SENTENZA N.346
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Paolo MADDALENA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1 (recte: art. 11, comma 2), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza dell’11 novembre 2002 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino sul ricorso proposto da Obermitto Demetria Carla Maria contro l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Torino 1, iscritta al n. 18 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti l’atto di costituzione di Obermitto Demetria Carla Maria nonché l’atto di intervento dell’Associazione Dimore Storiche Italiane - ADSI;
udito nell’udienza pubblica del 28 ottobre 2003 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi gli avvocati Franco Gallo e Luciano Filippo Bracci per Obermitto Demetria Carla Maria, Aldo Pezzana e Luciano Filippo Bracci per l’Associazione Dimore Storiche Italiane - ADSI.
Ritenuto in fatto
1.- La Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza del 14 ottobre 2002, depositata l’11 novembre 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1 (recte: art. 11, comma 2), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), secondo cui, ai fini delle imposte sul reddito, «il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, ai sensi dell’articolo 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato».
Il giudizio a quo ha ad oggetto la richiesta di rimborso, avanzata da un contribuente, della maggiore imposta IRPEF versata, in riferimento ad immobili di interesse storico o artistico, sulla base del canone di locazione invece che della minore tariffa d’estimo della zona censuaria. La rilevanza della questione discende, ad avviso del rimettente, dall’esistenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la regola dettata dalla norma denunciata troverebbe applicazione anche nel caso di immobili locati, cosicché la domanda attrice dovrebbe trovare senz’altro accoglimento.
La norma, così interpretata, si porrebbe però in contrasto, secondo lo stesso rimettente, con il principio di capacità contributiva e con quello di «parità di trattamento nell’imposizione fiscale», rappresentando una ingiustificata eccezione ai principi generali in tema di imposizione dei redditi da fabbricato, secondo i quali l’imponibile ai fini delle imposte dirette è rappresentato dal reddito effettivo derivante dalla locazione a terzi, qualora esso sia superiore – pur tenuto conto dei correttivi di legge – a quello catastale. Il locatore di immobile vincolato risulterebbe perciò indebitamente avvantaggiato sia nei confronti dei proprietari di analoghi immobili non locati, sia nei confronti dei locatori di immobili non compresi tra quelli riconosciuti di interesse storico o artistico.
Osserva ancora il rimettente che le spese sostenute per la manutenzione, la conservazione ed il restauro degli immobili vincolati ai sensi della legge n. 1089 del 1939 sono già detraibili dall’imposta lorda ai sensi dell’art. 13-bis, lettera g), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e che in ogni caso tali spese gravano in eguale misura sul proprietario non locatore, il quale anzi deve farsi carico anche delle spese di manutenzione ordinaria (che in caso di locazione sono invece a carico del conduttore), cosicché risulterebbe palese l’irragionevolezza del vantaggio fiscale attribuito ai proprietari locatori.
2.- Si è costituita in giudizio Obermitto Demetria, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.
Ad avviso della parte privata, l’identità di trattamento tra proprietari locatori e proprietari non locatori non violerebbe il principio di capacità contributiva, sia perché l’identità di trattamento è realizzata sulla base imponibile più bassa, sia perché la scelta dell’uno o dell’altro tipo di utilizzo dell’immobile dipenderebbe esclusivamente da ragioni soggettive.
Nemmeno sarebbe violato il principio di parità di trattamento in materia fiscale, con riferimento ai proprietari locatori di immobili non soggetti a vincolo storico o artistico, in considerazione della non omogeneità delle situazioni poste a raffronto, atteso che la gravosità dei vincoli cui gli immobili di interesse storico o artistico sono assoggettati sarebbe tale da giustificare senz’altro l’agevolazione fiscale prevista dalla norma denunciata.
Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica la Obermitto si sofferma in particolare sulla censura di violazione del principio di eguaglianza formulata dal rimettente con riferimento ai proprietari di immobili non sottoposti a vincolo.
