mai
previsto dal legislatore; ciò a discapito del territorio sardo, altrimenti
svantaggiato.
In via subordinata, secondo la
ricorrente l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4 del 2015
violerebbe i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, in quanto avrebbe
sottratto a un procedimento cooperativo l’adozione di provvedimenti
coinvolgenti l’esercizio di competenze regionali in materia di ordinamento
degli enti locali e di finanza locale.
Infine, l’art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 4 del 2015 violerebbe l’art. 97 Cost., in quanto
non si evincerebbe su quali basi sia stato compilato l’allegato 0A del decreto.
4.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 1, 1-bis e 3, del d.l
n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, lettera d) – in relazione agli
artt. 51 del d.P.R. n. 348 del 1979 e 1 del d.lgs. n.
70 del 2004 – 7, 8 e 10 dello statuto speciale della Sardegna, nonché in
riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., non sono fondate.
Parimenti non fondate sono le censure mosse ai citati commi 1 e 3 in
riferimento all’art. 56 dello statuto speciale della Sardegna.
Come questa Corte ha recentemente
affermato, «l’IMU, in quanto istituita e disciplinata con legge dello Stato, è
un tributo erariale (sentenza n. 123 del
2010; nello stesso senso, sentenze n. 40 del
2016, n. 121
del 2013 e n.
97 del 2013), seppur "derivato” in ragione della devoluzione del gettito (sentenza n. 121 del
2013). La sua disciplina ricade dunque "nella materia ‘ordinamento
tributario dello Stato’, che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
riserva alla competenza legislativa statale” (sentenza n. 121 del
2013; nello stesso senso sentenze n. 26 del
2014 e n. 97
del 2013)» (sentenza
n. 280 del 2016), anche per quanto attiene alla normativa di dettaglio (sentenza n. 121 del
2013). Ciò vale altresì per il relativo regime agevolativo, che costituisce
un’integrazione della disciplina del tributo (sentenze n. 30 del
2012 e n.
123 del 2010).
Ne consegue che la normativa censurata
non interviene negli ambiti di competenza spettanti alla Regione autonoma
Sardegna in virtù dello statuto di autonomia e della normativa di attuazione
invocata.
Il mancato contrasto con quest’ultima
esclude altresì quello degli impugnati commi 1 e 3 con l’art. 56 dello statuto
speciale della Sardegna in ragione del mancato rispetto della procedura
necessaria a derogarvi.
La ricorrente lamenta anche la
violazione dell’art. 10 dello statuto speciale, secondo cui «[l]a Regione, al
fine di favorire lo sviluppo economico dell’Isola e nel rispetto della
normativa comunitaria, con riferimento ai tributi erariali per i quali lo Stato
ne prevede la possibilità, può, ferma restando la copertura del fabbisogno
standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma,
lettera m), della Costituzione: a) prevedere agevolazioni fiscali, esenzioni,
detrazioni d’imposta, deduzioni dalla base imponibile e concedere, con oneri a
carico del bilancio regionale, contributi da utilizzare in compensazione ai
sensi della legislazione statale; b) modificare le aliquote in aumento entro i
valori di imposizione stabiliti dalla normativa statale o in diminuzione fino
ad azzerarle».
Con riferimento ad analoghe previsioni
statutarie speciali, questa Corte ha chiarito che la locuzione «relativamente
ai tributi erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilità» si
riferisce al caso in cui il gettito del tributo sia interamente devoluto
all’ente autonomo (sentenze n. 2 del
2012, n. 323
del 2011 e n.
357 del 2010). Per la Regione autonoma Sardegna tale interpretazione trova
conferma nell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 9 giugno 2016, n. 114
(Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della Regione
autonoma della Sardegna – legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in
materia di entrate erariali regionali) – applicabile a decorrere dal 1° gennaio
2010 – secondo cui «[n]el rispetto delle norme dell’Unione
europea sugli aiuti di Stato, la Regione Sardegna, con riferimento ai tributi
erariali il cui gettito sia ad essa interamente devoluto, ove la legge statale
consenta una qualsiasi manovra su aliquote, esenzioni di pagamento, detrazioni
d’imposta, agevolazioni o deduzioni dalla base imponibile, può in ogni caso
compiere una qualsiasi di tali manovre, purché non venga superato il livello
massimo di imposizione stabilito dalla normativa statale» (sulla funzione
esegetica delle norme di attuazione statuaria, sentenza n. 51 del
2006).
Poiché il gettito dell’IMU non è
attribuito alla Regione autonoma Sardegna, non sussiste il presupposto della
potestà di modulazione dell’imposizione rivendicata dalla ricorrente, né,
evidentemente, il conseguente riverbero sull’autonomia finanziaria regionale.
Ne discende la non fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art.
