SENTENZA N. 215
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 17 del decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233
(Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina
dell’esercizio delle professioni stesse), promossi dalla Corte di
cassazione con due ordinanze del 15 gennaio 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 63 e 72 del
registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17 e 18, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti l’atto di costituzione di S.G. nonché gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2016 e nella
camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Augusto Antonio
Barbera;
uditi l’avvocato Bruno Nascimbene
per S.G. e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– La Corte di cassazione, con due
diverse ordinanze emesse in data 2 dicembre 2014, assunte in altrettanti
giudizi, ha sollevato, in riferimento agli articoli 108, secondo
comma, 111,
secondo comma, e 117,
primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6,
par.1, della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848, nel proseguo, CEDU) questione di
legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini
delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle
professioni stesse).
In particolare, si dubita della
legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui, in
esito alle modifiche di dettaglio intervenute nel tempo, la stessa prevede che,
della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, organo
di giurisdizione speciale chiamato a definire controversie in materia
elettorale, disciplinare nonché inerenti la tenuta dei rispettivi albi
professionali, facciano parte, tra gli altri, anche due dirigenti del Ministero
della salute, segnatamente un dirigente amministrativo ed un dirigente di
seconda fascia (medico o, a seconda dei casi, veterinario o farmacista).
2.– La prima ordinanza (r.o. n. 596 del 2015) premette che la Commissione centrale
per gli esercenti le professioni sanitarie (da qui, Commissione) ha respinto il
ricorso proposto da S.G. avverso la decisione del Consiglio dell’ordine dei
medici chirurghi e degli odontoiatri di Milano di diniego della istanza del
ricorrente di iscrizione all’albo degli odontoiatri.
2.1.– S.G. ha impugnato in cassazione
tale decisione.
Con il primo motivo di ricorso, poi
integrato da una successiva memoria illustrativa, ha eccepito l’illegittimità
costituzionale dell’art. 17 del d.lgs. C.p.S. n. 233
del 1946, anche in riferimento o in combinato disposto con gli artt. 63, 74 e
76 del decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1950, n. 221
(Approvazione del regolamento per l’esecuzione del decreto legislativo 13
settembre 1946, n. 233, sulla ricostituzione degli Ordini delle professioni
sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse)
denunziando la violazione degli artt. 108, secondo comma, 111, secondo comma e
117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1, della
CEDU.
3.– La Corte di cassazione ha condiviso
solo in parte i sollevati dubbi di legittimità costituzionale.
3.1.– Il giudice a quo ha precisato, in
primo luogo, che la Commissione, della quale era stato previsto il riordino ai
sensi dell’art. 2, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al
Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi,
aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di
incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché
misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di
controversie di lavoro), continua ad operare sulla base della norma impugnata.
Tanto grazie all’art. 15, comma 3-bis
del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della
salute), aggiunto dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, il quale
stabilisce che: «In considerazione delle funzioni di giurisdizione speciale
esercitate, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie,
di cui all’articolo 17 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
13 settembre 1946, n. 233, e successive modificazioni, è esclusa dal riordino
di cui all’articolo 2, comma quattro, della legge 4 novembre 2010, n. 183, e
continua ad operare, sulla base della normativa di riferimento, oltre il
termine di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 28 giugno 2012, n.
89, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 132, come
modificato dal comma 3-ter del presente articolo».
3.2.– In secondo luogo, la Corte
rimettente ha altresì precisato che la disciplina normativa di riferimento ha
avuto alcune modifiche di dettaglio, di rilievo essenziale nell’ottica della
questione in disamina.
3.2.1.– Nel suo portato letterale
attuale, la norma in disamina stabilisce, per quel che immediatamente
interessa, che:
«Presso l’Alto Commissariato per
l’igiene e la sanità pubblica è costituita, per i professionisti di cui al
presente decreto, una Commissione centrale, nominata con decreto del Capo dello
Stato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con
il Ministro per la grazia e giustizia, presieduta da un consigliere di Stato e
costituita da un membro del Consiglio superiore di sanità e da un funzionario
dell’Amministrazione civile dell’interno di grado non inferiore al 6°.
Fanno parte altresì della Commissione: a)
per l’esame degli affari concernenti la professione dei medici chirurghi, un
ispettore generale medico ed otto medici chirurghi, di cui cinque effettivi e
tre supplenti; b) per l’esame degli affari concernenti la professione dei
veterinari, un ispettore generale veterinario e otto veterinari di cui cinque
effettivi e tre supplenti; c) per l’esame degli affari concernenti la
professione dei farmacisti, un ispettore generale per il servizio farmaceutico
e otto farmacisti, di cui cinque effettivi e tre supplenti; d) per l’esame
degli affari concernenti la professione delle ostetriche, un ispettore generale
medico e otto ostetriche, di cui cinque effettive e tre supplenti; e) per
l’esame degli affari concernenti la professione di odontoiatra, un ispettore generale
medico e otto odontoiatri di cui cinque effettivi e tre supplenti.
I sanitari liberi professionisti
indicati nel comma precedente sono designati dai Comitati centrali delle
rispettive Federazioni nazionali. [….]
I membri della Commissione centrale rimangono
in carica quattro anni e possono essere riconfermati».
3.2.2.– Ciò premesso, osserva la Corte
rimettente che l’atto di nomina non assume più la forma del decreto del
Presidente della Repubblica, ma quella del decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri in ragione di quanto previsto dall’art. 2 della legge 12 gennaio
1991, n. 13 (Determinazione degli atti amministrativi da adottarsi nella forma
del decreto del Presidente della Repubblica.).
3.2.3.– Nell’ordinanza si precisa,
ancora, che l’intervenuta costituzione del Ministero della sanità, prima, e
l’istituzione, poi, del Ministero della salute non solo hanno determinato
l’intervento di questo dicastero nella fase della formulazione della proposta
di nomina ma hanno anche comportato che la scelta dei componenti di nomina
governativa non avviene più tra i funzionari dell’Amministrazione civile
dell’interno bensì tra i dirigenti del Ministero della salute.
3.2.4.– Segnala, infine, il giudice a
quo, che il portato delle modifiche sopra riassunte finisce per trovare
immediato riscontro nel d.P.C.m. 23 maggio 2011,
recante la nomina, su proposta del Ministero della salute e del Ministero della
giustizia, della Commissione centrale per il quadriennio 2011-2015, della quale
fanno parte – oltre ad un consigliere di Stato in veste di presidente, ad un
membro designato dal Consiglio superiore di sanità e ad otto sanitari liberi
professionisti (di cui cinque effettivi e tre supplenti), designati dai
Comitati centrali delle rispettive Federazioni nazionali – due dirigenti del
Ministero della salute (un dirigente amministrativo di seconda fascia e un
dirigente medico o, a seconda della categoria interessata, veterinario o
farmacista).
