SENTENZA N. 36
ANNO 1959
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente
Avv. Giuseppe CAPPI
Prof. Tomaso PERASSI
Prof. Gaspare AMBROSINI
Prof. Ernesto BATTAGLINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, promosso con ordinanza emessa il 6 giugno 1958 dal Tribunale di Bassano del Grappa nel procedimento civile vertente tra la Società per azioni Liquigas e il Comune di Marostica nonché l'Agenzia pubblicità Cavalieri di Vicenza, iscritta al n. 24 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 161 del 5 luglio 1958.
Vista la dichiarazione d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 29 aprile 1959 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli;
uditi l'avv. Willy Bagnoli, per la Società Liquigas, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
La questione di legittimità costituzionale, che forma oggetto del presente giudizio promosso con ordinanza 6 giugno 1958 del Tribunale di Bassano del Grappa, é stata sollevata nel corso del procedimento civile vertente tra la Società per azioni Liquigas di Milano ed il Comune di Marostica, nonché l'Agenzia pubblicità Cavalieri di Vicenza, appaltatrice del servizio pubbliche affissioni del detto Comune.
La cennata ordinanza, notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, é stata pubblicata per disposizione del Presidente di questa Corte, ai sensi dell'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 161 del 5 luglio 1958 ed iscritta al n. 24 del Reg. ord. del 1958.
Nel giudizio avanti questa Corte si é costituita la Società Liquigas di Milano in persona del direttore generale, dott. Raffaele Ursini e del dottore, geometra Luigi Bianchi, depositando in cancelleria il 28 giugno 1958 le proprie deduzioni con procura conferita agli avvocati Willy Bagnoli e Giuseppe Vitali, con elezione di domicilio in Roma, presso quest'ultimo, via Valadier, 42.
Con atto depositato in cancelleria il 1 luglio 1958 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocato generale dello Stato.
Nella citata ordinanza si premette che il servizio pubbliche affissioni del Comune di Marostica, gestito dalla Agenzia pubblicità Cavalieri di Vicenza, richiese alla Società per azioni Liquigas di Milano il pagamento dei diritti per la pubblicità acustica e visiva che tale società aveva effettuato l'11 ottobre 1957, facendo circolare nel territorio di detto Comune alcuni autoveicoli pubblicitari.
La Liquigas non versò le somme relative alla pubblicità visiva, ritenendole non dovute e propose altresì opposizione all'ingiunzione successivamente notificatale per l'importo di L. 31.580, eccependo, tra l'altro, la illegittimità costituzionale dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417.
Per quest'articolo i Comuni hanno facoltà "di stabilire le tariffe per il servizio delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, salva l'osservanza delle norme del presente decreto".
Tali norme - continua testualmente l'ordinanza - disciplinando le pubbliche affissioni e la pubblicità affine, soddisfano formalmente al precetto dell'art. 23 della Costituzione che si preoccupa di impedire ogni arbitrio nella imposizione di prestazioni al privato cittadino. Senonché fissare un tributo in base alla legge, non significa limitarsi a dichiarare "é istituito il tributo, ecc.", ma determinare con la necessaria accuratezza, secondo la natura del tributo, la situazione-base o presupposta dell'imposizione, i soggetti passivi, le aliquote, per lo meno rapportate a inequivocabili elementi, e l'oggetto specifico dell'imposizione".
Si conclude che l'eccezione proposta dalla Società Liquigas non é manifestamente infondata e si dispone la sospensione del procedimento e la trasmissione degli atti a questa Corte.
