SENTENZA N. 113
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera a), numeri 1, 2, 3, 6 e 7, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e degli artt. 1, 6 e 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali), promosso con ordinanza emessa il 2 giugno 1995 dalla Commissione tributaria di primo grado di Como sul ricorso proposto dall'Istituto autonomo case popolari della Provincia di Como contro la Direzione regionale delle entrate per la Lombardia, sezione staccata di Como, iscritta al n. 666 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visto l'atto di costituzione dello I.A.C.P. della provincia di Como, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 20 febbraio 1996 il Giudice relatore Francesco Guizzi;
uditi gli avvocati Gianfranco Gaffuri e Mario Giuliani per lo I.A.C.P. della Provincia di Como e l'Avvocato dello Stato Carlo Bafile per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - La Commissione tributaria di primo grado di Como, giudicando sul ricorso proposto dall'Istituto autonomo case popolari di quella Provincia contro la Direzione regionale delle entrate per la Lombardia, sezione staccata di Como, al fine di ottenere il rimborso dell'ICI versata per l'anno 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 6 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali), e dell'art. 4, comma 1, lettera a), numeri 1, 2, 3, 6 e 7, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), nella parte in cui non prevedono l'esenzione dall'ICI o, comunque, un trattamento differenziato per gli immobili degli Istituti autonomi case popolari.
Il giudice a quo fa presente che il legislatore aveva tenuto conto delle peculiari funzioni degli Iacp, esentando il loro patrimonio immobiliare sia dall'ISI, sia dall'INVIM, e quindi osserva che l'ICI assorbe il 34 per cento dell'importo complessivo dei canoni di locazione percepiti, superando la quota destinata a coprire le spese generali, di amministrazione e per le tasse e imposte; per provvedere al pagamento di essa, soggiunge, si è fatto ricorso a somme iscritte in bilancio per altri fini (e qui si richiamano le note n. 146/F del 22 luglio 1993 e n. 9044/A del 14 ottobre 1993 del Ministero dei lavori pubblici). Né l'Istituto può aumentare le entrate, dal momento che la misura del canone di locazione è rigidamente predeterminata, sì che la conseguenza è un grave pregiudizio per l'espletamento dei compiti istituzionali dell'Ente.
Le norme denunciate sarebbero incostituzionali, conclude il collegio rimettente, alla luce dell'art. 53 e degli artt. 2 e 3 della Costituzione, sia perché non vengono considerati gli scopi sociali perseguiti, né i vincoli che gravano sull'azione dell'Istituto, sia perché manca quel trattamento esentivo, o quanto meno differenziato, che sarebbe necessario.
2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della non fondatezza.
L'Avvocatura ricorda che all'imposta sono soggetti non solo i fabbricati in locazione, ma anche gli altri, e in particolare quelli destinati alla vendita e non ancora trasferiti (fabbricati-merce); il tributo è quindi dovuto in ragione dell'esistenza del patrimonio, e non del reddito. Né ha rilievo la circostanza che in altri casi il legislatore abbia esentato gli immobili degli Istituti autonomi, poiché ogni imposta ha proprie caratteristiche. D'altra parte, nel caso di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica con diritto al riscatto - questa la conclusione - l'ICI grava sull'assegnatario (circolare del Ministero delle finanze 26 novembre 1993, n. 35).
3. - Si è costituito nel giudizio innanzi a questa Corte l'Istituto autonomo case popolari della Provincia di Como, sostenendo la fondatezza della questione e sottolineando che l'Istituto è mero gestore del patrimonio edilizio pubblico, come risulta anche dalle norme che dispongono la devoluzione alla Cassa depositi e prestiti dei canoni di locazione, fatta eccezione della parte destinata alle spese di gestione (art. 61 della legge n. 865 del 1971; art. 10 del d.P.R. n. 1036 del 1972; art. 25 della legge n. 513 del 1977).
Secondo indagini svolte dall'associazione degli enti di edilizia residenziale pubblica, nel 1993 è stata pagata un'imposta patrimoniale di 290 miliardi rispetto ai 901 miliardi di canoni percepiti: onde un effetto occulto di tipo espropriativo.