4.– Poste queste premesse, l’ordinanza
riposa su alcuni presupposti interpretativi del dato normativo sottoposto a
scrutinio, consolidati da pregresse decisioni sia della stessa Cassazione come
anche della Corte costituzionale.
4.1.– Ciò avuto riguardo, in prima
battuta, alla natura di organo di giurisdizione speciale da ascrivere alla
Commissione, valutazione oggi asseverata normativamente dall’espressa
indicazione contenuta nell’art. 15, comma 3-bis, del d.l. n. 158 del 2012 già
citato.
4.2.– Ancora, si segnala,
nell’ordinanza, la costante affermazione, in più occasioni ribadita da questa
Corte, dei profili di indipendenza e terzietà imposti
dal secondo comma dell’art. 108 nonché dall’art. 111 della Carta
Costituzionale, non solo dell’ordine giudiziario nel suo complesso ma anche
degli organi, compresi quelli speciali, che ne costituiscono espressione.
4.3.– Infine, la Corte rimettente
assume, quale diritto vivente, il principio secondo cui il Ministero della
salute, subentrato, all’esito delle descritte modifiche di dettaglio, nei
compiti originariamente attribuiti dalla normativa di settore al Prefetto,
riveste il ruolo di parte nel giudizio innanzi alla Commissione.
4.4.– Delineati detti principi, la Corte
di cassazione censura la norma impugnata, rimeditando al fine l’orientamento
interpretativo, costantemente espresso in precedenza, in forza del quale la
stessa Corte aveva ritenuto manifestamente infondata la medesima questione.
4.4.1.– Il giudice a quo denunzia, in
prima battuta, la discrezionalità che connota sia la designazione governativa, sia,
soprattutto, la riconferma del mandato ai medesimi componenti: l’una e l’altra
scelta vengono, infatti, effettuate in assenza di predefiniti parametri
oggettivi chiamati a guidare l’attività dell’organo designante in parte qua.
4.4.2.– Per altro verso, si osserva che
lo status di siffatti componenti non muta all’esito della designazione: lungo
il corso del relativo mandato, i componenti di designazione governativa restano
collocati presso il medesimo dicastero di riferimento il quale, dunque, ne continua
a garantire lo stato giuridico ed economico.
4.4.3.– La Corte rimettente segnala,
ancora, che il rapporto di dipendenza con il Ministero di appartenenza mantiene
continuità anche con riferimento ai profili disciplinari, giacché, a differenza
di quanto previsto per gli altri componenti della Commissione, quelli di nomina
governativa sono estranei alla verifica domestica, ascritta, sul tema, alla
Commissione stessa.
4.5.– Sulla base di tali premesse, la
Corte rimettente dubita della indipendenza dei componenti della Commissione di
designazione governativa.
Poste in discussione le modalità di
composizione dell’organo, ne risulta inficiato l’esercizio della relativa
funzione, in contrasto con gli artt. 108, secondo comma, e 111, secondo comma,
Cost. e tali argomentazioni svelano al contempo il contrasto tra la norma
censurata e la CEDU, la quale vuole che sia assicurato il diritto di ogni
persona ad un processo equo davanti a un tribunale indipendente e imparziale
costituito per legge.
Di qui anche l’evidenziato contrasto
anche con l’art. 117 Cost., primo comma, in riferimento all’art. 6, par.1,
della Convenzione.
4.6.– Secondo il giudice a quo, inoltre,
la questione deve ritenersi rilevante perché la sua fondatezza comporterebbe
l’annullamento della decisione assunta dalla Commissione, impugnata con il
ricorso in cassazione.
4.7.– Da ultimo, il Collegio rimettente
dà conto delle ragioni per le quali, rispetto alla prospettazione del
ricorrente, ha ritenuto di delimitare la questione sollevata nei termini oggettivi
sopra rassegnati, senza estendere i dubbi di legittimità costituzionale agli
artt. 63, 74 e 76 del d.P.R. n. 221 del 1950. Tanto per la natura,
regolamentare, delle norme in questione, prive di uno specifico collegamento
con la disposizione oggetto di verifica sul versante dei temi di
costituzionalità all’uopo evidenziati.
5.– Nel giudizio davanti alla Corte si è
costituito S.G., parte ricorrente nel processo principale, chiedendo che la
questione venga accolta nei termini esposti dalla ordinanza di rimessione e in
quelli esplicitati nel corso del giudizio principale oltre che con le memorie
depositate in seno al presente incidente di legittimità costituzionale.
Nel ribadire, con ulteriori
approfondimenti argomentativi e richiami alla giurisprudenza di questa Corte
nonché a quella della CEDU, tutti i temi coperti dal tenore della ordinanza di
rimessione, si segnala, altresì, nella relativa memoria di costituzione, che la
disciplina relativa alla Commissione sarebbe anche in contrasto con il diritto
dell’Unione Europea e, segnatamente, con l’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione.
Si evidenzia, ancora, da parte della
difesa di S.G., che, a differenza di quanto osservato nella ordinanza di
rimessione, i componenti della commissione nominati dal Ministero della salute
sarebbero non due ma tre, tale dovendosi considerare anche quello nominato dal
Consiglio superiore della sanità, organo consultivo dello stesso Ministero.
Si ribadisce, infine, che nel corso del
giudizio principale i dubbi di legittimità costituzionale erano stati estesi
anche al tenore degli artt. 63, 74 e 76 del d.P.R. n. 221 del 1950.
6.– Nel giudizio è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione venga respinta perché
irrilevante, inammissibile e comunque manifestamente non fondata.
Tanto in ragione del costante
orientamento espresso dalla Corte in forza del quale la verifica costituzionale
inerente i profili di indipendenza e imparzialità degli organi di giurisdizione
speciale guarda con indifferenza ai modi attraverso i quali si perviene alla
nomina dei relativi componenti mentre assumono rilievo le modalità di
funzionamento degli organi stessi, da ritenersi espressione di indipendenza in
assenza di vincoli che possano determinare situazioni esterne di soggezione
anche sostanziale o di regole che possano mettere in discussione
l’inamovibilità dei componenti.
6.1.– Con memoria depositata il 27
aprile 2016, l’Avvocatura ha anche contestato la rilevanza della questione e la
fondatezza, nel merito, della stessa secondo versanti di approfondimento
diversi da quelli originariamente prospettati.