Nelle deduzioni della Liquigas si fa preliminarmente richiamo alle sentenze n. 30 e n. 47 del 1957 di questa Corte, e più specialmente alla seconda di esse nella quale, dopo essersi riconosciuta la legittimità costituzionale delle norme che attribuiscono ad enti pubblici il potere di imporre obbligatoriamente prestazioni, si afferma "la necessità, nel fare applicazione del principio ai singoli casi, di accertare se la legge, nella quale trovi nella specie fondamento il potere di imposizione, stabilisca criteri e limiti, variabili peraltro da caso a caso per la particolarità della materia, ma che comunque, nel loro complesso, soddisfino le esigenze sopra delineate relativamente alla determinazione dei presupposti soggettivi e oggettivi della prestazione, del quantum e dei controlli da parte dell'autorità governativa".
Ciò posto - continua la Società Liquigas - manca nel D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, qualunque criterio o limite per una determinazione del quantum del tributo. Infatti il secondo comma del ripetuto articolo 2 prescrive che le tariffe per il servizio delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine stabilite dai Comuni devono essere approvate dalla Giunta provinciale amministrativa, sentito il Comitato provinciale dei prezzi e devono altresì, dopo tale approvazione, essere comunicate al Ministero delle finanze che, d'intesa con quello dell'interno, può annullarle in tutto o in parte, in quanto siano contrarie al "presente decreto". Il quale, precisa la Liquigas, nei successivi articoli prevede i casi di esenzione dal tributo e di riduzione della tariffa normale, le dimensioni degli stampati da affiggere, la possibilità di differenziare gli spazi destinati alle affissioni secondo la importanza e la centralità delle zone in cui si trovano, le modalità per il pagamento delle commissioni, ecc. ecc., ma nulla aggiunge a quanto stabilito nell'art. 2 relativamente alla determinazione della misura delle tariffe. Di conseguenza non é neppure configurabile l'annullamento del provvedimento comunale sotto il profilo del contrasto con il decreto n. 1417 per motivi inerenti alla misura delle tariffe.
"Orbene non solo il fatto che il quantum sia stabilito con un provvedimento che non é legislativo, ma altresì la constatazione che nella legge é omesso ogni criterio direttivo per la determinazione della entità della prestazione patrimoniale che, almeno nel nostro caso, cioè per la pubblicità eseguita con altri mezzi, ha carattere di imposta, induce a concludere che l'art. 2 D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, é in contrasto con l'art. 23 della Costituzione".
Al fine di offrire una ulteriore dimostrazione della genericità e della indeterminatezza della norma di cui si discute, la Società Liquigas sottolinea il rilevante divario esistente tra le tariffe stabilite da alcuni Comuni per il medesimo tipo di pubblicità (automezzi pubblicitari); e cioè lire 80 al mq. il Comune di Marostica, lire 1500 quello di Jesolo e lire 300 quello di Forlì. E per dimostrare altresì quanto la norma sia poco vincolante per i Comuni, si aggiunge che quello di Chiavari in seguito ai reiterati rifiuti di pagamento di essa Liquigas ha ridotto la tariffa originariamente applicata nella misura di lire 1800 al mq., a lire 300, lire 150 e, quindi, a lire 100 al mq.
La Società Liquigas si richiama infine ancora una volta alla sentenza n. 47 dell'8 marzo 1957 di questa Corte, la quale ha ritenuto viziate di illegittimità costituzionale le norme contenute nell'art. 9 del R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1425, e nell'art. 2 del R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2302, perché inidonee a delimitare e a circoscrivere la discrezionalità dell'esercizio del potere di imposizione tributaria da parte della pubblica Amministrazione. E ciò nonostante tali norme stabilissero, tra l'altro, che i contributi a favore degli Enti provinciali per il turismo, a carico dei privati "saranno determinati in rapporto al movimento dei forestieri ed in proporzione alla loro potenzialità finanziaria ed economica, anche desunta dall'imposta di ricchezza mobile che a carico di ciascuno di essi sia stata accertata nell'esercizio precedente".
Di conseguenza - si argomenta - non può non dirsi altrettanto dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, nel quale non é previsto alcun criterio, oggettivo o soggettivo, diretto o indiretto, per la fissazione della misura del tributo.
Si conclude, pertanto, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale articolo.