10 dello statuto speciale e, sotto un ulteriore profilo, agli artt. 7 e 8 dello
statuto speciale medesimo.
4.2.– La Regione autonoma Sardegna
censura l’art. 1, commi 1 e 3, del d.l. n. 4 del 2015
anche in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 Cost.
L’evocazione di parametri estranei a
quelli afferenti alla competenza regionale è ammissibile quando esiste – come
nel caso in esame – la connessione tra la disciplina del regime agevolativo del
tributo e l’effetto che essa produce sulle relazioni finanziarie tra Stato e
Comuni, la lesione delle cui prerogative costituzionali la Regione è
legittimata a denunciare (ex plurimis, sentenza n. 205 del
2016).
Tanto premesso, le descritte questioni
non sono fondate.
Questa Corte ha costantemente affermato
che la disciplina di agevolazioni fiscali o benefici tributari di qualsiasi
specie costituisce esercizio di un potere ampiamente discrezionale del
legislatore (ordinanza
n. 46 del 2009), «censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà
o irrazionalità» (ex multis, sentenza n. 177 del
2017), «a maggior ragione quando, come nella specie, la questione di
costituzionalità sia diretta a limitare e non ad ampliare l’ambito del
beneficio e risulti, quindi, sollevata in malam partem» (sentenza n. 346 del
2003).
Nella fattispecie, non ricorre nessuna
di tali ipotesi.
Nell’identificare l’ambito territoriale
delle agevolazioni, il legislatore, utilizzando l’elenco dell’ISTAT, ha fatto
propri i criteri originariamente previsti dalla legge 25 luglio 1952, n. 991
(Provvedimenti in favore dei territori montani).
Il criterio primario utilizzato è
quello altimetrico (l’80 per cento della superficie del territorio comunale
situata al di sopra di seicento metri di altitudine); tuttavia, esso non è
adottato in via esclusiva, accompagnandosi a parametri di natura diversa,
quali: a) ai sensi dell’art. 1, primo comma, della legge n. 991 del 1952, il
reddito imponibile medio per ettaro, censito, risultante dalla somma del
reddito dominicale e del reddito agrario, maggiorati del coefficiente di
rivalutazione 12 ai sensi del decreto legislativo 12 maggio 1947, n. 356
(Rivalutazione degli estimi catastali dei terreni e del reddito agrario), non
superiore a lire 2400 (unitamente a un dislivello tra la quota altimetrica
inferiore e quella superiore del territorio comunale non minore di 600 metri);
b) ai sensi dell’art. 1, terzo comma, della legge n. 991 del 1952, le pari
condizioni economico-agrarie in cui versano i Comuni, o le porzioni di Comune,
anche non limitrofi a quelli montani (con particolare riguardo ai Comuni già
classificati tali nel catasto agrario e a quelli riconosciuti, per il loro
intero territorio, danneggiati per eventi bellici).
In tal modo, la "montanità”
non viene correlata a esclusivi requisiti orografici di altitudine ma anche a
connotati di bassa redditività (sentenza n. 370 del
1985), sfuggendo così alla censura di irragionevolezza sul punto e di
contrarietà al principio di buon andamento (sentenze n. 11 del
2007, n. 254
del 1989 e n.
370 del 1985).
L’intervento normativo non travalica dunque
la soglia della palese irragionevolezza neppure in relazione alla vetustà dei
criteri e al fatto che la legge che li ha previsti sia stata abrogata dall’art.
29, comma 7, lettera a), della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle
autonomie locali).
Anzitutto, detti criteri risultano
ancorati a un elemento stabile quale l’altimetria, tendenzialmente immutabile.
In secondo luogo, l’assunto della Regione circa l’inesattezza dei dati di
riferimento – sul presupposto della mancata rappresentatività della reale
redditività dei terreni da parte dell’elencazione – è, oltre che scarsamente
argomentato, del tutto indimostrato. Inoltre, esso non tiene conto della
prescrizione che la Commissione censuaria centrale, preposta alla tenuta
dell’elenco dei Comuni montani, provvedesse al suo aggiornamento (ai sensi
dell’art. 1, secondo comma, della legge n. 991 del 1952), emendandolo delle
eventuali difformità palesatesi nel corso del quarantennio di vigenza prima
dell’abrogazione. Infine, l’impiego in epoca successiva, nei casi di variazioni
amministrative (fusioni, soppressioni etc.), del criterio della prevalenza
territoriale non è assolutamente illogico, non rileva sotto il profilo della
ragionevolezza quanto alla mancata previsione legislativa e, comunque – secondo
le precisazioni fornite dallo stesso Istituto di statistica nel corso
dell’audizione presso la Commissione finanze del Senato l’11 febbraio 2015 in
sede di conversione del d.l. n. 4 del 2015 – incide
sull’elencazione in maniera marginale, trattandosi di pochi casi rispetto al
numero dei Comuni totalmente o parzialmente esenti.
