Sentenza n. 213 del 2021

SENTENZA N. 213

ANNO 2021

 

Commenti alla decisione di

1. Giacinto Parisi,  La sospensione dei processi esecutivi nel periodo di emergenza sanitaria: un difficile (e non sempre riuscito) bilanciamento dei doveri di solidarietà sociale con la tutela del diritto di agire in executivis, per g.c. dell'Osservatorio di Nomos

2. Francesco Valerio Della Croce, Proporzionalità e ragionevolezza nella proroga del “blocco degli sfratti”. Brevi note alla sentenza n. 213 del 2021 della Corte costituzionale, per g.c. dell'Osservatorio AIC

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27; dell’art. 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77; dell’art. 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21; e dell’art. 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella , promossi dal Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 24 aprile 2021 e Tribunale ordinario di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 3 giugno 2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 107 e 125 del registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 28 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visti l’atto di costituzione di D. K., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 19 ottobre 2021 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato Vittorio Angiolini per D. K., in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021 e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 19 ottobre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 24 aprile 2021, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, con cui è stata disposta la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili sino alla data del 1° settembre 2020; dell’art. 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, con cui è stata disposta la proroga della suddetta sospensione sino alla data del 31 dicembre 2020; nonché dell’art. 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, che ha ulteriormente prorogato la sospensione sino alla data del 30 giugno 2021, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, 77 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto e di rilevanza, che in una procedura esecutiva per rilascio, fondata su un’ordinanza di convalida di sfratto per morosità pronunciata in data 25 gennaio 2021, a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di procedere all’esecuzione mediante notifica del preavviso di rilascio, stante la proroga della sospensione dei relativi provvedimenti ex art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come successivamente convertito e prorogato, sino al 30 giugno 2021, era stato proposto ricorso ai sensi dell’art. 610 del codice di procedura civile dalla parte esecutante.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo, premesso che nella fattispecie concreta risultava ex actis la convalida dello sfratto per una morosità risalente al mese di luglio dell’anno 2019 e quindi anteriore all’inizio dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, dubita in primo luogo della compatibilità dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con l’art. 77 Cost., per carenza dei presupposti di necessità ed urgenza, venendo in rilievo situazioni di morosità non correlate sul piano causale alla pandemia.

Il Tribunale di Trieste assume, inoltre, un possibile contrasto delle disposizioni impugnate con l’art. 3 Cost. per intrinseca contraddittorietà, in quanto la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per morosità è disposta in via generale ex lege, senza che il giudice dell’esecuzione possa valutare né la correlazione causale della morosità con gli effetti socio-economici dell’emergenza pandemica, né l’incidenza di tali effetti sulla rispettiva situazione delle parti.

Peraltro, le norme censurate potrebbero essere costituzionalmente illegittime anche in riferimento all’art. 42 Cost., laddove le stesse, anche per effetto delle proroghe, finirebbero per costituire una sorta di espropriazione in senso sostanziale senza indennizzo, ponendosi così in contrasto anche con la tutela del risparmio nel settore immobiliare riconosciuta dall’art. 47, secondo comma, Cost.

Il giudice rimettente dubita, inoltre, della compatibilità delle norme censurate con l’art. 24, primo comma, Cost., poiché il diritto del creditore a soddisfarsi in sede esecutiva è parte essenziale della tutela giurisdizionale dei diritti.

Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Trieste censura altresì le stesse disposizioni per un possibile contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. In particolare, le previsioni indubbiate, per un verso, inciderebbero negativamente sulla ragionevole durata del processo, garanzia estesa da tempo dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo anche alle procedure esecutive e, per un altro, violerebbero il diritto di proprietà del locatore.

1.1.‒ Con atto depositato in data 3 agosto 2021 si è costituita in giudizio l’esecutante D. K., chiedendo l’accoglimento delle prospettate questioni di legittimità costituzionale.

1.2.‒ Con atto depositato in data 2 agosto 2021 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza rispetto a tutti i parametri evocati.

Con riferimento all’art. 77 Cost., l’Avvocatura ha osservato che l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, nel prorogare, pur con alcune modifiche rispetto all’ambito applicativo, la misura di sospensione dei provvedimenti di rilascio varata dal d.l. n. 18 del 2020, come convertito, si inserisce coerentemente nell’oggetto del relativo decreto cosiddetto “milleproproghe” volto, per l’appunto, a procrastinare la vigenza di alcune disposizioni normative, molte delle quali correlate, come l’art. 103, comma 6, del predetto d.l. n. 18 del 2020, all’emergenza epidemiologica da Covid-19.

Secondo la prospettazione della difesa statale, inoltre, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 3 Cost., il giudice rimettente muove da un’erronea individuazione della ratio legis della disposizione censurata, la quale deve individuarsi nella tutela del diritto all’abitazione del conduttore, in una situazione di particolare gravità, come quella originata dall’emergenza pandemica, nella quale il legislatore ha operato un ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti, ritenendo prevalente, alla tutela del creditore, la necessità di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico. Rileva l’Avvocatura che la ragionevolezza del bilanciamento compiuto dal legislatore è corroborata dalla circostanza che, nelle due proroghe dell’efficacia temporale dell’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, l’ambito operativo della sospensione dei provvedimenti di rilascio è stato via via ridotto in coerenza con l’evolversi positivo della pandemia, secondo i principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 128 del 2021.

La difesa dello Stato assume altresì la non fondatezza delle censure correlate agli artt. 42 e 47 Cost., stante la natura temporanea della misura, correlata ad un evento imprevedibile, ossia la pandemia da COVID-19.

Il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia, inoltre, la non fondatezza della dedotta violazione dell’art. 24 Cost., in quanto l’azione esecutiva non sarebbe impedita ma solo ritardata con misure temporanee dovute ad una situazione eccezionale, che cesseranno gradatamente e in via definitiva alla data del 31 dicembre 2021, secondo quanto stabilito dall’art. 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69.

Per analoghe ragioni non potrebbero ritenersi fondati neppure i dubbi di legittimità costituzionale che investono l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, atteso che una ripresa indistinta delle procedure esecutive di rilascio dopo la data del 30 giugno 2021, oltre a problemi di ordine pubblico e sociale, avrebbe determinato una grave sofferenza della macchina organizzativa preposta all’attuazione dei provvedimenti da eseguire.