In particolare, muovendo dal rilievo che
la Corte rimettente ha ascritto al ruolo del Ministero quale parte del
procedimento che si svolge innanzi la Commissione, è stato evidenziato,
guardando al tema della rilevanza, che non risulta che alla citata
amministrazione centrale sia stato notificato l’avviso, previsto dall’art. 54
del regolamento di esecuzione emanato con il d.P.R. n. 221 del 1950, relativo
alla pendenza del giudizio in questione; né, del resto, emergerebbe dagli atti
che al giudizio principale abbia di fatto partecipato il Ministro.
Ancora più decisamente, con
considerazioni ambivalenti perché destinate ad incidere sia sul tema della
rilevanza che su quello della fondatezza della questione, si contesta in radice
la conclusione in forza della quale il Ministero della salute sarebbe parte
necessaria del procedimento. Affermazione, questa, che si assume non
consolidata nella esperienza interpretativa maturata sul tema dal giudice di
legittimità, perché contraddetta da una decisione di segno contrario (Cass. 27
agosto 1999, n. 8995) alla cui motivazione la difesa della parte pubblica fa
puntuale riferimento a sostegno del relativo assunto.
7.– Con memoria del 6 maggio 2016 la
parte privata ha replicato alle argomentazioni della Presidenza del Consiglio,
supportando, con ulteriori indicazioni argomentative, la fondatezza della
questione sollevata.
8.– La seconda ordinanza (r.o. n. 597 del 2015) di rimessione degli atti a questa
Corte incide su un giudizio principale di matrice disciplinare, promosso dal
Consiglio dell’ordine dei medici e odontoiatri di Latina ai danni di P.A.,
titolare di uno studio dentistico ed iscritto all’albo del citato ordine
territoriale.
8.1.– Sottoposto a sanzione dal
Consiglio dell’ordine, il professionista ha interposto ricorso innanzi alla
Commissione centrale, la quale ha confermato il provvedimento impugnato.
8.2.– Avverso tale ultima decisione,
detto professionista ha proposto ricorso in cassazione, prospettando un unico
motivo di ricorso diretto a contestare le ragioni fondanti l’intervento
disciplinare.
Di qui il giudizio di legittimità
principale che ha dato luogo alla seconda questione incidentale.
9.– Identiche le disposizioni sottoposte
allo scrutinio della Corte, la seconda ordinanza di rimessione ripropone,
pedissequamente, il percorso argomentativo tracciato dalla prima, sopra
sintetizzato.
10.– Nel giudizio è intervenuta
l’Avvocatura generale dello Stato nell’interesse della Presidenza del Consiglio
ribadendo le difese prospettate in occasione del primo giudizio incidentale
relativo alla medesima norma.
Considerato in diritto
1.– I giudizi, aventi ad oggetto la
medesima norma censurata, in relazione agli stessi parametri e con
argomentazioni sostanzialmente coincidenti, vanno riuniti e decisi con un’unica
pronuncia.
2.– La Corte di cassazione dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello
Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni
sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse) in
riferimento agli articoli 108, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo
comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1, della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva
con legge 4 agosto 1955 n. 848, d’ora innanzi, CEDU).
Più precisamente, la censura concerne i
primi due commi del citato art. 17 nella parte in cui, in esito alle modifiche
di dettaglio intervenute nel tempo, stabilisce che della Commissione centrale
per gli esercenti le professioni sanitarie (d’ora in poi Commissione), organo
di giurisdizione speciale con competenze in materia elettorale, disciplinare
nonché inerenti la tenuta dei rispettivi albi professionali, facciano parte,
tra gli altri, anche due componenti scelti tra i dirigenti del Ministero della
salute, segnatamente un dirigente amministrativo del Ministero ed un dirigente
di seconda fascia (medico o, a seconda dei casi, veterinario o farmacista).
3.– La Corte rimettente muove da un
duplice presupposto.
3.1.– In primo luogo, il giudice a quo
segnala che la Commissione in disamina deve ritenersi organo di secondo grado
di giurisdizione speciale, in linea con quanto costantemente affermato dalla
stessa Corte di cassazione e, da ultimo, con la sentenza n. 193 del
2014, da questa Corte.
In particolare, la Commissione decide
sulle impugnazioni proposte avverso le decisioni assunte in primo grado dai competenti
organi professionali.
3.2.– Inoltre, deduce la Corte
rimettente che tra i componenti di detta Commissione, insediata presso il
Ministero della salute, vi sono due funzionari inseriti all’interno di tale
comparto ministeriale e, soprattutto, che il Ministero deve ritenersi parte
necessaria della fase di giurisdizione che si svolge innanzi la Commissione
stessa.
4.– La Cassazione trae spunto da tale
ruolo processuale assunto dal Ministero della salute nel relativo contenzioso
per dubitare della legittimità costituzionale delle previsione che individua
tra i componenti della Commissione due funzionari del citato dicastero,
designati grazie all’apporto decisivo della amministrazione centrale in
questione.
Ciò, in primo luogo, in ragione della
discrezionalità che colora la designazione governativa nonché la riconferma dei
medesimi componenti alla scadenza del mandato, scelte effettuate in assenza di
predefiniti parametri oggettivi.
In secondo luogo, si segnala che tali
componenti, durante il mandato, rimangono incardinati ed espletano funzioni
istituzionali all’interno del Ministero designante il quale, dunque, mantiene,
rispetto ai suddetti, una posizione di sovraordinazione
avuto riguardo agli aspetti giuridici, economici e disciplinari che
caratterizzano il relativo rapporto di dipendenza.
5.– Tali sviluppi argomentativi, secondo
l’opinione della Corte rimettente, portano a dubitare della indipendenza di
alcuni dei componenti la Commissione, con evidenti ricadute sulle modalità di
composizione dell’organo e dunque sul conseguente esercizio della relativa
funzione nel rispetto dei parametri costituzionali offerti dagli artt. 108,
secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione.
Del pari, le superiori considerazioni
finiscono per condurre la norma censurata su un binario non in linea con la
CEDU con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in
riferimento all’art. 6, par. 1, della Convenzione.
6.– Le questioni preliminari rilevate
dalla difesa della parte privata costituita in giudizio sono inammissibili;
quelle dedotte dall’Avvocatura nell’interesse della Presidenza del Consiglio
non sono fondate.