Le norme denunciate sarebbero perciò illegittime per violazione dell'art. 53 della Costituzione, giacché non sussiste, per gli Istituti autonomi case popolari, quella congruenza tra prelievo fiscale e disponibilità di strumenti economici che è richiesta dal principio di attitudine contributiva; e vi sarebbe lesione, altresì, dei doveri di solidarietà e dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (artt. 2 e 3 della Costituzione).
4.1. - Nell'imminenza dell'udienza l'Istituto autonomo case popolari di Como ha presentato memoria, insistendo sulla funzione di utilità collettiva espletata dagli Istituti e rammentando la normativa sulla destinazione del canone di locazione percepito (art. 19 del d.P.R. n. 1035 del 1972). Osserva, poi, come il tributo comunale sugli immobili, qui in esame, abbia un oggetto identico a quello dell'imposta straordinaria (salvo qualche variazione di dettaglio inerente ai terreni e non ai fabbricati) e un contenuto simile a quello dell'imposta che colpisce i plusvalori immobiliari. Circa il tributo decennale sull'incremento del valore degli immobili - da non confondere con quello prelevato all'atto del trasferimento, che ha tutt'altro carattere - si ricorda che esso attiene a un elemento patrimoniale, cui il soggetto passivo deve far fronte con la rendita dell'immobile plusvalente. E' dunque pertinente il richiamo al regime di esenzione che, per tali due imposte, il legislatore ha statuito a favore degli Istituti autonomi.
E' estranea al tema, infine, la menzione fatta dall'Avvocatura generale della disciplina degli alloggi a riscatto, dove l'imposta patrimoniale è assolta dal beneficiario dell'assegnazione. Il caso, invero, concerne il beneficiario che abbia già esercitato il riscatto e sia quindi diventato proprietario dell'immobile, usufruendo peraltro di un pagamento rateale.
4.2. - Ha presentato memoria anche l'Avvocatura generale dello Stato, ribadendo che l'ICI, in quanto imposta patrimoniale, non ha alcun riferimento con il reddito ed è dovuta in misura predeterminata, indipendentemente dalla condizione dell'immobile, senza alcuna considerazione delle circostanze di produttività. Per i fabbricati adibiti ad abitazione principale del soggetto passivo è concessa soltanto una detrazione, e per quelli inagibili o inabitabili, incapaci di produrre reddito, l'imposta è ridotta del 50 per cento. Per le aree fabbricabili, essa è stabilita con riguardo al valore venale in comune commercio; il che è coerente con l'imposizione di tipo patrimoniale.
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria di primo grado di Como solleva, per lesione degli artt. 2, 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 6 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali), e dell'art. 4, comma 1, lettera a), numeri 1, 2, 3, 6 e 7, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), nella parte in cui non prevedono l'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) o, quanto meno, una disciplina differenziata per quelli di proprietà degli Istituti autonomi case popolari.
2. - La questione è inammissibile, nella parte che attiene agli articoli 2 e 3 della Costituzione, e non fondata con riferimento all'art. 53.
L'ordinanza segnala, in premessa, i problemi che l'introduzione dell'ICI ha comportato per gli Istituti autonomi, mettendo in evidenza come la nuova imposta comunale assorba una quota rilevante dell'importo complessivo dei canoni di locazione percepiti; e su questo punto richiama gli articoli 2 e 3 della Costituzione, censurando la mancata adozione, da parte del legislatore, di quel trattamento esentivo, o quanto meno differenziato, che la natura degli Istituti autonomi avrebbe imposto. E, tuttavia, su tale profilo l'ordinanza nulla aggiunge: si invoca l'art. 3 della Costituzione, ma non si accenna neppure a quale sia, nel caso in esame, il tertium comparationis; quanto all'art. 2 della Costituzione, la norma è appena indicata e non si definisce in termini sufficientemente chiari la sua pertinenza al giudizio di costituzionalità così introdotto. L'addizione normativa chiesta alla Corte ha peraltro carattere ambivalente, dal momento che il giudice a quo individua due soluzioni: la completa esenzione, ai sensi dell'art. 7 del decreto legislativo n. 504, o una qualche "differenziazione" (con ciò alludendo, probabilmente, a una possibile riduzione dell'imposta), senza reputare nessuna delle due costituzionalmente obbligata.