Assume a tale riguardo la parte che il principio generale in tema di determinazione del reddito imponibile dei fabbricati sarebbe quello espresso dall’art. 34, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, secondo il quale «il reddito medio ordinario delle unità immobiliari è determinato mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo». Rispetto a tale principio, il successivo comma 4-bis dello stesso art. 34, secondo cui (nella attuale formulazione) il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione ridotto del 15%, se superiore al reddito catastale, costituirebbe norma derogatoria, giustificata solo dalle carenze dell’odierna struttura del catasto, non assumibile quale tertium comparationis ai fini del giudizio di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
In ogni caso difetterebbe – ad avviso della medesima parte – la necessaria omogeneità tra le due categorie poste a confronto, atteso il particolare regime cui gli immobili di interesse storico-artistico sono sottoposti e la conseguente riconducibilità della norma denunciata ad una specifica ratio di giustificato favore, derivante dal riconoscimento, da parte del legislatore, della minore capacità contributiva insita nella proprietà di tali immobili, in ragione dei vincoli giuridici e degli oneri economici gravanti sui proprietari.
Considerazioni, queste ultime, che condurrebbero alla declaratoria di infondatezza della questione anche nel caso in cui volesse ritenersi che la norma impugnata sia derogatoria rispetto ad un principio generale, trattandosi di una deroga appunto giustificata da evidenti ragioni di equità fiscale. Né – ad avviso sempre della Obermitto – la Corte potrebbe sindacare l’entità dell’agevolazione riconosciuta ai proprietari degli immobili storico-artistici locati, trattandosi di materia rimessa alla discrezionalità del legislatore.
Nemmeno sussisterebbe – secondo la stessa parte – la denunciata disparità di trattamento per l’identità di disciplina cui risultano sottoposti sia i proprietari di immobili vincolati non locati, sia i proprietari di immobili vincolati locati.
L’irrilevanza fiscale del reddito locativo sarebbe infatti conseguenza della scelta, da parte del legislatore, del sistema di tassazione del reddito medio ordinario risultante dalle tariffe catastali, con l’obiettivo anche di incentivare la locazione degli immobili storico-artistici al fine di ricavarne le risorse finanziarie necessarie per far fronte agli oneri connessi alla conservazione di tali beni, in tal modo evitando la necessità di interventi statali sotto forma di sovvenzioni o espropri. La norma impugnata non avrebbe, d’altro canto, carattere discriminatorio, spettando a ciascun proprietario di decidere se avvalersi o meno del maggior vantaggio fiscale ritraibile dalla locazione del bene.
3.- E’ intervenuta nel giudizio l’Associazione Dimore Storiche Italiane (ADSI), ente senza scopo di lucro riconosciuto con d.P.R. 26 novembre 1990, anch’essa concludendo per l’infondatezza della questione.
4.- Con ordinanza pronunciata all’udienza del 28 ottobre 2003, l’intervento in giudizio dell’ADSI è stato dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
La norma – in quanto applicabile, per diritto vivente, anche agli immobili locati – contrasterebbe, secondo il rimettente, sia con il principio di capacità contributiva, in ragione dell’ingiustificata ampiezza del beneficio fiscale attribuito ai proprietari locatori di immobili vincolati, sia con il principio di eguaglianza, a causa, da un lato, della disparità di trattamento rispetto ai proprietari di immobili locati non vincolati e, dall’altro, della omogeneità di trattamento, in deroga ai principi generali in tema di imposizione su reddito dei fabbricati, rispetto ai proprietari di immobili vincolati non locati.
2.- La questione non è fondata.
2.1- Va, anzitutto, precisato che le disposizioni legislative che accordano agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie possono essere ritenute lesive del canone di ragionevolezza, evocato dal rimettente, nei soli casi della palese arbitrarietà o irrazionalità (cfr. sentenze n. 431 del 1997 e n. 113 del 1996, ordinanza n. 27 del 2001).
