Ordinanza n. 41 del 2009

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ORDINANZA N. 41

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giovanni Maria       FLICK                                                           Presidente

- Francesco                AMIRANTE                                                    Giudice

- Ugo                         DE SIERVO                                                         ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        ”

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Maria Rita               SAULLE                                                               ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

- Giuseppe                 FRIGO                                                                  ”

- Alessandro              CRISCUOLO                                                       ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, promosso dal Tribunale di Ivrea con ordinanza del 9 novembre 2006, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2007.

            Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2009 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Tribunale di Ivrea, in composizione monocratica, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui, nel configurare come delitto la condotta dello straniero che venga trovato nel territorio dello Stato dopo esserne stato espulso ai sensi del precedente comma 5-ter, non contiene la clausola «senza giustificato motivo»;

che il rimettente procede con rito abbreviato nei confronti di un cittadino romeno, il quale, dopo essere stato espulso in data 19 maggio 2005 per non aver richiesto il permesso di soggiorno entro il termine prescritto, in data 14 settembre 2006 è stato nuovamente trovato nel territorio dello Stato e tratto in arresto nella flagranza del reato previsto dall’art. 14, comma 5-quater, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che il giudice a quo evidenzia come, dalla documentazione prodotta in giudizio, emergano le seguenti circostanze di fatto: la famiglia dell’imputato, composta da padre, madre e sorella, è regolarmente residente in Italia (il padre dell’imputato ha un lavoro regolare e la sorella frequenta un istituto di formazione professionale); l’imputato, venticinquenne, affetto da cardiomiopatia ipertrofica, in data 13 marzo 2006, mentre si trovava da solo in Romania, ha ingerito volontariamente medicinali ed etanolo, tentando il suicidio; in data 25 maggio 2006 la madre dell’imputato, in territorio italiano, è stata coinvolta in un sinistro stradale; l’imputato è rientrato in Italia pochi giorni dopo tale ultimo avvenimento;

che, all’esito di tale esposizione in fatto, il rimettente censura la previsione incriminatrice contenuta nell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, che configura il reato contestato all’imputato, prospettandone il contrasto con il principio di uguaglianza e con quello della finalità necessariamente rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, terzo comma, Cost.;

che, quanto al primo profilo di censura, il giudice a quo istituisce un raffronto tra la norma in esame e la disposizione contenuta nel comma 5-ter del medesimo art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella quale è configurato il reato di indebito trattenimento in violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale, evidenziando come quest’ultima disposizione contenga la clausola «senza giustificato motivo», che agirebbe come causa di esclusione del reato, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice;

che tale clausola, prosegue il rimettente, è già stata esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5 del 2004, che ha evidenziato la sua funzione di valvola di sicurezza del meccanismo repressivo, là dove consente di «riconoscere rilievo a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva ed oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa», con la conseguenza di evitare che «la sanzione penale scatti allorché – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – l’osservanza del precetto appaia concretamente “inesigibile” in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori»;

che, così enucleata la ratio della clausola in esame, il giudice a quo reputa irragionevole che la stessa non figuri anche nella descrizione della fattispecie criminosa prevista nell’art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, e sia dunque impedito un analogo vaglio della condotta dell’imputato quando si tratti di accertare la sussistenza del reato ivi configurato, pur nella diversità delle situazioni che danno luogo alle due violazioni comparate: il trattenimento sul territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanamento impartito dal questore, nel primo caso; «il rinvenimento sul territorio dello Stato del cittadino straniero già espulso», nel secondo caso;

che, prosegue il Tribunale rimettente, se è difficile ipotizzare situazioni di impossibilità oggettiva ad omettere il comportamento penalmente sanzionato dalla disposizione censurata, nondimeno l’inserimento della clausola «senza giustificato motivo» consentirebbe di valutare, sotto il profilo soggettivo, la possibilità per l’imputato di osservare il precetto;

che, secondo il giudice a quo, la vicenda oggetto del giudizio principale sarebbe al riguardo emblematica, posto che la determinazione dell’imputato a fare rientro in Italia, dopo l’avvenuta espulsione, discenderebbe da circostanze riconducibili alla categoria del «giustificato motivo», ovvero ricollegabili a valori costituzionalmente protetti;

