SENTENZA N. 228
ANNO 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente:
Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata sull’istanza di A. S., con ordinanza del 30 novembre 2022, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2023.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 30 novembre 2022, iscritta al n. 31 del registro ordinanze 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui prevede che, per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato del cittadino di un paese non appartenente all’Unione europea, la certificazione di cui alla medesima disposizione vada «indistintamente richiesta alla autorità consolare, e non alla autorità competente al rilascio […] secondo il diritto interno del paese di appartenenza dell’istante».
2.– Il rimettente premette che A. S., di cittadinanza marocchina, aveva presentato istanza di accesso al patrocinio a spese dello Stato e che, dopo aver ottenuto dal Consolato del Marocco una risposta negativa alla richiesta di rilascio della certificazione di cui all’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, aveva allegato una dichiarazione sostitutiva di certificazione, con cui attestava l’assenza di redditi e di proprietà estere.
Il giudice a quo riporta la risposta dell’autorità consolare, la quale aveva motivato il proprio diniego, affermando di non essere competente «a rilasciare certificati», in quanto, nel Paese d’origine del richiedente, «la situazione reddituale viene rilasciata dalla Direzione Regionale delle Imposte in Marocco», mentre «il certificato che attesta le proprietà mobiliare ed immobiliare viene rilasciato dalla Agenzia Nazionale della Conservazione Fondiaria, del catasto e della Cartografia in Marocco».
Il GIP procede con la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, sottolineando che, secondo l’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, «in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione». Precisa, inoltre, che – alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione (viene citata la sentenza della sezione quarta penale, 8-22 febbraio 2018, n. 8617) – la su evocata impossibilità sarebbe da intendere come «mera omissione di certificazione da parte della richiesta autorità consolare, per inerzia o ritardo».
3.– Il giudice a quo ritiene, pertanto, che l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui prevede che la certificazione vada «indistintamente richiesta alla autorità consolare, e non alla autorità competente al rilascio […] secondo il diritto interno del paese di appartenenza dell’istante», cagioni un vulnus all’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo.
La norma, per un verso, si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza e, per un altro verso, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, il cui consolato sia competente a rilasciare la certificazione, e cittadini di altri Stati sempre non appartenenti all’Unione europea, nei quali il consolato non sia autorizzato a svolgere simile funzione.
3.1.– Quanto alla censura di irragionevolezza, il giudice a quo sostiene che il legislatore italiano non possa «imporre allo Stato estero di “adattare” le competenze dei propri organi alle aspettative della legge italiana». Di conseguenza, ove il consolato risultasse incompetente, si dimostrerebbe «privo di possibile spiegazione razionale che taluno debba avanzare istanza ad [un] ufficio incompetente». Da ciò discenderebbe un ingiustificato vantaggio per lo straniero, che avrebbe accesso a una dichiarazione sostitutiva di certificazione, non suscettibile di accertamento effettivo.
A tal proposito, il rimettente richiama un passaggio della sentenza di questa Corte n. 219 del 1995, relativa alla precedente normativa sul patrocinio a spese dello Stato. Nella citata pronuncia si sottolineava che l’autorità consolare, nel rendere l’attestazione, non dovesse limitarsi a raffrontare la dichiarazione sostitutiva di certificazione con i dati di cui eventualmente disponesse, ma avesse l’onere di verificare nel merito il suo contenuto, indicando gli accertamenti eseguiti. Il giudice a quo, pertanto, ritiene che, nel caso in cui il consolato non sia competente a rilasciare l’autorizzazione, di fatto, lo straniero potrebbe accedere alla dichiarazione sostitutiva di certificazione, senza che il consolato sia in grado di operare alcuna verifica, il che lascerebbe insoddisfatta l’esigenza – sostenuta da questa Corte nella citata sentenza – di «un controllo quanto più possibile effettivo».
Simile risultato andrebbe a detrimento del «denaro pubblico, che non [sarebbe] razionale [distogliere] da altri utili o necessari scopi solo in quanto lo Stato estero ha individuato altro ente competente».
Il rimettente precisa, infine, che l’attuale formulazione non sarebbe razionalmente giustificata neppure dalla necessità di indicare allo straniero un riferimento certo e presente sul territorio nazionale. Non vi sarebbe, infatti, motivo per «ritenere a priori che il rilascio di certificazione reddituale o fondiaria da parte del paese di appartenenza» comporti «particolari difficoltà», fermo restando che, ove vi fossero, «ben potrebbe sovvenire la previsione di cui all’art. 94 c. 2 DPR 115/2002 per come già latamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità».