1.3.‒ Con decreto presidenziale del 15 settembre 2021, è stata ammessa l’opinione scritta depositata nel procedimento, in qualità di amicus curiae, dal sindacato Unione inquilini, nella quale si è evidenziato, a sostegno della non fondatezza delle questioni sollevate dal giudice rimettente, che: a) rispetto all’art. 77 Cost., le norme censurate sono coerenti con l’esigenza, connotata da necessità e urgenza, di evitare contatti tra persone non conviventi durante la pandemia; b) con riferimento all’art. 3 Cost., le disposizioni sono connotate da intrinseca ragionevolezza e fondate sull’esigenza di tutelare il diritto alla salute ex art. 32 Cost., poiché, oltre ai contatti tra i soggetti che operano nelle procedure esecutive per rilascio (ad esempio, l’ufficiale giudiziario, il medico, la forza pubblica, eccetera), si sono voluti evitare quelli, potenzialmente letali, che si sarebbero determinati ove a seguito del rilascio i detentori dell’immobile non avessero trovato, anche a causa della crisi economica, un’adeguata abitazione alternativa; c) in riferimento all’art. 42 Cost., le previsioni indubbiate sono meramente temporanee e non impediscono al locatore di agire nei confronti del conduttore per i canoni insoluti, compresi gli importi dovuti sino al rilascio effettivo; d) con riguardo alle censure inerenti l’art. 117, primo comma, Cost., le norme censurate sono coerenti con la richiesta, seguita da diversi Stati europei, da parte della Comunicazione della Commissione europea del 20 maggio 2020, nel quadro delle Raccomandazioni specifiche per paese nel semestre europeo.

1.4.‒ Con il medesimo decreto presidenziale, è stata inoltre ammessa l’opinione scritta, anch’essa depositata in qualità di amicus curiae, di Confedilizia-Confederazione italiana della proprietà edilizia, nella quale, per converso, sono state supportate le argomentazioni del giudice rimettente circa il possibile contrasto delle disposizioni censurate con plurimi parametri costituzionali, ponendo in evidenza l’assenza di qualsivoglia bilanciamento in favore dei locatori per misure non strettamente correlate all’emergenza pandemica e riguardanti indistintamente fattispecie molto diverse tra loro.

1.5.‒ In data 28 settembre 2021, D. K. ha depositato memoria volta ad illustrare ulteriormente le ragioni sottese all’ordinanza di rimessione, sottolineando, in particolare, l’omessa considerazione delle condizioni del locatore, nel bilanciamento operato dal legislatore, da ritenersi pertanto irragionevole anche rispetto agli effetti della pandemia.

2.‒ Con ordinanza depositata il 3 giugno 2021, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito; 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, e 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 41, 42, 111, 117 Cost., 6 CEDU, 1 Prot. addiz. CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

Il giudice rimettente premette, in punto di fatto e di rilevanza, che era proposto dinanzi a sé reclamo a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di dare corso all’esecuzione, con la notifica del preavviso di cui all’art. 608 cod. proc. civ., di un’ordinanza di convalida di sfratto motivato dalla sospensione dei provvedimenti di rilascio operata dall’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito e successivamente prorogato.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita, in primo luogo, della compatibilità delle norme censurate con l’art. 3, primo e secondo comma, Cost., in quanto le stesse dispongono una sospensione generalizzata dei provvedimenti di sfratto per morosità nel pagamento dei canoni, senza che assuma rilievo la correlazione con la pandemia da COVID-19 della morosità del conduttore e non consentendo all’autorità giudiziaria una comparazione delle rispettive condizioni economiche delle parti. Sotto quest’ultimo profilo, la mancata considerazione della possibile debolezza sul piano economico del locatore – attestata nella fattispecie concreta dall’ammissione dell’esecutante al beneficio del patrocinio a spese dello Stato – ridonderebbe in una violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost. Proprio la valenza generale della misura renderebbe la stessa, secondo la prospettazione del giudice rimettente, irragionevole e non riconducibile a quelle ipotesi in cui la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto legittime disposizioni che sospendevano temporaneamente il rilascio perché riguardanti categorie di conduttori in condizioni disagiate (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003).

Il Tribunale di Savona dubita, inoltre, della compatibilità delle disposizioni censurate con gli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., nonché con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU, perché le stesse procrastinano, senza prevedere alcuna misura di compensazione in favore del locatore, una situazione nella quale è privato della disponibilità del proprio immobile senza poter neppure recuperare i canoni dovuti ex post, attese le relative difficoltà secondo la comune esperienza.

Il giudice a quo assume altresì un possibile contrasto delle norme indubbiate anche con gli artt. 24 e 111, 11 e 117, primo comma, Cost., nonché con gli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE, poiché le medesime, impedendo all’esecutante di ottenere il rilascio dell’immobile, finiscono per violarne il diritto di accesso al giudice che contempla anche la fase esecutiva, nella quale il diritto accertato nel giudizio di cognizione trova concreta soddisfazione.

2.1.‒ Con atto depositato in data 7 settembre 2021, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto delle questioni.

In particolare, la difesa statale ha rilevato che le previsioni censurate hanno la finalità di contenere il disagio socio-abitativo in una situazione di particolare gravità, come quella originata dall’emergenza pandemica, a fronte della quale, nel relativo bilanciamento, rispetto alla tutela del locatore il legislatore ha ritenuto prevalente la necessità di mantenere l’ordine pubblico in un periodo di eccezionale gravità della sofferenza economico-sociale derivante dalla pandemia. Peraltro, con l’evolversi della stessa, la sospensione è stata progressivamente ridotta nel suo ambito applicativo ed è destinata a cessare del tutto il 31 dicembre 2021. Le norme censurate, sottolinea quindi l’Avvocatura generale, sono coerenti con la giurisprudenza costituzionale che ha più volte ritenuto costituzionalmente legittime, purché supportate da ragioni eccezionali e di durata temporanea, misure di sospensione dell’esecuzione di provvedimenti di rilascio.

La difesa dello Stato rileva che sono state dettate numerose previsioni normative di carattere generale volte a supportare i soggetti colpiti dalla crisi economica determinata dall’emergenza pandemica.

Con riguardo alla dedotta violazione degli artt. 41, 42 e 117, primo comma, Cost., nonché dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, l’Avvocatura generale osserva che, in conformità alla stessa giurisprudenza europea, è lasciata alla discrezionalità degli Stati contraenti la possibilità di sospendere temporaneamente le procedure esecutive di rilascio degli immobili e che in ogni caso ciò non integra una violazione del diritto di proprietà.

Quanto all’assunta incompatibilità con il diritto di effettività alla tutela giurisdizionale in sede esecutiva, la difesa dello Stato sottolinea che le norme censurate hanno determinato solo una sospensione temporanea, dovuta a ragioni eccezionali, dell’esecutività dei provvedimenti di sfratto, peraltro volta progressivamente a cessare entro la data del 31 dicembre 2021.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza depositata il 24 aprile 2021, iscritta al n. 107 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, – adito con ricorso, ai sensi dell’art. 610 del codice di procedura civile, dall’esecutante a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di notificare il preavviso di rilascio in una procedura fondata su un’ordinanza di convalida di sfratto per morosità adottata in data 25 gennaio 2021 – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, per cui «[l]’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020»; b) dell’art. 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, che proroga la suddetta sospensione sino alla data del 31 dicembre 2020; c) dell’art. 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, che ha ulteriormente prorogato tale sospensione sino alla data del 30 giugno 2021.

