SENTENZA N. 288
ANNO 2019
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Aldo
CAROSI;
Giudici: Giudici : Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo
CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco
VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge
30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione
di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con modificazioni, nella
legge 29 gennaio 2014, n. 5, promossi con ordinanze del 5 luglio
2018 e del 12 marzo
2019 dalla Commissione tributaria regionale per il Piemonte e dalla
Commissione tributaria di secondo grado di Trento, rispettivamente iscritte ai nn. 7 e 123 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 36, prima
serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di
costituzione della Online SIM spa e della ITAS VITA spa, nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 20 novembre 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi gli avvocati
Gabriele Escalar per la Online SIM spa, Massimo Basilavecchia per la ITAS VITA spa e l’avvocato dello Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ordinanza del 5
luglio 2018, la Commissione tributaria regionale (CTR) del Piemonte ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 77, secondo comma, della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2,
del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti
l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con
modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5.
La norma è censurata
nella parte in cui dispone che, «[i]n deroga all’articolo 3 della legge 27
luglio 2000, n. 212, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, per
gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 87, per la Banca d’Italia e per le società e gli enti che esercitano
attività assicurativa, l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle
imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 8,5 punti
percentuali».
1.1.– Le questioni sono
sorte nell’ambito di un giudizio che trae origine dal ricorso proposto dalla
società finanziaria denominata Online SIM spa avverso il silenzio-rifiuto
formatosi sulla istanza di rimborso dei tributi da essa versati, ai sensi del
citato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, a
titolo di «addizionale» all’imposta sui redditi delle società (IRES) dovuta per
il 2013.
Nei confronti della
sentenza di rigetto pronunciata in primo grado, la società ricorrente ha interposto
appello, ribadendo i motivi posti a fondamento della domanda di rimborso,
compendiati nei dubbi di legittimità costituzionale della disposizione
denunciata prospettati in riferimento agli artt. 3, 53 e 77, secondo comma,
Cost.
1.2.– La CTR del Piemonte,
diversamente dal giudice di prime cure, ritiene che tali dubbi siano non
manifestamente infondati.
Il giudice a quo anzitutto
rileva che il gettito dell’«addizionale» introdotta dalla norma censurata è
stato destinato alla copertura delle minori entrate derivanti dall’abolizione,
prevista dall’art. 1, comma 1, dello stesso d.l. n.
133 del 2013, della seconda rata dell’imposta municipale propria (IMU) per
l’anno 2013 su una «molteplicità di immobili».
Quindi evidenzia, da un
lato, che di tale abolizione avrebbero beneficiato tutti i proprietari, a
prescindere dal reddito da essi posseduto. Dall’altro, che le imprese creditizie,
finanziarie e assicurative tenute al versamento dell’«addizionale» non
sarebbero state, nel corso del 2013, «economicamente più forti» degli altri
soggetti passivi dell’imposta in parola.
1.2.1.– Sulla scorta di
queste premesse, il Collegio rimettente prende le mosse dalla dedotta
violazione degli artt. 3 e 53 Cost., che sarebbero lesi in quanto l’art. 2,
comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 – nel circoscrivere
l’applicabilità dell’«addizionale» da esso istituita a coloro che operano nei
settori creditizio, finanziario e assicurativo – avrebbe determinato una
irragionevole discriminazione qualitativa dei redditi.
Al riguardo, la CTR
piemontese osserva, innanzitutto, che il presupposto impositivo dell’IRES è
rappresentato dal solo reddito complessivo netto prodotto, assumendo pertanto
rilievo, perché sorga l’obbligazione tributaria, esclusivamente l’aspetto
quantitativo e non invece il settore produttivo nell’ambito del quale opera il
soggetto passivo dell’imposta.
Nello specifico, la
norma censurata violerebbe il principio di eguaglianza tributaria di cui agli
artt. 3 e 53 Cost. in quanto la circostanza che le imprese creditizie,
finanziarie e assicurative siano sottoposte «a stretta vigilanza pubblica» non
comporterebbe «necessariamente» che esse versino in una situazione di fatto
diversa da quella in cui si trovano gli altri soggetti obbligati al versamento
dell’IRES e idonea a giustificare la sperequazione tra le due categorie.
La soggezione alla
vigilanza pubblica non sarebbe difatti sintomatica di una particolare
«ricchezza» degli unici soggetti passivi incisi dalla censurata «addizionale»
e, dunque, di una capacità contributiva maggiore – del resto nemmeno suffragata
da «analisi […] empiriche» – di quella espressa, a parità di reddito, dagli altri
soggetti passivi dell’IRES.
Il trattamento
differenziato riservato dalla norma denunciata solo ad alcuni soggetti sarebbe
irragionevole, a parere della Commissione rimettente, anche sotto un altro
profilo.