3.2.– Venendo poi alla censura concernente la disparità di trattamento, il giudice a quo ritiene che non sia giustificabile che cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, i quali abilitino il consolato a rilasciare una certificazione terza e imparziale, siano sottoposti ad adeguate indagini, mentre soggetti appartenenti ad altri Stati, i quali non prevedano una tale competenza, possano avvalersi della mera dichiarazione sostitutiva di certificazione, sottratta a ogni controllo.
4.– In punto di rilevanza, il rimettente riporta che l’istante ha dichiarato un reddito inferiore ai limiti di legge e che, pertanto, ove si ritenesse legittimamente prodotta la dichiarazione sostitutiva di certificazione, la richiesta avanzata andrebbe accolta, pur in presenza delle ritenute criticità.
5.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha insistito per l’inammissibilità e comunque per la non fondatezza delle questioni.
5.1.– Quanto al rito, ha eccepito il difetto di rilevanza, non avendo il rimettente «percorso la strada di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa che regola la materia, anche alla luce dei principi di recente affermati […] nella sentenza additiva 20.7.2021, n. 157».
Inoltre, secondo la difesa statale, la ricostruzione del quadro normativo fornita dall’ordinanza di rimessione sarebbe manchevole, non avendo il giudice valutato la previsione del successivo comma 3 dell’art. 79, ai sensi del quale «[g]li interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato».
Tale norma, a parere dell’Avvocatura dello Stato, avrebbe consentito di richiedere il deposito delle attestazioni delle autorità competenti, al fine di verificare la veridicità delle informazioni inserite nella dichiarazione sostitutiva di certificazione.
5.2.– Nel merito, la difesa dello Stato ribadisce la pacifica riconducibilità dell’istituto alla disciplina processuale, nella quale il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.
Secondo l’Avvocatura, tale limite non sarebbe stato superato, tanto più che, da un lato, nel processo penale, l’accesso al patrocinio a spese dello Stato gode di regole meno rigide, in considerazione del carattere preminente della libertà personale, implicata in tale procedimento, e, da un altro lato, la sentenza di questa Corte n. 157 del 2021 ha reso la disciplina generale conforme al principio di autoresponsabilità, ammettendo la dichiarazione sostitutiva di certificazione in tutti i casi in cui non sia possibile ottenere l’attestazione da parte dell’autorità consolare.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza del 30 novembre 2022, il GIP del Tribunale di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui prevede che, per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato del cittadino di un paese non appartenente all’Unione europea, la certificazione di cui alla medesima disposizione vada «indistintamente richiesta alla autorità consolare, e non alla autorità competente al rilascio […] secondo il diritto interno del paese di appartenenza dell’istante».
2.– A parere del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo.
2.1.– In primo luogo, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 risulterebbe irragionevole, poiché sarebbe «privo di possibile spiegazione razionale che taluno debba avanzare istanza ad [un] ufficio incompetente», il quale, oltre a non poter rilasciare la certificazione, neppure potrebbe effettuare un controllo su quanto dedotto nella dichiarazione sostitutiva di certificazione. Sarebbe, dunque, irragionevolmente consentito a taluni stranieri accedere al patrocinio a spese dello Stato, senza che sia possibile verificare la sussistenza del presupposto concernente la condizione reddituale.
2.2.– In secondo luogo, la norma censurata determinerebbe una disparità di trattamento tra cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, il cui consolato sia competente a rilasciare la certificazione, e cittadini di altri Stati sempre non appartenenti all’Unione europea, nei quali il consolato non sia autorizzato a svolgere simile funzione. Questi ultimi, infatti, potrebbero sempre avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione e non sarebbero soggetti a un effettivo controllo in merito al requisito della non abbienza.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio e ha sollevato due eccezioni di rito.
3.1.– Anzitutto, ha prospettato l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, poiché il rimettente non avrebbe percorso «la strada di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa che regola la materia, anche alla luce dei principi di recente affermati […] nella sentenza additiva 20.7.2021, n. 157».
