SENTENZA N. 69
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’art. 37, comma 6, lettera b), del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre 2011, n. 214, promosso dal Tribunale amministrativo regionale
per il Piemonte, nel procedimento vertente tra DHL Express (Italy) srl e altri
e l’Autorità di regolazione dei trasporti e altri, con ordinanza
del 17 dicembre 2015, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2016 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie
speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di DHL Express (Italy) srl e altri, di Aviapartner spa e altra, di Aviation
Service spa, di Confetra e altri, di United Parcel Service Italia srl
e altre, di Venezia Terminal Passeggeri spa ed altri, nonché gli atti di
intervento della Ignazio Messina & C. spa e altra, fuori termine, e del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Giulio Cesare Rizza per DHL Express (Italy) srl e altri,
Alessandro Gigli per Aviapartner spa e altra, e per Aviation Service spa, Salvatore Alberto Romano per Confetra e altri, Alessandro Boso
Caretta per United Parcel
Service Italia srl e altre, Carlo Malinconico per Venezia Terminal Passeggeri
spa e altri, Massimo Campailla per Ignazio Messina
& C. spa e altra e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Piemonte, pronunciandosi con un’unica ordinanza
del 17 dicembre 2015 (r.o. n. 30 del 2016) su otto
ricorsi, previa riunione dei relativi giudizi, solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art. 37, comma 6, lettera b), del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 della Costituzione.
1.1.– Il rimettente espone
di essere stato adito, negli otto giudizi, da società che esercitano attività
connesse con il trasporto (magazzinaggio, distribuzione, logistica, consulenza
per la distribuzione, trasporto merci, trasporto espresso, spedizione,
brokeraggio doganale, gestione di terminal portuali, handling
aeroportuale, corriere espresso), nonché da loro associazioni. A tutte le
società l’Autorità per la regolazione dei trasporti (ART) ha chiesto il
versamento del contributo a essa dovuto per gli anni 2014 e 2015 a norma,
rispettivamente, dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 12
febbraio 2014 e 2 aprile 2015, che hanno approvato le delibere dell’ART 23
gennaio 2014, n. 10, e 27 novembre 2014, n. 78.
Le ricorrenti hanno
impugnato i provvedimenti di sollecitazione del contributo, nonché le
presupposte delibere e i decreti presidenziali che le hanno approvate. Comune a
tutti i ricorsi e centrale ai fini del contenzioso è la problematica
individuazione dei «gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati», a
norma del censurato art. 37, comma 6, lettera b). Le società ricorrenti si
ritengono estranee a questo novero di soggetti. Alcune difese hanno eccepito
l’illegittimità costituzionale della disposizione citata e la relativa
questione è stata inoltre sottoposta d’ufficio a tutte le parti nell’udienza di
discussione.
1.2.– Il citato art. 37,
comma 6, recita, nell’alinea e nelle lettere a) e b), quanto segue: «[a]lle attività di cui al comma 3 del presente articolo si
provvede come segue: a) agli oneri derivanti dall’istituzione dell’Autorità e
dal suo funzionamento, nel limite massimo di 1,5 milioni di euro per l’anno
2013 e 2,5 milioni di euro per l’anno 2014, si provvede mediante corrispondente
riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai
fini del bilancio triennale 2013-2015, nell’ambito del programma "Fondi di
riserva e speciali” della missione "Fondi da ripartire” dello stato di
previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2013, allo
scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli
affari esteri […]; b) mediante un contributo versato dai gestori delle
infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all’uno per
mille del fatturato derivanti dall’esercizio delle attività svolte percepiti
nell’ultimo esercizio. Il contributo è determinato annualmente con atto
dell’Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio
dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel termine
di trenta giorni dalla ricezione dell’atto, possono essere formulati rilievi
cui l’Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l’atto si intende
approvato».
Il comma 3, richiamato
dall’alinea del comma 6, disciplina i poteri dell’ART nell’esercizio delle
competenze di cui al precedente comma 2. Quest’ultimo, a propria volta, afferma
che «[l]’Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell’accesso alle
relative infrastrutture» ed elenca una serie di funzioni specifiche della stessa,
ad avviso del rimettente perlopiù attinenti all’accesso alle infrastrutture di
trasporto e agli oneri di servizio pubblico.
Il comma 1 dello stesso art.
37, pur collocando l’ART «[n]ell’ambito delle
attività di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14
novembre 1995, n. 481», le attribuisce competenza «nel settore dei trasporti e
dell’accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità
con la disciplina europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle
competenze delle regioni e degli enti locali di cui al titolo V della parte
seconda della Costituzione». In questo comma, ad avviso del TAR, «la vocazione
dell’ART risulta dunque generalista nell’ambito della materia del trasporto, e
tale da potenzialmente interessare l’intero settore, non ulteriormente
qualificato con riferimento agli oneri di servizio pubblico».
Nella versione originaria,
il comma 1 faceva riferimento a regolamenti del Governo volti «a realizzare una
compiuta liberalizzazione nel settore ferroviario, aereo e marittimo». Già in
sede di conversione del d.l. n. 201 del 2011, però, il riferimento a specifici
settori veniva sostituito con quello a «una compiuta liberalizzazione e
un’efficiente regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle
relative infrastrutture»: permaneva dunque un riferimento alla
liberalizzazione, congiunto alla prevista attribuzione ad una delle autorità
indipendenti già esistenti di competenze analoghe a quelle di cui al vigente
art. 37, comma 2. Dunque, l’originaria vocazione dell’ART, neppure concepita
come distinta autorità indipendente, riguardava, in coerenza con l’ancora
vigente rubrica dell’art. 37 («Liberalizzazione del settore dei trasporti»),
l’apertura al mercato di tipologie di trasporto vincolate a servizi a rete, a
presupposte concessioni amministrative o ad oneri di servizio pubblico, e ciò
con specifico riguardo al trasporto ferroviario, aereo e marittimo.
In seguito, la vocazione
dell’ART è stata ampliata, senza che però, prosegue il rimettente, la
disciplina del contributo, di cui all’art. 37, comma 6, fosse mai adeguata o
chiarita. In particolare, prima ancora che l’ART entrasse in funzione, l’art.
36, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.
27, modificando l’art. 37, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito nella
legge n. 214 del 2011, ha definito la competenza dell’ART mediante il
riferimento al generico concetto di «trasporti», da un lato, e, dall’altro,
alla «disciplina europea dei medesimi». Quest’ultimo riferimento, ad avviso del
rimettente, va letto alla luce del Titolo VI (artt.
90-100) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale,
oltre a contemplare tutte le tipologie di trasporti, li considera non solo un
mercato, in cui promuovere la concorrenza, ma anche uno strumento di
complessiva coesione di altri mercati e dell’Unione europea. Sulla scorta del
TFUE, la politica europea dei trasporti ha considerato, tra l’altro, oltre ai
profili concorrenziali, anche quelli di sicurezza e di tutela dell’ambiente, i
costi sociali e le esternalità negative dei
trasporti, nonché la necessità di favorirne l’intermodalità: il che dimostra
che la filiera è stata considerata nel complesso, come avviene anche nella
disciplina dell’ART. Il legislatore ha dunque optato per una vocazione
dell’autorità non limitata al solo profilo della liberalizzazione, anche per
evitare sovrapposizioni con le competenze dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato.
Tuttavia, l’iniziale
identificazione dei soggetti obbligati al contributo non è stata adeguata a
questa successiva opzione e, «se pure appare coerente con la moderna politica
europea dei trasporti una attenzione al settore nel suo complesso a tutela di
rilevantissimi interessi (dei consumatori, ambientali, economici), le cui
esigenze trascendono i tradizionali confini della concorrenza o del servizio
pubblico, l’imposizione di forme di contribuzione coattiva soggiace a specifici
vincoli costituzionali in termini di riserva di legge (ancorché relativa),
tassatività, progressività e prevedibilità del carico fiscale».
1.3.– Con queste premesse,
il TAR Piemonte solleva la questione di legittimità costituzionale di cui in
esordio, precisando che essa è rilevante in quanto l’intero contenzioso si
fonda sulla difficoltà di identificare la platea dei soggetti obbligati al
contributo, come riconosciuto dalla stessa ART (nel suo secondo Rapporto
annuale al Parlamento del 15 luglio 2015).
1.4.– Il contributo dovrebbe
essere inquadrato tra le imposizioni fiscali o prestazioni patrimoniali
imposte, analogamente a quanto ritenuto dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 256 del 2007. Decisivi furono ritenuti, in quel
caso, la doverosità della prestazione imposta (senza rapporto sinallagmatico
rispetto a prestazioni di servizi), il suo collegamento con una spesa pubblica
e il riferimento a un presupposto economicamente rilevante. Nel caso odierno,
analogamente, il contributo è imposto ai gestori dei servizi regolati in
termini generali; serve a finanziare la spesa per il funzionamento dell’ART; è
avulso da qualsiasi corrispettività con specifici servizi, sicché non è
pertinente la giurisprudenza, citata da alcune parti, relativa ai contributi a
favore dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ricostruiti come
sostanziale corrispettivo per specifiche attività regolatorie
ed amministrative.
Così inquadrata la
fattispecie, il rimettente si interroga se la scarna disciplina legislativa
rispetti la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. e, «in subordine», se
l’ampia e indiscriminata platea degli obbligati non contrasti con l’art. 3
Cost.
1.4.1.– Secondo la
giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 350 del
2007), la riserva relativa di cui all’art. 23 Cost. impone al legislatore
di determinare criteri direttivi e linee generali di disciplina della
discrezionalità amministrativa in merito al presupposto, alla base imponibile,
ai soggetti passivi, all’aliquota e alla quota di prelievo.
Rispetto a tali requisiti,
il rimettente evidenzia alcuni profili di insufficienza della disposizione
censurata, paragonandola a quanto previsto «dall’art. 38 co.
2 l. n. 431/95» [recte: art. 2, comma 38, lettera b),
della legge 14 novembre 1995, n. 481, recante «Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità»].
In primo luogo, è indicata
la percentuale massima di fatturato suscettibile di prelievo, nonché un tetto
ai finanziamenti pubblici a favore dell’ART, ma non un limite ai costi globali
della stessa autorità. Al rimettente non pare soddisfacente che la misura di
tali costi possa ricavarsi da quanto necessario per la gestione della struttura
dell’ART: quest’ultima, per la sua spiccata autonomia organizzativa e
gestionale, potrebbe scegliere di applicare sempre l’aliquota massima,
«contestualmente autodeterminando la propria struttura in tal senso», in
assenza di una predeterminazione legale della quota di prelievo.