Il giudice rimettente dubita, in primo luogo, della compatibilità dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con l’art. 77 della Costituzione per carenza dei presupposti di necessità ed urgenza, venendo in rilievo situazioni di morosità non correlate sul piano causale alla pandemia da COVID-19.

Assume, inoltre, un contrasto delle disposizioni censurate con l’art. 3 Cost. per intrinseca contraddittorietà poiché la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per morosità è disposta in generale, senza alcuna possibile valutazione né della correlazione causale dell’inadempimento con l’emergenza pandemica, né degli effetti socio-economici di tale emergenza.

Secondo il giudice a quo le disposizioni indicate si porrebbero, inoltre, in conflitto con l’art. 42 Cost., laddove le stesse, anche per effetto delle proroghe, finirebbero per costituire una sorta di espropriazione in senso sostanziale senza indennizzo, in contrasto anche con la tutela del risparmio nel settore immobiliare riconosciuta dall’art. 47, secondo comma, Cost.

Il giudice rimettente dubita altresì della compatibilità delle norme censurate con l’art. 24, primo comma, Cost., poiché il diritto del creditore di soddisfarsi in sede esecutiva è parte essenziale della tutela giurisdizionale dei diritti.

Il giudice a quo censura, infine, le stesse disposizioni per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952. In particolare le previsioni oggetto del presente giudizio, specie a seguito delle proroghe via via disposte, per un verso, inciderebbero negativamente sulla ragionevole durata del processo, garanzia estesa da tempo dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo anche alle procedure esecutive e, per un altro, violerebbero il diritto di proprietà del locatore.

2.– Con ordinanza depositata il 3 giugno 2021, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, – adito con reclamo a fronte del rifiuto dell’ufficiale giudiziario di dare corso all’esecuzione, con la notifica del preavviso di cui all’art. 608 cod. proc. civ., di un’ordinanza di convalida di sfratto, rifiuto motivato dalla sospensione ex lege dei provvedimenti di rilascio – ha sollevato questioni di legittimità costituzionale: a) dell’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito; b) dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito; c) dell’art. 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69.

Il giudice a quo dubita, in primo luogo, della compatibilità delle norme censurate con l’art. 3 Cost., in quanto le stesse dispongono un differimento generalizzato dell’esecuzione dei provvedimenti di sfratto per morosità, senza che assuma rilievo la correlazione dell’inadempimento del conduttore con la pandemia e senza consentire all’autorità giudiziaria una comparazione delle rispettive condizioni economiche delle parti. Sotto quest’ultimo profilo, la mancata considerazione della possibile debolezza sul piano economico del locatore – attestata nella fattispecie concreta dall’ammissione dell’esecutante al beneficio del patrocinio a spese dello Stato – ridonderebbe in una violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost.

Inoltre il Tribunale di Savona dubita della compatibilità delle disposizioni censurate con gli artt. 41, 42 e 117 Cost., nonché con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU, perché le stesse procrastinano, senza alcuna misura efficace in favore del locatore, una situazione nella quale quest’ultimo è privato della disponibilità del proprio immobile senza poter neppure recuperare ex post i canoni dovuti, attese le relative difficoltà secondo la comune esperienza.

Il giudice a quo assume, inoltre, un possibile contrasto delle norme censurate con gli artt. 11, 24, 111 e 117 Cost., nonché con l’art. 6 CEDU e con l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, poiché le medesime, impedendo all’esecutante di ottenere il rilascio dell’immobile, finiscono per violarne il diritto di accesso al giudice che contempla anche la fase esecutiva, nella quale il diritto accertato nel giudizio di cognizione trova concreta soddisfazione.

3.– Le questioni sollevate dalle due ordinanze di rimessione in massima parte si sovrappongono, sia quanto alle disposizioni censurate sia quanto ai parametri evocati, e sono comunque oggettivamente connesse.

Devono quindi essere riuniti i relativi giudizi incidentali – per il secondo dei quali la trattazione in camera di consiglio è stata anticipata al 19 ottobre 2021 – per essere definiti con un’unica decisione.

4.– È opportuno premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento nel quale si collocano le previsioni censurate, emanate nell’ambito di quella legislazione cosiddetta emergenziale posta in essere a seguito del diffondersi della pandemia da COVID-19.

4.1.– Quando si è manifestata la crisi sanitaria per la pandemia da COVID-19 su tutto il territorio del Paese, nella sua crescente diffusività, il legislatore ha disposto un iniziale blocco delle esecuzioni forzate in un più ampio contesto di misure emergenziali che hanno comportato, nell’immediato, la pressoché totale paralisi della giustizia nei suoi vari settori.

In particolare, per quanto interessa in questo giudizio, l’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, ha previsto che «[l]’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 1° settembre 2020».

La gravità della situazione sanitaria nella prima fase ha determinato la sospensione dell’esecuzione di tutti i titoli esecutivi suscettibili di esecuzione per rilascio. Tale temporaneo blocco era riferibile all’esecuzione in forma specifica per rilascio dei beni immobili di cui agli artt. 605 e seguenti cod. proc. civ.

In parallelo, l’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, ha stabilito che, «[a]l fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in tutto il territorio nazionale è sospesa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore».

4.2.– In seguito l’art. 17-bis del d.l. n. 34 del 2020 – introdotto in sede di conversione dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e rubricato «Proroga della sospensione dell’esecuzione degli sfratti di immobili ad uso abitativo e non abitativo» – ha previsto che «[a]l comma 6 dell’articolo 103 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, le parole: “1° settembre 2020” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2020”».

In tal modo è stata estesa, fino a tutto l’anno 2020, la durata della sospensione delle esecuzioni in forma specifica per rilascio dei beni immobili. Inoltre – stante il testuale riferimento, contenuto nella rubrica della disposizione, alla proroga della sospensione dell’esecuzione degli sfratti – è stata indirettamente circoscritta la stessa portata della sospensione, nel senso di includervi esclusivamente i provvedimenti di rilascio pronunciati nell’ambito dei procedimenti di sfratto per morosità e finita locazione quanto alle locazioni ad uso abitativo e ad uso diverso.

Parimenti, con riguardo alla sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore, anche l’efficacia dell’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020 è stata prorogata fino al 31 dicembre 2020, ad opera dell’art. 4 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176.