Infine, il rilievo che il descritto
regime agevolativo trovi fondamento nell’art. 44, secondo comma, Cost.
giustifica la diversa disciplina rispetto ad altre aree eventualmente
svantaggiate.
4.3.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 4
del 2015, in riferimento ai principi di leale collaborazione e di
sussidiarietà, non è fondata.
Va ribadito che la disciplina dell’IMU,
comprensiva del regime agevolativo, rientra nella competenza esclusiva del
legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Questa Corte ha ripetutamente e
costantemente escluso, anche con specifico riferimento al tributo erariale in
considerazione, che «le procedure di leale collaborazione fra Stato e Regioni
"trovino applicazione nell’attività legislativa esclusiva dello Stato, per cui
non vi è concorso di competenze diversamente allocate, né ricorrono i
presupposti per la chiamata in sussidiarietà (sentenze n. 121
e n. 8 del 2013,
n. 207 del 2011);
e che l’esclusione della rilevanza di tali procedure, che è formulata in
riferimento al procedimento legislativo ordinario, ‘vale a maggior ragione per
una fonte come il decreto-legge, la cui adozione è subordinata, in forza del
secondo comma dell’art. 77 Cost., alla mera occorrenza di casi straordinari di
necessità e d’urgenza’ (sentenze n. 79 del
2011 e n. 298
del 2009)” (sentenze
n. 26 del 2014 e n. 97 del 2013)»
(sentenza n. 280
del 2016).
4.4.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1-bis, del d.l n. 4
del 2015, in riferimento all’art. 97 Cost., è inammissibile, poiché la
ricorrente non offre adeguata motivazione a supporto dell’asserita
illegittimità, limitandosi ad affermare: «[s]u quali basi sia stato compilato
detto Allegato 0A, dalla lettura della legge non si evince».
5.– Un secondo nucleo delle censure
formulate dalla Regione autonoma Sardegna riguarda l’art. 1, commi 3, 4 e 5,
del d.l. n. 4 del 2015, che disciplinano il pagamento
dell’IMU agricola relativa all’anno d’imposta 2014.
È utile ricordare che il comma 3
estende i criteri di esenzione di cui ai commi 1 e 2 anche a detta annualità.
Per essa, tuttavia, l’IMU non è comunque dovuta se i terreni che risultano
imponibili ai sensi del nuovo regime erano, invece, esenti in virtù del
pregresso (comma 4); il comma 5 dispone la proroga al 10 febbraio 2015 del
termine per il versamento da parte dei contribuenti dell’imposta dovuta per il
2014 secondo i criteri fissati nei commi precedenti.
La ricorrente lamenta la ristretta
tempistica prevista per il pagamento, in violazione: a) degli artt. 7, 8 e 10
(sotto un primo profilo) dello statuto speciale e 117 e 119 (sotto un primo profilo)
Cost., in quanto il termine ravvicinato non avrebbe consentito alla Regione di
modulare l’imposizione e, conseguentemente, ne avrebbe pregiudicato l’autonomia
economico-finanziaria; b) degli artt. 3, lettera b), e 10 (sotto un secondo
profilo) dello statuto speciale, in quanto detto termine avrebbe altresì
impedito alla Regione di adottare disposizioni legislative di indirizzo ai
Comuni per le loro determinazioni, in contrasto con il potere di incidere sulla
modulazione dell’imposizione e in violazione delle competenze regionali in
materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale; c) degli artt. 3,
lettera b), dello statuto speciale e 118 e 119 (sotto un secondo profilo)
Cost., in quanto la tempistica avrebbe impedito anche agli enti locali di
incidere sull’aliquota come previsto dall’art. 13, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011, con ulteriore violazione della
competenza regionale in materia di finanza locale e di ordinamento degli enti
locali, nonché dell’autonomia finanziaria di questi ultimi.
5.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l.
n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 7, 8 e 10 (sotto il primo profilo)
dello statuto speciale e 117 e 119 (sotto il primo profilo) Cost., non sono
fondate.
Come sopra evidenziato, poiché il
gettito dell’IMU non è attribuito alla Regione autonoma Sardegna, non risulta
integrato il presupposto della potestà di modulazione dell’imposizione previsto
dall’art. 10 dello statuto speciale della Sardegna, onde l’inconfigurabilità
della relativa violazione e del preteso vulnus all’autonomia finanziaria
regionale.
5.2.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4 e 5, del d.l.
n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, lettera b), e 10 (sotto il secondo
profilo) dello statuto speciale e 118 e 119 (sotto il secondo profilo) Cost.,
sono inammissibili.