La considerazione che
le imprese gravate dall’«addizionale» non sarebbero soggetti «economicamente
più forti degli altri», valutata unitamente alla sopra evidenziata circostanza
per cui dell’abolizione della seconda rata dell’IMU avrebbero beneficiato
«tutti i proprietari» di «una molteplicità di beni immobili», a prescindere dal
reddito da essi posseduto, non consentirebbe, infatti, neppure di ritenere che
la disposizione oggetto dell’odierno scrutinio sia volta al perseguimento di
una finalità solidaristica e redistributiva.
Di qui il lamentato
vulnus agli artt. 3 e 53 Cost., che non potrebbe d’altronde essere escluso
soltanto in forza del carattere transitorio della misura impositiva oggetto
della censura.
L’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 si porrebbe in contrasto anche con
l’art. 77, secondo comma, Cost., per difetto dei requisiti di necessità e
urgenza.
In proposito, la CTR
piemontese osserva che le situazioni straordinarie che legittimano il ricorso
alla decretazione d’urgenza dovrebbero preesistere all’esercizio del potere
legislativo.
Nel caso di specie,
invece, l’«addizionale» sarebbe funzionale a soddisfare un’esigenza –
segnatamente consistente nella necessaria copertura finanziaria del minor
gettito derivante dall’IMU – che non preesisteva all’adozione del d.l. n. 133 del 2013: essa è stata, infatti, determinata
contestualmente dallo stesso Governo, il quale, per realizzare una propria
«scelta politica», con il precedente art. 1, comma 1, del medesimo d.l. ha, appunto, abolito la seconda rata dell’IMU per
determinati immobili, fabbricati e terreni.
1.3.– È intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
o, comunque, manifestamente infondate.
1.3.1.– L’eccezione d’inammissibilità è basata
sull’asserito difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza
della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
Sarebbe, in particolare, lacunosa
l’argomentazione inerente alla natura temporanea del prelievo oggetto del
presente incidente di legittimità costituzionale: il giudice rimettente,
difatti, avrebbe sostenuto, in maniera apodittica, senza in alcun modo motivare
sul punto, che tale natura non sarebbe idonea a «sanare» la dedotta disparità,
laddove, invece, la transitorietà dell’«addizionale» concorrerebbe a
«circoscrivere l’aggravio di imposta ad una cerchia specifica di contribuenti».
1.3.2.– Nel merito, le
questioni sarebbero, in ogni caso, non fondate.
L’Avvocatura ritiene
anzitutto insussistente la violazione degli artt. 3 e 53 Cost.
La irragionevole
disparità di trattamento di cui si duole la CTR del Piemonte non sarebbe
ravvisabile, dal momento che, per un verso, i redditi prodotti dai soggetti
passivi incisi dalla norma censurata esprimerebbero una differenziata capacità
contributiva e per altro verso, l’aggravio d’imposta derivante dall’art. 2,
comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 sarebbe transitorio
e giustificato anche da una finalità solidaristica e redistributiva.
Sotto il primo aspetto,
la difesa statale – dopo aver richiamato la sentenza n. 21 del
2005, in cui questa Corte, con riferimento alle «aliquote differenziate
previste, in materia di Irap, per i settori bancario e assicurativo», ha, tra
l’altro, affermato che una previsione siffatta «rientra […] pienamente nella
discrezionalità del legislatore, se sorretta da non irragionevoli motivi di
politica economica e redistributiva» – sostiene che diversi sarebbero, nella
specie, gli indici dai quali evincere la maggiore capacità contributiva delle
imprese creditizie, finanziarie e assicurative.
Tali indici sintomatici
sarebbero, nello specifico, desumibili dal fatto che l’esercizio dell’attività
da parte di tali imprese presuppone il rilascio di specifiche autorizzazioni:
queste difatti, da un lato, implicherebbero l’accertamento della stabilità
patrimoniale e finanziaria dei soggetti interessati, i quali, pertanto,
disporrebbero di una «comprovata forza economica»; dall’altro, comporterebbero
una riduzione della concorrenza, determinando di fatto una limitazione
dell’accesso ai mercati di riferimento. Mercati peraltro caratterizzati dalla
prestazione di servizi pressoché necessitati e conseguentemente meno esposti,
rispetto ad altri, al rischio della perdita di clientela anche a fronte della
eventuale traslazione su di essa dei maggiori costi fiscali sopportati.
Sotto il secondo
aspetto, afferente alla natura temporanea e alla finalità solidaristica e
redistributiva dell’«addizionale» censurata, la difesa statale rimarca che tale
prelievo è stato circoscritto all’anno d’imposta 2013 ed è strettamente
correlato all’abolizione della seconda rata dell’IMU, con la quale
condividerebbe pertanto lo scopo di sostenere il mercato immobiliare e di
alleviare il carico fiscale di «ampie fasce di contribuenti» in un periodo di
congiuntura economica critica.