4.3.– Proprio alla scadenza di tale termine (cioè a fine anno 2020) il Governo, con il d.l. n. 183 del 2020 (cosiddetto “mille proroghe”) – stante la perdurante situazione di emergenza sanitaria – ha, per un verso, differito la data finale della sospensione delle esecuzioni dei provvedimenti di rilascio (al 30 giugno 2021), per l’altro ne ha limitato l’area di applicazione.

Infatti l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, ha previsto che «[l]a sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall’articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, è prorogata sino al 30 giugno 2021 limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586, secondo comma, del codice di procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari».

Quindi sono stati esclusi dalla proroga della sospensione delle esecuzioni, in una progressiva riduzione del suo ambito applicativo, i provvedimenti di rilascio resi per ragioni diverse dalla morosità, salvi solo i provvedimenti di rilascio ex art. 586, secondo comma, cod. proc. civ. aventi ad oggetto l’abitazione del debitore, la cui sospensione dell’esecuzione era connessa a quella prevista, in simmetria, dall’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020.

Parallelamente, infatti, l’efficacia di tale ultima misura è stata ulteriormente prorogata fino al 30 giugno 2021, dall’art. 13, comma 14, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, ma senza modificare – e quindi confermando – l’originaria area di applicazione della sospensione dei procedimenti esecutivi aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore; ciò che questa Corte (sentenza n. 128 del 2021) ha ritenuto costituzionalmente illegittimo talché questa fattispecie di sospensione delle procedure esecutive è cessata al 31 dicembre 2020.

4.4.– Prima ancora che venisse in scadenza il termine finale della proroga prevista dal d.l. n. 183 del 2020, il legislatore, in sede di conversione in legge del d.l. n. 41 del 2021, ha introdotto l’art. 40-quater, che, sotto la rubrica «Disposizioni in materia di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili», ha stabilito che «[l]a sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, prevista dall’articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, limitatamente ai provvedimenti di rilascio adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze e ai provvedimenti di rilascio conseguenti all’adozione, ai sensi dell’articolo 586, secondo comma, del codice di procedura civile, del decreto di trasferimento di immobili pignorati ed abitati dal debitore e dai suoi familiari, è prorogata: a) fino al 30 settembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal 28 febbraio 2020 al 30 settembre 2020; b) fino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal l° ottobre 2020 al 30 giugno 2021».

Il miglioramento della situazione sanitaria ha indotto il legislatore, dunque, con tale previsione a diversificare le situazioni, non senza aver implicitamente confermato la cessazione, al 31 dicembre 2020, della sospensione delle procedure esecutive fondate su ragioni diverse dalla morosità, quali i provvedimenti di rilascio per finita locazione.

Quanto invece a quelle già oggetto della proroga (prevista fino al 30 giugno 2021) di cui al d.l. n. 183 del 2020, occorreva distinguere: a) per i provvedimenti di rilascio adottati prima del 28 febbraio 2020 non si prevedeva alcuna ulteriore proroga e quindi la sospensione era destinata a cessare il 30 giugno 2021; b) per i provvedimenti di rilascio adottati dopo il 28 febbraio 2020, ma non oltre il 30 settembre 2020 la proroga era stabilita fino al 30 settembre 2021; c) per i provvedimenti di rilascio adottati dopo il 30 settembre 2020 e fino al 30 giugno 2021 la proroga sarebbe cessata il 31 dicembre 2021; d) per i provvedimenti di rilascio che avrebbero potuto essere adottati dopo il 30 giugno 2021 non era prevista alcuna sospensione dell’esecuzione.

4.5.– In sintesi, quindi, si ha che mentre per l’anno 2020 (a partire dal 17 marzo 2020, data di entrata in vigore del d.l. n. 18 del 2020) è stata sospesa l’esecuzione di tutti i provvedimenti di rilascio, nel 2021 la situazione è stata significativamente diversificata.

Si va dalla cessazione al 31 dicembre 2020 della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio non fondati sulla morosità del debitore alla mancata previsione di alcuna sospensione per i provvedimenti di rilascio fondati sì sulla morosità, ma successivi al 30 giugno 2021. Nel mezzo vi sono i distinti scaglioni di provvedimenti di rilascio, differenziati ratione temporis, ai quali si collega la cessazione della sospensione dell’esecuzione, secondo una graduazione temporale e progressiva, rispettivamente al 30 giugno 2021, al 30 settembre 2021 e al 31 dicembre 2021.

4.6.– A tale ultima data (31 dicembre 2021) è destinata ad esaurirsi, quindi, ogni residua efficacia della sospensione dell’esecuzione di qualsivoglia provvedimento di rilascio di immobili.

5.– Ciò premesso, va ora esaminata l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale, innanzi tutto sotto il profilo della rilevanza.

5.1.– Sotto questo aspetto, la rilevanza delle questioni non può che essere circoscritta alle disposizioni in concreto applicabili nei due giudizi principali, relativi a titoli esecutivi formatisi entrambi nel mese di gennaio dell’anno 2021: segnatamente, in data 25 gennaio 2021 e 20 gennaio 2021, sono stati rispettivamente convalidati gli sfratti per morosità, oggetto della procedura esecutiva di rilascio all’esame dei Giudici dell’esecuzione del Tribunale di Trieste e del Tribunale di Savona.

È di tutta evidenza che non rileva, in nessuno dei due giudizi, la sospensione dell’esecuzione del rilascio degli immobili prevista nell’anno precedente fino al 31 dicembre 2020: rispettivamente dall’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, fino al 30 giugno 2020, e dall’art. 17-bis del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, che ha prorogato detta sospensione sino al 31 dicembre 2020.

La rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sussiste solo per le disposizioni che tale sospensione dell’esecuzione hanno previsto nel 2021: ossia l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, che ha prorogato fino al 30 giugno 2021 l’efficacia della misura con riferimento ai titoli di rilascio fondati sulla morosità del conduttore, e l’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, che ha prorogato, in particolare fino al 31 dicembre 2021, la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio adottati dal l° ottobre 2020 al 30 giugno 2021.

Pertanto, vanno innanzi tutto dichiarate inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e dell’art. 17-bis del d.l. n. 34 del 2021, come convertito, con riferimento a tutti i parametri indicati dal Tribunale di Trieste e, quanto alla prima disposizione, anche dal Tribunale di Savona.

5.2.– Deve però considerarsi ulteriormente, ancora sotto il profilo della rilevanza, che il Tribunale di Trieste, la cui ordinanza di rimessione è stata pronunciata il 24 aprile 2021, è chiamato ad applicare l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, che ha previsto – e prevede tuttora – la sospensione, fino al 30 giugno 2021, dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adottati per mancato pagamento del canone alle scadenze, quale appunto era quello dedotto in giudizio.