In secondo luogo, mentre
l’art. 2, comma 38, lettera b), della legge n. 481 del 1995 determina il
contributo come percentuale dei «ricavi», la disposizione censurata fa
riferimento al «più opinabile concetto di "fatturato”», sicché potrebbe
mettersi in dubbio la sufficiente determinazione della base imponibile.
In terzo luogo, la citata
disposizione del 1995 riguarda autorità regolatrici di mercati caratterizzati
da elevata specificità e specializzazione degli operatori, quali energia e
telecomunicazioni. Invece, come del resto è palesato dalle disparate attività
poste in essere dalle ricorrenti, il «mercato dei trasporti e loro
"accessori”», genericamente richiamato dalla disposizione sospetta
d’illegittimità costituzionale, «pur presentando esigenze di regolazione complessiva
ed organica ormai pacificamente riconosciute anche a livello europeo, pare […]
richiedere un maggior rigore normativo nella definizione della platea dei
destinatari del contributo e della sua struttura».
1.4.2.– «In ogni caso», la
parificazione di un novero di obbligati così indefinito colliderebbe con l’art.
3 Cost. Le delibere dell’ART impugnate dinanzi al rimettente hanno individuato
come obbligati soggetti che, «pur parte del mercato dei trasporti, e non certo
impermeabili ad esigenze di regolazione, sono in posizione assolutamente
difforme tra loro»: così, ad esempio, i gestori di reti o i concessionari di
servizi pubblici, da un lato, e, dall’altro, i meri prestatori di servizi di
trasporto su strada. La stessa ART ha individuato una sorta di soglia de minimis, ragionevole ma non prevista nella legge, che, «con
modalità sostanzialmente arbitrarie», ha comportato effetti notevoli sulla
suddivisione del carico impositivo tra i destinatari, ad esempio esentando i
tassisti, ancorché la loro attività sia espressamente contemplata nell’art. 37
del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del
2011.
Inoltre, poiché i soggetti
incisi sono, a vario titolo, imprenditori del mercato dei trasporti,
l’imprevedibilità degli oneri impositivi si tradurrebbe anche in una violazione
della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Settori specifici di mercato
possono bensì essere interessati, per le loro caratteristiche peculiari
(qualora, ad esempio, garantiscano rendite di posizione), da specifiche
tassazioni, purché strutturate in modo coerente, proporzionale e ragionevole (è
citata la sentenza
n. 10 del 2015). Tuttavia, sono state giudicate illegittime norme
impositive che parificavano situazioni tra loro difformi: è citata in
particolare la sentenza
n. 83 del 2015 (ancorché relativa alla parificazione di «oggetti», non di
soggetti, eterogenei), la quale ha stigmatizzato l’assenza tanto di criteri
idonei a limitare la discrezionalità amministrativa nell’attuazione della
disciplina, quanto di forme procedurali partecipative, talora considerate dalla
stessa giurisprudenza costituzionale idonee a compensare il deficit di
tassatività di norme primarie altrimenti incompatibili con l’art. 23 Cost.
Nel caso in esame, il
correttivo da ultimo menzionato è assente.
Sul piano normativo, nessuna
partecipazione è prevista dalla disposizione censurata; inoltre, i
provvedimenti impugnati dinanzi al TAR rimettente, per il loro carattere
generale, sfuggono ai principi generali sulla partecipazione, a norma dell’art.
13 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi); infine,
benché l’art. 37, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, richiami le norme organizzative e
di funzionamento di cui alla legge n. 481 del 1995, quest’ultima, all’art. 2,
contiene previsioni in materia procedimentale, ma non contempla alcuna forma di
partecipazione alle delibere sui contributi, conformemente alla natura di esse.
Nei fatti, poi, prosegue il
rimettente, per la prima delibera dell’ART impugnata (n. 10 del 2014) non è
stata attivata alcuna forma di partecipazione; per la seconda (n. 78 del 2014),
l’autorità ha affermato di avere proceduto ad ampie consultazioni, ma ha
altresì evidenziato la difficoltà di coinvolgere un numero talmente elevato e
indefinito di soggetti: il che comproverebbe l’indeterminatezza della
previsione legislativa e la conseguente ratio legis di esclusione della partecipazione.
1.4.3.– Del resto, osserva
il rimettente, la peculiarità del beneficiario del contributo, qualora
quest’ultimo fosse determinato con la collaborazione dei soggetti incisi,
porrebbe anche un problema di compatibilità con l’art. 97 Cost. e con i
principi, ivi previsti, del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica
amministrazione. La problematica si collocherebbe «in un delicato crocevia di
valori», sicché sarebbe preferibile «una più rigorosa lettura» della riserva
relativa di legge, con ulteriore rafforzamento dei dubbi di legittimità
costituzionale già espressi.
Diversamente da altre
autorità deputate all’emanazione di fonti secondarie integrative, le autorità
indipendenti sono prive di responsabilità e legittimazione politica. Ancorché
la disposizione censurata conferisca al Presidente del Consiglio dei ministri,
di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il potere di
approvare le delibere oggetto di impugnazione nel giudizio a quo, tale potere è
stato esercitato in modo da valorizzare l’indipendenza dell’ART: tanto che in
ossequio ad essa l’approvazione è stata concessa, nonostante le riconosciute
difficoltà in merito all’identificazione dei soggetti obbligati.
Il giudice rimettente
ribadisce che la riserva di legge può essere soddisfatta anche quando
l’integrazione della legge ad opera di fonti secondarie è circoscritta mediante
la previsione di meccanismi partecipativi; e ciò sembra attagliarsi
particolarmente bene alle autorità indipendenti, titolari di ampi poteri
regolatori e decisionali pur in assenza di responsabilità e legittimazione
politica. Tuttavia, «là dove si tratti di determinare puntualmente le fonti di
finanziamento dell’Autorità […], le esigenze di neutralità e indipendenza ben
possono entrare in conflitto con interventi partecipativi significativi da
parte dei destinatari della regolazione»: le esigenze anzidette, infatti,
sussistono sia rispetto al potere politico, sia, a maggior ragione, «rispetto
ai poteri economici destinatari della regolazione». Ne consegue, ad avviso del
rimettente, che quanto più la riserva relativa in materia di contributi
obbligatori sarà interpretata rigorosamente, pretendendo la determinazione di
criteri effettivi e chiari, tanto maggiore sarà la garanzia di indipendenza
della stessa autorità. Sotto questo profilo, la disposizione censurata appare
di dubbia compatibilità con l’art. 97 Cost., «alla luce delle esigenze di
imparzialità che la peculiare posizione dell’Autorità traduce nel più pregnante
concetto di neutralità».
1.5.– Di qui, conclude il
TAR rimettente, la questione di legittimità costituzionale, sollevata in
relazione agli art. 3, 23, 41 e 97 Cost., avente ad oggetto l’art. 37, comma 6,
lettera b), del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 214 del 2011, «nella parte in cui attribuisce all’ART un potere di
determinazione di una prestazione patrimoniale imposta senza individuare i
necessari presupposti dell’imposizione».
2.– Si sono costituite in
giudizio, con due atti distinti, ma di analogo contenuto, depositati il 14
marzo 2016, Aviapartner spa congiuntamente ad Aviapartner Handling spa, e Aviation Service spa, parti di due dei giudizi a quibus.
2.1.– Premesso di operare
nel settore dell’handling aeroportuale (servizio di
assistenza a terra), le società ricostruiscono lo svolgimento dei giudizi a quibus – ivi compresa l’ordinanza cautelare del TAR adito
(12 novembre 2015, n. 346), confermata dal Consiglio di Stato (quarta sezione,
ordinanza 19 gennaio 2016, n. 312) – e la tormentata storia legislativa che, in
parallelo con le evoluzioni della disciplina dei trasporti adottata dall’Unione
europea, ha portato all’istituzione dell’ART, soprattutto con il d.l. n. 201
del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e con il
d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012.
La stratificazione degli interventi normativi avrebbe portato a una situazione
di confusione e incertezza, con riguardo sia alle competenze dell’autorità, il
cui perimetro sarebbe «estremamente ampio e troppo vago», sia
all’identificazione dei soggetti obbligati al contributo, come rilevato
nell’ordinanza di rimessione. Tale identificazione sarebbe «praticamente
impossibile» per la testuale contraddittorietà dell’art. 37 del d.l. n. 201 del
2011, come convertito, il quale fa riferimento ora ai «soggetti esercenti il
servizio sottoposto a regolazione», ora ai «soggetti sottoposti a regolazione»,
i quali – tenuto conto della competenza dell’ART a determinare i criteri per la
fissazione delle tariffe o gli schemi di bandi di gara – potrebbero includere
persino altre autorità di settore ed enti territoriali.
Di tali problemi avrebbero
dato atto il Presidente del Consiglio dei ministri, nelle premesse al proprio
decreto del 2 aprile 2015, sia l’ART, nel secondo Rapporto annuale al
Parlamento.
2.2.– Ciò premesso, le
società eccepiscono anzitutto il difetto di rilevanza della questione, sul
presupposto di non essere «soggetti sottoposti a regolazione», né «soggetti
esercenti il servizio sottoposto a regolazione», con conseguente
inapplicabilità, nei loro confronti, del censurato art. 37, comma 6, lettera
b).
Il servizio di assistenza a
terra è stato infatti totalmente liberalizzato, per effetto della direttiva
96/67/CE del Consiglio del 15 ottobre 1996, relativa all’accesso al mercato dei
servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità, nonché del
decreto legislativo 13 gennaio 1999, n. 18 (Attuazione della direttiva 96/67/CE
relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli
aeroporti della Comunità), con attribuzione di mere funzioni di controllo e
vigilanza tecnica all’Ente nazionale aviazione civile. L’ART sarebbe totalmente
priva di competenze regolatorie su questa tipologia
di servizi, come è comprovato dalla sua estraneità alla redazione o revisione
del bando di gara relativo allo scalo di Roma Fiumicino. Non sarebbero
conferenti le distinzioni, operate dalla stessa autorità, tra servizi pubblici,
di pubblica utilità e di mercato, né la sentenza del Consiglio di Stato, sesta
sezione, 5 giugno 2006, n. 3352, relativa a settori non ancora integralmente
liberalizzati come è invece l’handling aeroportuale.