3.1.1.– L’eccezione non è fondata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rimettente non deve motivare la non praticabilità di un’interpretazione conforme a Costituzione, ove la formulazione letterale della disposizione censurata sia inequivocabile (tra le altre, sentenze n. 231 del 2020, n. 221 e n. 174 del 2019 e n. 36 del 2016).
Pertanto, poiché il tenore letterale dell’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce, in maniera chiara e univoca, che tutti i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea corredano l’istanza «con una certificazione dell’autorità consolare competente che attesta la veridicità di quanto in essa indicato», l’eccezione va rigettata.
3.2.– Sempre in rito, la difesa statale ha, poi, eccepito l’inammissibilità delle questioni per inadeguata ricostruzione del quadro normativo.
A detta dell’Avvocatura dello Stato, l’ordinanza avrebbe omesso di considerare l’art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, ai sensi del quale «[g]li interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato».
Tale norma, secondo la difesa statale, avrebbe consentito di richiedere il deposito delle attestazioni fornite dalle amministrazioni nazionali competenti, al fine di verificare la veridicità delle informazioni inserite nella dichiarazione sostitutiva di certificazione.
3.2.1.– L’eccezione non è fondata.
La giurisprudenza di questa Corte esclude l’inammissibilità delle questioni sollevate, qualora le censure, oltre a individuare le norme impugnate e i parametri costituzionali di cui si denuncia la violazione, risultino sufficientemente chiare e motivate con argomentazioni adeguatamente articolate (da ultimo, sentenze n. 125 e n. 112 del 2023, n. 168 e n. 23 del 2022, n. 174 del 2020, n. 290 e n. 198 del 2019, n. 245 del 2018). In particolare, l’eventuale carente ricostruzione del quadro normativo non comporta l’inammissibilità, là dove non inficia la chiarezza dell’«iter logico argomentativo» (sentenze n. 42 del 2023, n. 114 e n. 61 del 2021, n. 18 del 2015; ordinanze n. 229 del 2020, n. 59 del 2019 e n. 33 del 2016).
Nel caso in esame, le censure del rimettente sono sufficientemente chiare nella loro prospettazione e, dunque, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, l’eccezione di inammissibilità va rigettata.
4.– Passando ora all’esame del merito, è opportuno, in via preliminare, richiamare il quadro normativo.
4.1.– La disposizione censurata si colloca nella Parte III del d.P.R. n. 115 del 2002, dedicata al «Patrocinio a spese dello Stato».
La funzione dell’istituto è rimuovere, in armonia con l’art. 3, secondo comma, Cost., «le difficoltà di ordine economico che possono opporsi […] al concreto esercizio del diritto [di difesa]» (sentenza n. 46 del 1957, di seguito citata dalla sentenza n. 149 del 1983; in senso analogo, sentenze n. 10 del 2022, n. 157 del 2021, n. 35 del 2019, n. 175 del 1996 e n. 127 del 1979), assicurando l’effettività del diritto ad agire e a difendersi in giudizio, che l’art. 24, secondo comma, Cost. espressamente qualifica come diritto inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del 2017, n. 101 del 2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002).
La natura inviolabile del diritto non lo sottrae, nondimeno, al bilanciamento che, «per effetto della scarsità delle risorse, si rende necessario rispetto alla molteplicità dei diritti che ambiscono alla medesima tutela» (sentenza n. 157 del 2021; così anche sentenze n. 47 del 2020, n. 16 del 2018 e n. 178 del 2017), fermo restando che, ove risulti implicato il «“nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale” (sentenza n. 157 del 2021)» (sentenza n. 10 del 2022), non si può impedire, a chi versa in una condizione di non abbienza, l’effettività dell’accesso alla giustizia.
Fuori di questa ultima ipotesi, i termini del bilanciamento sono rimessi al legislatore che, nella materia processuale, gode di ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti (da ultimo, sentenze n. 223 del 2022, n. 157 e n. 1 del 2021).
Limita tale discrezionalità soltanto la manifesta irragionevolezza delle scelte adottate (ex plurimis, sentenze n. 203, n. 143 e n. 13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del 2021 e n. 80 del 2020).
4.2.– Nel regolare l’accesso al patrocinio a spese dello Stato, l’art. 74 e seguenti del d.P.R. n. 115 del 2002 prendono in considerazione il tipo di giudizio per cui si procede, la condizione giuridica dell’interessato – cittadino italiano o straniero – e la situazione economica in cui versa.
