Sentenza n. 262/2003

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SENTENZA N.262

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

- Paolo MADDALENA                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo modificato dall'art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44 (Modifica alla L. 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), promosso con ordinanza del 25 giugno 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da E. R. contro Ministero della giustizia ed altro, iscritta al n. 417 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di costituzione di E. R.;

udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto in fatto

1. ― La Corte di cassazione, Sezioni unite civili, con ordinanza del 25 giugno 2002, ha sollevato la questione di legittimitΰ costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195 recante le "Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura" e successive modificazioni, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.

La Corte di cassazione rileva che le norme in parola – nella parte in cui non consentono una sostituzione, in un numero maggiore di quelli nominati dal Consiglio, di componenti della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, divenuti incompatibili a giudicare in sede di rinvio per avere fatto parte del collegio che aveva pronunciato la decisione cassata – sarebbero in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.

2. ― La questione trae origine da un giudizio di legittimitΰ promosso, con ricorso avverso la sentenza 30 maggio-12 luglio 2001 della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, da un magistrato nei cui confronti era stato confermato il giudizio di responsabilità già espresso dalla Sezione disciplinare, nella medesima composizione, ed annullato con rinvio dalle Sezioni unite.

Il giudice a quo precisa che il magistrato, al quale con decisione 16 luglio 1999 era stata inflitta la sanzione dell’ammonimento, proponeva ricorso alle Sezioni unite della Corte, che, con sentenza 14 novembre 2000, cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Sezione disciplinare per un nuovo esame.

Nel corso del giudizio di rinvio l’incolpato, prima della discussione, ricusò otto dei nove componenti che avevano partecipato alla precedente fase processuale e, in subordine, propose la questione di legittimità costituzionalità degli articoli 4, commi primo e terzo, e 6 della legge n. 195 del 1958.

La Sezione disciplinare, con ordinanza del 30 maggio 2001, dichiarava inammissibile l’istanza di ricusazione e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale.

Con sentenza del 30 maggio 2001, depositata il successivo 12 luglio, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura – nella medesima composizione che aveva pronunciato l’originaria sentenza, poi annullata con rinvio dalle Sezioni unite – dichiarava l’incolpato responsabile dell’addebito.

Il magistrato incolpato ha proposto ricorso avverso la sentenza della Sezione disciplinare – denunciando l’inosservanza dell’art. 546, comma primo, del codice di procedura penale del 1930, nonché il vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà ed insufficienza circa i punti decisivi della controversia – ed ha impugnato l’ordinanza con la quale fu dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge n.195 del 1958 e successive modificazioni.

La questione – si rileva nell’ordinanza di rimessione – non potrebbe essere risolta in applicazione degli articoli 61, primo comma, 64, n. 6, del codice di procedura penale del 1930, in quanto tale normativa non può ritenersi applicabile per la sua incompatibilità con la natura del procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare, non essendo altri organi competenti ad esercitare le funzioni di giudice di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione, e non consentendo le speciali norme dettate per il procedimento dinanzi alla Sezione, in particolare i citati artt. 4 e 6 della legge n. 195 del 1958, la sostituzione di componenti in posizione d'incompatibilità, quando il numero degli stessi sia, come nel caso di specie, superiore a sei. Il primo comma dell’art. 4 della legge n. 195 del 1958, nella sua formulazione originaria, prevedeva, infatti, che i componenti effettivi della Sezione disciplinare dovevano essere nove, mentre i componenti supplenti soltanto sei.

3. ― La Corte rimettente ha ritenuto pregiudiziale l’esame della questione relativa all’irregolare costituzione del giudice per la rilevata incompatibilitΰ dei componenti della Sezione disciplinare, facenti parte del collegio che aveva emanato la decisione cassata, a giudicare in sede di rinvio.

3.1. ― Quanto al profilo del contrasto con l’art. 111 della Costituzione, il giudice a quo preliminarmente osserva di non condividere la decisione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, pronunciata dalla Sezione disciplinare.