In conclusione, le società esercenti tale servizio non potrebbero essere
soggetti ad alcuna regolazione (economica, concorrenziale o tecnica) da parte
dell’ART. Né potrebbe sostenersi che la competenza dell’autorità riguardi
l’intero settore dei trasporti – pena i profili di incompatibilità con l’art. 3
Cost. riscontrati nell’ordinanza di rimessione – oppure tutti i soggetti che in
qualsiasi modo beneficino delle attività regolatorie
poste in essere dall’ART, perché in tal modo sarebbero assoggettate a
contributo tutte le aziende che svolgano attività di qualsiasi tipo all’interno
degli aeroporti.
In senso analogo si sarebbe
espresso il Consiglio di Stato nella citata ordinanza n. 312 del 2016,
escludendo, in sede di delibazione cautelare, la soggezione contributiva delle
società di handling, «poiché il relativo obbligo in
tanto sarebbe potuto sorgere in quanto esse operassero in un mercato regolato e
solo se ve ne fossero criticità ed asimmetrie tali da giustificare un
intervento regolatorio ex ante dell’ART», la quale
«può chiedere il contributo non già solo per il suo funzionamento, ma nei
limiti di tal attività regolatoria, che presuppone
un’analisi di mercato in contraddittorio con tali imprese e che allo stato non
sembra ravvisarsi nei loro confronti, in quanto operano o in mercato in sé
libero o in ambiti già regolati ex ante da altre Autorità».
2.3.– Qualora invece la
questione fosse ritenuta rilevante, essa sarebbe, ad avviso delle esponenti,
fondata in riferimento a tutti i parametri evocati dal TAR rimettente.
2.3.1.– In merito all’art.
23 Cost., le difese delle tre società, richiamata la giurisprudenza costituzionale
sulla nozione di tributo, ripercorrono le argomentazioni del giudice rimettente
e i precedenti da esso richiamati (soprattutto la sentenza n. 83 del
2015); in merito alle garanzie procedimentali e di difesa in relazione
all’esercizio dei poteri dell’ART, sottolineano le lacune del censurato art.
37, che è dubbio se possano essere adeguatamente integrate dai principi di cui
alla legge n. 481 del 1995, considerato che l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato ha ritenuto indispensabile dotarsi di appositi
regolamenti in materia. Nemmeno è richiamato, in alcun modo, il dovere di
applicare, nei procedimenti volti all’applicazione di sanzioni, la legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), previsto invece da altre
normative analoghe.
2.3.2.– Pure in merito
all’art. 3 Cost. sono ripercorsi gli argomenti dell’ordinanza di rimessione,
sottolineandosi in aggiunta che il settore dei trasporti presenta caratteristiche
peculiari: è aperto ad aziende che operano e realizzano il proprio fatturato
sia all’estero sia in Italia e qui, talora, in modo anche solo episodico;
nonché ad aziende difficilmente censibili e coercibili all’adempimento (ad
esempio, aziende di autotrasporto con sede esterna all’Unione europea).
Inoltre, risulterebbero sistematicamente esclusi dal pagamento coloro che, pur
beneficiando dell’attività regolatoria, accedono alla
rete come singoli individui (ad esempio, i singoli automobilisti che accedono
alla rete autostradale).
Non varrebbe a risolvere i
problemi descritti l’impiego, escogitato dall’ART, dei codici delle attività
economiche (ATECO): si tratta di codici utilizzati solo per finalità
statistiche; il loro impiego, in assenza di qualsiasi aggancio con l’art. 37
del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del
2011, è un espediente la cui artificiosità comprova le carenze di tale
normativa legislativa. Del resto, le note criticità sono state rilevate anche dopo
la decisione dell’ART di utilizzare questi codici, nelle premesse del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 aprile 2015.
2.3.3.– La difesa delle tre
società riporta e condivide anche i rilievi del TAR rimettente sulla sospetta
violazione sia dell’art. 41, sia dell’art. 97 Cost., corroborando il
riferimento al primo parametro con ulteriori riferimenti giurisprudenziali.
3.– Si sono costituite in
giudizio, con atto depositato il 14 marzo 2016, Confetra-Confederazione
generale italiana dei trasporti e della logistica, nonché altre associazioni
imprenditoriali, congiuntamente a JAS-Jet Air Service
spa, e ad altre società commerciali, parti di uno dei giudizi a quibus.
3.1.– Le esponenti
riferiscono di essere operative nei settori dell’autotrasporto e della
logistica (spedizioni, corrieri, magazzinaggio). Tali settori sarebbero esclusi
dall’ambito dei servizi regolati dall’ART, la cui istituzione, come rilevato
dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 41 del
2013), «s’inscrive nel sistema di regolazione indipendente dei servizi di
pubblica utilità, avviato con la legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la
concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle
Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) e, come tale, è volta
a realizzare un mercato concorrenziale nei servizi di trasporto». Le attività
delle esponenti non sarebbero riconducibili al novero dei servizi regolati, perché
prive di qualsiasi connotazione in termini di servizi di pubblica utilità o di
interesse generale; da sempre esse sarebbero lasciate al libero mercato, sicché
sarebbe improprio parlare di una loro "privatizzazione”, non essendosi mai
verificata alcuna "pubblicizzazione”.
3.2.– Nel ripercorrere le
argomentazioni del TAR rimettente, le esponenti ribadiscono che la portata del
censurato art. 37, comma 6, lettera b), mai potrebbe essere estesa al punto di
includere nel novero dei «gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati»
anche gli operatori dei servizi di autotrasporti e logistica: sarebbe
altrimenti snaturato lo stesso concetto di autorità indipendente di
regolazione, «che trova la giustificazione della propria indipendenza proprio
nel carattere tecnico dell’attività di regolazione conness[a]
con il processo di liberalizzazione di settori economici di pubblico interesse
– come quello dei servizi pubblici – e non può essere, invece, trasformata in
una sorta di Ministero dei trasporti indipendente, sganciato dal circuito democratico-rappresentativo ma competente su qualsiasi
aspetto dell’eterogeneo mondo del trasporto, compresi gli ambiti da sempre
lasciati al liberto mercato e mai stati oggetto di regolazione per pubblica
utilità».
Passando in rassegna le
censure riferite agli artt. 3, 41 e 97 Cost., le esponenti rimarcano altresì,
soprattutto in relazione al primo parametro, che la disposizione censurata
stabilirebbe una disciplina identica per situazioni che sono, invece,
profondamente differenti: il mercato dei trasporti non è unitario, ma
estremamente diversificato, perché riunisce alcuni ambiti in cui sussistono
esigenze di servizio pubblico (come quelle che per anni hanno giustificato la
"pubblicizzazione” di settori quali il trasporto ferroviario, aereo e il
trasporto pubblico locale) ed altri in cui gli operatori non svolgono servizi
orientati al bene della collettività, ma comuni attività imprenditoriali (quali
appunto quelle di autotrasporto privato e logistica).
4.– Si sono costituite in giudizio,
con atto depositato il 14 marzo 2016, DHL Express (Italy) srl e altre società
commerciali, parti di uno dei giudizi a quibus.
4.1.– Queste società
espongono di appartenere al gruppo DHL e di operare nei mercati del corriere
espresso, delle spedizioni di merci, nonché dei servizi di logistica relativi
alla distribuzione di merci. Riassunto lo svolgimento del giudizio a quo,
precisano di avere altresì impugnato, con motivi aggiunti, gli atti dell’ART
che hanno determinato l’entità del contributo obbligatorio per il 2016
(delibera 5 novembre 2015, n. 94, approvata con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 23 dicembre 2015).
4.2.– Dopo avere riportato
il contenuto della disposizione impugnata e i termini delle questioni di
legittimità costituzionale sollevate dal TAR, le società eccepiscono anzitutto
che la disposizione può essere interpretata in modo conforme a Costituzione.
Il contributo in questione
sarebbe una tassa di scopo, parzialmente commutativa per i servizi resi agli
operatori dall’ART, le cui competenze regolatorie non
sono generiche e illimitate, in relazione a un non meglio definito «settore
europeo dei trasporti», ma circoscritte ai servizi di pubblica utilità di cui
alla legge n. 481 del 1995, al fine di facilitarne la liberalizzazione. Sul
piano testuale, il censurato art. 37, comma 6, lettera b), stabilirebbe un
nesso tra il contributo, i poteri dell’ART e l’esercizio di specifiche
competenze regolamentari. Sul piano sistematico, il comma 1 dello stesso art.
37 collocherebbe l’autorità nell’ambito della regolazione dei servizi di
pubblica utilità di cui alla legge n. 481 del 1995, come risulterebbe altresì
dai lavori preparatori e dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 41 del
2013); il legame tra l’obbligo contributivo e le attività regolatorie sarebbe anche attestato dalla giurisprudenza
amministrativa (è citata la sentenza del Consiglio di Stato, terza sezione, 17
febbraio 2015, n. 810), confermata, con riguardo alla specifica fattispecie,
dalla già citata ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 312 del 2016.
Così interpretata, la disposizione in questione delimiterebbe in modo adeguato
la discrezionalità dell’amministrazione nel definire il perimetro della
contribuzione, la quale sarebbe circoscritta ai soli soggetti passivi
dell’attività regolatoria, negli stretti limiti di
corrispondenza e proporzionalità tra prelievo e costi della regolazione. A tale
perimetro sarebbero estranee le società del gruppo DHL, che non svolgono
servizi di pubblica utilità, bensì attività aperte alla libera concorrenza, non
interessate da processi di liberalizzazione.
4.3.– Qualora non fosse
seguita l’interpretazione prospettata, la questione di legittimità
costituzionale sarebbe fondata sotto tutti i parametri evocati.
4.3.1.– A proposito
dell’art. 23 Cost., si osserva che il carattere relativo della riserva consente
bensì integrazioni da parte di atti amministrativi, anche con riguardo a
presupposti ed elementi della prestazione imposta; ma al contempo richiede al
legislatore di individuare con sufficiente analiticità gli elementi essenziali
della stessa prestazione (presupposto d’imposta, base imponibile, soggetti
obbligati, indici di capacità contributiva).
Nel caso, ad avviso delle
società esponenti, sussiste un difetto di tassatività con riguardo
all’individuazione sia dei soggetti obbligati, sia della quota di prelievo.