6.1.– Quanto al portato del petitum fatto oggetto delle due questioni e limitato, dalla
Corte rimettente, al solo disposto dell’art. 17 del d.lgs. C.p.S.
n. 233 del 1946 nei termini sopra rassegnati, non può che evidenziarsi
l’inammissibilità della sollecitazione, rivolta a questa Corte dalla difesa
della parte privata, tesa ad estenderne il perimetro valutativo oltre il
confine dei temi di giudizio delineati dalle due questioni in disamina.
Al fine è sufficiente richiamarsi alla
costante giurisprudenza della Corte in forza della quale l’oggetto del giudizio
di costituzionalità in via incidentale deve ritenersi limitato alle norme e ai
parametri fissati nell’ordinanza di rimessione, mentre non possono essere prese
in considerazione ulteriori questioni o profili dedotti dalle parti, sia che
siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, vuoi che siano
diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse
ordinanze (ex plurimis,
da ultimo, le sentenze n. 83 del 2015;
n. 94 del 2013;
n. 283 e n. 42 del 2011).
6.2.– Non può, inoltre, disconoscersi la
rilevanza delle due questioni, posta invece in dubbio dalla difesa
dall’Avvocatura.
La declaratoria di illegittimità
costituzionale rivendicata, ove accolta, imporrà l’accoglimento dei ricorsi in
cassazione proposti dalle due parti private avverso le rispettive pronunzie
rese dalla Commissione.
Le decisioni impugnate innanzi al
Giudice di legittimità risulterebbero assunte, infatti, da un organo privo, per
scelta legislativa legata alla sua costituzione e composizione, dei requisiti
di indipendenza e imparzialità che costituiscono il substrato indispensabile
dell’esercizio del potere giurisdizionale. L’assenza di indipendenza e
imparzialità, anche se riferibile solo ad alcuni dei componenti della
Commissione, si trasferisce in termini osmotici dai partecipi all’organo, non
potendosi consentire che lo stesso eserciti la funzione giurisdizionale
attraverso dinamiche radicalmente viziate dalla interlocuzione, nel percorso
che porta alla decisione, di soggetti privi delle citate caratteristiche (si
veda in tal senso la sentenza n. 33 del
1968 relativa alle Giunte provinciali amministrative in sede
giurisdizionale). Tanto è in grado di determinare l’illegittimità della
decisione assunta dalla Commissione, rilevabile anche d’ufficio nel giudizio
principale.
6.2.1.– Le superiori considerazioni
svelano, infine, l’infondatezza delle tesi difensive dell’Avvocatura avuto
riguardo al tema della rilevanza, basate sulla mancata partecipazione del
Ministero ai due giudizi principali.
Appare chiaro, infatti, che la questione
sollevata attiene al profilo della composizione strutturale della Commissione.
Avuto riguardo, in particolare, al requisito della indipendenza, è di tutta
evidenza che la stessa deve sussistere nell’organo giurisdizionale prima e
indipendentemente dall’instaurazione di fronte ad esso di un rapporto
processuale. Prescinde, in conseguenza, dai singoli atteggiamenti tenuti dalle
parti interessate nella specifica situazione processuale (nel caso, la concreta
partecipazione del Ministero ai due giudizi principali): è in gioco, infatti,
la valutazione dei criteri normativi di formazione dell’organo giudicante che
precedono a monte e sono indifferenti a valle rispetto alle singole scelte
assunte dal Ministero interessato con riferimento alle dinamiche processuali
proprie di ciascuna controversia.
7.– Nel merito, le due questioni,
identiche nell’oggetto, sono fondate nei termini di seguito precisati.
8.– Osserva la Corte rimettente che la
Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie prevista dalla
norma censurata è chiamata a svolgere funzioni decisorie in materia di
contenzioso elettorale, disciplinare, o inerente alla tenuta dei rispettivi
albi professionali (medici, veterinari, farmacisti, ostetriche, odontoiatri).
8.1.– Preliminarmente va chiarito che,
per individuare l’effettivo tenore della norma impugnata, bisogna tener conto
delle radicali modifiche di sistema che, pur incidendo sulle modalità di nomina
dei componenti di derivazione governativa, non trovano un immediato riscontro
nel testo oggetto di scrutinio.
8.1.1.– Il superiore dato letterale va
riletto considerando, in primo luogo, che, in esito all’istituzione del
Ministero della sanità (oggi Ministero della salute), allo stesso sono state
trasferite le competenze statali in materia di organizzazione delle professioni
sanitarie originariamente ascritte all’amministrazione dell’Interno, in ragione
di quanto in precedenza previsto dal regio decreto-legge 5 marzo 1935, n. 184
(Nuova disciplina giuridica dell’esercizio delle professioni sanitarie), nonché
all’Alto Commissariato per l’igiene e la sanità pubblica (istituito con il
decreto luogotenenziale 12 luglio 1945, n. 417).
8.1.2.– In linea con le puntuali
osservazioni rese dalla Corte rimettente va, quindi, confermato che la
Commissione, nominata con la forma del decreto della Presidenza del Consiglio
dei ministri (in virtù della previsione generale contenuta nell’art. 2 della
legge 12 gennaio 1991, n. 13, recante "Determinazione degli atti amministrativi
da adottarsi nella forma del decreto del Presidente della Repubblica”), risulta
insediata non più presso il citato Alto commissariato per l’igiene e la sanità
pubblica bensì all’interno della trama organizzativa del Ministero della salute
e, segnatamente, nei quadri della direzione generale delle professioni
sanitarie e delle risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale (così come
previsto, da ultimo, dal decreto del Ministero della salute n. 8538508 del
2015, recante la "Individuazione degli uffici dirigenziali di livello non
generale”).
8.1.3.– Ancora, va segnalato che i
componenti della Commissione di nomina governativa – alla cui designazione
contribuisce in termini evidentemente determinanti, per ragioni di competenza,
il citato dicastero della salute – sono tratti da tale ultimo comparto
ministeriale.
8.2.– In conclusione, in esito a tale
sviluppo diacronico della normativa di riferimento e limitando, per ora, il
discorso all’organo in questione nella sua esclusiva composizione volta alla
definizione degli affari inerenti alla professione odontoiatrica (di immediata
pertinenza dei due giudizi principali), viene ad evidenza che lo stesso risulta
costituito da nove membri: il presidente (un Consigliere di Stato); un membro
del Consiglio superiore di sanità; due dirigenti, con ruoli e competenze
diverse, comunque scelti tra i funzionari del Ministero della salute; cinque
odontoiatri, componenti effettivi (secondo comma, lettera e), della norma
censurata).
9.– Le funzioni svolte da detta
Commissione, secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza di
legittimità, sono da considerarsi «funzioni di giurisdizione speciale» (Cass.,
sezioni unite civili, 7 agosto 1998, n. 7753).