4.2.1.– Nel processo penale, il beneficio può operare a vantaggio sia del cittadino italiano «indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria» (art. 74, comma 1, del citato testo unico), sia dello straniero, anche irregolarmente soggiornante (sentenza n. 198 del 2000), nonché dell’apolide residente nello Stato (art. 90 del medesimo testo unico).
Nei processi «civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione», l’istituto può andare a beneficio del cittadino italiano o dello straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale (art. 119 del d.P.R. su menzionato), se le ragioni di chi lo invoca «risultino non manifestamente infondate» (art. 74, comma 2, dello stesso d.P.R.).
4.2.2.– In tutte le citate ipotesi, requisito essenziale per l’ammissione all’istituto è che l’interessato versi nella situazione reddituale stabilita dall’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002 (soggetta a un adeguamento biennale, ex art. 77 del medesimo d.P.R.).
Per comprovare tale presupposto, i cittadini italiani e di Stati appartenenti all’Unione europea devono produrre, «a pena di inammissibilità», una «dichiarazione sostitutiva di certificazione […] ai sensi dell’articolo 46, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445», che attesti «la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76» (art. 79, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 115 del 2002). La citata disciplina trova applicazione sia per i redditi prodotti in Italia sia per quelli prodotti all’estero.
Nel caso, invece, dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 – la disposizione censurata – prevede che, per «i redditi prodotti all’estero», l’istanza è corredata «con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato».
La presentazione di detta certificazione non è prescritta sotto pena di automatica inammissibilità (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 4 giugno-28 luglio 2022, n. 29978). L’interessato, infatti, può dimostrare l’impossibilità di produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’articolo 79, comma 2, nel qual caso ha l’onere di sostituirla «a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione». È quanto dispone testualmente l’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 per il processo penale, ed è quanto questa Corte ha previsto anche per gli altri procedimenti giurisdizionali, intervenendo in via additiva proprio con riferimento all’art. 79, comma 2, del citato d.P.R. (sentenza n. 157 del 2021).
5.– Tanto premesso, con la prima questione, il giudice rimettente sostiene che l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui stabilisce che la «certificazione vada indistintamente richiesta alla autorità consolare, e non alla autorità competente al rilascio […] secondo il diritto interno del paese di appartenenza dell’istante», sia intrinsecamente irragionevole.
Il giudice a quo ritiene, infatti, che il legislatore italiano non possa «imporre allo Stato estero di “adattare” le competenze dei propri organi alle aspettative della legge italiana» e che, pertanto, ove il consolato risulti incompetente, sia «privo di possibile spiegazione razionale che taluno debba avanzare istanza ad [un] ufficio incompetente». Ciò comporterebbe, di riflesso, un ingiustificato vantaggio per lo straniero, che avrebbe accesso a una dichiarazione sostitutiva di certificazione non suscettibile di accertamento effettivo, a scapito di una corretta allocazione delle risorse statali.
6.– La questione non è fondata.
6.1.– La norma censurata non assegna al consolato – come sostiene il rimettente – il compito di certificare la consistenza patrimoniale del cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea e, dunque, non pone un problema di possibile incompetenza di tale autorità sulla base della disciplina del relativo ordinamento.
Viceversa, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 si fonda sul principio di leale collaborazione tra autorità appartenenti a diversi Stati e, su tale presupposto, prevede che il consolato rilasci una certificazione che asseveri «la veridicità di quanto […] indicato» nell’istanza; il che implica un’attività di verifica e controllo da parte dell’autorità consolare, eventualmente svolta con il coinvolgimento delle amministrazioni competenti.
Giova, a tal riguardo, rammentare che la disposizione è stata prevista dal d.P.R. n. 115 del 2002, il quale, introducendo l’art. 79, comma 2, ha recepito il contenuto del precedente art. 5, comma 3, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), come emendato dalla sentenza n. 219 del 1995.
In particolare, questa Corte, nel rimuovere l’inciso «per quanto a conoscenza della […] autorità» consolare, ha precisato – nella citata pronuncia – che, se il consolato «vuole rendere una attestazione utile in favore dell’interessato, non può più limitarsi a raffrontare l’autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l’obbligo, ma) l’onere (implicito nella riferibilità ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell’autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti».