Nelle deduzioni dell'Avvocatura dello Stato si premette che, nella specie, non si controverte in materia di "prestazioni patrimoniali" o di "imposte" ma in materia di compensi per servizi pubblici di cui volontariamente si usufruisce. Il che si evincerebbe dall'art. 1 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, che disciplina le pubbliche affissioni come un servizio pubblico, né più né meno come altri servizi (impianto ed esercizio di farmacie, nettezza urbana, trasporti funebri).
E per quanto attiene, si aggiunge, ai criteri generali per la determinazione delle tariffe delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, essi sono indicati negli artt. 7 e segg. del R.D. 14 giugno 1928, n. 1399.
Ma se anche si volesse riconoscere alle tariffe per la pubblicità stabilite dai Comuni il carattere di prestazione personale - eccepisce l'Avvocatura - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, sarebbe egualmente infondata.
Tale articolo, infatti, va valutato tenendo costantemente presente l'intera legge della quale esso fa parte. E questa legge regola con dettagliate disposizioni i casi di esenzione, i luoghi dove possono essere affissi i manifesti, le dimensioni, la durata delle affissioni e tutte quelle altre forme di pubblicità speciale soggette a tassazione.
Né questa legge - sottolinea ancora l'Avvocatura - ha previsto unicamente l'ammontare delle aliquote dei menzionati tributi senza fissare il minimo e il massimo delle relative tariffe e senza regolare i controlli sulla relativa attività dei Comuni. Ed infatti i criteri generali per la determinazione delle tariffe stesse sono stabiliti come già detto negli artt. 7 e segg. del R.D. 14 giugno 1928, n. 1399. Proprio l'art. 2 del quale si controverte prescrive, poi, che le tariffe sono fissate con regolamento comunale ed approvate dalla Giunta provinciale amministrativa su parere del Comitato provinciale dei prezzi. Un ulteriore controllo viene poi esercitato dal Ministero delle finanze il quale potrà annullare, d'intesa con il Ministero dell'interno, le norme regolamentari contrarie alla legge generale. Le eventuali modifiche delle tariffe sono ulteriormente soggette ad altri controlli: approvazione della Giunta provinciale amministrativa ed omologazione ministeriale ai sensi dell'art. 273 del vigente T.U. della finanza locale.
Si ritiene, pertanto, conclude l'Avvocatura, che il D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, sia costituzionalmente legittimo, perché nell'istituire i tributi ha fornito sufficienti elementi, per individuare la natura, i limiti, l'oggetto dell'imposizione ed i soggetti passivi. Costituzionalmente corretta appare altresì l'integrazione regolamentare della legge riconosciuta all'ente locale.
Anche l'Avvocatura dello Stato infine richiama la sentenza n. 47 dell'8 marzo 1957 di questa Corte e rileva che in tale sentenza le norme contenute nell'art. 9 del R.D.L. 20 giugno 1935, n. 1425, e nell'art. 2 del R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2302, sono state ritenute viziate di illegittimità costituzionale, "non precisando i soggetti passivi della prestazione né indicando i criteri, che valgano a delimitare o circoscrivere in modo idoneo la discrezionalità nell'esercizio del potere di imposizione".
Non sembra però, afferma l'Avvocatura, che le norme della legge 8 novembre 1947, n. 1417, siano inficiate dagli stessi vizi riscontrati per i contributi turistici a carico dei privati.
La legge, nel dare all'art. 1 la definizione delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, automaticamente individua i soggetti passivi del tributo in coloro che svolgono quelle determinate forme pubblicitarie. Né, per i motivi innanzi esposti, può dirsi che nelle disposizioni della legge 8 novembre 1947, n. 1417, si riscontri un ampio potere discrezionale dell'autorità amministrativa nella determinazione della imposizione, come la Corte costituzionale ha invece ritenuto avvenisse per le procedure di accertamento dei contributi in favore degli Enti provinciali per il turismo.