che infatti l’imputato, rientrato nel Paese d’origine a seguito dell’espulsione, versava in stato di grave sofferenza psichica, al punto da essersi reso protagonista di un tentativo di suicidio, e che tale sofferenza era stata ulteriormente acuita dalla condizione di separazione dalla famiglia, residente in Italia, e in seguito dalla preoccupazione per lo stato di salute della madre, rimasta coinvolta in un sinistro stradale;

che in definitiva, a parere del rimettente, l’imputato, rientrando nel territorio nazionale pur dopo l’avvenuta espulsione, avrebbe protetto situazioni soggettive riconducibili a diritti fondamentali della persona, quali il diritto alla salute, i diritti e doveri di assistenza reciproca riconducibili alla tutela della famiglia, intesa quest’ultima anche nella dimensione di formazione sociale;

che, peraltro, il giudice a quo evidenzia come solo attraverso l’inserimento della clausola «senza giustificato motivo» nella previsione censurata le richiamate circostanze potrebbero trovare riconoscimento ed eventualmente incidere sulla valutazione in ordine alla sussistenza del reato, in ciò risiedendo la rilevanza della questione, mentre, a disposizione invariata, non vi sarebbe alternativa decisoria alla condanna dell’imputato, risultando per tabulas la materialità della condotta delittuosa ed avendo l’interessato ammesso che il rientro è avvenuto in modo cosciente e volontario;

che inoltre, secondo il rimettente, la previsione incriminatrice sarebbe illegittima anche per la violazione del principio sancito dall’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto l’esecuzione di una sanzione irrogata a fronte di un comportamento in astratto penalmente rilevante, ma in concreto «necessitato o, quanto meno, fortemente indotto da circostanze valutabili quale “giustificato motivo”», risulterebbe incompatibile con la finalità rieducativa della pena;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione;

che, secondo la difesa erariale, le due ipotesi delittuose disciplinate, rispettivamente, nei commi 5-ter e 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero comparabili, sicché verrebbe meno il presupposto su cui è basato l’intero ragionamento svolto dal rimettente;

che l’Avvocatura generale richiama la disciplina dell’espulsione dello straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale, nella quale è previsto che, di regola, detta misura sia eseguita mediante accompagnamento alla frontiera dell’interessato, eventualmente dopo un periodo di trattenimento presso un centro di identificazione e di espulsione;

che, in deroga a tale disposto, quando cioè l’accompagnamento non sia possibile ovvero lo straniero non possa essere ulteriormente trattenuto nel centro di identificazione e di espulsione, il legislatore ha previsto, al comma 5-bis del citato art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, che il questore emetta nei confronti dell’interessato una intimazione a lasciare il territorio dello Stato;

che, di conseguenza, alla diversa modalità di esecuzione dell’espulsione corrisponde un differente trattamento sanzionatorio, là dove «la condotta di chi non si allontana è punita meno gravemente rispetto a quella di chi, già espulso mediante accompagnamento alla frontiera, rientra nel territorio dello Stato»;

che, a parere della difesa erariale, tale differente trattamento risulterebbe del tutto logico, apparendo all’evidenza meno grave la condotta omissiva, del mancato allontanamento, rispetto a quella commissiva, del rientro successivo all’espulsione;

che quanto appena detto sarebbe sufficiente a fugare il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione censurata sotto il profilo della ragionevolezza;

che infine, secondo l’Avvocatura generale, stante il principio di territorialità che informa l’ordinamento penale, la predisposizione di un sistema di esimenti, ancorate a situazioni puramente soggettive, potrebbe valere per le ipotesi in cui la fase ideativa del fatto penalmente sanzionato si sia realizzata all’interno del territorio nazionale, laddove, nel reato di «reingresso abusivo, tutto l’iter psicologico che sorregge la condotta si riferisce ad una fase in cui il soggetto si trova al di fuori del territorio dello Stato, ciò che esclude l’obbligo in capo al legislatore di estendere l’applicazione di taluni precetti costituzionali, quali quelli invocati nell’ordinanza di rimessione».