In particolare, il giudice a quo rileva che l’ordinanza in parola avrebbe ritenuto che l'impossibilità – dovuta al fatto che il numero dei componenti previsto dalla legge non consente una completa sostituzione dei componenti incompatibili – di una formazione del collegio giudicante per il giudizio di rinvio con componenti diversi da quelli che avevano partecipato alla decisione annullata, "non avrebbe alcuna rilevanza, dovendosi privilegiare l'interesse del funzionamento dell'organo disciplinare" e dunque, la regola dell'imparzialità e terzietà del giudice, stabilita dall’art. 111 della Costituzione, non opererebbe nel caso in cui ciò potrebbe determinare una paralisi dell'organo disciplinare, poiché vi dovrebbe essere la prevalenza, rispetto al valore dell’imparzialità del giudice, dell’interesse "ad una rapida decisione nella materia disciplinare dei magistrati ordinari da parte dello speciale organo indicato dalla Costituzione, espressione delle diverse componenti del Consiglio".

Le Sezioni unite ritengono che non sia da condividere tale conclusione secondo cui l'interesse al funzionamento dello speciale organo giurisdizionale istituito in attuazione dell'art. 105 della Costituzione avrebbe "un rango superiore a quello riconosciuto" ad altri valori costituzionalmente protetti, quale quello dell’imparzialità della giurisdizione. Mentre, sarebbe fondamentale "il diritto di essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale" e la sua tutela sarebbe "particolarmente rafforzata da obblighi internazionali, e precisamente dall'art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848".

La Corte rimettente pone l’accento su alcune sentenze della Corte costituzionale che hanno affermato, anche nella vigenza del precedente testo dell'art. 111 della Costituzione, il valore generale del principio di imparzialità e terzietà della giurisdizione rispetto a qualunque specie di processo, in riferimento al quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di norme che non prevedevano l’incompatibilità alla partecipazione al dibattimento, di giudici che avessero pronunciato provvedimenti in una diversa fase del processo, anche quando dagli stessi non sarebbe derivato alcun vincolo per la decisione nel merito.

Tale principio secondo il giudice a quo dovrebbe avere attuazione per ogni tipo di processo.

Si osserva che, sebbene il nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione non abbia aggiunto altro rispetto a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale in tema di imparzialità e di terzietà del giudice, la nuova norma costituzionale conterrebbe un’indubbia "significativa enfatizzazione di tali principi ". Le ragioni per le quali sarebbe in contrasto con i principi costituzionali "un sistema normativo che imporrebbe il sacrificio del diritto all'imparzialità del giudice di rinvio nel caso di incompatibilità di un numero di componenti superiore a quello dei supplenti" sarebbero – ad avviso del giudice a quo – ancora più manifeste rispetto alle ipotesi in cui si è ritenuta l'incostituzionalità di norme processuali che prevedevano una competenza dello stesso giudice a pronunciarsi su questioni dallo stesso già decise.

Nell’ordinanza di rimessione – posto l’accento sulla natura giurisdizionale e sulla conseguente piena attuazione di tutte le garanzie proprie della giurisdizione, del procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura – si rileva altresì che il giudizio di rinvio costituisce la seconda fase dello stesso procedimento che è stato svolto davanti al giudice che ha pronunciato la sentenza annullata, e ciò comporta che le ragioni d'incompatibilità siano particolarmente manifeste, in quanto l'organo disciplinare, in una composizione pressoché identica alla precedente, è chiamato a correggere gli errori della sua stessa decisione cassata che, secondo le indicazioni vincolanti della sentenza della Corte di cassazione, riguarderebbero proprio gli elementi costitutivi dell’illecito disciplinare.

3.2. ― Le Sezioni unite rilevano un ulteriore profilo di illegittimitΰ costituzionale nella violazione del principio di eguaglianza, poiché il vulnus al diritto di difesa – non presente negli altri procedimenti giurisdizionali – non parrebbe adeguatamente giustificato dallo speciale oggetto del procedimento in esame, nel quale la tutela del diritto all'imparzialità del giudice sarebbe negata.

4. ― Quanto al profilo della rilevanza, la Corte rimettente osserva che la vigente disciplina non conterrebbe alcuno strumento normativo per integrare il numero complessivo dei componenti la Sezione disciplinare, preventivamente designati dal Consiglio e ciò non consentirebbe il rispetto del principio costituzionale di imparzialità e della terzietà del giudice, nell’ipotesi in cui il numero dei componenti incompatibili sia superiore a quelli non utilizzati per la formazione del collegio.

Osserva, infine, il giudice a quo che la recente riforma dell'organizzazione del Consiglio superiore della magistratura e della Sezione disciplinare, introdotta con la legge 28 marzo 2002, n. 44, non richiederebbe un ulteriore esame della non manifesta infondatezza e della rilevanza della questione di costituzionalità, in quanto l'art. 2, lett. a), della legge in parola, recante modifiche all'art. 4 della legge n. 195 del 1958, prevede un numero di componenti insufficiente a sostituire il più elevato numero di componenti incompatibili, tenuto conto anche della riduzione del numero dei membri della Sezione disciplinare, introdotta dallo stesso art. 2, lett. a).

5. ― Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito il magistrato ricorrente nel processo principale, il quale ha fatto proprie le argomentazioni svolte dal rimettente ed ha chiesto che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

Considerato in diritto

1. ― La questione di legittimitΰ costituzionale dell'art. 4 e dell'art. 6 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) e successive modificazioni è stata sollevata dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento alla parte in cui le predette norme non consentono una sostituzione, in un numero maggiore di quelli nominati dal Consiglio, di componenti della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura divenuti incompatibili a giudicare in sede di rinvio per avere fatto parte del collegio che aveva pronunciato la decisione cassata.

Tali norme sarebbero in contrasto, secondo il giudice a quo, con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, sotto il profilo che la garanzia del principio generale della imparzialità-terzietà della giurisdizione dovrebbe operare, per la tutela del diritto di difesa, anche nel procedimento –avente natura giurisdizionale– dinanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, tanto più nel momento in cui l'organo disciplinare è chiamato, nella stessa composizione, a correggere gli errori della propria precedente decisione successivamente cassata. Ad avviso del rimettente, infatti, il giudizio di rinvio costituirebbe la seconda fase dello stesso procedimento che è stato svolto davanti al giudice che ha emesso la sentenza poi annullata, cosicché le prospettate ragioni di incompatibilità sarebbero, nella specie, particolarmente evidenti.

2. ― La questione θ fondata nei termini di seguito precisati.

Lo scrutinio di costituzionalità degli artt. 4 e 6 della legge n. 195 del 1958 –nel testo modificato dalle relative norme della legge 28 marzo 2002, n. 44 (Modifiche alla L. 24 marzo 1958, n. 195)– si deve incentrare, secondo il giudice rimettente, essenzialmente sul profilo dell'insufficienza del numero dei componenti supplenti della Sezione disciplinare riguardo alla costituzione di un secondo collegio giudicante in caso di annullamento con rinvio per nuovo esame, da parte delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, di modo che risulterebbero violati, sotto diversi profili, i precetti degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione.

Questa Corte ha da tempo affermato che la Costituzione, regolando solo i tratti essenziali del disegno del Consiglio superiore della magistratura, ha lasciato alla discrezionalità del legislatore ordinario, pur senza vincolarlo ad alcuna forma di attuazione, ampi spazi nella disciplina delle funzioni e dell'organizzazione interna del Consiglio. E così l'art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195, ha stabilito che il Consiglio, cui spetta, ai sensi dell'art. 105 della Costituzione, il potere disciplinare, debba esercitarlo, anziché in sede plenaria, in una composizione più ristretta costitutiva della Sezione disciplinare (cfr. sentenza n. 12 del 1971 ed anche sentenza n. 52 del 1998), la quale peraltro non dà vita ad un organo autonomo dal Consiglio stesso, né a forme di frazionamento del potere, di cui il Consiglio è e resta unico titolare (sentenza n. 270 del 2002).

Fermo dunque il presupposto della spettanza del potere disciplinare al Consiglio superiore, il legislatore, nell'attribuirne l'esercizio alla Sezione disciplinare, è stato indotto a "configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale" dall'esigenza precipua di tutelare in forme più adeguate specifici interessi e situazioni connessi allo statuto di indipendenza della magistratura (sentenze n. 497 del 2000 e n. 289 del 1992). I caratteri giurisdizionali del procedimento disciplinare non comportano peraltro, in base alle sue peculiarità e finalità, un riferimento automatico alle norme del processo penale, "l'utilizzo dei cui moduli procedurali (d'altronde previsti solo in via integrativa dagli artt. 32 e 34 del r.d.lgs. n. 511 del 1946) non è affatto sintomatico di una coincidenza che abiliti ad assimilarne i presupposti e a confrontarne gli esiti" (sentenza n. 119 del 1995). In realtà, il procedimento disciplinare, pur ispirandosi ad un modello giurisdizionale, ha profili strutturali e funzionali del tutto atipici e peculiari, come, in particolare, dimostra la fase della decisione, che è demandata ad un apposito collegio elettivo –alla cui scelta partecipano anche i due magistrati titolari delle funzioni di vertice della Corte di cassazione– composto in prevalenza da "pari", in funzione di garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, mentre la relativa pronuncia è sottoposta ad un regime di impugnazione costituito dal ricorso diretto alle Sezioni unite civili della Corte di cassazione (sentenza n. 289 del 1992).