E ciò vale a maggior ragione quando, come nella specie, la questione di costituzionalità sia diretta a limitare e non ad ampliare l’ambito del beneficio e risulti, quindi, sollevata in malam partem.
Passando all’esame della questione, nessun dubbio può sussistere sulla legittimità della concessione di un beneficio fiscale relativo agli immobili di interesse storico o artistico, apparendo tale scelta tutt’altro che arbitraria o irragionevole, in considerazione del complesso di vincoli ed obblighi gravanti per legge sulla proprietà di siffatti beni quale riflesso della tutela costituzionale loro garantita dall’art. 9, secondo comma, della Costituzione.
La norma impugnata, d’altro canto, non è nemmeno illegittima, con riferimento sempre al canone di ragionevolezza, nella parte – specificamente oggetto di impugnazione – in cui prevede che il reddito imponibile sia «in ogni caso» determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato il fabbricato, e perciò anche quando l’immobile di interesse storico o artistico sia locato.
Il profilo di irragionevolezza individuato dal rimettente sarebbe rappresentato, in buona sostanza, dalla deroga al principio generale posto dall’art. 34, comma 4-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in tema di determinazione del reddito imponibile degli immobili locati. E’ tuttavia evidente che, una volta esclusa – per le considerazioni svolte - la comparabilità della disciplina fiscale degli immobili di interesse storico o artistico con quella degli altri immobili, la censura di irragionevolezza risulta priva di consistenza, in uno con quella, ad essa connessa, di violazione del principio di eguaglianza, essendo l’una e l’altra basate sull’erroneo presupposto della sostanziale omogeneità delle due categorie di beni.
Né può ritenersi, sotto un diverso aspetto, superato il limite della manifesta irragionevolezza per il fatto che il beneficio fiscale di cui si tratta si sostanzi in un criterio di determinazione del reddito imponibile fissato, con riferimento alle tariffe d’estimo, in modo indifferenziato tanto per gli immobili locati quanto per quelli non locati e perciò, di fatto, più vantaggioso per i primi. In proposito, a prescindere dal carattere generale del sistema catastale di tassazione degli immobili (sentenza n. 362 del 2000), è sufficiente osservare come il riferimento alle tariffe d’estimo censurato dal rimettente trovi una non irragionevole giustificazione nell’obiettiva difficoltà, evidenziata anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, di ricavare per gli immobili di cui si tratta dal reddito locativo il reddito effettivo, per la forte incidenza dei costi di manutenzione e conservazione di tali beni (Cassazione 29 settembre 2003, n. 14480).
Considerazione quest’ultima che comporta l’infondatezza della questione anche sotto il differente parametro dell’art. 53 della Costituzione.
2.2.- L’infondatezza della questione di costituzionalità non esclude peraltro l’opportunità di una nuova disciplina della materia che tenga conto non solo, come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, della evoluzione del mercato immobiliare e locativo nel frattempo intervenuta (v., ancora, Cassazione 29 settembre 2003, n. 14480), ma anche dell’esigenza di armonizzare la disciplina impugnata con quella, astrattamente di maggior favore, dettata per i contratti agevolati di locazione ad uso abitativo degli immobili (anche di interesse storico o artistico), che prevede una determinazione del reddito imponibile mediante il riferimento al canone locativo, forfetariamente ridotto del 45%, anziché agli estimi catastali (art.8 della legge 9 dicembre 1998, n. 431).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza del 14 ottobre 2002, depositata l’11 novembre 2002.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2003.
Allegato:
ordinanza letta all’udienza del 28 ottobre 2003
ORDINANZA
Considerato che secondo la costante giurisprudenza non è ammesso l’intervento di soggetti che non rivestano la qualifica di parte nel giudizio a quo e che non siano titolari di posizioni giuridiche garantite suscettibili di essere direttamente incise dalla decisione della questione di legittimità costituzionale,
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile l’intervento della Associazione Dimore Storiche Italiane – ADSI.