Invece il Tribunale di Savona, la cui ordinanza di rimessione è successiva per essere stata pronunciata il 3 giugno 2021, è chiamato ad applicare anche l’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, che ha previsto la sospensione, in particolare fino al 31 dicembre 2021, dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili adottati dal 1° ottobre 2020 al 30 giugno 2021 per mancato pagamento del canone alle scadenze, quale appunto era quello dedotto in giudizio.

Quest’ultima disposizione rappresenta ius superveniens nel primo giudizio, quello pendente innanzi al Tribunale di Trieste. Sicché, in ragione della sopravvenuta entrata in vigore dell’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, la sospensione dell’esecuzione, già prevista fino al 30 giugno 2021 dalla disposizione censurata in quel giudizio, comunque applicabile ratione temporis, si estende poi fino al 31 dicembre 2021, trattandosi dell’esecuzione di un provvedimento di rilascio di un immobile adottato nel periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 giugno 2021 (esattamente il 25 gennaio 2021) per mancato pagamento del canone alle scadenze.

Tale essendo la portata dello ius superveniens – che ha semmai aggravato, non certo ridimensionato, il vulnus denunciato dal giudice rimettente – non occorre disporre la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito; ma le stesse questioni possono essere riferite, negli stessi termini, anche alla disposizione sopravvenuta, quella comunque oggetto delle censure mosse dal Tribunale di Savona.

Va infatti ribadito che «persiste […] la condizione di ammissibilità del giudizio incidentale non solo ove la nuova disposizione non escluda l’applicazione, ratione temporis, della disposizione censurata (ex plurimis, sentenza n. 257 del 2017), ma anche ove la prima incida su quest’ultima nel senso di aggravarne i denunciati vizi di legittimità costituzionale» (sentenza n. 125 del 2018). Si è anche precisato che «[i]n questa evenienza – ove la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, quale ritenuta dal giudice rimettente, permanga nel suo nucleo essenziale – può essere questa stessa Corte a valutare il novum normativo per verificare la persistente sussistenza di tale condizione di ammissibilità del giudizio incidentale» (ancora, sentenza n. 125 del 2018).

6.‒ In via altresì preliminare, ulteriori profili di inammissibilità vengono in rilievo quanto ai parametri europei, unionali e convenzionali.

6.1.– Deve essere, innanzi tutto, dichiarata l’inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale di Savona in relazione all’art. 47 CDFUE, in quanto il giudice rimettente non indica perché, e in che termini, la fattispecie sarebbe disciplinata dal diritto europeo.

Nella giurisprudenza di questa Corte è stato ripetutamente affermato, infatti, che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea può essere invocata, quale parametro interposto in un giudizio di legittimità costituzionale soltanto quando la fattispecie oggetto di legislazione interna sia disciplinata anche dal diritto europeo (ex plurimis, sentenze n. 185, n. 33 e n. 30 del 2021, n. 278 e n. 254 del 2020 e n. 194 del 2018).

6.2.– Va invece affermata l’ammissibilità delle questioni sollevate dai giudici rimettenti – per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost. – in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

Occorre considerare che, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2021, n. 145 del 2020 e n. 25 del 2019), allorché un diritto fondamentale trovi protezione, sia in una norma costituzionale sia in una norma della CEDU, vi è una concorrenza di tutele che si traduce in un’integrazione di garanzie. In questa ipotesi, dal momento che in tema di diritti fondamentali «il rispetto degli obblighi internazionali […] può e deve […] costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa» (sentenza n. 317 del 2009; nello stesso senso, sentenza n. 120 del 2018), il giudice rimettente può allegare la norma convenzionale a parametro interposto, evidenziando la portata che in essa assume il diritto fondamentale, del quale è ipotizzata la possibile lesione ad opera della norma interna censurata, e confrontandosi con la relativa giurisprudenza sovranazionale.

Nella fattispecie in esame, i giudici rimettenti hanno puntualmente assolto a questo onere, tanto in relazione all’art. 6 CEDU che all’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

7.– Sempre in via preliminare, con riferimento ai parametri costituzionali, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni, sollevate dal Tribunale di Savona, con le quali è assunta la violazione, da parte delle norme censurate, degli artt. 11 e 41 Cost.

Tali questioni, infatti, sono del tutto prive di motivazione, limitandosi il giudice rimettente a evocare i parametri costituzionali, senza alcuna specifica adeguata illustrazione dei motivi di censura (tra le altre, sentenze n. 178 del 2021 e n. 356 del 2008; ordinanza n. 26 del 2012).

8.– Nel merito, con riferimento agli altri parametri, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici rimettenti non sono fondate.

9.– Il Tribunale di Trieste dubita, innanzi tutto, della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con riferimento all’art. 77 Cost., assumendo tanto la mancanza dei presupposti di necessità e urgenza delle disposizioni adottate con il decreto-legge, quanto – a suo avviso – la non omogeneità delle previsioni della legge di conversione rispetto all’ambito applicativo del decreto, volto a prorogare termini in considerazione dell’emergenza da COVID-19, atteso che la sospensione dell’esecuzione riguarda anche i provvedimenti di rilascio pronunciati a fronte di morosità nel pagamento dei canoni anteriori alla pandemia.

9.1.– La questione non è fondata.

Questa Corte, con riguardo alla latitudine del proprio controllo sulla sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza, ha più volte affermato che il sindacato sulla legittimità dell’adozione di un decreto-legge, da parte del Governo, deve essere limitato alle ipotesi di evidente mancanza degli stessi o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione, al fine di evitare la sovrapposizione tra la valutazione politica del Governo e delle Camere (in sede di conversione) e il controllo di legittimità costituzionale (sentenze n. 288, n. 97 e n. 33 del 2019, n. 137, n. 99 e n. 5 del 2018).

L’urgente necessità del provvedere può, peraltro, riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni straordinarie, complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse (sentenze n. 149 del 2020, n. 137 del 2018, n. 170 e n. 16 del 2017 e n. 32 del 2014), ma indirizzati all’unico scopo di approntare rimedi urgenti per situazioni straordinarie venutesi a determinare (sentenze n. 244 del 2016 e n. 22 del 2012). In sostanza, per i decreti-legge a contenuto plurimo, ciò che rileva è il profilo teleologico, ossia l’osservanza della ratio dominante che li ispira (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2021, n. 115 del 2020, n. 154 del 2015 e n. 32 del 2014; ordinanza n. 34 del 2013).