Tale conclusione, oltre a trovare una
conferma (di mera definizione e non di disciplina) nell’art. 15, comma 3-bis,
del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito nella legge n. 189 del 2012, è
stata fatta propria da questa Corte con la sentenza n. 193
del 2014; decisione, quest’ultima, in forza della quale la norma censurata
è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non
prevedeva la nomina di membri supplenti che consentano la formazione, per
numero e categoria, di un collegio giudicante diversamente composto rispetto a
quello che abbia pronunciato una decisione annullata con rinvio dalla Corte di
cassazione.
10.– Si pone, in coerenza, il problema
della compatibilità della composizione di detta Commissione con la natura di organo
di giurisdizione speciale.
10.1.– E’ costante, nella giurisprudenza
di questa Corte, l’affermazione in forza della quale indipendenza e
imparzialità devono ritenersi connotazioni imprescindibili dell’azione
giurisdizionale, sia essa esercitata dalla magistratura ordinaria, dagli organi
di giurisdizione speciale costituzionalizzati (ex art. 103 Cost.: Consiglio di
Stato, Corte dei conti, Tribunali militari), dai giudici speciali pre-costituzionali ritenuti compatibili con la carta
costituzionale (artt. 108 Cost. e VI delle
disposizioni transitorie e finali della Costituzione), dalle sezioni
specializzate della giurisdizione ordinaria, composte anche da giudici non
togati ex art. 102, secondo comma, Cost. (ex
plurimis la sentenza n. 193
del 2014, già citata, che aveva ad oggetto lo stesso organo di
giurisdizione speciale oggetto della attuale disamina; ancora, le sentenze n. 353 del 2002,
sulla composizione del Tribunale regionale delle acque pubbliche e n. 262 del 2003,
sulla composizione della sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura).
L’indicazione di principio contenuta nel
secondo comma dell’art. 101 Cost. («I giudici sono soggetti solo alla legge»)
deve, infatti, essere indistintamente riferibile a tutti gli organi di
giurisdizione.
10.2.– L’indipendenza, essendo
finalizzata ad impedire l’esistenza di collegamenti istituzionali destinati ad
incidere sulla autonomia decisionale del giudice, costituisce il primo
presupposto (così la sentenza n. 128 del
1974, a proposito dei poteri delle autorità portuali), lo strumento
imprescindibile per garantirne l’imparzialità.
Esclusa l’indipendenza dell’organo
giudicante, viene istituzionalmente meno, in coerenza, la possibilità di
configurarne l’attività in termini di imparzialità.
10.3.– Il nucleo fondante le due
questioni sottoposte nei giudizi principali ruota, pertanto, intorno alla
lamentata violazione dell’art. 108, secondo comma, Cost.
10.3.1.– La prerogativa in disamina non
può – è ben vero – ritenersi caratterizzata da tratti identici, quale che sia
il tipo di giurisdizione oggetto di valutazione: manca nella Costituzione,
infatti, una nozione unitaria di indipendenza.
Sia l’art. 100, terzo comma, riferibile
ai giudici speciali assentiti dalla Costituzione, Consiglio di Stato e Corte
dei conti, che l’art. 108, secondo comma, relativo alle ulteriori forme di
giurisdizione diverse da quella ordinaria, sono, infatti, norme a "fattispecie
aperta” giacché dettano solo il principio generale lasciando al legislatore ordinario
il compito di specificare il contenuto effettivo della relativa disciplina.
Del resto, come già evidenziato da
questa Corte (sentenza
n. 108 del 1962, in tema di sezioni specializzate agrarie) la definizione
di indipendenza da attagliare ai giudici speciali non può che risentire delle
diversità delle strutture statali, delle epoche di riferimento, della varietà
dei tipi di giurisdizione avuto riguardo alla peculiarità di materia, situazioni
soggettive e rapporti oggetto della specifica attività decisoria.
10.3.2.– Va tuttavia escluso che i
precetti costituzionali sopra indicati possano essere interpretati nel senso
dell’affidamento, al legislatore, di un’assoluta discrezionalità nell’individuare
i tratti fondanti la garanzia di indipendenza dei giudici speciali, quasi a
voler ritenere di per sé sufficiente la sola previsione, contenuta nella
Costituzione, della riserva di legge (in termini la citata sentenza n. 108 del
1962).
Spetta, piuttosto, all’interprete, e nel
caso alla stessa Corte costituzionale, individuare e definire i requisiti
minimi che consentano una verifica di costituzionalità delle norme di
riferimento quanto alla garanzia di indipendenza dei giudici speciali che le
stesse devono mirare ad assicurare.
11.– Ciò premesso, va osservato come
nella stessa prospettazione delle due questioni offerta dalla Corte rimettente
non viene contestata la particolare collocazione della Commissione presso un
Ministero di settore, a differenza di quanto tradizionalmente previsto per le
altre categorie professionali, che vedono ascritta la relativa attività di
vigilanza al Ministero della giustizia. Anzi, è a dirsi che tale collocazione
sembra porsi in sintonia con vari orientamenti di dottrina e diversi progetti
di riforma che auspicano un maggiore collegamento con quei Ministeri che, per
competenze specifiche, sono in grado di svolgere detta funzione di vigilanza in
modo più appropriato: si veda, al fine, quanto avvenuto in sede di conversione,
con la legge 28 febbraio 2008, n. 31, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248
(Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni
urgenti in materia finanziaria), occasione nella quale è stato introdotto
l’art. 24-sexies che ha modificato l’art. 29 della legge 18 febbraio 1989, n.
56 (Ordinamento della professione di psicologo), così sostituendo il Ministero
della giustizia con quello della salute per quanto concerne l’Ordine
professionale degli psicologi.
11.1.– Né appare rilevante la presenza,
in sé considerata, di componenti di nomina governativa nella Commissione,
incardinati all’interno dello stesso dicastero presso il quale risulta
collocato l’organo in disamina nonché designati con il contributo determinante
del medesimo Ministero della salute.
Nell’esperienza interpretativa di questa
Corte, è costante l’insegnamento in forza del quale, in linea di principio,
fonte e modalità della nomina sono momenti non decisivi nella verifica di
legittimità costituzionale inerente ai parametri della indipendenza e della
imparzialità, assumendo, piuttosto, rilievo centrale il grado di autonomia che
il legislatore ha garantito all’organo giurisdizionale rispetto all’autorità
designante nel concreto esercizio della funzione (per tutte si veda la sentenza n. 1 del
1967, relativa alla nomina governativa dei componenti la Corte dei conti,
precedente costantemente richiamato dai numerosi interventi successivi in tal
senso resi dalla Corte, tra i quali meritano menzione le sentenze n. 49 del
1968, relativa alle commissioni per il contenzioso elettorale e n. 196 del 1982,
riferita alle commissioni tributarie).