Le censure mosse sulla base dei due parametri costituzionali testé menzionati devono, quindi, ritenersi inammissibili.
3. - Si invoca, poi, l'art. 53 della Costituzione in ragione dei vincoli posti all'Istituto, che non può aumentare le entrate, poiché la misura del canone di locazione è fissa. La doglianza si fonda sul principio di capacità contributiva, secondo una prospettiva sviluppata, in memoria e nell'udienza pubblica, dall'Istituto autonomo case popolari di Como, parte ricorrente nel giudizio a quo, costituitosi innanzi a questa Corte.
I redditi provenienti agli Istituti dai canoni di locazione non consentirebbero di far fronte alla nuova imposta comunale; e non vi sarebbe dunque quella congruenza tra prelievo fiscale e disponibilità di strumenti economici - questa la tesi adombrata - che è richiesta dal principio di capacità contributiva.
In proposito bisogna osservare, però, che l'ICI è conformata quale imposta patrimoniale, è dovuta in misura predeterminata e non si basa su indici di produttività (anche se è vero che esiste una riduzione per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, e che vi è una detrazione per le unità immobiliari adibite ad abitazione principale del soggetto passivo: art. 8 del citato decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504). E si può aggiungere che per le aree fabbricabili l'imposta è stabilita con riguardo al valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell'anno di imposizione, facendo riferimento alla zona di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso e ai prezzi medi della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (art. 5 del citato decreto legislativo n. 504, in particolare comma 5), perché qui rilevano le potenzialità edilizie, come ha sottolineato l'Avvocatura dello Stato, che realizzano un valore spesso elevato rispetto a un reddito per lo più modesto.
Circa il regime delle esenzioni, di cui all'art. 7 del decreto legislativo n. 504, non si può invocare l'art. 53 della Costituzione affinché questa Corte rivaluti le scelte di merito compiute dal legislatore o, con apprezzamento equitativo, introduca comunque una qualche differenziazione, ricalcando eventualmente il meccanismo delle riduzioni d'imposta introdotto dall'art. 8 del decreto legislativo n. 504. In tal caso vi sarebbe, infatti, una evidente intromissione nell'ambito della discrezionalità politica riservata alle Camere (sulla quale v. da ultimo, in questa materia, la sentenza n. 21 del 1996). Né l'ordinanza di rimessione adduce argomenti sulla manifesta irragionevolezza di siffatta disciplina, tanto da indurre questa Corte a uno scrutinio di razionalità che abbia come esito una giustificata addizione normativa.
Quanto alla situazione gestionale degli Istituti autonomi case popolari, va ricordato come l'art. 66, comma 9, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, disponga l'adeguamento dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, prevedendo a tal fine l'intervento delle Regioni. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica, con la deliberazione 13 marzo 1995, ha tenuto conto della "grave situazione finanziaria in cui versano detti Istituti, anche a causa della mancata attuazione, da parte di molte Regioni, del disposto del citato art. 66, comma 9", e ha dettato i criteri per la determinazione dei nuovi canoni, autorizzando gli enti gestori ad applicarli ove ancora manchino i provvedimenti regionali attuativi (v. il punto 8 e, segnatamente, il punto 8.7 della citata delibera del CIPE). In tal modo, le difficoltà finanziarie in cui si trovano attualmente gli Istituti potrebbero essere in parte superate, anche se bisogna soggiungere che la materia, per la sua estrema delicatezza e il particolare rilievo sociale, merita l'urgente, attenta considerazione del Parlamento, del Governo e delle Regioni.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 6 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali), e dell'art. 4, comma 1, lettera a), numeri 1, 2, 3, 6 e 7, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Como con l'ordinanza indicata in epigrafe;
b) dichiara non fondata detta questione, in riferimento all'art. 53 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 8 marzo 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 12 aprile 1996.