Occorre preliminarmente ricordare che
l’art. 1, commi 1 e 2, del d.l. n. 4 del 2015
disciplina l’esenzione dall’IMU agricola, ampliando, rispetto al regime
immediatamente precedente, la platea dei Comuni interessati dall’esenzione.
I commi ora in esame estendono la
citata normativa anche all’IMU dovuta per il 2014, con la precisazione, però,
che, ove ciò determinasse il venir meno della precedente esenzione, l’IMU
continuerebbe a non essere dovuta.
Tanto premesso, il ricorso non
chiarisce le ragioni per cui tali novità – che attengono prettamente al profilo
dell’agevolazione – in correlazione alla data del 10 febbraio 2015, prevista
per il pagamento di quanto determinato alla luce della disciplina
dell’esenzione, frustrerebbero l’esercizio di poteri della Regione e dei Comuni
che non riguarderebbero detta esenzione ma la modulabilità
dell’aliquota di un’imposta non dovuta, così ledendo le attribuzioni asseritamente
presidiate dai parametri evocati.
La motivazione delle censure risulta
pertanto inadeguata e, in quanto tale, determina l’inammissibilità delle
questioni proposte.
6.– Un terzo gruppo di censure
formulate dalla Regione autonoma Sardegna riguarda l’art. 1, commi 7, 8, 9,
9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, che
disciplinano le variazioni compensative derivanti dall’attuazione del nuovo
sistema di esenzione.
A decorrere dal 2015 le variazioni
compensative di risorse conseguenti all’attuazione delle disposizioni di cui ai
commi 1 e 2 vengono operate a valere sul Fondo di solidarietà comunale nella
misura riportata nell’allegato A del d.l. n. 4 del
2015, con la procedura prevista dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge n.
228 del 2012 (comma 7); per l’anno 2014, le variazioni compensative di risorse
nei confronti dei Comuni conseguenti all’attuazione delle disposizioni di cui
ai commi 3 e 4 avvengono nella misura di cui all’allegato B del decreto (comma
8); essendo già intervenute le regolazioni contabili con i Comuni, secondo la
disciplina del precedente regime, la diversa stima di gettito comporta, per il
2014, un rimborso in favore dei Comuni, secondo gli importi indicati
nell’allegato C del decreto (comma 9).
Ai sensi dell’art. 1, comma 9-bis, del d.l. n. 4 del 2015, a ristoro del minor gettito dell’IMU
derivante dal precedente comma 1-bis, è attribuito, tra gli altri, ai Comuni
sardi un contributo complessivamente pari a 15,35 milioni di euro a decorrere
dall’anno 2015, ripartito con decreto del Ministero dell’interno, di concerto
con il Ministero dell’economia e delle finanze, secondo una metodologia
adottata «sentita» la Conferenza Stato-città e autonomie locali. Il successivo
comma 9-quinquies stabilisce che: a) al fine di assicurare la più precisa
ripartizione delle variazioni compensative di risorse, fermo restando
l’ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari, complessivamente, a
230.691.885,33 euro per l’anno 2014 e a 268.652.847,44 euro dall’anno 2015, il
Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di una metodologia
condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e adottata
sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, provvede, entro il 30
settembre 2015, alla verifica del gettito per l’anno 2014; b) con decreto del
Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle
finanze, si provvede alle modifiche delle variazioni compensative spettanti a
ciascun Comune, anche della Regione autonoma Sardegna, sulla base dell’esito
delle verifiche di cui al periodo precedente.
Ad avviso della ricorrente, il regime
così concepito – che, compensando il maggior gettito dell’IMU con le risorse
altrimenti recuperate allo Stato dai Comuni, anche a valere sul Fondo di
solidarietà comunale, sostituirebbe entrate certe con entrate incerte – sarebbe
fondato su stime aleatorie e imprecise, senza peraltro consentire la correzione
dell’ammontare complessivo delle variazioni, irrigidito negli importi
normativamente indicati. Ne deriverebbe la violazione: a) del principio di
veridicità dei bilanci e di copertura delle spese (art. 81 Cost.) e, di
conseguenza, dell’autonomia finanziaria dei Comuni (art. 119 Cost.), destinati
a sopportare gli effetti della mancanza di risorse causata dalle norme
censurate; b) degli artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale e 117 Cost.,
parametri attributivi della competenza regionale in materia di ordinamento
degli enti locali e di finanza locale, quest’ultima strettamente connessa a
quella regionale; c) degli artt. 3 dello statuto speciale della Sardegna e 117
e 119 Cost., in quanto, in un ambito coinvolgente l’esercizio di competenze
regionali in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, i
commi 9-bis e 9-quinquies non rispetterebbero i principi di leale
collaborazione e di sussidiarietà attraverso il coinvolgimento della Regione
nel procedimento previsto, essendo prescritto solo quello delle autonomie
locali attraverso le forme dell’intesa "debole”.