La questione non è, dunque, fondata con riguardo ad entrambi gli aspetti del parametro evocato, in quanto l’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, pur inserito in un decreto-legge il cui titolo si riferisce a «termini legislativi», «realizzazione di collegamenti digitali», «esecuzione della decisione 2020/2053» e infine del «recesso del Regno Unito dall’Unione europea», è volto a far fronte all’emergenza sanitaria determinata dal persistere della pandemia da COVID-19 prorogando il termine di durata della sospensione (e ridelineandone, in senso restrittivo, l’ambito applicativo). Pertanto, la disposizione si colloca coerentemente in un decreto-legge dal contenuto sin dall’origine eterogeneo sul piano materiale. In esso diverse disposizioni di proroghe di termini sono accomunate dall’indicato scopo, rispetto al quale la norma censurata non può ritenersi totalmente «estranea» o addirittura «intrusa», cioè tale da interrompere ogni nesso tra la situazione di urgenza e necessità e una singola disposizione del decreto-legge, in termini non dissimili dalla correlazione che deve sussistere tra il contenuto del decreto-legge e quello della legge di conversione (sentenze n. 181 del 2019 e n. 22 del 2012).

10.– Comune alle due ordinanze di rimessione è la dedotta violazione dell’art. 3 Cost.

Tale parametro, secondo i giudici rimettenti, sarebbe stato violato da parte delle norme rispettivamente censurate perché il legislatore ha previsto, nel 2021, la proroga della sospensione delle procedure esecutive per rilascio degli immobili locati senza consentire al giudice alcuna valutazione né sul nesso di causalità tra l’emergenza pandemica e l’inadempimento del conduttore, né sulla rispettiva situazione economica del locatore e del conduttore, anche rispetto all’incidenza, su ciascuno di essi, della crisi economico-sociale derivante dalle misure di contenimento adottate durante la pandemia.

Secondo tale prospettazione, dunque, sarebbe stato tutelato dal legislatore il solo diritto del conduttore di disporre dell’immobile, senza alcun bilanciamento con la tutela del diritto di proprietà del locatore.

In particolare, per il Tribunale di Savona la questione sarebbe stata aggravata e non risolta dall’art. 40-quater della legge n. 69 del 2021, di conversione del d.l. n. 41 del 2021, che, nel contemplare un’ulteriore proroga della misura, ne ha graduato ex lege l’efficacia temporale in base ad un criterio irragionevole, come quello della data di emanazione del provvedimento.

11.– La questione non è fondata.

11.1.– Occorre muovere dalla considerazione che l’iniziale sospensione, fino al 31 dicembre 2020, dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è fuori dal thema decidendum non solo perché – come già osservato sopra (al punto 5.1.) – i giudici rimettenti non sono chiamati ad applicare le disposizioni che l’hanno prevista (né l’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, né l’art. 17-bis del d.l. n. 34 del 2021), ma anche perché in realtà le loro censure sono dirette nei confronti delle due proroghe della sospensione: la prima, dal 1° gennaio 2021 fino al 30 giugno 2021, prevista dall’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito; la seconda introdotta dall’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, che viene in rilievo nei giudizi principali nella parte in cui ha ulteriormente prorogato, fino al 31 dicembre 2021, la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio adottati dal l° ottobre 2020 al 30 giugno 2021.

11.2.– Ancorché non censurata, non può non rilevarsi che l’iniziale sospensione, nella sua ampia portata riguardante tutti i provvedimenti di rilascio degli immobili, era motivata dall’eccezionalità della situazione determinata dal rapido diffondersi dalla pandemia da COVID-19, che ha creato un’inedita condizione di grave pericolo per la salute pubblica, costituendo essa «un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari» (sentenza n. 198 del 2021). La rapidità e l’estensione del contagio hanno portato a limitazioni di movimento e di attività nel rispetto di rigide regole di distanziamento e di adozione di dispositivi individuali di protezione.

Per effetto delle misure di contenimento della pandemia, nel periodo dell’emergenza sanitaria vi è stato l’arresto di fatto di numerose attività economiche con conseguente difficoltà di ampi strati della popolazione, per fronteggiare le quali è stata posta in essere un’ampia e reiterata normativa dell’emergenza con l’impiego di consistenti risorse economiche nella logica della solidarietà collettiva.

Ma nell’immediato siffatta emergenza sanitaria ha chiamato in causa, altresì, la solidarietà economica e sociale a cui ciascuno è tenuto nell’esercizio dei propri diritti.

11.3.– Nel corso dell’anno in cui si è manifestata la pandemia e fino al 31 dicembre 2020 la temporanea sospensione dell’esecuzione di tutti provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, ha costituito una delle tante misure adottate per fronteggiare l’emergenza. Da una parte occorreva evitare che le attività esecutive, oltre a gravare sui tribunali, ponessero le persone necessariamente in contatto con conseguente incremento del rischio di contagio. D’altra parte i soggetti destinatari dei provvedimenti di rilascio rischiavano di vedere, per loro in particolare, aggravarsi quella situazione di difficoltà, che pure era di portata generale, giacché, nelle locazioni abitative l’oggetto del rilascio sarebbe stato anche l’abitazione, con incidenza, quindi, su un diritto inviolabile (sentenze n. 128 del 2021 e n. 44 del 2020) e, nelle locazioni non abitative, il rilascio avrebbe avuto ad oggetto un esercizio commerciale o un’azienda con pregiudizio del diritto di iniziativa economica privata, che parimenti è tutelato (art. 41, primo comma, Cost.).

In questa eccezionale situazione di emergenza sanitaria, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie. Al metro di questa maggiormente estesa discrezionalità, una misura come la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, appare quanto meno non manifestamente irragionevole. Ha affermato questa Corte, con riferimento proprio alle procedure esecutive (quelle di cui all’art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020), che, in questa situazione di emergenza sanitaria, «[i]l dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, può anche portare, in circostanze particolari, al temporaneo sacrificio di alcuni – i creditori procedenti in executivis – a beneficio di altri maggiormente esposti, selezionati inizialmente sulla base di un criterio a maglie larghe»; ed ha aggiunto che «il legislatore ha voluto evitare che tanto l’esecuzione del rilascio degli immobili quanto le procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale potessero costituire causa di aggravamento delle difficoltà economiche e fonte di preoccupazioni ulteriori per i debitori esecutati» (sentenza n. 128 del 2021).

11.4.– Però il sacrificio per i locatori non poteva che essere temporaneo.

L’emergenza può giustificare, solo in presenza di circostanze eccezionali e per periodi di tempo limitati, la prevalenza delle esigenze del conduttore di continuare a disporre dell’immobile, a fini abitativi o per l’esercizio di un’impresa, su quelle del locatore. In passato, questa Corte, nel valutare la legittimità costituzionale di disposizioni che avevano sospeso l’esecuzione degli sfratti, anche se solo per alcune categorie di conduttori, ha evidenziato che la legittimità di misure siffatte si correla al rispetto della duplice condizione della loro eccezionalità e temporaneità (sentenze n. 155 del 2004 e n. 310 del 2003).