In questa prospettiva,
d’altro canto, l’Avvocatura ritiene che sia privo di pregio l’assunto del
giudice a quo secondo cui l’abolizione appena detta avrebbe avvantaggiato tutti
i contribuenti a prescindere dal loro reddito: da essa sono stati, infatti,
esclusi – secondo il disposto dell’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 133 del 2013 – gli «immobili espressivi di elevata capacità contributiva da
parte dei loro possessori», sicché la platea dei beneficiari dello sgravio
fiscale sarebbe stata, in realtà, circoscritta, in base a un criterio oggettivo
coerente con la natura di imposta reale propria dell’IMU.
Anche la questione
sollevata in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. sarebbe, a parere
della difesa dello Stato, destituita di fondamento.
La norma denunciata
andrebbe difatti letta alla luce della «complessiva operazione» realizzata con
il d.l. n. 133 del 2013 e, segnatamente, della ratio
dell’abolizione della seconda rata dell’IMU.
La situazione
straordinaria idonea a legittimare il ricorso alla decretazione d’urgenza non
andrebbe pertanto ravvisata solo nell’esigenza di copertura del minor gettito
conseguito a tale abolizione, ma anche nella crisi economica del Paese e nella
necessità di alleggerire temporaneamente il peso del prelievo fiscale derivante
dalla citata imposta reale.
1.4.– Si è costituita
la Online SIM spa, ricorrente nel processo principale, la quale ha chiesto che
le questioni siano accolte sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente
riproduttive di quelle addotte dal giudice rimettente.
1.4.1.– La parte
privata premette che le questioni sarebbero rilevanti ai fini della decisione
da assumere nel processo principale, giacché esse in sostanza coincidono con le
doglianze mosse nei confronti del silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza di
rimborso, tanto che l’accoglimento della domanda giudiziale dipenderebbe
esclusivamente dall’auspicata declaratoria d’illegittimità costituzionale.
1.4.2.– Nel merito,
muovendo dalla dedotta violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., essa in
primo luogo evidenzia che l’«addizionale» oggetto dell’odierno scrutinio
sarebbe stata introdotta al solo fine – reso esplicito dal preambolo del d.l. n. 133 del 2013 e dai lavori preparatori del disegno
di legge di conversione del d.l. stesso – di
realizzare la «decisione politica» concernente l’abolizione della seconda rata
dell’IMU e di porre rimedio alla conseguente necessità di reperire la relativa
copertura finanziaria attraverso l’individuazione, «in un lasso di tempo
estremamente breve», di risorse «la cui entità non fosse soggetta a
incertezza».
Da tanto emergerebbe chiaramente
l’insussistenza dei requisiti di necessità e d’urgenza.
La necessità di provvedere sarebbe stata
difatti determinata contestualmente dallo stesso Governo allo scopo di attuare
il proprio programma politico, sicché essa non preesisteva all’adozione della
norma denunciata e non potrebbe, quindi, ritenersi che sia sorta in maniera
imprevedibile. D’altro canto, la detta abolizione, essendo frutto di una «mera
scelta politica» dell’esecutivo, non presenterebbe alcun connotato d’urgenza.
Né l’«addizionale» posta dall’art. 2, comma 2,
del d.l. n. 133 del 2013 concorrerebbe al
perseguimento di una finalità solidaristica e redistributiva, poiché
l’abolizione della seconda rata dell’IMU avrebbe avvantaggiato anche i
contribuenti che godono di un reddito elevato e non solo quelli meno abbienti,
in tal modo provocando, malgrado l’esclusione degli immobili "di lusso”, un
effetto regressivo.
Infine, la parte costituita sostiene che
l’«abuso commesso dal Governo» sarebbe ancor più evidente alla luce dell’iter
di approvazione del disegno di legge di conversione del d.l.
n. 133 del 2013: l’esecutivo, infatti, dopo aver fatto illegittimamente ricorso
alla decretazione d’urgenza, nel porre la questione di fiducia avrebbe altresì
impedito alla minoranza «di esprimere la propria opinione» o di formulare
eventuali emendamenti, così «imponendo a tutto il Parlamento […] la propria
scelta politica […]».
Anche la questione sollevata in riferimento
agli artt. 3 e 53 Cost. sarebbe, secondo la ricorrente nel giudizio a quo,
fondata, dal momento che l’applicabilità dell’«addizionale», introdotta
dall’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013,
esclusivamente alle imprese creditizie, finanziarie e assicurative avrebbe
determinato una irragionevole disparità di trattamento impositivo, non essendo
sorretta da alcuna adeguata giustificazione. Non sarebbe difatti sufficiente, a
tal fine, la sola circostanza che le imprese appena menzionate operino in
determinati settori produttivi.
Né potrebbe sostenersi che l’«addizionale» sia
funzionale ad attuare una redistribuzione della ricchezza in un’ottica
solidaristica. Ciò, non solo sulla scorta di quanto dianzi
detto in merito agli effetti regressivi dell’abolizione dell’IMU, ma anche in
considerazione del fatto che le suddette imprese attraversavano, nel 2013, una
fase di recessione economica, attestata, tra l’altro, sia dalla Banca d’Italia
sia dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB).