6.1.– Va anzitutto ribadita la
legittimazione della Regione a denunciare la lesione delle prerogative
costituzionali degli enti locali (ex plurimis, sentenza n. 205 del
2016).
A differenza delle questioni sollevate
in via incidentale dal TAR, che attengono alla disciplina del tributo, la
Regione lamenta il preteso pregiudizio arrecato al sistema di finanziamento
degli enti locali. Nella regolamentazione dei trasferimenti dovuti a questi
ultimi – significativamente tali provvidenze finanziarie hanno assunto la
denominazione di Fondo di solidarietà – convergono variegati coefficienti
quantitativi sul cui peso incidono, non solo l’entità positiva o negativa del
regime delle agevolazioni, ma anche i coefficienti correttivi di natura solidaristica
che riguardano le zone fiscalmente più povere quali generalmente i territori
montani.
6.2.– Alla luce di tali precisazioni,
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e
9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento
agli artt. 81 e 119 Cost., non sono fondate per le ragioni appresso indicate.
La ricorrente muove dal presupposto che
le entrate rappresentate dal maggior gettito frutto del regime di esenzione non
presentino quel grado di certezza sufficiente a garantire la copertura delle
spese previste e precedentemente coperte con un’entrata diversa, in particolare
costituita dalla ripartizione del Fondo di solidarietà comunale.
In linea astratta tale assunto non è implausibile, dal momento che viene abbandonato un sistema
di esenzione collaudato in tempi recenti a favore di un altro – frutto di
criteri risalenti e adottati per altre finalità – che potrebbe indurre
rilevanti divari in territori caratterizzati da una strutturale carenza di
risorse. Ciò soprattutto con riguardo a enti locali di piccole dimensioni nei
quali anche riduzioni di entrate marginali in termini di valore assoluto
possono precludere lo svolgimento o il mantenimento di servizi essenziali.
Tuttavia, per quanto di seguito
specificato, il legislatore si è dato carico dei potenziali squilibri che
potrebbero verificarsi, ponendovi rimedio sia nello stabilire la temporaneità e
la sperimentalità delle disposizioni impugnate, sia predisponendo meccanismi
correttivi degli eventuali scompensi.
Al riguardo va qui ribadito – in
conformità alla giurisprudenza di questa Corte – che l’autonomia finanziaria
costituzionalmente garantita alle autonomie territoriali non comporta, a favore
di queste ultime, una rigida garanzia "quantitativa”, cioè la garanzia della
disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato:
onde nel caso di modifica della disciplina di tributi il cui gettito è devoluto
agli enti territoriali possono aversi, senza violazione costituzionale, anche
riduzioni di risorse purché non tali da rendere impossibile lo svolgimento
delle loro funzioni (ex plurimis, sentenze n. 241 del
2012 e n.
138 del 1999).
Tuttavia, la riduzione deve essere
accompagnata dalla garanzia del coinvolgimento degli enti territoriali (ex plurimis, sentenza n. 129 del
2016) nella fase di definizione degli obiettivi di finanza pubblica e della
loro quantificazione. Inoltre, l’eventuale riduzione non può essere tale da
rendere impossibile o da pregiudicare gravemente lo svolgimento delle funzioni
degli enti in questione (sentenze n. 10 del
2016, n. 188
del 2015 e n.
241 del 2012). Tale rischio di insostenibilità si accentua notevolmente con
riguardo alle piccole comunità montane ove la marginalità del turismo non
riesce a compensare la penuria strutturale delle risorse finanziarie.
Sotto tale profilo non si può negare
che la norma impugnata sostituisce un meccanismo di esenzioni già sperimentato
in questo ambito, con un sistema nuovo, bisognoso di verifiche di impatto in un
ambito particolarmente delicato quale quello dei territori e delle popolazioni
della montagna.
La tutela di tali situazioni trova, tra
l’altro, garanzia diretta nell’art. 44, secondo comma, Cost. in tema di
salvaguardia e di valorizzazione dei territori montani.
Tale tutela inerisce, da un lato, alle
caratteristiche fisiche dell’ambiente montano e ai fattori antropici, che a
esso si associano, quali le limitate dimensioni delle comunità locali, la
dispersione territoriale e l’isolamento; dall’altro, all’esigenza fondamentale
del mantenimento della vitalità socioeconomica e ambientale di tali zone. La
permanenza della popolazione sulle aree di altura risponde infatti a
un’imprescindibile necessità di presidio del territorio, alla cura del
patrimonio idrogeologico e al contrasto – anche attraverso puntuali
manutenzioni – dei processi erosivi e alluvionali.
Emblematica in tal senso è la
formulazione dell’art. 1 della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni
per le zone montane), secondo cui le zone montane sono ritenute di preminente
interesse nazionale sotto il profilo territoriale, economico, sociale,
culturale e delle tradizioni locali.