6.2.– Così individuata la portata normativa della disposizione, non si palesa affatto la manifesta irragionevolezza, da cui discenderebbe il rischio di una non corretta allocazione delle risorse statali, ravvisata dal giudice rimettente.
Al contrario, è proprio per rafforzare l’interesse a un accertamento del requisito reddituale che la norma censurata non si limita a richiedere ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea dichiarazioni sostitutive di certificazione dei redditi prodotti all’estero, diversamente da quanto dispone il comma 1 dell’art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002 per i cittadini italiani e per quelli di paesi appartenenti all’Unione europea.
È, infatti, a tutela della effettività del controllo che il legislatore, facendo perno sul principio di leale collaborazione fra autorità appartenenti a diversi Stati, affida il compito di asseverare la veridicità di quanto dichiarato dall’istante a un ufficio, qual è quello consolare, per il quale è ben possibile svolgere congrui accertamenti, non solo sulla base dei dati di cui dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni dello Stato di appartenenza.
La soluzione legislativa, dunque, potenzia la tutela dell’interesse a una verifica concreta delle condizioni reddituali dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea e, al contempo, consente a tali soggetti di rivolgersi ad amministrazioni che si trovano nel territorio italiano.
In tal modo, l’interessato non deve corredare l’istanza con plurime certificazioni, eventualmente di contenuto solo negativo, rilasciate da differenti amministrazioni dello Stato competente, e previo assolvimento degli oneri prescritti a garanzia della loro autenticità.
6.3.– Per le motivazioni esposte, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 non è manifestamente irragionevole e non determina una irragionevole compressione dell’interesse al «contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018)» (sentenze n. 47 del 2020 e n. 157 del 2021), laddove, all’opposto, tende a rafforzare tale interesse nel bilanciamento con il diritto di difesa dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, che chiedono l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.
6.4.– Parimenti, non sussiste alcuna manifesta sproporzione del mezzo rispetto al fine perseguito, in ragione della facoltà spettante al cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea di avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione, ove risulti impossibile – secondo un’accezione relativa del termine (Corte di cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 6 febbraio 2023, n. 3473; Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenze 10 maggio-6 giugno 2023, n. 24210 e 14 giugno-28 luglio 2022, n. 29978) – produrre la certificazione consolare.
6.4.1.– Va, anzitutto, sottolineato che la legittimazione a produrre la dichiarazione sostitutiva di certificazione non può discendere – come ritiene il rimettente – da una presunta incompetenza del consolato, il quale, viceversa, è sempre competente a ottemperare a un onere di collaborazione di carattere internazionale.
L’impossibilità che permette di avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione può, invece, derivare dalla mancata collaborazione dell’autorità consolare.
A tal riguardo, questa Corte, intervenendo proprio sull’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, ha, di recente, ribadito che è irragionevole far gravare sull’interessato conseguenze negative derivanti dal «fatto del terzo (ossia l’autorità consolare), la cui eventuale inerzia o inadeguata collaborazione rendano impossibile produrre tempestivamente la corretta certificazione richiesta» (ancora sentenza n. 157 del 2021). Dall’inerzia altrui non dovrebbero, infatti, discendere effetti discriminatori (sentenza n. 9 del 2021), tanto più se ne consegue un indebolimento di strumenti – qual è l’istituto del patrocinio a spese dello Stato – che, in nome del principio di eguaglianza sostanziale, preservano l’effettività del diritto di difesa (sentenza n. 10 del 2022).
Per tale ragione, se è impossibilitato a produrre la certificazione consolare, l’interessato deve potersi avvalere di una dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 e sentenza n. 157 del 2021).
Ma tale facoltà non si traduce – come assume il giudice a quo – in una mancanza di controlli sulla effettiva spettanza del beneficio. Soccorrono, infatti, varie disposizioni del d.P.R. n. 115 del 2002, che approntano un complesso di rimedi vòlti a prevenire il rischio di una impropria allocazione delle risorse pubbliche.
Anzitutto, va richiamato l’art. 79, comma 3, del citato testo unico, ai sensi del quale, «se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono», gli interessati «sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato».