Quanto al primo profilo,
l’assenza di criteri delimitativi della discrezionalità dell’ART è dimostrata
dal fatto che quest’ultima, nei primi tre anni di applicazione del contributo,
ha individuato in termini sempre diversi, eterogenei e non corretti il novero
dei soggetti obbligati: per il 2014 (delibera n. 10 del 2014), ha fatto
riferimento ai codici ATECO, che costituiscono però una mera classificazione
statistica, attribuita dalle Camere di commercio sulla base dell’attività
dichiarata dall’impresa; per il 2015 (delibera n. 78 del 2014), ha ribadito il
riferimento ai codici ATECO, ma ha consentito che la presunzione derivante
dall’attribuzione di un certo codice potesse essere superata mediante la
verifica dell’attività effettivamente svolta, senza però chiarire, ad avviso delle
esponenti, il rapporto tra i due criteri, né gli indici per distinguere le
attività ricadenti o meno nel settori di competenza dell’ART; per il 2016
(delibera n. 94 del 2015), sul presupposto di avere competenza per «tutti i
comparti ed i segmenti dell’intero settore dei trasporti», l’autorità ha
adottato un nuovo sistema, basato su «ordinamenti settoriali», che include tra
i soggetti obbligati anche le imprese operanti nel settore dei «servizi
logistici e accessori ai settori dei trasporti». Nel giudizio a quo, infine, la
stessa autorità ha fatto riferimento alla nozione di «utente
dell’infrastruttura regolata» per giustificare l’applicazione del contributo
alle imprese utenti di aeroporti, autostrade e ferrovie: con la conseguenza,
ritenuta dalle esponenti paradossale, che qualsiasi operatore economico
dovrebbe ritenersi obbligato, alla sola condizione di superare la soglia minima
determinata dalle stesse delibere.
Quanto alla quota di
prelievo, l’assenza di un tetto massimo agli oneri e ai costi imputabili
all’istituzione e al funzionamento dell’autorità ha comportato la conseguenza
(accertata in fatto nella citata ordinanza del Consiglio di Stato n. 312 del
2016) che, pur non avendo percepito alcun pagamento dalle imprese operanti
nella logistica, l’ART ha esposto, nel bilancio consuntivo per l’anno 2014,
somme consistenti a titolo di patrimonio netto e di avanzo di amministrazione,
mentre ulteriori avanzi sono prefigurati nei bilanci di previsione per gli anni
2015 e 2016.
4.3.2.– Con riguardo
all’art. 3 Cost., le società del gruppo DHL rimarcano l’indebita assimilazione
di ambiti del settore dei trasporti estremamente diversificati, anche quanto
all’esigenza di interventi regolativi di competenza dell’ART. Sottolineano poi
in particolare l’intrinseca irragionevolezza della indiscriminata
sottoposizione a contribuzione di una platea di soggetti individuati senza
alcun legame con le attività di regolamentazione ex ante dell’autorità, in
assenza di basi logiche e razionali nella disciplina istitutiva dell’ART o in
altre fonti legislative. L’irragionevolezza sarebbe ancor più evidente quando,
come nel caso delle esponenti, sussiste in concreto il rischio di una
duplicazione dei contributi: poiché queste società acquistano, per conto dei
propri clienti, servizi di trasporto da terzi, in assenza di uno scomputo dal
fatturato dei costi per l’acquisto di questi servizi dai terzi, i contributi
risultano duplicati, essendo corrisposti una prima volta dalle esponenti sul
proprio fatturato e una seconda volta dalle aziende terze, loro fornitrici, sui
rispettivi fatturati. Di questa circostanza si sarebbe, invece, fatta carico
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, riconoscendo, rispetto al
contributo che le è dovuto, il suddetto scomputo alla categoria degli
spedizionieri.
La stessa ART, per gli anni
2015 e 2016, tenuto conto delle differenti esigenze regolatorie,
ha stabilito per le imprese del settore della logistica un’aliquota (0,2 per
mille) inferiore a quella (0,4 per mille) stabilita per le altre. Resta però il
problema che le lacune della legge lasciano spazio all’arbitrio applicativo:
come sarebbe comprovato dal fatto che la descritta riduzione non è stata
riconosciuta per l’anno 2014.
4.3.3.– Sarebbero altresì
fondate le censure riferite agli artt. 41 e 97 Cost.: la prima, per
l’arbitrario e irragionevole assoggettamento di società come quelle del gruppo
DHL al contributo, con significativa alterazione dell’equilibrio concorrenziale
e conseguente violazione della libertà di iniziativa economica, in assenza di
ragioni di utilità sociali dichiarate o comunque evincibili dal contesto
normativo; la seconda, perché, da un lato, il difetto di tassatività della
norma metterebbe a repentaglio l’imparzialità dell’ART e, dall’altro, mancano
garanzie partecipative tali da temperare l’ampiezza dei poteri della stessa
autorità, sprovvista di legittimazione e responsabilità politica.
5.– Si è costituito in
giudizio, con atto depositato il 15 marzo 2016, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo il rigetto della questione.
5.1.– Dopo avere ripercorso
il contenuto dell’ordinanza di rimessione e della disposizione impugnata,
nonché della sentenza
n. 256 del 2007, la difesa statale sottolinea la configurazione data dai
commi 1 e 2 del censurato art. 37 al mandato istituzionale dell’ART: una
configurazione ampia sia in senso orizzontale, vale a dire estesa a tutti i
comparti e i segmenti del settore dei trasporti, anche per tenere conto della
concorrenza intermodale; sia in senso verticale, cioè atta a ricomprendere
tanto le barriere all’accesso, quanto i servizi, in ragione dell’integrazione
verticale dei trasporti (intesa come modalità di fruizione da parte dell’utente
finale), nonché della limitata contendibilità dei
servizi finali e dell’esigenza di garantirne la qualità.
5.2.– Ciò premesso, il
Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce anzitutto il difetto di
motivazione sulla rilevanza della questione nei giudizi rimessi alla cognizione
del TAR rimettente: quest’ultimo, limitandosi a elencare i tipi di attività
svolti dalle società ricorrenti, non avrebbe spiegato come tale dato, con
specifico riferimento a ciascuna di esse, incida sulla valutazione della
rilevanza.
5.3.– Nel merito, tutte le
censure sarebbero infondate.
5.3.1.– L’art. 23 Cost., il
quale esige la regolazione legislativa dei soli profili fondamentali della
disciplina, sarebbe soddisfatto dalla previsione sia dei soggetti passivi, sia
della base imponibile, sia dell’aliquota massima. Solo «la concreta
determinazione dell’aliquota annuale» sarebbe demandata a un atto
amministrativo generale. In presenza di un tale assetto normativo, coerente con
la ratio del contributo, il TAR avrebbe dovuto
risolvere autonomamente la questione, se le singole società ricorrenti si
trovassero o meno nella condizione di essere assoggettate al contributo. Si
tratterebbe di una comune questione di interpretazione legislativa, risolvibile
alla luce dei normali canoni ermeneutici e rientrante nella giurisdizione
generale di legittimità del giudice amministrativo
5.3.2.– Non sussisterebbe
alcuna «disparità di trattamento tra varie categorie, come conseguenza della
soglia di non applicabilità del contributo». Non sarebbe irragionevole
esonerare dal contributo chi, per la modestia del fatturato, sarebbe altrimenti
tenuto a versamenti esigui.
5.3.3.– Nemmeno sarebbe
violato l’art. 41 Cost. È nuovamente richiamata, in proposito, la sentenza n. 256 del
2007, laddove, in riferimento al meccanismo di autofinanziamento allora
scrutinato, afferma che esso comporta una contribuzione obbligatoria sul
mercato di competenza, determinata annualmente dall’autorità, sotto il
controllo dell’esecutivo e nell’osservanza di precisi limiti legali; e conclude
che, per la sua destinazione, il contributo in esame è riconducibile alla
categoria delle entrate tributarie statali.
6.– Si sono costituite in
giudizio, con atto depositato il 15 marzo 2016, United
Parcel Service Italia srl e altre società
commerciali.
Ricostruito il contenuto del
censurato art. 37, nonché lo svolgimento del giudizio a quo, di cui le società
sono parti, in qualità di operatori del settore della logistica (in
particolare, dei servizi di corriere espresso, spedizione e magazzinaggio), le
esponenti propongono anch’esse un’interpretazione costituzionalmente orientata
dell’articolo citato e del suo comma 6, lettera b): destinatarie dell’obbligo
di contribuzione potrebbero essere solo le attività ricadenti in ambiti in cui
la legge attribuisce all’ART competenze regolatorie,
e dunque servizi di pubblica utilità – segnatamente di trasporto ferroviario,
aereo, marittimo e autostradale – alla cui liberalizzazione l’autorità stessa
sarebbe funzionale.
Se condivisa, tale
interpretazione consentirebbe di delimitare il novero dei soggetti tenuti alla
contribuzione, nonché di contenere quest’ultima attraverso una relazione tra contributo,
ricavi delle attività regolate e costi della regolazione, secondo canoni di
proporzionalità. Qualora invece si ritenesse l’obbligo in questione esteso a
tutte le imprese operanti nel settore dei trasporti e delle attività connesse,
indipendentemente dal rapporto con le funzioni dell’ART, sarebbero fondate le
censure di legittimità costituzionale enunciate nell’ordinanza di rimessione.
7.– Si sono costituite in
giudizio, con atto depositato il 15 marzo 2016, Venezia Terminal Passeggeri spa
e altre società commerciali, nonché Assiterminal –
Associazione italiana terminalisti portuali.
7.1.– Le società espongono
di essere imprese «terminaliste»: gestiscono terminali portuali,
specializzandosi nell’offerta dei servizi di movimentazione (scarico, carico,
stoccaggio) delle merci, nel rispetto delle prescrizioni dell’autorità
concedente e dell’autorità portuale, a norma dell’art. 16 della legge 28
gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale).
In questo settore
sussisterebbe piena e reale concorrenza, soggetta al controllo dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato. Il rischio di disfunzioni del mercato,
con conseguente necessità di garanzie per l’accesso ai servizi, sarebbe
inesistente (e infatti non sono riscontrabili in concreto interventi regolatori
in tal senso), per il numero di strutture terminaliste equivalenti, l’ampia
possibilità di scelta dei vettori e la costante carenza di traffici portuali.