Anche in ambito europeo sono prese in
considerazione come territori meritevoli di tutela le zone montane, in quanto
caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione
della terra e da un consistente aumento del costo del lavoro, dovuti
all’esistenza di condizioni climatiche molto difficili a causa dell’altitudine
e dell’esistenza, nella maggior parte del territorio, di forti pendii: in tal
senso l’art. 32 del regolamento del 17 dicembre 2013, n. 1305/2013/CE, recante
«Regolamento del parlamento europeo e del consiglio sul sostegno allo sviluppo
rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che
abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio».
Se l’impatto della novella fiscale può
incidere su relazioni finanziarie di particolare rilevanza in termini economici
e fiscali, la configurazione astratta delle censure regionali urta, tuttavia,
con il combinato delle norme impugnate e di quelle intervenute fino al
definitivo abbandono del regime in esame. Tale complesso tessuto normativo
prevede, infatti, una serie di misure di rimodulazione dei rapporti debitori e
creditori tra Stato ed enti locali che si ispirano proprio alla finalità di
riequilibrare specifiche situazioni in cui il nuovo ordito normativo possa
produrre rilevanti pregiudizi. Dette misure non erano presenti in altre
fattispecie per le quali questa Corte ha ritenuto sussistente la lesione
dell’autonomia finanziaria dell’ente territoriale (sentenze n. 188
e n. 129 del
2016).
Così il comma 9-quinquies prevede che
«[a]l fine di assicurare la più precisa ripartizione delle variazioni
compensative di risorse di cui agli allegati A, B e C al presente decreto,
fermo restando l’ammontare complessivo delle suddette variazioni, pari,
complessivamente, a 230.691.885,33 euro per l'anno 2014 e a 268.652.847,44 euro
dall’anno 2015, il Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di una
metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e
adottata sentita la Conferenza Stato-città e autonomie locali, provvede, entro
il 30 giugno 2015, alla verifica del gettito per l’anno 2014, derivante dalle
disposizioni di cui al presente articolo, sulla base anche dell’andamento del
gettito effettivo. Con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con il
Ministero dell’economia e delle finanze, si provvede alle modifiche delle
variazioni compensative spettanti a ciascun comune […] della regione Sardegna,
sulla base dell’esito delle verifiche di cui al periodo precedente». In tal
modo è stata creata una stanza di compensazione per le variazioni di maggiore
entità unitamente a un meccanismo di predisposizione di criteri obiettivi sulla
base dei quali effettuare dette compensazioni. Inoltre, l’art. 8, comma 10, del
d.l. n. 78 del 2015 ha previsto per l’anno 2015 un
contributo di 57,5 milioni di euro da ripartire tra i Comuni «tenendo conto
della verifica del gettito per l’anno 2014 derivante dalle disposizioni di cui
all’articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4», in tal modo mitigando
la denunciata rigidità della precedente previsione dell’ammontare complessivo
delle variazioni compensative del maggior gettito IMU da ripartire tra i
Comuni.
Peraltro, nel caso in cui anche i
criteri determinati in contraddittorio con l’ANCI e la Conferenza Stato-città e
autonomie locali non fossero ritenuti esaustivi per la tutela e la salvaguardia
di specifici territori montani, non si creerebbero zone d’ombra nella tutela
degli enti locali poiché ben potrebbero i Comuni interessati attivare il
controllo giurisdizionale, sia nel caso che detti criteri siano adottati con
norme di rango primario, sia nel caso che ciò avvenga attraverso atti
amministrativi. In tali ipotesi, tuttavia, l’eventuale illegittimità di tali
riparti non sarebbe imputabile alle norme oggi impugnate, come in astratto
configurate, bensì a una deficitaria attuazione delle stesse.
In proposito è utile sottolineare come
la giurisprudenza costituzionale sia ferma nel precisare che grava sul
ricorrente l’onere probatorio di dimostrare l’irreparabile pregiudizio lamentato,
quando lo stesso non sia direttamente evincibile dal testo normativo impugnato
(ex plurimis, sentenze n. 127 del
2016, n. 239
del 2015, n.
26 e n. 23
del 2014). Sotto tale aspetto il ricorso della Regione autonoma Sardegna appare
carente, poiché essa non ha fornito la dimostrazione che la dedotta riduzione
di gettito rende impossibile lo svolgimento delle funzioni da parte dei Comuni
interessati.
Quanto in precedenza argomentato induce
a qualificare il regime delle agevolazioni in esame come transitorio,
sperimentale e, quanto ai profili attuativi, suscettibile di correzione
attraverso le modalità precedentemente illustrate. Proprio in virtù di tali
caratteri esso supera lo scrutinio di costituzionalità in riferimento agli artt.