12.– Nelle ordinanze di rimessione,
piuttosto, si porta ad evidenza un dato che, malgrado la sua rilevanza, è stato
costantemente trascurato nei precedenti interventi assunti dalla stessa Corte
rimettente sul tema della indipendenza e della imparzialità della Commissione,
sistematicamente sfociati in un giudizio di manifesta infondatezza delle
questioni di volta in volta sollecitate dalle parti private interessate.
Va rimarcato, infatti, che in più
occasioni il Giudice remittente aveva ritenuto infondati i dubbi di legittimità
sulla composizione della Commissione. Con le ordinanze qui considerate, lo si
afferma espressamente, si «intende rimeditare tale orientamento».
12.1.– Ci si riferisce alla posizione
processuale da assegnare al Ministero della salute, descritto dalla Corte
rimettente quale contraddittore necessario nel procedimento che si svolge
innanzi alla Commissione.
In linea con quanto osservato nelle due
ordinanze di rimessione, è costante l’orientamento interpretativo espresso
dalla stessa Corte di cassazione in ordine al ruolo di litisconsorte necessario
rivestito dal citato Ministero nei procedimenti trattati dalla Commissione
(cfr. ex plurimis Cass. 20 luglio 2011, n. 15889;
Cass. 27 maggio 2011, n. 11755; Cass., Sezioni unite civili, 26 maggio 1998, n.
5237). Ciò, del resto, in piena coerenza con i poteri di iniziativa (si vedano
gli artt. 11 del d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946 e 38
del d.P.R. n. 221 del 1950) e perfino decisori (in caso di inerzia degli organi
competenti: si veda l’art. 48 del d.P.R. citato da ultimo, dettato in materia
disciplinare, nonché l’art. 12, stesso testo, avuto riguardo alla cancellazione
dall’albo) attribuiti al Ministero in questione, subentrato, in esito alla
evoluzione normativa già accennata, nella relativa posizione al Prefetto
territorialmente competente.
Si delinea, in coerenza, un ruolo del
Ministero caratterizzato da compiti attivi e di non indifferente rilievo sin
dalla fase amministrativa che precede la verifica di appello di competenza
della Commissione (ai sensi dell’art. 49 del d.P.R. n. 221 del 1950, al
Ministro va data notizia della pendenza del procedimento disciplinare dallo
stesso non proposto). Ed in tale cornice sistematica, trova una linea di
continuità l’insieme delle disposizioni normative chiamate a definire la
posizione processuale del Ministero nelle fasi giurisdizionali pendenti innanzi
la Commissione e successivamente in Cassazione, nel possibile epilogo di
legittimità.
La conclusione rivendicata dalla Corte
rimettente trova conferma nella prevista possibilità, per il Ministro, di adire
la Commissione per contestare le decisioni assunte nella fase amministrativa
(ex art. 53 del d.P.R. n. 221 del 1950); appare, inoltre, radicata
nell’obbligo, per il sanitario che impugna, di notificare il ricorso al
Ministro (ex art. 54 stesso regolamento) nonché nella possibilità, per l’organo
di vigilanza, di impugnare in cassazione le decisioni della commissione stessa
(ex art. 68, sempre del regolamento, per motivi di giurisdizione, come
espressamente previsto dall’art. 19 del d.lgs. C.p.S.
n. 233 del 1946, in linea con l’art. 362 cod. proc. civ.; o, ancora, per
violazione di legge, secondo la previsione generale sancita dal settimo comma
dell’art. 111 della Costituzione).
Dati, questi ultimi, che non lasciano
margini di dubbio in ordine al necessario coinvolgimento del Ministero nel
giudizio che si svolge innanzi la Commissione.
12.2.– Una conclusione siffatta non
trova smentita nel precedente della Corte di cassazione (Cass. 27 agosto 1999,
n. 8995) segnalato dalla difesa della Presidenza del Consiglio a sostegno di
una diversa interpretazione del dato normativo di riferimento.
Nell’occasione, infatti, la Corte di
legittimità ebbe a considerare il diverso profilo della pretermissione del
Ministero dalla fase amministrava pendente innanzi al competente ordine
professionale, in violazione del disposto dell’art. 49 del regolamento di cui
al d.P.R. n. 221 del 1950. Vizio, quest’ultimo, destinato a mantenersi
all’interno del solo perimetro afferente la natura amministrativa della
decisione adottata dal competente organo professionale, senza evocare, dunque,
i principi, di carattere processuale, legati al ruolo di litisconsorte
necessario ascritto al Ministero nelle successive fasi giurisdizionali, di
merito e legittimità. Ruolo costantemente ribadito dalla stessa Corte e non
contraddetto dalla citata decisione.
13.– La posizione del Ministero, quale
parte del relativo procedimento che si svolge innanzi alla Commissione,
innalza, per forza di cose, il livello dei presidi da precostituirsi da parte
del legislatore utili a garantire l’indipendenza e l’imparzialità delle
funzioni giurisdizionali esercitate dal citato organo.
13.1.– Ciò non porta ad affermare, va
subito chiarito, che da tale coinvolgimento processuale derivi,
aprioristicamente, un difetto di indipendenza in capo ai componenti di
derivazione ministeriale: la partecipazione al giudizio della amministrazione
di designazione e appartenenza di uno o più componenti l’organo giurisdizionale
non può ritenersi, infatti, indice indiscusso della carenza di indipendenza e
imparzialità del decidente.
13.1.1.– Va rimarcato infatti che, nei
casi in cui tale contestuale correlazione ha portato alla declaratoria di
illegittimità costituzionale per la violazione del parametro di cui al secondo
comma dell’art. 108 Cost., a tale soluzione non si è pervenuto, da parte di
questa Corte, solo in forza del collegamento che corre tra potere di
designazione, possibile dipendenza organica del componente designato e
partecipazione al giudizio dell’amministrazione di riferimento.