Ribadendo poi che per la fissazione delle tariffe la legge 8 novembre 1947, n. 1417, fa implicito riferimento ai criteri generali stabiliti dal R.D. 14 giugno 1928, n. 1399, l'Avvocatura conclude chiedendo che sia respinta la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417.
La Società Liquigas ha depositato, nella cancelleria della Corte, memoria in data 14 aprile 1959. Con essa si confuta, richiamando sentenze della Corte suprema di cassazione, la pregiudiziale posta dall'Avvocatura dello Stato con cui si nega alle tariffe comunali per il servizio delle pubbliche affissioni carattere tributario.
Secondo la Liquigas il rapporto fra privato e pubblica Amministrazione muta col mutare dei mezzi di pubblicità contemplati dalla legge e tra di loro sostanzialmente diversi. Nel caso di affissione di manifesti pubblicitari l'amministrazione presta un servizio ed il privato deve un corrispettivo. Quando invece il privato effettua, come nella specie, la pubblicità a mezzo di scritte apposte sui propri autoveicoli non chiede ai Comuni nel cui territorio circolerà alcuna prestazione. In tale ipotesi i Comuni effettuano un prelievo di ricchezza che ha il suo presupposto nell'occasionale passaggio degli automezzi e nella capacità patrimoniale del privato.
Nel merito insiste per la dichiarazione d'incostituzionalità del citato art. 2 della legge n. 1417, non contenendo tale norma alcuna indicazione in ordine al la determinazione del quantum del tributo da parte dell'Ente impositore. Né infine le tariffe contenute nel R.D. 14 giugno 1928, n. 1399, possono considerarsi un criterio indicativo, perché la legge n. 1417 del 1947, regolando l'intera materia, non contiene una norma di riferimento al predetto decreto, e comunque sarebbe necessario un coefficiente di adeguamento per la svalutazione della lira.
Anche l'Avvocatura dello Stato ha presentato memoria illustrativa (depositata il 15 aprile 1959) con la quale, richiamando i precedenti di questa Corte, ribatte la tesi che le tariffe per il servizio delle pubbliche affissioni nulla hanno a che vedere con le prestazioni patrimoniali o personali imposte, cioè con i vari tributi o contributi di cui tratta l'art. 23 della Costituzione. Esse sono un compenso dovuto ai Comuni per un servizio di pubblicità da loro prestato; il corrispettivo di un rapporto instaurato tra l'ente pubblico e il privato. Se si trattasse di un tributo, le norme sulle tariffe dovrebbero trovare sede nel T.U. sulla finanza locale e non nel T.U. della legge sulla assunzione diretta dei servizi pubblici da parte dei comuni e delle province. Da numerose disposizioni di questo T.U. si desume il carattere non tributario delle tariffe e la natura economica e commerciale dei servizi stessi (R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578: artt. 1, 2, 4, 5, 19, 26). Infine il fatto che le tariffe devono essere approvate con l'intervento del Comitato provinciale dei prezzi sta a significare che i corrispondenti servizi vanno intesi come servizi economici e prestazioni derivanti da obbligazione volontariamente assunta; giacché il Comitato non ha istituzionalmente alcuna interferenza nel campo dei tributi e in quello delle prestazioni personali o patrimoniali imposte.
L'Avvocatura richiama infine i limiti alla discrezionalità dell'ente impositore e i controlli già indicati nelle precedenti deduzioni, concludendo per la legittimità costituzionale della norma contenuta nel citato art. 2.
Nell'udienza del 29 aprile la difesa delle parti ha illustrato le precedenti deduzioni.
Considerato in diritto
Per risolvere la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417 - riguardante la disciplina delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine - in riferimento alla norma dell'art. 23 della Costituzione, occorre preliminarmente precisare la natura giuridica delle prestazioni pecuniarie dovute ai Comuni per la pubblicità visiva e sonora effettuata direttamente dall'interessato attraversando con autoveicoli propri il territorio di un Comune.