Nella fattispecie in esame, la sospensione – come già rilevato – è stata giustificata da una circostanza eccezionale, quale l’emergenza pandemica, tanto che la dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 è stata ripetutamente prorogata (da ultimo, fino al 31 dicembre 2021).

La significativa estensione temporale dell’emergenza rendeva peraltro necessario il progressivo adattamento delle misure apprestate per fronteggiarla, in modo da tenere nel debito conto la concreta evoluzione della situazione epidemiologica e assicurare sempre la proporzionalità delle misure medesime rispetto a tale situazione. Il legislatore ha ritenuto, nella sua discrezionalità, poco praticabile un sistematico coinvolgimento del giudice dell’esecuzione per valutare le singole situazioni concrete di conduttori e locatori, da apprezzarsi caso per caso.

Occorreva però un progressivo adattamento della misura emergenziale, gravante sulla categoria dei locatori, per i quali la solidarietà economica e sociale di ciascuno non poteva spingersi oltre un certo limite, al di là del quale c’è solo la solidarietà collettiva per il tramite innanzi tutto dello Stato e della fiscalità generale.

11.5.– Ciò non è avvenuto per la sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione del debitore (art. 54-ter del d.l. n. 18 del 2020), per le quali è stata prevista, dall’art. 13, comma 14, del d.l. n. 183 del 2020, la proroga tout court fino al 30 giugno 2021; disposizione questa di cui è stata, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale atteso che «il bilanciamento sotteso alla temporanea sospensione delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale è divenuto, nel tempo, irragionevole e sproporzionato, inficiando la tenuta costituzionale della seconda proroga» (sentenza n. 128 del 2021).

Invece, il precedente comma 13 dello stesso art. 13 del d.l. n. 183 del 2020, relativo all’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, ha operato un primo aggiustamento limitando, dopo il 31 dicembre 2020, la proroga della sospensione dell’esecuzione ai soli provvedimenti di rilascio per morosità con conseguente cessazione di tale sospensione per tutti i provvedimenti di rilascio, in particolare, per finita locazione; morosità alla quale sono normalmente sottese difficoltà di carattere economico-sociale che, anche se antecedenti alla pandemia, si sono verosimilmente aggravate con essa.

Di lì a poco è seguito l’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021 che – come si è già osservato sopra (punto 4.3.) – cadenza ulteriormente l’esaurimento della sospensione dell’esecuzione di tali provvedimenti, senza più prevedere – e quindi escludendo – la sospensione per quelli destinati ad essere emessi dopo il 30 giugno 2021. A tal proposito si è già detto che occorre distinguere tra provvedimenti di rilascio secondo che siano stati adottati: a) prima del 28 febbraio 2020; b) dopo il 28 febbraio 2020, ma non oltre il 30 settembre 2020; c) dopo il 30 settembre 2020 e fino al 30 giugno 2021. Si ha, quindi, che la sospensione dell’esecuzione è cessata il 30 giugno 2021, oppure il 30 settembre 2021, o infine è destinata a cessare il 31 dicembre 2021.

11.6.– Tale graduazione è funzionale allo scopo di evitare la pressione sulle strutture degli uffici giudiziari per effetto della contestuale esecuzione dei provvedimenti “arretrati” ed è stata compiuta con criteri non manifestamente irragionevoli.

La data di adozione del provvedimento di rilascio, che vale a cadenzare la cessazione di efficacia della sospensione, è indirettamente indicativa dell’epoca della morosità, potendo ragionevolmente ritenersi che di norma i provvedimenti più risalenti si riferiscono a morosità meno recenti.

Infatti, sebbene il legislatore abbia individuato, anche per comprensibili motivi di semplificazione dell’attività degli ufficiali giudiziari e dei giudici dell’esecuzione, come data rilevante quella dell’emanazione del titolo esecutivo e non già quella della morosità, è presumibile, secondo l’id quod plerumque accidit, che siano stati pronunciati prima i provvedimenti di rilascio concernenti le morosità più risalenti.

11.7.– Nel complesso, quindi, quanto alla proroga nel 2021 della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, sono stati introdotti «adeguati criteri selettivi» (sentenza n. 128 del 2021), che invece sono mancati nella parallela previsione della proroga della sospensione delle esecuzioni aventi ad oggetto l’abitazione principale del debitore. Ciò rende non irragionevole la proroga, graduata nel tempo secondo le scadenze sopra indicate, della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per morosità.

La gradualità dell’esaurimento di tale misura emergenziale consente di ritenere sussistente anche l’altro presupposto legittimante il differimento ex lege dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio, fissato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte nella temporaneità della misura, la cui estensione va da meno di un anno per i provvedimenti di rilascio per finita locazione fino a una durata variamente articolata per i provvedimenti di rilascio per morosità. In particolare la proroga della sospensione al 31 dicembre 2021 ha una durata non superiore a quindici mesi, riguardando essa solo i provvedimenti di rilascio per morosità adottati dopo il 30 settembre 2020. In entrambi i giudizi a quibus tale durata è di circa undici mesi, trattandosi di provvedimenti di rilascio adottati nel gennaio del 2021.

Pertanto, mediante la progressiva e differenziata riduzione dell’ambito di applicazione della misura in esame, in simmetria con l’allentamento dell’emergenza sanitaria, il legislatore ha realizzato quel non irragionevole bilanciamento dei diritti costituzionali in rilievo, che è invece mancato nella parallela norma di proroga, nel 2021, della sospensione delle procedure esecutive immobiliari aventi ad oggetto l’abitazione del debitore (sentenza n. 128 del 2021).

12.– Le ordinanze di rimessione – che deducono, poi, altre censure, in funzione complementare rispetto a quella portante appena esaminata – assumono che le norme censurate violerebbero, altresì, il diritto di proprietà, costituzionalmente e convenzionalmente tutelato, del locatore.

Più in particolare, il Tribunale di Trieste denuncia l’asserito contrasto dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, con gli artt. 42 e 47, secondo comma, Cost., poiché tale norma finirebbe con il porre in essere, in danno dei proprietari degli immobili, una sorta di espropriazione in senso sostanziale priva di indennizzo, in contrasto con la tutela del risparmio. Lo stesso giudice rimettente dubita, inoltre, della compatibilità delle predette disposizioni con l’art. 117, primo comma Cost., in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, in quanto la sospensione inciderebbe in modo sproporzionato, rispetto alle finalità perseguite dal legislatore, sul diritto di proprietà del locatore.