Le stesse operazioni non sono soggette a regimi tariffari: le tariffe sono
libere; su di esse l’autorità portuale ha solo funzioni di vigilanza. I
rapporti concessori, di cui i terminalisti sono parte, sono altresì esclusi da
regolazione indipendente sotto i profili gestori e esecutivi; per quanto
riguarda la sicurezza e gli standard tecnici, sono le amministrazioni e gli
enti competenti a definire regole e controlli; le scelte di definizione degli
ambiti di servizi pubblico, di tutela sociale e di promozione degli
investimenti, poi, rientrano nella responsabilità dei diversi livelli di
governo e sono, dunque, anch’essi estranei alle competenze dell’ART.
La complessiva estraneità
del settore alle competenze di questa autorità è dimostrata anche dalla
mancanza di una corretta rilevazione delle imprese terminaliste: i codici
ATECO, il cui uso è stato contestato nel giudizio a quo, hanno valenza
meramente statistica e non provano la reale attività delle singole imprese,
tanto che spesso differiscono tra loro, anche per le diverse sfumature delle
attività nei vari porti; a causa di ciò, una delle società ricorrenti si
sarebbe vista applicare un’aliquota (0,4 per mille) diversa da quella applicata
alle altre (0,2 per mille). Apodittici e non veritieri sarebbero i riferimenti,
nelle premesse della delibera dell’ART n. 78 del 2014, ad adempimenti
istruttori in merito alla rilevazione delle attività delle imprese interessate,
i quali comunque non sarebbero stati preceduti dagli avvisi di cui all’art. 7
della legge n. 241 del 1990.
I principi di ragionevolezza
e uguaglianza richiederebbero, invece, la graduazione (o addirittura
l’esclusione) del contributo in relazione alla natura delle attività e alla
varia incidenza su di esse dei poteri regolatori dell’ART, a maggior ragione in
quanto sussiste il rischio di un indebolimento finanziario dei terminalisti a
causa della misura dei contributi loro imposti, elevata e comunque
ingiustificata in assenza di effettive funzioni regolatorie
dell’autorità.
7.2.– Ciò premesso, le
società affermano la rilevanza della questione di legittimità costituzionale,
per la genericità della formula legale, tale da consentire l’applicazione del
contributo anche a imprese che, come le esponenti, non rientrerebbero nella
categoria dei «gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati» dall’ART:
il vizio riguarderebbe proprio l’individuazione dell’ambito soggettivo
dell’obbligo contributivo, nonché del rapporto sussistente tra esso e la
qualità di beneficiari dell’attività regolatoria.
7.3.– La questione sarebbe
fondata in relazione a tutti i profili di censura che il TAR rimettente ha
enucleato e le esponenti ripercorrono.
7.3.1.– Con riguardo
all’art. 23 Cost. e, in particolare, al difetto di delimitazione dell’ambito
soggettivo del contributo, le esponenti ritengono troppo generico il rinvio a
nozioni quali il mercato del trasporto o la gestione delle infrastrutture: la
disponibilità di una qualsiasi infrastruttura a condizioni eque o la libertà di
accedere al mercato in questione sono talmente estese, da abbracciare
potenzialmente chiunque, da produttore o utente del servizio, si ponga in
relazione con quel mercato. Qualora occorressero interventi per garantire il
c.d. servizio universale, o livelli minimi di quantità e qualità dei servizi di
interesse generale, l’autorità potrebbe compiere gli opportuni interventi
regolatori, e ciò influirebbe sull’individuazione dei soggetti regolati. Ma
invece sono stati assoggettati a contribuzione anche imprenditori attivi in
settori aperti alla concorrenza, che non necessitano di regolazioni
pro-concorrenziali e neppure sono soggetti a potestà tariffarie.
Con riguardo alla
delimitazione oggettiva della misura del contributo, le esponenti sottolineano
un ulteriore profilo critico, in relazione al «criterio di proporzionalità e
progressività previsto dall’art. 23 della Costituzione»: l’ART (per l’anno
2014) ha applicato l’aliquota contributiva (0,4 per mille; 0,2 per mille per le
imprese dell’autotrasporto e della logistica, con una soglia minima di
contributo pari a 6.000 euro) al fatturato, identificato come somma delle voci
A1 (Ricavi delle vendite e delle prestazioni) e A5 (Altri ricavi e proventi)
del conto economico. Tuttavia il fatturato sarebbe capace di denotare la
capacità contributiva meno di altri dati (ad esempio, l’utile), per la
variegata incidenza dei costi sulle diverse tipologie di imprese. Inoltre,
questo riferimento non considera che una singola impresa può ricavare il
proprio fatturato da attività molteplici, non tutte riconducibili ai trasporti
e alla gestione di infrastrutture; e, benché l’ART (con apposito provvedimento)
consenta lo scomputo dei proventi eterogenei, ciò comporta oneri di allegazione
e documentazione abnormi, sproporzionati e avulsi da qualsiasi canone di
ragionevolezza e semplificazione, con riguardo sia ai principi sul procedimento
amministrativo, sia a quelli tributari (di cui alla legge 27 luglio 2000, n.
212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del
contribuente»).
7.3.2.– Pure in relazione
all’art. 3 Cost. le società esponenti aderiscono alle considerazioni del TAR
rimettente, sottolineando una volta di più, da questo punto di vista, che
arbitrariamente la disposizione censurata non tiene conto del fatto che i
terminali portuali sono oggetto di concessione, che la loro attività è regolata
dagli accordi, contratti e concessioni aggiudicati al gestore e che
l’intervento dell’ART non potrebbe incidere sul contenuto di tali atti.
7.3.3.– Dopo avere aderito
anche alle censure sviluppate nell’ordinanza di rimessione in riferimento
all’art. 41 Cost., le società terminaliste ritengono che la disposizione
censurata sia altresì contraria «ai rilevanti principi comunitari» e, pertanto,
costituzionalmente illegittima ai sensi dell’art. 117 Cost. A tale riguardo, «in
ogni caso ed in subordine», chiedono alla Corte costituzionale, «in qualità di
giurisdizione di ultima istanza», di sottoporre alla Corte di Giustizia
dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, il seguente quesito: «se il
diritto dell’UE osti ad una disciplina nazionale che, come [l’]art. 37, comma
6, del d.l. n. 201 del 2011[,] rimette all’Autorità di regolazione in completa
autonomia e senza l’indicazione di criteri vincolanti l’individuazione
dell’ambito soggettivo e oggettivo delle competenze della regolazione e il
conseguente obbligo delle imprese di contribuire al finanziamento».
Sarebbe altresì fondata la
censura riferita all’art. 97 Cost., per gli argomenti esposti nell’ordinanza di
rimessione.
8.– In data il 24 maggio
2016, hanno depositato atto di intervento Ignazio Messina & C. spa e Costa
Crociere spa.
8.1.– Espongono di essere
imprese di navigazione marittima, esercenti, rispettivamente, attività di
trasporto di merci, e di trasporto di passeggeri mediante navi da crociera. La
disposizione censurata inciderebbe direttamente sulle attività delle due
società, le quali avrebbero pertanto un interesse immediato all’esito del
giudizio di legittimità costituzionale. Le stesse società aggiungono di avere
impugnato, con ricorso notificato il 31 marzo 2016, la delibera dell’ART n. 94
del 2015, facendo propri i rilievi formulati dal TAR nell’ordinanza di
rimessione che ha introdotto il presente giudizio. Con ordinanze del 5 maggio
2016, il TAR adito sospendeva i giudizi introdotti dalle intervenienti, in
attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione già
sollevata, ritenuta preliminare alla decisione di merito. Dalla data di queste
ordinanze, attraverso le quali le due società avrebbero avuto cognizione della
loro legittimazione a partecipare al presente giudizio, decorrerebbe, a loro
avviso, il termine di 20 giorni previsto dall’art. 4 delle vigenti norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
8.2.– Nel merito, le società
chiedono l’accoglimento delle censure di legittimità costituzionale di cui
all’ordinanza di rimessione.
9.– Con memoria depositata
il 31 gennaio 2017, la difesa di Confetra e altri ha
replicato agli argomenti del Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo
per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.
9.1.– A proposito
dell’eccepita inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza in
relazione alla posizione dei singoli ricorrenti, la difesa riconosce che di
questi ultimi il giudice a quo avrebbe potuto effettuare «un primo screening»,
distinguendo in particolare coloro che non svolgono attività di gestione, non
sono titolari di alcuna infrastruttura, né esercitano servizi oggetto di
regolazione pubblica. Tuttavia, considerata anche l’eterogeneità delle
situazioni presenti dinanzi al TAR, ad avviso della difesa restava comunque
fermo il nodo di fondo della difficoltà di individuare i soggetti tenuti alla
contribuzione, il che basterebbe a rendere la questione rilevante.
9.2.– Nel merito, in
relazione all’art. 23 Cost., diversamente da quanto sostenuto dalla difesa
statale, la norma in questione non individuerebbe con precisione i soggetti
obbligati. In senso contrario non varrebbe il riferimento alla sentenza n. 256 del
2007, la quale è stata pronunciata in un giudizio di legittimità
costituzionale in via principale, in cui l’art. 23 Cost. non era stato affatto
evocato come parametro; e, comunque, si riferiva ad altra norma di legge, che
ricollega puntualmente l’obbligo contributivo alla particolare situazione in
cui gli obbligati si vengono a trovare per effetto dell’attività dell’ente.
Invece, i difetti di determinatezza della normativa oggi in esame non
potrebbero essere colmati dall’interpretazione suggerita dalla difesa statale,
nemmeno con riguardo alla base imponibile e all’aliquota massima.
La violazione dell’art. 3
Cost. sarebbe platealmente esemplificata dal trattamento riservato ai tassisti:
i quali, pur gestendo un servizio pubblico, sono stati interamente esentati,
per l’ammontare non elevato del loro fatturato; senza considerare, però, che
l’ampiezza di questa categoria determina, come conseguenza dell’esenzione,
effetti notevoli nei confronti delle altre categorie di obbligati, e che
l’importanza del servizio in esame, insieme alla diversità dei contesti urbani,
richiede all’ART un impegno consistente di organizzazione, mezzi e personale.
Fondata sarebbe altresì la
censura sollevata in relazione all’art. 41 Cost., per l’imprevedibilità di una
imposizione priva di una struttura coerente, proporzionale e ragionevole,
mentre nei confronti della censura in relazione all’art. 97 Cost. nemmeno
sarebbero state formulate repliche.