In forza di tale ultimo rilievo, dovrebbe,
pertanto, del pari escludersi che, nel corso del 2013, i soggetti incisi dal
prelievo censurato abbiano manifestato una «eccezionale capacità contributiva»
o disponessero di «maggiore liquidità» rispetto ad altri contribuenti. Aspetti,
questi, che in ogni caso sarebbero stati soltanto presunti dal Governo, il
quale non avrebbe svolto alcuna «indagin[e] empiric[a]» al riguardo.
Sotto altro profilo, la parte privata ritiene,
inoltre, che la struttura dell’«addizionale» denunciata sia incoerente con il
suo stesso presupposto, giacché si applica sull’intero reddito prodotto e non
limitatamente a quella parte di esso ascrivibile alla ipotizzata maggiore
capacità contributiva.
Anche secondo la ricorrente nel processo
principale, infine, la transitorietà dell’«addizionale» non sarebbe, da sola,
sufficiente a escludere la dedotta illegittimità costituzionale, essendo
comunque necessario, affinché la disparità di trattamento impositivo non si
ponga in contrasto con i precetti di cui agli artt. 3 e 53 Cost., che essa sia
altresì sorretta da «un’adeguata giustificazione obiettiva».
1.5.– In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura
generale ha tempestivamente depositato una memoria illustrativa, insistendo
nelle conclusioni già rassegnate.
Con riferimento al vulnus all’art. 77, secondo
comma, Cost., la difesa statale, per un verso, osserva che l’imprevedibilità
della situazione straordinaria di necessità e d’urgenza posta
a fondamento della decretazione d’urgenza non sarebbe richiesta dall’evocato
parametro costituzionale. Per altro verso, sostiene che del tutto
legittimamente il Governo avrebbe fatto ricorso al decreto-legge per disporre,
in relazione al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, l’abolizione
della seconda rata dell’IMU – e conseguentemente reperire le risorse necessarie
a garantire, nel rispetto dell’art. 81 Cost., la relativa copertura finanziaria
– in considerazione del «contesto di urgenza economica» in cui ciò è avvenuto.
In merito, invece, alla denunciata violazione
degli artt. 3 e 53 Cost., l’Avvocatura rimarca come da tali precetti non
deriverebbe «un principio di necessaria parità di aliquota a parità di
reddito», ben potendo il legislatore differenziare le aliquote in relazione ai
diversi comparti produttivi, fermo restando il sindacato di questa Corte in
ordine alla non manifesta irragionevolezza delle scelte adottate. Del resto,
anche la limitazione della misura impositiva a un solo anno deporrebbe a
sostegno del maggior «grado di attualità» della capacità contributiva dei
soggetti operanti nei settori economici incisi, che sarebbero connotati da
«elevata liquidità "a breve”».
1.6.– Anche la Online SIM spa ha depositato
una memoria, sviluppando gli argomenti spesi nell’atto di costituzione e
replicando alle deduzioni svolte dall’Avvocatura generale nell’atto
d’intervento.
1.6.1.– Quanto alla lesione degli artt. 3 e 53
Cost., la parte contesta che dalle caratteristiche dei settori creditizio,
finanziario e assicurativo possano essere desunti «fatti economici sintomatici
di una peculiare ed effettiva capacità contributiva»: tali caratteristiche
contraddistinguerebbero, infatti, anche altri settori produttivi – come quelli
della distribuzione dell’energia elettrica e del gas nonché del trasporto
ferroviario e aereo – che, tuttavia, non sono stati colpiti dall’«addizionale».
Quanto, invece, alla violazione dell’art. 77,
secondo comma, Cost., la parte costituita in primo luogo ribadisce l’assenza
dei requisiti di legittimità della decretazione d’urgenza, rimarcando che la
necessità di reperire risorse finanziarie per attuare una scelta politica non
costituirebbe, a tale fine, un idoneo presupposto. In secondo luogo, deduce che
la carenza dei presupposti di necessità e d’urgenza non potrebbe essere esclusa
quand’anche si ritenesse che la norma censurata abbia introdotto l’«addizionale»
per far fronte alla crisi economica del Paese, dal momento che tale
circostanza, da un canto, non emergerebbe né dal preambolo del decreto-legge né
dai lavori preparatori; dall’altro, non potrebbe comunque giustificare
l’intervento normativo del Governo, giacché la crisi era «scoppiata» nel 2008,
con la conseguenza che allorché è stato adottato il d.l.
essa era ormai divenuta «ordinaria».
Infine, rileva che l’impatto di una eventuale
decisione di accoglimento sul bilancio dello Stato sarebbe limitato, poiché il
rimborso dell’«addizionale», istituita per il solo anno 2013, spetterebbe
unicamente a coloro i quali abbiano già presentato – prima della scadenza del
termine previsto dalla legge, ovvero entro il 16 giugno 2018 – la relativa
istanza.