Considerato che il Tribunale di Ivrea dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui, nel configurare come delitto la condotta dello straniero che venga trovato nel territorio dello Stato dopo esserne stato espulso ai sensi del precedente comma 5-ter, non contiene la clausola «senza giustificato motivo»;

che, secondo la prospettazione del rimettente, la norma censurata risulterebbe irragionevole in esito alla comparazione con la diversa fattispecie incriminatrice delineata nell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che configura il reato di indebito trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine del questore di allontanarsene;

che, inoltre, la stessa norma si porrebbe in contrasto con il principio del finalismo rieducativo della pena, consentendo che quest’ultima venga irrogata a carico di soggetti i quali hanno agito in presenza di situazioni che, pur non assurgendo al rango di cause di giustificazione, siano risultate fortemente condizionanti la loro libertà di determinazione;

che, come costantemente affermato da questa Corte, le scelte legislative aventi ad oggetto la configurazione delle fattispecie criminose e il relativo trattamento sanzionatorio sono censurabili, in sede di sindacato di costituzionalità, solo nel caso in cui la discrezionalità sia stata esercitata in modo manifestamente irragionevole (ex plurimis, sentenza n. 394 del 2006, ordinanza n. 292 del 2006);

che, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale consolidata, il raffronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte legislative, deve avere ad oggetto fattispecie omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa comparazione (ex plurimis, ordinanze n. 71 e n. 30 del 2007);

che appare di tutta evidenza l’eterogeneità tra la fattispecie censurata dal rimettente, che configura il reato di reingresso dello straniero già espulso ai sensi del precedente comma 5-ter, e quella, posta a raffronto, dell’art. 14, comma 5-ter, dello stesso decreto legislativo, che configura il reato di indebita inosservanza all’ordine di questore di allontanarsi dal territorio nazionale;

che nell’un caso (art. 14, comma 5-ter) si è di fronte ad un comportamento di tipo omissivo, poiché lo straniero, raggiunto dalla intimazione del questore a lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni, non ottempera all’ordine; nell’altro caso (art. 14, comma 5-quater) lo straniero, già resosi inottemperante all’ordine di allontanamento del questore e successivamente espulso con accompagnamento coattivo alla frontiera, rientra illegalmente nel territorio dello Stato, vanificando gli effetti dell’attività amministrativa e giudiziale culminata con il suo allontanamento;

che la scelta del legislatore di riconoscere efficacia giustificativa, per il reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento impartito dal questore, a situazioni ostative diverse dalle esimenti di carattere generale, trova fondamento nella peculiarità di tale forma di espulsione, la cui esecuzione è affidata allo straniero medesimo, e la cui adozione è consentita solo quando non sia possibile l’accompagnamento coattivo alla frontiera, eventualmente preceduto dal trattenimento dell’interessato in un centro di identificazione e di espulsione (sentenza n. 5 del 2004);

che pertanto, a fronte della peculiarità della fattispecie appena esaminata, richiamata in comparazione, non pare manifestamente irragionevole la scelta legislativa di non attribuire rilievo, nelle diverse fattispecie che incriminano lo straniero già espulso che si sia attivato per fare nuovamente ingresso nel territorio nazionale (artt. 13, commi 13 e 13-bis, e 14, comma 5-quater), a circostanze, soggettive od oggettive, diverse dalle esimenti di carattere generale;

che, infatti, la condizione dello straniero già espulso il quale intenda fare rientro nel territorio nazionale è tutelata attraverso le previsioni che, in presenza di particolari motivi, consentono di ottenere la relativa autorizzazione, e che d’altronde, nei casi in cui sussistano ragioni di tale cogenza da non consentire l’attesa connessa al procedimento di autorizzazione, risulterà verosimilmente integrata una delle cause di giustificazione ordinarie, con conseguente esclusione della rilevanza penale della condotta;

che alla luce delle considerazioni che precedono va altresì esclusa la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., prospettata dal rimettente come conseguenza automatica della presunta irragionevolezza della fattispecie incriminatrice;

che, pertanto, la questione sollevata appare, sotto ogni profilo, manifestamente non fondata.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, nella legge 12 novembre 2004, n. 271, sollevata, in riferimento agli att. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ivrea con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 2009.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2009.