10.– Con memoria depositata
il 1° febbraio 2017, anche la difesa delle società del gruppo DHL ha replicato
agli argomenti del Presidente del Consiglio dei ministri.
10.1.– In risposta alle
eccezioni di inammissibilità della difesa statale, si osserva come l’ordinanza
di rimessione argomenti diffusamente sia sulla non manifesta infondatezza, sia
sulla rilevanza. A tale ultimo proposito, sarebbe ininfluente la mancata
motivazione della rilevanza in relazione a ciascun ricorrente nei giudizi a quibus e alle rispettive attività. Il presupposto da cui
muove il rimettente è proprio l’ampia e indeterminata accezione del concetto di
«settore dei trasporti», tale da abbracciare tutte le attività dei ricorrenti.
10.2.– Un’interpretazione
della normativa in esame conforme a Costituzione sarebbe possibile, ma il fatto
che il giudice a quo non l’abbia abbracciata non inficerebbe l’ammissibilità
della questione. Infatti, rileva la difesa privata, il rimettente avrebbe
analizzato ed espressamente rigettato tale ipotesi interpretativa, osservando
che le competenze dell’ART non sono limitate ai servizi di pubblica utilità, di
cui alla legge n. 481 del 1995, e che non sussiste alcuna relazione
sinallagmatica tra il contributo imposto e il concreto esercizio dei poteri
regolatori. Non importa che tali considerazioni non siano state espressamente
qualificate come tentativo (non riuscito) di interpretazione conforme a
Costituzione. Neppure il rimettente avrebbe sollevato una mera questione
ermeneutica, in quanto ha preso posizione senza incertezze per una lettura
estensiva della norma in questione e proprio sulla conseguente elasticità di
quest’ultima ha fondato i rilievi di illegittimità costituzionale. Se tale
lettura sia condivisibile o meno, attiene al merito della questione, che la
Corte costituzionale ben può risolvere mediante un’interpretazione restrittiva
della stessa normativa, che ne affermi l’applicabilità solo ai gestori delle
infrastrutture di trasporto (ferroviarie, portuali, aeroportuali e
autostradali) oggetto di progressiva liberalizzazione, nonché ai gestori di servizio
oggetto di regolamentazione diretta da parte dell’ART, «negli stretti limiti di
corrispondenza e proporzionalità tra prelievo e costi della regolazione». Ciò
sarebbe anche in linea con una recentissima giurisprudenza di legittimità, che
ha ravvisato nel contributo a favore dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni non un tributo comune, ma una vera e propria tassa di scopo.
10.3.– Ad avviso della
difesa delle società del gruppo DHL, qualora si seguisse l’interpretazione data
dal TAR rimettente, la questione di legittimità costituzionale sarebbe fondata
in riferimento a tutti i parametri evocati.
In relazione all’art. 23
Cost., si dovrebbe concludere che la norma è indeterminata sotto il profilo sia
soggettivo, sia oggettivo. Oltre a ripercorrere argomenti già esposti, la
difesa provata osserva che il riferimento al concetto di fatturato ha
consentito di includere anche i risultati di attività del tutto estranee alla
gestione di infrastrutture e servizi regolati; e che, benché la stessa ART abbia
consentito lo stralcio dal fatturato di attività non rientranti nella sua
competenza, ciò avrebbe «rimesso la determinazione degli importi dovuti ad una
valutazione estemporanea, in fase esecutiva, dei singoli operatori tenuti al
versamento». Nell’insieme, l’incertezza determinatasi sarebbe incompatibile
anche con le esigenze di certezza in ambito tributario affermate dalla Corte di
Giustizia dell’Unione europea (è citata la sentenza
29 aprile 2004, in causa C-17/01, Sudholz). A
riprova di tale incertezza, sono passate in rassegna le norme relative agli
obblighi di contribuzione a favore di altre autorità indipendenti (legge n. 481
del 1995, art. 38, comma 2, lettera b); legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante
«Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», art. 40, comma 3; decreto
legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante «Codice delle assicurazioni
private», artt. 335, comma 1, e 336, comma 1; legge 23 dicembre 2005, n. 266,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2006», art. 1, commi 67 e 68-bis) e alcuni dei
provvedimenti attuativi delle medesime autorità, per sottolineare la ritenuta
maggiore puntualità di tali norme a paragone di quella sospettata di
illegittimità costituzionale.
In relazione all’art. 3
Cost., si osserva che l’interpretazione del giudice a quo, in contrasto con
l’anzidetto parametro, attrarrebbe nel perimetro dell’obbligo contributivo
soggetti in posizioni differenziate, quali i gestori delle infrastrutture e dei
servizi regolati, gli altri operatori rientranti nel generico mercato dei
trasporti e persino i meri utenti delle infrastrutture regolate; con il risultato
di imporre la contribuzione anche a chi opera in ambiti di libero mercato, non
soggetti, nemmeno indirettamente, a competenze dell’ART.
In relazione all’art. 41
Cost., si osserva, in particolare, che, se viene meno il nesso tra esercizio
concreto di funzioni regolatorie e obbligo
contributivo dei regolati, «per definizione non si crea spesa pubblica
finanziabile con il prelievo», sicché l’ampliamento dell’obbligo manca del suo
presupposto, non corrisponde ad alcuna differenziata attitudine degli interessati
alla contribuzione e risulta, in ultima analisi, ingiustificato alla luce del
parametro costituzionale in esame, nonché incongruo e sproporzionato,
«risultando in tal modo chiara la correlazione esistente tra tale parametro e
l’art. 3 Cost» (sentenza n. 94 del
2013).
11.– Con memoria depositata
il 1° febbraio 2017, anche la difesa di United Parcel Service Italia srl e di altre due società
commerciali hanno ribadito le proprie deduzioni e conclusioni.
La difesa insiste,
anzitutto, sulla possibilità di un’interpretazione costituzionalmente
orientata, fondata su una lettura sistematica dell’intero art. 37 del d.l. n.
201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 2011, che colleghi il
perimetro della contribuzione a quello delle specifiche funzioni attribuite
all’ART, segnatamente con riguardo ai servizi di pubblica utilità e non alle
attività, come quelle di logistica e spedizione, da sempre offerte in regime di
libero mercato e senza connotazioni di pubblico servizio o utilità. Richiamata
altresì l’ordinanza del Consiglio di Stato n. 312 del 2016, la difesa conclude,
pertanto, che il comma 6, lettera b), del citato art. 37, soggettivamente,
sarebbe applicabile solo ai gestori di infrastrutture e servizi di pubblica
utilità nel settore dei trasporti, sottoposti alle competenze regolatorie dell’ART; oggettivamente, stabilirebbe una
relazione tra misura del contributo, ricavi tratti dalle attività regolate e
costi della regolazione, secondo il principio di proporzionalità. Diversamente,
la questione di legittimità costituzionale dovrebbe ritenersi fondata, sotto
tutti i parametri evocati dal TAR rimettente.
12.– Con memoria parimenti
depositata il 1° febbraio 2017, anche la difesa di Ignazio Messina & C. spa
e di Costa Crociere spa ha ribadito le proprie deduzioni e conclusioni,
anzitutto in merito alla ritenuta tempestività del proprio intervento e alla
sussistenza dei presupposti per il medesimo.
13.– In prossimità
dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato, in data 1°
febbraio 2017, una memoria con cui precisa e conferma le proprie deduzioni e
conclusioni.
13.1.– Anzitutto, le
questioni sarebbero inammissibili, poiché il TAR avrebbe definito in modo del
tutto generico le situazioni dei singoli ricorrenti, sì da non consentire la
verifica della rilevanza della questione e, comunque, da rendere oscura la
discriminazione di cui ciascuna delle parti sarebbe stata vittima, in
violazione dell’art. 3 Cost.
La questione sarebbe poi
indeterminata e generica: qualora essa fosse orientata a una pronuncia
integralmente caducatoria, il suo accoglimento
avvantaggerebbe anche coloro per il quali il TAR rimettente non dubita della
legittimità della contribuzione; qualora mirasse a interventi manipolativi o
additivi, la questione sarebbe nondimeno inammissibile, in quanto gli
interventi auspicati non sarebbero a contenuto vincolato e consisterebbero in
scelte riservate alla discrezionalità del legislatore.
13.2.– In relazione all’art.
23 Cost., sarebbe infondato il presupposto dei rilievi sulla c.d. soglia di
prelievo: l’autonomia organizzativa e gestionale dell’ART non sarebbe affatto
senza limiti; l’art. 37, comma 6, lettera b-bis), del d.l. n. 201 del 2011,
come convertito dalla legge n. 214 del 2011, pone limiti alla pianta organica
dell’ART e alla sua copertura; l’art. 22 del decreto-legge 24 giugno 2014, n.
90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla
legge 11 agosto 2014, n. 114, reca ulteriori disposizioni per la
razionalizzazione e il contenimento della spesa delle autorità indipendenti; il
bilancio preventivo e il rendiconto dell’ART sono soggetti al controllo della
Corte dei conti (legge n. 481 del 1995, art. 2, comma 27) e, inoltre,
l’autorità si è dotata di un collegio di revisori presieduto da un magistrato
della stessa Corte dei conti (art. 25, comma 3, del Regolamento concernente
l’organizzazione ed il funzionamento dell’Autorità, approvato con delibera del
Consiglio 23 maggio 2016, n. 61, e modificato con delibera del Consiglio 8
novembre 2016, n. 131). La situazione non sarebbe diversa da quella delineata
per altre autorità indipendenti dalle pertinenti disposizioni di legge (è
citato l’art. 1, commi 66 e 68-bis, della legge n. 266 del 2005).
Infondati sarebbero altresì
i rilievi circa la platea degli obbligati, che sarebbe ampia ma non
indeterminata. Anche su questo la normativa in questione sarebbe analoga a
quella utilizzata in altri settori, come quello dell’energia elettrica e delle
telecomunicazioni. Per i trasporti, si sarebbe fatto riferimento all’intera
filiera, «compreso quel reticolo logistico, in cui rientrano le attività svolte
da molti ricorrenti nel giudizio principale, la cui piena integrazione
nell’ambito del sistema dei trasporti e delle infrastrutture (si pensi alla
rete ferroviaria, agli aeroporti, agli interporti e ai porti) è ormai
riconosciuta espressamente da normative europee e nazionali» (sono citati il
regolamento UE n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11
dicembre 2013 sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n.
661/2010/UE; nonché il decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112, recante
«Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico»).