2.– Con successiva ordinanza dell’11 marzo
2019, anche la Commissione tributaria di secondo grado di Trento ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013,
convertito, con modificazioni, nella legge n. 5 del 2014.
2.1.– La questione è sorta nell’ambito di un
giudizio promosso dalla società assicuratrice denominata ITAS VITA spa a
seguito del silenzio-rifiuto formatosi sulla istanza di rimborso
dell’«addizionale» all’IRES da essa versata per l’anno d’imposta 2013.
2.2.– La Commissione rimettente premette, in
punto di rilevanza, che la disposizione censurata osta all’accoglimento del
ricorso della contribuente.
2.2.1.– In ordine alla
non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo – disattese le
eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla parte privata in
riferimento agli artt. 41, 42, 77 e 97 Cost. – ritiene invece, sulla scorta di
un iter argomentativo sostanzialmente analogo a quello percorso dalla CTR
piemontese, che la norma denunciata violi gli art. 3 e 53 Cost.
Con essa sarebbe stato,
infatti, introdotto un aggravio fiscale a carico di una circoscritta platea di
soggetti passivi sul presupposto che questi avrebbero corrisposto «con sicuro
margine di certezza il tributo richiesto, in quanto […] economicamente
"forti”», mentre in realtà si tratterebbe di soggetti privi di una capacità
contributiva maggiore di quella manifestata, a parità di reddito, dalle altre
imprese tenute al pagamento dell’IRES.
Questo erroneo
presupposto economico, d’altro canto, comporterebbe una disparità di
trattamento non giustificabile in forza della temporaneità dell’«addizionale»
introdotta dall’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del
2013, né, sotto altro aspetto, in virtù della esclusione, dalla base imponibile
dell’«addizionale» medesima, delle variazioni in aumento derivanti
dall’applicazione dell’art. 106, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui redditi).
2.3.– Anche in questo giudizio è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata.
2.3.1.– La difesa dello Stato riproduce
testualmente le argomentazioni addotte nell’atto di intervento spiegato nel
primo giudizio, in punto sia di inammissibilità, sia di infondatezza della
questione.
Al profilo di inammissibilità già dedotto nel
primo giudizio, l’Avvocatura ne aggiunge uno, incentrato sulla
contraddittorietà tra il dedotto vulnus agli artt. 3 e 53 Cost. e le ragioni in
base alle quali la Commissione trentina ha, invece, ritenuto manifestamente
infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte
privata in riferimento agli artt. 41, 42 e 77 Cost.: la crisi economica che ha
mosso il legislatore ad abolire la seconda rata dell’IMU e l’obiettivo di
reperire risorse finanziarie per coprire il conseguente minore gettito, se sono
apparse al giudice a quo sufficienti a escludere la carenza del requisito di
necessità e d’urgenza e la compromissione del principio della libertà
d’iniziativa economica, dovrebbero parimenti valere a escludere la violazione
degli artt. 3 e 53 Cost.
2.4.– Si è costituita in giudizio la ITAS VITA
spa, sostenendo le argomentazioni del giudice rimettente.
Premessa la rilevanza
della questione – giacché il suo accoglimento rappresenta il presupposto
indispensabile per il riconoscimento, nell’ambito del giudizio a quo, del
diritto al rimborso dell’IRES da essa versata – anche la parte costituita
ritiene, nel merito, che l’art. 2, comma 2, del d.l.
n. 133 del 2013 si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.
La lesione degli
evocati parametri costituzionali discenderebbe, in particolare, dalla
discriminazione – irragionevole perché del tutto ingiustificata – determinata
dalla norma censurata.
Non sarebbe, infatti,
riscontrabile in capo alle imprese gravate dall’«addizionale», peraltro
«notoriamente in difficoltà» nel periodo d’imposta rilevante, alcun «elemento
differenziale» significativo di una loro maggiore capacità contributiva, non
essendo a tal fine sufficiente la sola appartenenza ai settori creditizio,
finanziario o assicurativo. Né tali settori sarebbero caratterizzati da una
«fiorente situazione economica», la quale sarebbe stata, in tesi, idonea a
giustificare un’«addizionale» che avrebbe potuto coerentemente riguardare solo
l’«extraprofitto»: ciò alla luce del principio, desumibile dalla sentenza n. 10 del
2015 di questa Corte, secondo cui la discrezionalità di cui gode il
legislatore nella diversa modulazione delle imposte incontra il limite
derivante dalla necessità di «applicare il trattamento [tributario] deteriore a
quella sola parte della base imponibile che manifesta un tratto differenziale
rispetto alla restante».
Infine, la parte
privata evidenzia che la temporaneità dell’«addizionale» introdotta dalla norma
denunciata non sarebbe sufficiente, da sola, a rendere ragionevole la censurata
discriminazione, essendo a tal fine pur sempre necessario l’accertamento di
effettivi indici rivelatori di una maggiore capacità contributiva.