Per tale tipo di pubblicità il Comune non é tenuto ad alcuna prestazione a favore del privato, contrariamente a quanto accade per la pubblicità effettuata con l'esposizione di manifesti, avvisi ecc. per la quale il Comune deve predisporre e mantenere apposite tabelle e, quindi, curare l'affissione dei manifesti (artt. 10-12 citata legge n. 1417).
Ciò premesso, sebbene l'art. 2 della legge in questione parli genericamente di "tariffe", é a ritenere che le prestazioni pecuniarie dovute per le pubbliche affissioni rappresentano, almeno in parte, il corrispettivo di un servizio reso dal Comune, mentre le stesse prestazioni dovute per la pubblicità effettuata dal privato esclusivamente con mezzi propri hanno natura di prestazione patrimoniale imposta (art. 23 Costituzione).
Né questa distinzione può essere esclusa dal fatto che il citato art. 2 parla di tariffe per qualsiasi forma di pubblicità, giacché il collegamento é puramente formale e la circostanza della gestione unica per le varie specie pubblicitarie da parte dell'azienda speciale preveduta dall'art. 2 del T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578, non muta la natura delle prestazioni pecuniarie dovute dal privato.
Giova a tal punto ricordare che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha, in proposito, ritenuto che le prestazioni pecuniarie dovute ai Comuni per le pubbliche affissioni costituiscono entrate di diritto privato, mentre quelle relative alla pubblicità effettuata dal privato hanno carattere di tributi e non di cespiti patrimoniali per la mancanza di qualsiasi rapporto di corrispettività.
Lo stesso principio ha affermato la giurisprudenza amministrativa, stabilendo che non é soggetto alla imposta di ricchezza mobile il provento che un Comune ritrae dalla concessione della pubblicità luminosa, poiché tale provento riveste carattere di tassa.
Questa Corte d'altra parte ha ritenuto che quando si ha una prestazione patrimoniale legittimamente imposta, cioè stabilita come obbligatoria a carico di una persona senza che la volontà di questa vi abbia concorso, essa rientra nella sfera di applicazione dell'art. 23 della Costituzione. Ed ha precisato altresì che la denominazione della prestazione é irrilevante, poiché il criterio decisivo per ritenere applicabile l'art. 23 é che si tratti di prestazione obbligatoria in quanto istituita da un atto di autorità (sent. n. 4 del 16 gennaio 1957; sent. n. 30 del 23 gennaio 1957; sent. n. 47 dell'8 marzo 1957). E nella specie non é a dubitare che ricorrano entrambi i detti requisiti. Il potere d'imposizione é infatti riconosciuto al Comune dall'art. 2 della legge del 1947, n. 1417, ed il sorgere dell'obbligo della prestazione patrimoniale é indipendente da qualsiasi precedente rapporto tra ente impositore e colui che richiede di effettuare la pubblicità
Stabilito che trattasi di tributo, rimane da esaminare se la legge che lo ha istituito sia conforme alla norme dell'art. 23 della Costituzione.
Questa Corte oltre ad avere chiarito, con le citate sentenze, che il principio dell'art. 23 della Costituzione si applica ad ogni "prestazione imposta", ha anche ritenuto che la cennata norma costituzionale, prescrivendo che l'imposizione di una prestazione patrimoniale abbia "base" in una legge, non esige che la legge, che conferisce il potere di imporre una prestazione, contenga necessariamente l'indicazione del limite massimo della prestazione imponibile, ma implica che la legge non lasci all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione. É necessario, cioé, che la legge indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere attribuitogli.
Da tali premesse consegue che l'art. 2 della legge n. 1417 sarebbe costituzionalmente legittimo, se la legge stessa contenesse i criteri su menzionati. Ma dall'esame dell'art. 2, primo comma, coordinato con le disposizioni dell'intero testo legislativo, non emerge alcun criterio idoneo a delimitare l'ambito del potere discrezionale del Consiglio comunale per ciò che attiene al quantum delle tariffe.