Sarebbe dunque infondata la
questione sollevata in riferimento all’art. 23 Cost., per ragioni analoghe a
quelle sottolineate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 350 del
2007: la legge indica i soggetti passivi, la base imponibile e l’aliquota
massima, affidando a fonti inferiori solo la determinazione dell’aliquota
annuale.
13.3.– Inammissibili, per
genericità e mancanza di autosufficienza delle relative argomentazioni, o comunque
infondate sarebbero altresì le questioni sollevate in riferimento agli artt. 41
e 97 Cost. In particolare, non è spiegato in cosa consisterebbe
l’imprevedibilità dell’obbligo contributivo, il cui fondamento riposa,
comunque, nella situazione normativa già illustrata. Inoltre, come riconosciuto
dalla giurisprudenza amministrativa (è citata la decisione del Consiglio di
Stato, sesta sezione, 27 dicembre 2006, n. 7972) la partecipazione degli
interessati «nei procedimenti di rule-making delle
Autorità indipendenti» contribuisce a giustificare, e quindi rafforza,
l’autonomia e l’indipendenza delle stesse autorità e, al contempo, le obbliga
alla trasparenza del processo decisionale, nonché a giustificare le scelte
effettuate su basi razionali, verificabili e sindacabili, alla luce delle
osservazioni ricevute.
A conferma di ciò, il
Presidente del Consiglio dei ministri deposita il proprio decreto 28 dicembre
2016, che ha approvato la delibera dell’ART 24 novembre 2016, n. 139, relativa
al contributo dovuto per l’anno 2017: da essa emergerebbe come l’ART, nel
contraddittorio con gli interessati, sia giunta a un’individuazione esatta,
oltre che conforme alla legge, dei soggetti obbligati, delle modalità di
calcolo della base imponibile e dell’aliquota applicabile nell’anno di
riferimento.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 17
dicembre 2015 (r.o. n. 30 del 2016), il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Piemonte solleva questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 37, comma 6, lettera b), del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre 2011, n. 214, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97 della
Costituzione.
Il citato art. 37, comma 6,
lettera b), prevede che le attività dell’Autorità di regolazione dei trasporti
(ART) siano finanziate con «un contributo versato dai gestori delle
infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all’uno per mille
del fatturato derivanti dall’esercizio delle attività svolte percepiti
nell’ultimo esercizio. Il contributo è determinato annualmente con atto
dell’Autorità, sottoposto ad approvazione da parte del Presidente del Consiglio
dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel
termine di trenta giorni dalla ricezione dell’atto, possono essere formulati
rilievi cui l’Autorità si conforma; in assenza di rilievi nel termine l’atto si
intende approvato».
Ad avviso del TAR, tale
disposizione violerebbe l’art. 23 della Costituzione, perché imporrebbe una
prestazione patrimoniale sulla base di una previsione legislativa
insufficientemente determinata sotto molteplici profili: anzitutto, in
riferimento al tetto massimo totale dei contributi prelevabili (c.d. soglia di
prelievo); in secondo luogo, in ordine alla base imponibile, ancorata al
concetto di «fatturato», di per sé opinabile; infine, per i criteri utilizzati
per delimitare la platea dei destinatari, individuati in base al mercato dei
trasporti e dei servizi accessori, oggetto delle competenze dell’ART. Sarebbe
altresì violato l’art. 3 Cost., perché soggetti eterogenei verrebbero
parificati nella qualità di obbligati al contributo. Nemmeno risulterebbero
previste forme di partecipazione procedimentale idonee a circoscrivere la
discrezionalità amministrativa nella determinazione del contributo. Sarebbero,
inoltre, violati l’art. 41 Cost., perché sarebbero imposti oneri imprevedibili
a imprenditori del settore dei trasporti, in pregiudizio alla loro libertà di
iniziativa economica; e l’art. 97 Cost., perché la partecipazione delle imprese
del settore al procedimento di determinazione del contributo metterebbe in
pericolo l’indipendenza dell’ART dai poteri economici e, quindi, la sua neutralità.
2.– Preliminarmente, deve
essere confermata l’inammissibilità dell’intervento di Ignazio Messina & C.
spa e di Costa Crociere spa, per le ragioni illustrate nell’ordinanza letta
all’udienza pubblica del 22 febbraio 2017 e allegata alla presente sentenza.
3.– Non può essere esaminata
nel merito la questione che lamenta la violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione «ai rilevanti principi comunitari», cui ha fatto riferimento
la difesa di Venezia Terminal Passeggeri spa, la quale a tal proposito ha anche
richiesto un rinvio pregiudiziale di interpretazione alla Corte di Giustizia
dell’Unione europea.
L’oggetto del giudizio di
costituzionalità in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri
fissati nell’ordinanza di rimessione e non possono essere prese in
considerazione ulteriori questioni o profili dedotti dalle parti (ex plurimis,
sentenze n. 215
e n. 203 del
2016), per giunta, nel caso, in termini oltremodo generici.
4.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha eccepito che le questioni sarebbero inammissibili per
difetto di motivazione sulla rilevanza, avendo l’ordinanza elencato le diverse
attività svolte dalle imprese ricorrenti senza spiegare come tale dato, con
specifico riferimento a ciascuna di esse, incida in punto di rilevanza.
L’eccezione deve essere
respinta. Il TAR assume che il perimetro dell’obbligo contributivo corrisponda
a quello delle funzioni dell’ART, ritenute, a loro volta, ampie e inclusive di
tutti gli aspetti del mercato dei trasporti, nel senso più lato. Tale portata
onnicomprensiva spiega perché, secondo il rimettente, in siffatto perimetro
siano ricomprese tutte le attività di logistica, spedizione ecc., a prescindere
da una disamina delle caratteristiche individuali di ciascuna.
5.– Neppure può essere
accolta l’eccezione di inammissibilità formulata dal Presidente del Consiglio
dei ministri nella memoria depositata il 1° febbraio 2017, attinente alla
pretesa indeterminatezza e genericità della questione, o meglio del suo petitum: secondo la difesa statale, l’annullamento
integrale della norma eliminerebbe l’imposizione anche per coloro rispetto ai
quali lo stesso TAR la ritiene legittima; mentre un intervento «modificativo o
additivo» comporterebbe valutazioni rimesse alla discrezionalità del
legislatore.
In realtà, le questioni sono
formulate in modo lineare, senza incongruenze tra gli argomenti che le
sorreggono e il petitum, né si può dire che
quest’ultimo sia affetto da vizi di oscurità. Il TAR remittente ha domandato la
pura e semplice dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa
in questione, sul presupposto della sua indeterminatezza, ritenuta
incompatibile con ciascuno dei principi e dei parametri costituzionali evocati.
Attiene al merito delle questioni – di cui costituisce, anzi, il nucleo
centrale – l’interrogativo se la denunciata indeterminatezza effettivamente
sussista.
6.– Ancora in via
preliminare, si deve osservare che non osta all’ammissibilità delle questioni
la possibilità di interpretazioni alternative della normativa sospettata di
incostituzionalità, come quelle prospettate da alcune parti del giudizio.
L’enunciazione, da parte del
giudice a quo, di argomenti testuali, logici, sistematici e storici denota che
è stato esperito in concreto un tentativo di utilizzare tutti gli strumenti
interpretativi per saggiare la possibilità di esegesi alternative,
eventualmente conformi a Costituzione. Tanto vale a respingere l’eccezione di
inammissibilità della questione basata sul difetto di un’adeguata verifica
della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della
disposizione oggetto del giudizio. Tale possibilità è stata tentata e
consapevolmente scartata dal rimettente.
Ciò non esclude che,
nell’esaminare il merito della questione sottoposta al suo esame, questa Corte
sia a sua volta tenuta a verificare l’esistenza di alternative ermeneutiche,
che consentano di interpretare la disposizione impugnata in modo conforme alla
Costituzione (ex plurimis,
sentenze n. 42
del 2017, n.
219 e n. 204
del 2016, n.
221 del 2015), in ossequio al principio, costantemente ribadito dalla
giurisprudenza di questa Corte, per cui «le leggi non si dichiarano
costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni
incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne)» (sentenza n. 356 del
1996). Tale ipotesi, si verifica, appunto, nel caso in esame.
7.– Nel merito, la questione
sollevata in riferimento all’art. 23 Cost. non è fondata, nei sensi e nei
limiti di seguito precisati.
7.1.– Non v’è dubbio che il
contributo previsto dalla disposizione impugnata costituisca una prestazione
patrimoniale imposta e rientri nel campo di applicazione dell’art. 23 Cost.;
esso è quindi soggetto alla riserva di legge ivi prevista.
Secondo l’orientamento
affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte sin dagli inizi della sua
attività, l’art. 23 Cost., «prescrivendo che l’imposizione di una prestazione
patrimoniale abbia "base” in una legge […] implica che la legge non lasci
all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione. È
necessario, cioè, che la legge indichi i criteri idonei a delimitare la
discrezionalità dell’ente impositore nell’esercizio del potere attribuitogli» (sentenza n. 36 del
1959).
In continuità con questa
impostazione, costantemente seguita dalla copiosa giurisprudenza in materia,
anche di recente si è ribadito che la riserva di legge stabilita dall’art. 23
Cost. ha carattere relativo e consente di lasciare all’autorità amministrativa
consistenti margini di regolazione delle fattispecie.
Peraltro, la legge non può
limitarsi a prevedere «una prescrizione normativa "in bianco”, genericamente
orientata ad un principio-valore, senza una precisazione, anche non
dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa limitativa della
sfera generale di libertà dei cittadini». La fonte primaria deve, invece,
stabilire sufficienti criteri direttivi e linee generali di disciplina,
richiedendosi in particolare che la concreta entità della prestazione imposta
sia desumibile chiaramente dai pertinenti precetti legislativi (sentenze n. 83 del 2015
e n. 115 del
2011).
Con particolare riguardo
alle prestazioni patrimoniali imposte, la Corte ha precisato che il legislatore
deve indicare compiutamente «il soggetto e l’oggetto della prestazione imposta,
mentre l’intervento complementare ed integrativo da parte della pubblica
amministrazione deve rimanere circoscritto alla specificazione quantitativa (e
qualche volta, anche qualitativa) della prestazione medesima: senza che residui
la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie
della stessa pubblica amministrazione, ma sussistano nella previsione
legislativa – considerata nella complessiva disciplina della materia –
razionali ed adeguati criteri per la concreta individuazione dell’onere imposto
al soggetto nell’interesse generale» (sentenza n. 34 del
1986).