In tali occasioni l’amministrazione
coinvolta, oltre a prendere parte al procedimento giurisdizionale, aveva anche
reso la decisione oggetto di contestazione e contribuiva, al contempo, a
comporre l’organo giurisdizionale chiamato a definirne l’impugnazione (così la sentenza n. 158 del
1995, relativa alla commissione dei ricorsi contro le decisioni
dell’Ufficio italiano brevetti e marchi, che vedeva la partecipazione del
direttore dell’ufficio centrale dei brevetti; ancora, la sentenza n. 133 del
1963, relativa alle decisioni del Ministro della marina mercantile sui
ricorsi proposti avverso la determinazione delle indennità di requisizione
delle navi).
Si verificava, in altre parole, una
inaccettabile sovrapposizione della funzione decisoria nelle due fasi,
amministrativa e giurisdizionale, destinata a mettere radicalmente in crisi
l’indipendenza e l’imparzialità di giudizio del decidente.
13.1.2.– Tanto non si riscontra nel caso
in disamina. Piuttosto va ribadito che il sistema costituzionale non rifiuta,
in linea di principio, commistioni potenziali favorite dalla designazione, di
matrice governativa o politica, di soggetti chiamati a comporre organi di
giurisdizione speciale aventi competenze che siano destinate ad incidere su
interessi di rilievo collettivo sottesi all’azione dell’autorità designante.
Ma, al contempo, non può non imporre una pluralità di presidi – predeterminati
ex lege nella regolamentazione dei criteri di composizione
e costituzione degli organi speciali – che garantiscano, malgrado tali
correlazioni, l’indipendenza del giudicante dall’amministrazione di riferimento
comunque coinvolta nel relativo giudizio. E ciò a maggior ragione quando, come
avviene per la Commissione di cui alla norma sottoposta a verifica di
legittimità costituzionale, l’organo decidente è composto, sia pure in quota
minima, da soggetti comunque legati alla pubblica amministrazione che si trovi
ad essere una delle parti del giudizio, in quanto gestisce o concorre a gestire
un determinato settore di attività coinvolto dal relativo contenzioso (in
termini, la già richiamata sentenza n. 353 del
2002, che ha avuto ad oggetto la nomina di un funzionario del
Provveditorato alle opere pubbliche quale componente del Tribunale superiore
delle acque pubbliche).
In siffatti casi, cresce, di pari passo,
l’esigenza di determinatezza dei momenti di garanzia attraverso i quali il
legislatore ordinario finisce per assicurare l’indipendenza dell’organo di
giurisdizione speciale.
14.– Il dato normativo di riferimento,
in primo luogo, non può prescindere dalla puntuale e rigorosa previsione degli
strumenti attraverso i quali, nei termini di volta in volta ritenuti confacenti
in ragione della diversa peculiarità della singola giurisdizione speciale,
vengano garantiti effettivi momenti di cesura tra il componente designato e
l’amministrazione di provenienza, una volta che si sia provveduto alla designazione.
Sotto questo profilo, sono da ritenersi
decisivi i riferimenti che la giurisprudenza di questa Corte suole fare allo
status giuridico, economico e disciplinare dei componenti designati una volta
effettuata la nomina e, dunque, nel corso del mandato (in termini, oltre alla
citata sentenza
n. 353 del 2002, anche la sentenza n. 30 del
1967, resa con riferimento alla competenza in materia di contenzioso
elettorale della Giunta provinciale amministrativa composta anche da funzionari
statali; ancora, la sentenza n. 451 del
1989, sempre in tema di componenti la Giunta provinciale amministrativa,
chiamata a statuire sui tributi locali; la sentenza n. 164 del
1976, relativa alle competenze giurisdizionali del Comandante di porto).
Intervenendo sullo status del designato,
la previsione legislativa deve, in definitiva, garantire una sorta di
neutralizzazione preventiva delle possibili situazioni di condizionamento che
possano, anche teoricamente, mettere in discussione l’autonomia di giudizio
dell’organo decidente.
14.1.– La stessa fase della nomina dei
soggetti chiamati a comporre l’organo di giurisdizione speciale, in genere
estranea al giudizio sulla indipendenza, finisce per assumere rilievo in
siffatti casi.
Non a caso, del resto, la Corte, nelle
situazioni nelle quali ha avuto modo di riscontrare la sussistenza di
importanti profili di collegamento tra l’amministrazione designante e il
soggetto nominato, anche e soprattutto nel corso del mandato, ferma l’indifferenza
della fonte governativa della nomina, ha comunque ritenuto necessario
individuare, a monte, al momento della designazione, la predeterminazione
legislativa di adeguati criteri selettivi dei componenti designati rispetto
alla funzione da assumere (si veda la sentenza n. 177 del
1973, relativa alla nomina governativa dei componenti il Consiglio di
Stato, i cui principi sono stati ribaditi anche con le sentenze n. 25 del 1976
e n. 316 del
2004 quando la Corte ha avuto modo di interessarsi delle vicende relative
alla nomina, da parte del Presidente della Regione Sicilia, di alcuni membri
del Consiglio di giustizia amministrativa). Ciò nella convinzione che il
profilo afferente l’"idoneità” del designato – valore espressamente previsto
dal secondo comma dell’art. 102 Cost., di fatto ribadito anche guardando alla
nomina dei consiglieri di cassazione per meriti insigni in forza del terzo
comma dell’art. 106 della Carta – rappresenta, per un verso, requisito di
pregnanza generale destinato ad esondare dagli argini
di immediato riferimento normativo; per altro verso, strumento di opportuna
delimitazione dello spazio di discrezionalità del soggetto che provvede alla
nomina, rafforzando, così, al contempo, l’autonomia del designato.
14.2.– Si aggiunga, inoltre, il profilo
della riconferma del mandato alla data della sua scadenza naturale.
La possibilità di rinnovare l’incarico è
stata considerata dalla Corte una potenziale ragione di indebolimento
dell’indipendenza riferibile al componente perché idonea a rappresentare un
filo di collegamento persistente con l’organo competente, destinato a
mantenersi costante, in termini di prospettiva, lungo l’intero arco temporale
che connota il mandato (in termini, la sentenza n. 49 del
1968, relativa ai componenti dei Tribunali amministrativi per il
contenzioso elettorale nominati dai Consigli regionali e dalla assemblea dei
consiglieri provinciali della regione; la sentenza n. 25 del
1976, già citata; infine, la sentenza n. 281 del
1989, relativa alla riconferma del mandato dei componenti delle Commissioni
comunali di prima istanza per i tributi locali).
15.– Fatte queste premesse, non può non
evidenziarsi come la normativa censurata non offra tali garanzie. La disciplina
sottoposta a scrutinio non regge, infatti, l’impatto della verifica di
legittimità costituzionale sollecitata con le due ordinanze di rimessione in
disamina, soprattutto ove si consideri anche il già citato ruolo di parte
assunto dal Ministero nei procedimenti trattati dalle Commissioni.