81 e 119 Cost.
6.3.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 7, 8, 9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3, 7 e 8
dello statuto speciale e 117 Cost., non sono fondate.
Secondo la ricorrente, stante lo
stretto legame tra finanza regionale e locale, il regime compensativo connesso
a quello di esenzione comprometterebbe anche l’autonomia finanziaria della
Regione e la sua competenza in materia di ordinamento degli enti locali e di
finanza locale.
Alla stregua delle ragioni
precedentemente illustrate, per le quali non si riscontra una lesione
dell’autonomia finanziaria locale, non è ravvisabile nemmeno una violazione di
quella regionale.
A ciò si aggiunga che, nella
fattispecie, si tratta di trasferimenti o contributi a carico del bilancio
dello Stato, nell’ambito delle relazioni finanziarie che intercorrono tra lo
stesso e i Comuni, e che, diversamente dalle autonomie speciali continentali,
la Regione autonoma Sardegna non somministra "trasferimenti istituzionali” agli
enti locali (sentenza
n. 188 del 2016). Di qui l’infondatezza della questione anche con riguardo
alle competenze regionali in materia di finanza locale.
6.4.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 9-bis e 9-quinquies, del d.l.
n. 4 del 2015, in riferimento agli artt. 3 dello statuto speciale e 117 e 119
Cost., non sono fondate.
Secondo la ricorrente, l’art. 1, commi
9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, non
contemplando il coinvolgimento della Regione rispettivamente nel procedimento
per ripartire il contributo attribuito a compensazione del minor gettito
derivante dalla detrazione di cui al comma 1-bis e in quello per modificare le
variazioni compensative all’esito delle verifiche previste, violerebbe il
principio di leale collaborazione di cui all’art. 117 Cost. in un ambito
coinvolgente l’esercizio di competenze regionali, con conseguente violazione
dell’art. 3 dello statuto speciale della Sardegna in materia di ordinamento
degli enti locali e di finanza locale e del principio di sussidiarietà
ricondotto all’art. 119 Cost.
La censura muove dal presupposto che la
fattispecie normativa integri un’ipotesi di chiamata in sussidiarietà, in
relazione alla quale, peraltro, la Regione, lamentando di non essere coinvolta
nell’esercizio delle funzioni in materia finanziaria, non invoca un’addizione
per ovviare all’illegittimità lamentata, vale a dire l’introduzione
dell’intesa, ma l’ablazione della norma – alla stregua del petitum
formulato nelle conclusioni – sebbene ciò finisca per determinare un aggravio
dei vulnera denunciati in ricorso, impedendo attribuzione e ripartizione del
contributo di cui al comma 9-bis, nonché l’aggiornamento delle variazioni
compensative previsto dal comma 9-quinquies.
La ricorrente non tiene conto del fatto
che le relazioni finanziarie che vengono in rilievo nella fattispecie non
afferiscono a "trasferimenti istituzionali” ai Comuni da parte della Regione
autonoma Sardegna – atteso che essa, come in precedenza evidenziato, non li
somministra – ma a contributi (comma 9-bis) e a trasferimenti o assegnazioni
finanziarie a carico del bilancio dello Stato (comma 9-quinquies), che esulano
dalla competenza regionale in materia di ordinamento e di finanza degli enti
locali. Nella fattispecie, dunque, non si ravvisano i presupposti per la
chiamata in sussidiarietà, la quale implica, appunto, la sussistenza di una
competenza regionale (ex plurimis, sentenza n. 170 del
2017).
7.– Le ordinanze del TAR per il Lazio
censurano l’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l.
n. 4 del 2015, in quanto, prevedendo che l’esenzione dall’IMU si applichi ai
terreni agricoli, nonché a quelli non coltivati, ubicati nei Comuni
classificati totalmente o parzialmente montani – in quest’ultimo caso se
posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli
professionali, iscritti nella previdenza agricola – nell’elenco predisposto
dall’ISTAT, rimetterebbe a detto Istituto la determinazione dei presupposti di
fatto per l’applicazione del regime agevolativo. Ciò senza porre un vincolo
legislativo alla discrezionalità amministrativa, in quanto l’art. 1 della legge
n. 991 del 1952, che originariamente disciplinava la formazione dell’elenco –
poi recepito dall’ISTAT – è stato abrogato dall’art. 29, comma 7, lettera a),
della legge n. 142 del 1990, con la conseguenza che il successivo mantenimento
della classificazione sarebbe avvenuto sulla base di parametri non più
legislativamente determinati. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 23 Cost.
7.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l.
n. 4 del 2015, sollevate in riferimento all’art. 23 Cost., non sono fondate.