Come si evince dal richiamo
alla «complessiva disciplina della materia», questa Corte ritiene di dover
apprezzare il rispetto della riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost.
prendendo in considerazione l’intero sistema delle norme in cui ciascuna
prestazione s’inscrive. Già in passato, eventuali carenze della singola
disposizione di legge sono state colmate attraverso una interpretazione
sistematica del tessuto normativo, complessivamente considerato, in cui essa si
innesta e dal quale sono stati tratti, anche per implicito, gli elementi
essenziali dell’imposizione (ad esempio, i soggetti passivi di un tributo: sentenza n. 56 del
1972).
7.2.– Inoltre, poiché la ratio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. è
contenere la discrezionalità dell’amministrazione e prevenirne gli arbitrii «a
garanzia della libertà e proprietà individuale» (sentenza n. 70 del
1960), questa Corte ha altresì affermato che l’eventuale indeterminatezza
dei contenuti sostanziali della legge può ritenersi in certa misura compensata
dalla previsione di talune forme procedurali (sentenza n. 83 del
2015) aperte alla partecipazione di soggetti interessati e di organi tecnici.
In questa logica, è stato dato rilievo alla previsione di determinati «elementi
o moduli procedimentali» (sentenza n. 435 del
2001) che consentano la collaborazione di più enti o organi (sentenze n. 157 del 1996
e n. 182 del
1994) – specie se connotati da competenze specialistiche e chiamati a operare
secondo criteri tecnici, anche di ordine economico (sentenze n. 215 del 1998,
n. 90 del 1994
e n. 34 del 1986)
– o anche la partecipazione delle categorie interessate (sentenza n. 180 del
1996).
La possibilità di
valorizzare le forme di legalità procedurale previste dalla legge, ai fini
della valutazione del rispetto dell’art. 23 Cost., vale, in particolare, nei
settori affidati ai poteri regolatori delle autorità amministrative
indipendenti, quando vengano in rilievo profili caratterizzati da un elevato
grado di complessità tecnica. In questi casi, la difficoltà di predeterminare
con legge in modo rigoroso i presupposti delle funzioni amministrative
attribuite alle autorità comporterebbe un inevitabile pregiudizio alle esigenze
sottese alla riserva di legge, se non fossero quantomeno previste forme di
partecipazione degli operatori di settore al procedimento di formazione degli
atti.
7.3.– Interpretato alla luce
di questi principi, valevoli anche nel caso odierno, e correttamente inquadrato
nel complessivo sistema normativo di riferimento, l’impugnato art. 37, comma 6,
lettera b), del d.l. n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 214 del 2011, sfugge alle censure di illegittimità costituzionale
sollevate dal TAR rimettente.
È fuori discussione che la
disposizione censurata attribuisca esplicitamente all’ART il potere di
determinare il contributo in questione e che altrettanto esplicitamente stabilisca
un limite massimo all’aliquota impositiva, in misura non superiore all’uno per
mille del fatturato.
Quanto alla individuazione
dei soggetti obbligati, la stessa disposizione fa riferimento ai «gestori delle
infrastrutture e dei servizi regolati», ossia a coloro nei confronti dei quali
l’ART abbia effettivamente posto in essere le attività (specificate al comma 3
dell’art. 37) attraverso le quali esercita le proprie competenze (enumerate dal
comma 2 del medesimo articolo). Dunque, la platea degli obbligati non è
individuata, come ritiene il rimettente, dal mero riferimento a un’ampia,
quanto indefinita, nozione di "mercato dei trasporti” (e dei "servizi
accessori”); al contrario, deve ritenersi che includa solo coloro che svolgono
attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie
funzioni regolatorie istituzionali, come del resto ha
ritenuto anche il Consiglio di Stato in fase cautelare (Consiglio di Stato,
quarta sezione, ordinanza 29 gennaio 2016, n. 312).
Da punto di vista
procedimentale, l’art. 37, comma 6, lettera b), non attribuisce in via
esclusiva all’ART il potere e la responsabilità di fissare la misura del
contributo, ma, al contrario, prevede che l’atto annuale dell’autorità sia
approvato dal Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, con la possibilità che essi esprimano
rilievi, ai quali la stessa autorità deve conformarsi. In questo modo, la legge
organizza un iter idoneo a sviluppare, attraverso la dialettica tra le autorità
coinvolte, un confronto tra i vari interessi generali e settoriali, anche di
ambito economico. L’intervento del Presidente del Consiglio e del Ministro
dell’economia e delle finanze costituisce un significativo argine procedimentale
alla discrezionalità dell’ART e alla sua capacità di determinare da sé le
proprie risorse.
Inoltre, la stessa ART ha
ritenuto di coinvolgere anche le categorie imprenditoriali interessate
dapprima, mediante «la procedura di informazione alle Associazioni di
categoria» (delibera 23 gennaio 2014, n. 10); in seguito, mediante
consultazioni, delle cui risultanze le premesse della delibera più recente (n.
139 del 2016) danno atto. Per quanto qui rileva, questo modo di elaborare e
motivare atti amministrativi generali – che pure si differenzia da quanto
previsto nell’art. 3 e nel Capo III della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi) e non è disciplinato, per quanto riguarda l’ART, da
puntuali disposizioni di legge – può considerarsi il portato, giuridicamente
doveroso (sentenza
n. 41 del 2013), di quella declinazione procedurale del principio di legalità,
che è ritenuta dalla giurisprudenza amministrativa tipica delle autorità
indipendenti (tra le molte, Consiglio di Stato, sesta sezione, 24 maggio 2016,
n. 2182) e rappresenta un utile, ancorché parziale, complemento delle garanzie
sostanziali richieste dall’art. 23 Cost., secondo quanto illustrato in
precedenza.
Quanto alla misura delle
risorse per il cui approvvigionamento l’Autorità si avvale del contributo
oggetto del giudizio, essa non può ritenersi illimitata ovvero rimessa alla
determinazione unilaterale dell’Autorità. La loro entità è correlata alle
esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della
medesima, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione,
soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale (ai sensi dell’art. 2, comma 27, della legge 14 novembre 1995, n.
481, recante «Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica
utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica
utilità»). Limiti più specifici sono poi stabiliti da singole disposizioni di
legge, anch’essi soggetti a controllo, come risulta dai documenti contabili
dell’ART (da ultimo, la Relazione illustrativa del bilancio di previsione per
l’anno 2017 e programmatica per il triennio 2017-2019, allegata alla delibera
24 novembre 2016, n. 138).
Per quanto, poi, riguarda
l’identificazione del «fatturato» come base imponibile per la determinazione
del contributo da parte dei soggetti obbligati – a prescindere dal fatto che
l’ordinanza formula, in proposito, rilievi dubbiosi e poco perspicui, non
spiegando affatto perché tale concetto sarebbe più «più opinabile» di quello di
«ricavi» – si può osservare che la nozione in esame, utilizzata anche in altri
luoghi dell’ordinamento, ben si presta a essere precisata, con riguardo allo
specifico settore di riferimento, in base a criteri tecnici di carattere
economico e contabile.
In conclusione, ad un esame
sistematico del contesto normativo di riferimento, il potere impositivo
dell’amministrazione trova – nella disposizione censurata e nelle altre norme
pertinenti, anche di principio – limiti, indirizzi, parametri e vincoli
procedimentali complessivamente adeguati ad arginarne la discrezionalità, anche
nella prospettiva dei controlli e, segnatamente, dei controlli giurisdizionali
(sentenze n. 215
del 1998 e n.
180 del 1996), la cui incisività in concreto è, a propria volta, essenziale
per l’effettività dell’art. 23 Cost.
8.– Per analoghe ragioni,
sono da ritenere non fondate, nei sensi e limiti sopra enunciati, le censure
formulate in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost., le quali, pure, fanno
leva sull’ampiezza, ritenuta eccessiva, della discrezionalità conferita all’ART
nella determinazione del contributo controverso.
In particolare, dev’essere rigettata la censura sollevata in riferimento
all’art. 3 Cost., che lamenta l’illegittima parificazione di un novero
disomogeneo di obbligati, in posizione differenziata tra loro. La platea degli
obbligati deve intendersi accomunata dall’essere in concreto assoggettati
all’attività regolativa dell’ART. A tutti gli operatori economici che si trovano
in tale posizione è imposto il contributo, il quale, pertanto, non può non
essere determinato attraverso un atto generale (si veda, mutatis
mutandis, la sentenza n. 34 del
1986). È poi compito del giudice comune verificare se, nella determinazione
della misura dei contributi, oltre che nella individuazione dei soggetti tenuti
a corrisponderli, siano stati o meno rispettati i criteri desumibili
dall’intero contesto normativo che regola la materia, potendosi eventualmente
trarre le naturali conseguenze nella sede giudiziaria appropriata (sentenza n. 507 del
1988).
Destituita di fondamento è
altresì la lamentata lesione della libertà d’impresa, di cui all’art. 41 Cost.
L’insieme delle norme, sostanziali e procedurali, che disciplinano i poteri
dell’ART smentisce l’asserita imprevedibilità degli oneri contributivi, assunta
dal rimettente come premessa di un turbamento (profilato, invero, in termini
alquanto vaghi) della libertà individuale di iniziativa economica, garantita
dall’art. 41 Cost.
Infine, per quanto riguarda
le censure sollevate in riferimento all’art. 97 Cost., non può essere
sottaciuta una certa contraddittorietà insita nel denunciare, da un lato, la
mancanza di garanzie partecipative e, dall’altro, il rischio che la
partecipazione determini la cosiddetta "cattura” del regolatore da parte degli
operatori. Ad ogni modo, all’interno della cornice normativa di cui si è
ripetutamente detto, il coinvolgimento delle categorie imprenditoriali nel
procedimento di determinazione del contributo non riduce, ma invece accresce
imparzialità, obiettività e trasparenza dell’azione amministrativa, la quale
rimane comunque caratterizzata, per quanto qui interessa, da inequivocabili
tratti autoritativi, assicurati anche dalla
partecipazione governativa al procedimento di determinazione annuale del
contributo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 6, lettera b), del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
22 dicembre 2011, n. 214, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 97
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
7 aprile 2017.
Allegato:
ordinanza letta
all'udienza del 22 febbraio 2017