La peculiarità e l'atipicità del procedimento disciplinare trovano giustificazione essenzialmente nel fatto che esso si incentra necessariamente sulla Sezione disciplinare, espressione diretta –"emanazione"– del Consiglio superiore della magistratura (sentenza n. 145 del 1976), cosicché sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento stesso, comunque configurato dal legislatore ordinario, si svolga in modo tale da non ostacolare l'indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore.

Occorre però, nella vicenda in esame, porre a raffronto detto interesse con il principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, che ha pieno valore costituzionale ai sensi degli artt. 24 e 111 della Costituzione, con riferimento a qualunque tipo di processo, "pur nella diversità delle rispettive discipline connessa alle peculiarità proprie di ciascun tipo di procedimento" (sentenza n. 305 del 2002). Le soluzioni legislative per realizzare questo principio, ferma comunque la regola che il giudice rimanga sempre super partes ed estraneo rispetto agli interessi oggetto del processo, non debbono prefigurare moduli necessariamente identici per tutti i tipi di processo, purché sia comunque assicurato quel "minimo" di garanzie ragionevolmente idonee allo scopo (sentenza n. 78 del 2002). E' certo, peraltro, che in tutti i tipi di processo –quindi anche in quello disciplinare a carico dei magistrati– debbono essere previste regole sull'esercizio delle funzioni giudicanti valide a proteggere in ogni caso il valore fondamentale dell'imparzialità del giudice, in particolare impedendo che quest'ultimo possa pronunciarsi due volte sulla medesima res iudicanda (sentenza n. 335 del 2002).

3. ― Proprio in riferimento a questo specifico profilo vanno esaminate le doglianze in oggetto, le quali censurano la possibilità che la Sezione disciplinare del Consiglio superiore sia chiamata –come è avvenuto nel caso di specie– a pronunciarsi per due volte sulla medesima res iudicanda, con un collegio giudicante pressoché identico, in caso di annullamento con rinvio per nuovo esame di una precedente decisione, da parte delle Sezioni unite della Cassazione. Al riguardo appare evidente che le disposizioni denunciate non assicurano affatto quel "minimo" di tutela, costituito dalla necessaria applicazione di tutti quegli strumenti processuali indispensabili a garantire il diritto fondamentale dell'incolpato ad un giudizio equo ed imparziale, ferme naturalmente restando l'indefettibilità e la continuità del potere disciplinare attribuito, per dettato costituzionale, al Consiglio superiore della magistratura.

Le norme denunciate violano quindi gli invocati parametri degli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione sotto il profilo dell'imparzialità della giurisdizione, poiché non prevedono una soluzione organizzativa che impedisca, nelle ipotesi di annullamento con rinvio di una decisione della Sezione disciplinare da parte delle Sezioni unite della Cassazione, che lo stesso collegio giudicante si pronunci due volte sulla medesima res iudicanda. Secondo il giudice rimettente, infatti, non solo la previgente normativa ma anche l'art. 2, lettera a), della legge 28 marzo 2002, n. 44 prevede "un numero di componenti insufficiente a sostituire un numero maggiore di componenti incompatibili, anche tenuto conto della riduzione del numero dei componenti la Sezione disciplinare". La questione di legittimità costituzionale proposta deve essere pertanto circoscritta all'art. 4, comma terzo, della legge 24 marzo 1958, n. 195, nel testo appunto modificato dall'art. 2, lettera a), della citata legge 28 marzo 2002, n. 44.

A questo riguardo, in relazione al necessario bilanciamento, prospettato anche nell'ordinanza di remissione, tra il bene della imparzialità-terzietà della giurisdizione e quello della indefettibilità della funzione disciplinare, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della predetta norma va limitata alla parte in cui non prevede l'elezione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, in aggiunta ai membri supplenti della Sezione disciplinare già previsti, di ulteriori componenti, in modo da consentire la costituzione, per numero e categoria di appartenenza, di un collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una decisione successivamente annullata con rinvio dalle Sezioni unite della Cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo modificato dall'art. 2 della legge 28 marzo 2002, n. 44 (Modifica alla L. 24 marzo 1958, n. 195, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della Sezione disciplinare.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2003.