2.5.– L’Avvocatura generale ha tempestivamente
depositato una memoria illustrativa, riprendendo le deduzioni svolte a conforto
della infondatezza della questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53
Cost. nella memoria depositata nel giudizio promosso dalla CTR piemontese.
2.6.– Anche la ITAS VITA spa ha depositato una
memoria, replicando all’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e insistendo nella fondatezza delle questioni sollevate.
Tale parte anzitutto precisa di non contestare
la legittimità in astratto della discriminazione qualitativa tra redditi,
incentrando, piuttosto, la propria argomentazione sulla mancanza di ogni
«elemento rappresentativo di una ulteriore attitudine alla contribuzione»: da
questo punto di vista, la sentenza n. 21 del
2005 di questa Corte costituirebbe «la migliore riprova, a contrario, della
illegittimità della disposizione qui denunziata», perché l’esigenza
redistributiva nasceva in quel caso «da elementi strutturali interni allo
stesso tributo».
Quindi, ritiene che non sia condivisibile la
tesi della difesa dello Stato circa «i presunti vantaggi strutturali dei
settori colpiti […]», i quali sarebbero in realtà insussistenti e, in ogni
caso, potrebbero essere eventualmente considerati nell’ambito di revisioni di
sistema o di «un prelievo aggiuntivo [commisurato] al solo indice di capacità
contributiva» da essi desumibile.
Quanto poi al carattere transitorio
dell’«addizionale», la difesa della società ribadisce la sua inidoneità a
escludere il sindacato di questa Corte sulle scelte adottate dal legislatore e
sottolinea, sotto altro aspetto, che proprio esso riduce l’impatto sul bilancio
dello Stato della eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Considerato
in diritto
1.– La Commissione
tributaria regionale (CTR) del Piemonte dubita, in riferimento agli artt. 3, 53
e 77, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni
urgenti concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca
d’Italia), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5.
La norma è censurata
nella parte in cui prevede che, «[i]n deroga all’articolo 3 della legge 27
luglio 2000, n. 212, per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, per
gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n. 87, per la Banca d’Italia e per le società e gli enti che esercitano
attività assicurativa, l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle
imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 8,5 punti
percentuali».
Ad avviso del giudice a
quo, tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.,
sotto un primo profilo, in quanto discriminerebbe qualitativamente i redditi in
maniera irragionevole, dal momento che non sarebbe ravvisabile, in capo alle
imprese creditizie, finanziarie e assicurative gravate dall’«addizionale» da
essa introdotta, una capacità contributiva maggiore di quella propria degli
altri soggetti passivi dell’imposta sui redditi delle società (IRES). Sotto un
altro profilo, perché non perseguirebbe una finalità solidaristica e
redistributiva.
Né tali profili d’illegittimità potrebbero
essere esclusi in forza della sola natura transitoria della misura impositiva
oggetto di doglianza.
Risulterebbe, inoltre, violato l’art. 77,
secondo comma, Cost., per difetto dei requisiti di necessità e d’urgenza.
La norma denunciata sarebbe, infatti,
funzionale alla copertura finanziaria del minore gettito fiscale derivante
dall’abolizione della seconda rata dell’imposta municipale propria (IMU) per il
2013, che è stata, tuttavia, disposta dall’art. 1, comma 1, del medesimo d.l. n. 133 del 2013 al fine di attuare una scelta politica
del Governo: l’«addizionale» risponderebbe, pertanto, a una necessità che non
preesisteva alla decretazione d’urgenza, essendo stata determinata
contestualmente dal Governo stesso.
2.– Anche la Commissione tributaria di secondo
grado di Trento solleva, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del d.l.
n. 133 del 2013.
Secondo il giudice rimettente – le cui
argomentazioni sono in larga misura analoghe a quelle addotte dalla CTR
piemontese – la disposizione censurata recherebbe un vulnus agli evocati
parametri costituzionali perché avrebbe introdotto una misura impositiva a
carico di una circoscritta platea di imprese prive, tuttavia, di una capacità
contributiva maggiore di quella manifestata, a parità di reddito, dalle altre
imprese tenute al pagamento dell’IRES.
3.– Le due ordinanze di
rimessione sollevano questioni parzialmente coincidenti e aventi ad oggetto la
stessa norma, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con
unica decisione.
4.– In entrambi i
giudizi, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito preliminarmente
l’inammissibilità delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 53
Cost. per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.
L’eccezione – basata
sull’apoditticità dell’argomento secondo cui la natura transitoria
dell’«addizionale» non sarebbe da sola idonea a «sanare» la dedotta violazione
dei parametri costituzionali sopra menzionati – non è fondata.