I seguenti motivi portano pertanto
questa Corte a ritenere fondate le questioni di legittimità proposte.
15.1.– La nomina dei componenti di
matrice ministeriale appare sganciata da ogni riferimento normativo che valga
preventivamente a determinarne l’ambito attitudinale e le competenze,
indicazioni non validamente surrogate dal generico riferimento alla qualifica
che gli stessi devono rivestire.
La discrezionalità lasciata sul tema
all’autorità governativa finisce, dunque, con l’assumere un rilievo non
indifferente.
15.2.– La possibile conferma del
mandato, anche questa lasciata alla mera discrezionalità dell’autorità designante,
costituisce ulteriore e ancor più decisivo fattore di disvalore nell’ottica
della autonomia garantita al designato nel corso del mandato.
15.3.– Quanto al profilo della possibile
revoca, è ben vero che, nel caso, il mandato è normativamente previsto per un
congruo periodo di tempo e che la revoca dello stesso presuppone un percorso
che garantisca comunque il contraddittorio dell’interessato; argomento,
quest’ultimo, non di rado utilizzato dalla stessa Corte di cassazione nel
fondare le decisioni di manifesta infondatezza rese in precedenza. Ma si tratta
di garanzie, quelle di natura procedimentale, offerte a tutti i funzionari
delle pubbliche amministrazioni, a prescindere dalle funzioni svolte, comunque
caratterizzate da un modesto rilievo complessivo a fronte della mancata
tipizzazione legislativa delle ragioni giustificative della possibile revoca.
15.4.– Assume decisivo rilievo,
soprattutto, la circostanza in forza della quale i citati componenti rimangono
incardinati, dopo la designazione, nella stessa amministrazione di riferimento:
lo status economico e giuridico del dirigente scelto non muta, infatti, dopo la
nomina, nonostante la quale l’attività dello stesso dirigente rimane soggetta
anche al controllo disciplinare del Ministero designante.
16.– Emergono, dunque, con immediata
evidenza, i vincoli di soggezione con una delle parti del procedimento
destinati a porsi in aperto contrasto, già sul piano della mera apparenza
esterna, con i caratteri di indipendenza e imparzialità che devono colorare l’azione
giurisdizionale.
16.1.– Si consideri, tra tutte le
ragioni di soggezione potenzialmente in grado di incidere sull’autonomia
decisoria del componente e conseguentemente dell’organo, quella immediatamente
legata all’azione disciplinare. Il componente di matrice governativa, resta,
infatti, attratto, anche per le condotte legate all’agire della Commissione, al
potere dell’amministrazione di appartenenza (ex art. 18, lettera b), del d.lgs.
C.p.S. n. 233 del 1946 che delimita espressamente la
verifica domestica della Commissione sul tema ai soli componenti di matrice
professionale). Il che equivale a dire che una delle parti dei giudizi trattati
dalla Commissione è legittimata a verifiche disciplinari sul comportamento di
uno dei membri del collegio decidente, compresi gli aspetti legati alla
partecipazione alla Commissione.
Tanto mette definitivamente in
discussione il tema dell’indipendenza, prerogativa posta ancora di più in crisi
se si considera che l’azione disciplinare si potrebbe prestare a manovre di
allontanamento del soggetto interessato destinate a concretare una revoca del
mandato tanto implicita quanto indebita.
Ipotesi, quest’ultima, destinata a porsi
in evidente contrasto con il requisito della inamovibilità, ritenuto dalla
Corte presidio di indipendenza dell’azione dei giudici speciali, pur dovendosi
attagliare il relativo principio alle peculiarità della giurisdizione di
riferimento (si veda la sentenza n. 103 del
1964, sulle Commissioni distrettuali delle imposte dirette; la sentenza n. 33 del
1968, avente ad oggetto la Giunta giurisdizionale amministrativa della
Valle d’Aosta; la sentenza
n. 107 del 1994, relativa agli organi di giustizia tributaria).
17.– Guardando, infine, al perimetro
delineato dalle due ordinanze di rimessione, va precisato che le questioni, nel
loro portato effettivo, riguardano esclusivamente i primi due commi della norma
censurata nelle sole parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti
di derivazione ministeriale. Le ulteriori disposizioni della stessa sono,
infatti, oggettivamente estranee ai rilievi sollevati dalla Corte rimettente.
17.1.– Poiché, poi, i due giudizi
principali involgono temi afferenti la professione odontoiatrica, essendo
questa la derivazione professionale delle due parti private ricorrenti in sede
di legittimità, le questioni devono ritenersi dotate di immediata rilevanza
limitatamente alla composizione della sola Commissione chiamata a definire gli
oggetti di competenza della suddetta categoria professionale.
La declaratoria di illegittimità
costituzionale è, dunque, destinata a cadere sul disposto del primo comma della
norma censurata (nella parte in cui, grazie alle modifiche di sistema sopra
anticipate, viene prevista oggi la partecipazione all’organo di un dirigente di
seconda fascia del Ministero della salute), letto congiuntamente alla lettera
e) del secondo comma della stessa norma (il quale si riferisce, per l’appunto,
alla categoria degli odontoiatri e contiene il riferimento al secondo
componente di derivazione ministeriale scelto all’interno della medesima
amministrazione centrale).
17.2.– E’ del tutto evidente, tuttavia,
che le problematiche rilevate riguardano, in termini certamente analoghi, tutte
le categorie professionali prese in considerazione dalla normativa di
riferimento: è, infatti, identico, guardando alla formazione della Commissione
di volta in volta competente a seconda della categoria professionale
interessata, il percorso che, grazie alla combinata lettura dei primi due commi
della norma censurata, porta alla nomina dei due componenti scelti tra i
dirigenti del Ministero della salute.
Seguendo la linea già tracciata dalla sentenza n. 193 del
2014, ne consegue l’illegittimità, ai sensi dell’art. 27 della legge 11
marzo 1953, n. 87, della norma censurata anche nella parte relativa alle
Commissioni centrali afferenti gli esercenti le professioni sanitarie diverse
da quella odontoiatrica (secondo comma dell’art. 17, lettere dalla a) alla d)
letto congiuntamente al primo comma della stessa norma) .
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettera e),
del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233
(Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina
dell’esercizio delle professioni stesse), nelle parti in cui si fa riferimento
alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale;
2)
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo
comma, lettere a), b), c) e d) del citato d.lgs. C.p.S.
n. 233 del 1946, nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei
componenti di derivazione ministeriale.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 ottobre
2016.