Anche il Tribunale di Savona dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate con riguardo all’art. 42 Cost., perché le stesse determinano una situazione equiparabile ad un’espropriazione sostanziale senza indennizzo. Il medesimo Tribunale indica come parametro interposto l’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

12.1.– Le questioni non sono fondate.

Con riferimento all’incidenza sproporzionata della misura in esame sul diritto di proprietà del locatore, occorre ricordare che questa Corte, anche in pronunce recenti, ha ribadito che un’ingerenza nel diritto al pacifico godimento dei beni è ammissibile ove sussista un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e la salvaguardia dei diritti dell’individuo (ex multis, sentenze n. 46 del 2021, n. 276, n. 235 e n. 167 del 2020). Sulla stessa linea si pone, da tempo, la giurisprudenza della Corte EDU nell’interpretazione della garanzia espressa all’art. 1 Prot. addiz. CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, sentenza 6 ottobre 2005, Maurice contro Francia, paragrafo 86).

L’emergenza pandemica, con la conseguente crisi economico-sociale, costituisce senz’altro un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare l’operatività della misura di sospensione.

Non può in proposito trascurarsi di ricordare che spetta proprio al legislatore nazionale l’individuazione di quei motivi di interesse generale che consentono, anche secondo la giurisprudenza europea (Corte EDU, grande camera, sentenza 6 ottobre 2005, Maurice contro Francia, paragrafo 86; sezione seconda, sentenza 31 maggio 2011, Maggio contro Italia, paragrafo 57, e sentenza 15 aprile 2014, Stefanetti contro Italia, paragrafo 52), una limitazione del diritto di proprietà.

Né la misura in esame è equiparabile ad un’espropriazione, non solo per la temporaneità della stessa, ma anche perché, sino al momento dell’effettivo rilascio, permane in ogni caso in capo al conduttore, anche se il contratto si è già risolto, l’obbligo di provvedere al pagamento dei canoni.

13.– L’ordinanza del Tribunale di Trieste dubita poi della compatibilità delle norme censurate con l’art. 24 Cost., in quanto le stesse violerebbero il diritto del creditore a soddisfarsi, nell’ipotesi di inadempimento spontaneo del debitore, nella fase esecutiva, essenziale per una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti.

Analoghe censure sono sollevate dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Savona.

13.1.– Le questioni non sono fondate.

Occorre osservare, sotto un primo profilo, che, sebbene l’esecuzione coattiva delle decisioni giudiziarie rientri nell’alveo dell’art. 24 Cost., in quanto essa è fondamentale per una tutela effettiva dei diritti accertati in sede cognitiva (tra le altre, sentenze n. 128 del 2021 e n. 225 del 2018), tuttavia, come costantemente ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, limite che, con riferimento specifico all’art. 24 Cost., viene superato solo qualora emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di azione (sentenze n. 80, n. 58 e n. 47 del 2020, n. 271 e n. 97 del 2019; ordinanza n. 3 del 2020).

Peraltro le norme censurate non impediscono in via definitiva all’avente diritto al rilascio di promuovere un’azione esecutiva per rientrare in possesso dell’immobile, in quanto le stesse, come si è già osservato nell’esame delle censure correlate all’art. 3 Cost., si limitano, in presenza di una situazione di carattere eccezionale e imprevedibile come l’emergenza pandemica, a differire temporaneamente la possibilità di agire in executivis.

14.– Per altro verso, neppure sono fondate le questioni sollevate dal Tribunale di Trieste e dal Tribunale di Savona concernenti la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, e dal solo Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Savona con riferimento all’art. 111 Cost., laddove assumono un contrasto delle norme censurate con tali parametri rispetto alla ragionevole durata delle procedure esecutive.

Invero, sebbene la Corte EDU abbia affermato che le norme che dispongono la sospensione dei provvedimenti di sfratto incidono sull’effettività della tutela del diritto dell’esecutante, che deve svolgersi entro un termine ragionevole (ex plurimis, Corte EDU, grande camera, sentenza 28 luglio 1999, Immobiliare Saffi contro Italia, specialmente paragrafi 63 e seguenti), è necessario che tale diritto, nell’ordinamento interno, venga bilanciato con il complesso delle altre garanzie costituzionali, attesa la valutazione sistematica e non frazionata sulla violazione dei diritti demandata a questa Corte (sentenze n. 46 del 2021, n. 170 e n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012). Nell’ambito della predetta valutazione di carattere sistematico, il sacrificio di un diritto costituzionale non è irragionevole, nell’ipotesi in cui sia frutto di scelte non prive di una valida ragione giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 23 del 2015 e n. 159 del 2014; ordinanze n. 332 e n. 318 del 2008). Nella specie lo scopo del differimento della tutela esecutiva del locatore può essere individuato nell’eccezionalità della situazione correlata all’emergenza pandemica da COVID-19.

15.– Mette conto, infine, rilevare che, se l’eccezionalità della pandemia da COVID-19 giustifica, nell’immediato e per un limitato periodo di tempo, la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili (anche perché, in particolare, vi è stato, da parte del legislatore, un progressivo aggiustamento del bilanciamento degli interessi e dei diritti in gioco, nei termini sopra indicati), d’altra parte però questa misura emergenziale è prevista fino al 31 dicembre 2021 e deve ritenersi senza possibilità di ulteriore proroga, avendo la compressione del diritto di proprietà raggiunto il limite massimo di tollerabilità, pur considerando la sua funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.).

Resta ferma in capo al legislatore, ove l’evolversi dell’emergenza epidemiologica lo richieda, la possibilità di adottare altre misure più idonee per realizzare un diverso bilanciamento, ragionevole e proporzionato (sentenza n. 128 del 2021).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, e dell’art. 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice dell’esecuzione, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 47, 77 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, con l’ordinanza indicata in epigrafe, e dell’art. 103, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, sollevate dal Tribunale ordinario di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 41, 42, 111 e 117 Cost., nonché all’art. 6 CEDU, all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall’Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, e dell’art. 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, sollevate dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento agli artt. 11 e 41 Cost., nonché all’art. 47 CDFUE, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, sollevata, in riferimento all’art. 77 Cost., dal Tribunale ordinario di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, e dell’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona con le ordinanze indicate in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, e dell’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in riferimento agli artt. 42, 47, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, e dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all’art. 42 Cost. e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, con le ordinanze indicate in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, e dell’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento all’art. 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona con le ordinanze indicate in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 13, del d.l. n. 183 del 2020, come convertito, e dell’art. 40-quater del d.l. n. 41 del 2021, come convertito, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, e dal solo Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all’art. 111 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 ottobre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2021.