I giudici a quibus si sono soffermati criticamente sulla
discriminazione derivante dalla disciplina posta dall’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, sostenendo che essa sarebbe
irragionevole, in primo luogo, perché le imprese incise dall’«addizionale» non
avrebbero una capacità contributiva maggiore di quella propria delle altre
imprese soggette all’IRES. Le imprese destinatarie dall’aggravio fiscale non
sarebbero, difatti, «economicamente più forti» di quelle che operano in diversi
settori produttivi, non potendosi ritenere a tal fine sufficiente la
circostanza che le prime siano sottoposte a vigilanza pubblica.
L’irragionevolezza del
differente trattamento impositivo censurato sarebbe peraltro apprezzabile,
secondo la CTR del Piemonte, anche sotto un altro profilo: il rilievo che precede,
valutato unitamente alla considerazione per cui dell’abolizione della seconda
rata dell’imposta municipale propria (IMU) avrebbero beneficiato «tutti i
proprietari» di «determinati immobili», a prescindere dunque dal reddito da
essi prodotto, non consentirebbe di ritenere che la disposizione denunciata
realizzi finalità solidaristiche e redistributive.
Alla luce delle
argomentazioni appena illustrate, le questioni sollevate superano il vaglio di
ammissibilità, dal momento che il giudizio negativo espresso dai giudici a quibus circa la compatibilità tra l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 e gli artt. 3 e 53 Cost. è stato
motivato in maniera compiuta e idonea a sorreggere autonomamente le censure
prospettate.
Deve, pertanto, essere
riservato al merito il vaglio in ordine alla eventuale idoneità della natura
temporanea dell’«addizionale» oggetto dell’odierno scrutinio a escludere la
dedotta compromissione dei testé citati parametri
costituzionali.
4.1.– È del pari non
fondata l’ulteriore eccezione di inammissibilità, formulata con specifico
riferimento alla questione sollevata dalla Commissione trentina, alla quale
l’Avvocatura generale addebita la contraddittorietà della motivazione in punto
di non manifesta infondatezza.
Secondo la difesa
statale, le ragioni – in sostanza ravvisate nella crisi economica che ha mosso
il legislatore ad abolire la seconda rata dell’IMU e nello scopo di reperire
risorse finanziarie per coprire il conseguente minore gettito – che hanno
condotto il giudice rimettente a ritenere manifestamente infondate le questioni
sollevate dalla parte ricorrente nel giudizio a quo in riferimento agli artt.
41, 42 e 77 Cost. sarebbero altresì idonee a escludere la violazione degli
artt. 3 e 53 Cost.
A siffatto rilievo è
tuttavia agevole replicare che la finalità di fronteggiare la congiuntura
economica negativa in cui versava il Paese e la connessa esigenza di copertura
finanziaria evidentemente non sono di per sé sufficienti a dar conto, in
particolare, della maggiore capacità contributiva delle imprese alle quali è
applicabile la norma denunciata, sulla cui assenza si incentra invece il primo
profilo della censura inerente alla lesione degli artt. 3 e 53 Cost.
Non sussiste, pertanto,
l’eccepita contraddittorietà.
5.– Nel merito, occorre
prendere le mosse dalla questione sollevata dalla CTR piemontese in riferimento
all’art. 77, secondo comma, Cost.
Essa ha, infatti,
carattere pregiudiziale, giacché investe lo stesso corretto esercizio della
funzione normativa primaria, con la conseguenza che la sua eventuale fondatezza
rimuoverebbe il contenuto precettivo della norma e comporterebbe l’assorbimento
delle censure formulate in riferimento agli ulteriori parametri costituzionali
evocati (ex plurimis, sentenze n. 16 del
2017, n. 186
e n. 154 del
2015).
5.1.– La questione non
è fondata.
5.2.– Come dianzi detto, il vulnus recato all’art. 77, secondo comma,
Cost. si apprezzerebbe, segnatamente, sotto il
profilo del difetto dei requisiti della necessità e dell’urgenza, che sarebbero
nella specie insussistenti in quanto la situazione straordinaria cui fare
fronte mediante la norma denunciata non preesisteva alla decretazione
d’urgenza, essendo stata contestualmente provocata dal legislatore stesso al
fine di realizzare una propria scelta politica.
La tesi del giudice a quo si basa, più in
particolare, sulla considerazione per cui la necessità che ha mosso il Governo
a introdurre, con l’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133
del 2013, l’«addizionale» censurata è rappresentata dall’esigenza di copertura
finanziaria della diminuzione del gettito derivante dall’esenzione – disposta
dal precedente art. 1, comma 1, del medesimo decreto-legge in relazione a una
pluralità di immobili – dal pagamento della seconda rata dell’IMU per il 2013.
La medesima decretazione di urgenza sarebbe stata quindi l’origine dei propri
presupposti di straordinaria necessità e urgenza più che la tempestiva risposta
ad essi.
5.3.– Così delineati i confini entro cui si
muove, con riguardo al parametro in esame, l’odierno scrutinio di legittimità
costituzionale, occorre osservare che non erra la Commissione rimettente nel
rilevare che la disposizione sospettata mira a soddisfare il fabbisogno
finanziario generato dalla disciplina dettata dal citato art. 1, comma 1, del d.l. n. 133 del 2013.