Questa Corte ha già avuto modo di
affermare che «non vi è dubbio che le norme di agevolazione tributaria siano
anch’esse, come le norme impositive, sottoposte alla riserva relativa di legge
di cui all’art. 23 Cost., perché realizzano un’integrazione degli elementi
essenziali del tributo (sentenza n. 123
del 2010). Ne consegue che i profili fondamentali della disciplina
agevolativa devono essere regolati direttamente dalla fonte legislativa».
Quest’ultima «non deve limitarsi a fissare i tetti massimi dell’importo delle
agevolazioni accordate, ma deve determinare in modo sufficiente anche le
fattispecie di agevolazione, individuandone gli elementi fondamentali, quali i
presupposti soggettivi e oggettivi per usufruire del beneficio» (sentenza n. 60 del
2011).
Sebbene, dunque, anche la previsione
dei presupposti soggettivi e oggettivi dell’agevolazione debba avvenire per
legge e non possa essere rimessa alla mera discrezionalità
dell’amministrazione, ciò non conduce a ravvisare la violazione del principio
di riserva di legge nella fattispecie in esame.
La norma censurata – come risulta dai
chiarimenti forniti dall’ISTAT in audizione durante la conversione del
decreto-legge, riscontrati dal rimettente in sede di istruttoria (ordinanze
iscritte al reg. ord. n. 142 e n. 157 del 2016), e
come desumibile da analogo richiamo a opera di leggi anteriori (art. 1, comma
380, lettera f, della legge n. 228 del 2012) – utilizza un elenco preesistente,
non più aggiornato dal 2009, i cui dati (quanto a "montanità”)
l’ISTAT ha raccolto e diffuso per finalità informative e ai quali il
legislatore ha attinto.
La disposizione, dunque, non
attribuisce né all’Istituto né ad altra amministrazione il compito di stabilire
quali Comuni siano totalmente o parzialmente montani e, di conseguenza, quali
terreni siano esenti dall’IMU; non reca una norma "in bianco” che si limiti a
prevedere il potere in capo all’amministrazione, così priva di vincoli nella
possibilità di incidere sulla sfera generale di libertà dei cittadini.
Con il rinvio rivolto a un’elencazione
già predisposta il legislatore ha condiviso le scelte ivi cristallizzate a fini
differenti, adottando quella valutazione in funzione agevolativa fino alla
sopravvenuta abrogazione della norma che vi provvede.
Attraverso il rinvio, dunque,
l’individuazione dei presupposti soggettivi e oggettivi dell’esenzione è
tutt’altro che rimessa all’amministrazione, alla quale, viceversa, non viene
riconosciuto alcun margine di discrezionalità, nemmeno quella condizionata da
criteri direttivi e linee generali di disciplina che, secondo la giurisprudenza
di questa Corte (di recente, sentenze n. 174
e n. 69 del 2017),
la rendono compatibile con la riserva relativa. La scelta, infatti, è stata
operata integralmente dal decreto-legge.
Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), del d.l.
n. 4 del 2015, in riferimento all’art. 23 Cost., sono pertanto non fondate.
per questi
motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1,
1-bis e 3, del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 (Misure urgenti in materia
di esenzione IMU), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n.
34, promosse, in riferimento agli artt. 3, lettera d) – in relazione agli artt.
51 del decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22
luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio
1977, n. 616), e 1 del decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 70 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale della regione Sardegna concernenti il
conferimento di funzioni amministrative alla Regione in materia di agricoltura)
– 7, 8 e 10 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), nonché in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119
della Costituzione, dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in
epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e
3, del d.l. n. 4 del 2015, promosse, in riferimento
agli artt. 56 della legge cost. n. 3 del 1948 e 3, 53 e 97 Cost., dalla Regione
autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
del d.l. n. 4 del 2015, promossa, in riferimento ai
principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione autonoma
Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
1-bis, del d.l. n. 4 del 2015, promossa, in
riferimento all’art. 97 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso
indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3, 4
e 5, del d.l. n. 4 del 2015, promosse, in riferimento
in riferimento agli artt. 7, 8 e 10 della legge cost. n. 3 del 1948 e 117 e 119
Cost., dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3,
4 e 5, del d.l. n. 4 del 2015, promosse, in
riferimento agli artt. 3, lettera b), e 10 della legge cost. n. 8 del 1948 e
118 e 119 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in
epigrafe;
7) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 7, 8,
9, 9-bis e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948 e
81, 117 e 119 Cost., dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in
epigrafe;
8) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 9-bis
e 9-quinquies, del d.l. n. 4 del 2015, promosse, in
riferimento agli artt. 3 della legge cost. n. 3 del 1948 e 117 e 119 Cost.,
dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettere a) e b), del d.l. n. 4 del 2015, sollevate,
in riferimento all’art. 23 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, sezione seconda, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 2 febbraio
2018.