Invero le disposizioni della legge n. 1417, che regolano le modalità del servizio delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, se valgono a specificare gli atti economici che possono formare oggetto della imposizione e i possibili soggetti passivi della prestazione imposta, nessuna direttiva contengono per la determinazione del tributo, sì da potere costituire un criterio limite per fissarne il quantum. Tale mancanza si appalesa ancor più grave, ove si consideri che né del Consiglio comunale, che esercita il potere impositore, né della G.P.A., che esercita il controllo sulle tariffe fissate dal Comune, fanno parte esponenti qualificati delle categorie interessate alla pubblicità. Una rappresentanza degli utenti della pubblicità, cioè dei produttori e dei commercianti, possibili soggetti passivi del tributo, interviene nella Commissione consultiva di cui si avvale il Comitato provinciale dei prezzi chiamato a dare il parere sulle tariffe già fissate dal Comune e prima che siano approvate dalla G.P.A. (D.L.C.P.S. 15 settembre 1947, n. 896; art. 2, secondo comma, cit. legge n. 1417). Ma interviene soltanto per manifestare un parere consultivo, non vincolante, e peraltro in un momento posteriore alla deliberazione consigliare che fissa le tabelle.
Né efficacia di limite alla discrezionalità dell'ente impositore può avere l'intervento del Ministero delle finanze il quale, d'intesa col Ministero dell'interno, esercita soltanto un sindacato di legittimità sulle tariffe (cit. art. 2, secondo comma). Tale sindacato infatti può determinare l'annullamento in tutto o in parte del regolamento speciale relativo al servizio, ma non può investire i criteri in base ai quali sono stati determinati i massimi e minimi delle tariffe pubblicitarie, non essendo configurabile una disposizione regolamentare in tal senso, contraria alla legge che in proposito, come si é detto, non appresta alcun criterio.
Infine non può accogliersi la tesi dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il decreto legislativo 14 giugno 1928, n. 1399, deve ritenersi tuttora in vigore relativamente ai limiti minimi e massimi delle tariffe (art. 15). Invero la legge del 1947, n. 1417, ha regolato l'intera materia delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, senza alcun riferimento alla legge precedente, tanto che nell'art. 24 con una norma transitoria era riconosciuta efficacia agli aumenti eventualmente apportati dai Comuni alle tariffe riguardanti le pubbliche affissioni e la pubblicità affine prima della entrata in vigore della legge n. 1417, sempre che le relative deliberazioni fossero, entro sessanta giorni della suddetta data, comunicate al Ministero delle finanze ai fini dell'art. 2, secondo comma, della stessa legge. Il che conferma che le tariffe pubblicitarie devono essere per l'avvenire regolate esclusivamente dalle disposizioni del citato art. 2.
Pertanto la disposizione dell'art. 2 deve considerarsi costituzionalmente legittima per le tariffe riguardanti forme di pubblicità, che richiedono da parte del Comune una prestazione a favore del privato, che della pubblicità abbia fatto richiesta.
Invece per le tariffe relative a forme pubblicitarie effettuate dal privato con mezzi propri e senza alcuna prestazione del Comune, le modalità della legge stabilite per l'esercizio del potere d'imposizione, considerate nel loro complesso, non costituiscono garanzie sufficienti a delimitare la discrezionalità dell'ente impositore del tributo, onde é da ravvisare in tal caso una violazione dell'art. 23 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 2 del D.L.C.P.S. 8 novembre 1947, n. 1417, concernente la disciplina delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine, in quanto comprende nella fissazione delle tariffe per il servizio di pubblicità imposizioni tributarie senza determinare criteri e limiti, in riferimento alla norma contenuta nell'art. 23 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 giugno 1959.
Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA.
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1959.