Di conseguenza, a fronte di una autorità consolare che non abbia ottemperato al suo onere di collaborazione, il giudice o il consiglio dell’ordine degli avvocati ben possono richiedere all’interessato di produrre la documentazione che attesti la veridicità di quanto indicato nell’istanza; e, dunque, possono in tal caso esigere la produzione dei certificati rilasciati dalle amministrazioni nazionali competenti ad attestare la sussistenza o insussistenza di redditi.
Inoltre, se, in conseguenza dell’eventuale impossibilità a presentare anche la documentazione richiesta dall’art. 79, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, l’interessato produce, ai sensi dell’art. 94, comma 1, del citato d.P.R. (norma dettata per il processo penale), una dichiarazione sostitutiva di certificazione, l’interesse generale a una corretta allocazione delle risorse dello Stato è, comunque, ulteriormente garantito dal successivo art. 96, comma 2.
Tale disposizione, infatti, prevede – sempre per il procedimento penale – che il «magistrato respinge l’istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte».
Infine, è doveroso evidenziare che – con riguardo a procedimenti giurisdizionali diversi da quello penale – opera, quale norma di chiusura della disciplina, l’art. 127, comma 4, del d.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui la «effettività e la permanenza delle condizioni previste per l’ammissione al patrocinio è in ogni tempo, anche successivo all’ammissione, verificata su richiesta dell’autorità giudiziaria, ovvero su iniziativa dell’ufficio finanziario o della Guardia di finanza».
6.4.2.– In sostanza, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 si coordina con un complesso di previsioni normative che se, da un lato, proteggono l’istante, evitando che gravi su di lui il rischio di condotte imputabili a terzi, da un altro lato, lasciano sempre aperta la possibilità di accertare in concreto – anche in via presuntiva – la mancanza del presupposto legato alle condizioni reddituali.
6.5.– Conclusivamente, la norma censurata non è manifestamente irragionevole e non comporta una ingiustificata sproporzione del mezzo rispetto al fine di assicurare «ai non abbienti […] i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, terzo comma, Cost.).
7.– Quanto alla seconda questione di legittimità costituzionale sollevata dal GIP del Tribunale di Macerata, essa attiene a una presunta irragionevole disparità di trattamento tra diversi stranieri, a seconda che le autorità consolari dei rispettivi Stati non appartenenti all’Unione europea abbiano o meno/non abbiano competenza a «rilasciare certificazione terza e imparziale» circa i redditi posseduti in quei paesi.
8.– La questione non è fondata.
8.1.– La norma censurata non richiede che l’autorità consolare rilasci la certificazione sui redditi prodotti all’estero dal cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea.
Viceversa, l’art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 riferisce a tutti i consolati degli Stati non appartenenti all’Unione europea un onere di collaborazione, consistente nell’asseveramento della veridicità di quanto indicato dall’istante, sicché le autorità consolari sono sempre competenti – come già sopra evidenziato (punti 6.1. e 6.4.1.) – a ottemperare a un tale onere radicato nel principio di leale collaborazione internazionale.
Il precetto, dunque, riguarda in maniera paritaria i cittadini di tutti gli Stati non appartenenti all’Unione europea, prescindendo dal problema di quali siano le amministrazioni nazionali competenti a rilasciare le certificazioni sui redditi, amministrazioni alle quali l’ufficio consolare può semplicemente rivolgersi nell’ottemperare al suo onere di collaborazione.
Quanto alla circostanza per cui – nella vicenda relativa al giudizio a quo – il Consolato marocchino si è dichiarato incompetente ad asseverare quanto previsto dalla norma censurata, essa deriva o – come sembrerebbe – da un errore in cui è incorsa tale autorità in merito al tipo di certificazione che le veniva richiesto o dalla scelta di non collaborare.
Si tratta, pertanto, di un mero inconveniente di fatto, come tale inidoneo di per sé a incidere sulla lamentata lesione del parametro costituzionale evocato (sentenze n. 117 del 2012 e n. 362 del 2008; ordinanza n. 158 del 2014), poiché non direttamente riferibile alla previsione normativa, ma ricollegabile, invece, «a circostanze contingenti attinenti alla sua concreta applicazione (ordinanza n. 270 del 2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità» (sentenze n. 114 del 2017 e n. 295 del 1995).
8.2.– Per le ragioni esposte, anche la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento non è fondata.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2023.
F.to:
Augusto Antonio BARBERA, Presidente
Emanuela NAVARRETTA, Redattrice
Igor DI BERNARDINI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2023