Tanto emerge chiaramente da quanto disposto
dal successivo art. 8 del d.l. n. 133 del 2013,
rubricato per l’appunto «[c]opertura finanziaria», a
mente del quale «[a]gli oneri derivanti dagli articoli 1 e 2 […] si provvede mediante
utilizzo delle maggiori entrate derivanti dal medesimo articolo 2».
5.4.– Benché sia corretta la premessa da cui
muove la CTR piemontese, non è altrettanto condivisibile la conseguenza che
essa ne trae in ordine alla dedotta violazione dell’art. 77, secondo comma,
Cost. La finalità della norma sospettata, infatti, conduce, al contrario, a
escludere che nella fattispecie ricorra un’ipotesi di evidente mancanza dei
presupposti di straordinaria necessità e urgenza, cui la costante
giurisprudenza di questa Corte circoscrive il proprio sindacato sulla
legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge (ex plurimis, sentenza n. 97 del
2019).
Al riguardo, va anzitutto osservato che è pur
vero che la giurisprudenza costituzionale ha in diverse occasioni affermato che
la preesistenza di una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza
di provvedere costituisce un requisito di validità dell’adozione del
decreto-legge.
Tuttavia, il riferimento alla preesistenza –
sulla cui carenza si incentra la doglianza del giudice a quo – del caso
straordinario di necessità e d’urgenza è frutto della evidente constatazione
che questo rappresenta un presupposto della decretazione d’urgenza, di talché,
sul piano logico, non può, di norma, succederle. Da tale considerazione non si
può, però, inferire, contrariamente a quanto ritenuto dal rimettente, un
generale corollario per cui la situazione posta a
fondamento del decreto-legge dovrebbe indefettibilmente precedere l’intervento
normativo urgente.
È paradigmatica, in tal senso, la fattispecie
oggetto del presente incidente di legittimità costituzionale.
L’esigenza che il censurato art. 2, comma 2,
del d.l. n. 133 del 2013 mira a soddisfare è difatti
preordinata, come poc’anzi chiarito, al rispetto del principio di copertura
finanziaria posto dall’art. 81, terzo comma, Cost.
È pertanto palese – benché detta esigenza non
preesistesse alla decretazione d’urgenza – la necessità di inserire la norma
nel decreto-legge in parola unitamente alle disposizioni che, abolendo la
seconda rata dell’IMU, hanno determinato minori entrate e nuove spese a carico
del bilancio dello Stato: il legislatore, altrimenti, sarebbe venuto meno
all’obbligo di indicare la relativa fonte di copertura.
Nell’ottica del giudice a quo,
paradossalmente, si dovrebbe giungere a ritenere che non sia mai consentito, in
sede di decretazione d’urgenza, adottare norme che comportino nuove spese e/o
minori entrate, poiché il Governo non potrebbe mai rispettare il dettato
costituzionale provvedendo contestualmente a reperirne la relativa copertura
finanziaria. Ma una siffatta conclusione si pone in contrasto con la
giurisprudenza di questa Corte, che ha, al contrario, precisato che l’obbligo,
imposto dall’art. 81 Cost., di darsi carico delle conseguenze finanziarie delle
leggi – se di regola grava sul Parlamento, istituzionalmente preposto
all’esercizio della funzione legislativa – «grava invece sul Governo, allorché,
ricorrendo i presupposti di cui all’art. 77 Cost., si faccia esso stesso legislatore,
sostituendosi in via di urgenza alle Camere nella forma del decreto-legge» (sentenza n. 226 del
1976).
5.5.– In questa prospettiva, l’attenzione va
dunque rivolta, tenuto conto della lumeggiata interdipendenza funzionale tra la
disposizione censurata e quella di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 133 del 2013, anche alle finalità da quest’ultima
perseguite.
A tal proposito, giova innanzitutto osservare,
in linea generale, che il suddetto art. 1, comma 1, nell’abolire la seconda
rata dell’IMU per il 2013, è coerente con il titolo del decreto-legge n. 133
del 2013, il quale reca «[d]isposizioni urgenti
concernenti l’IMU, l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia», e
con il successivo preambolo, che fa riferimento, tra l’altro, alla «straordinaria
necessità ed urgenza di provvedere in materia di pagamento dell’imposta
municipale propria […]».
Tanto premesso, va rilevato che l’abolizione
disposta dalla norma in parola risponde anche all’intento – che, diversamente
da quanto dedotto dalla contribuente nella memoria illustrativa, emerge dai
lavori preparatori al disegno di conversione in legge del d.l.
(e in particolare dall’audizione del Ministro dell’economia e delle finanze
nella seduta del 13 dicembre 2013 dinanzi alla Commissione finanze e tesoro del
Senato della Repubblica) – di affrontare la «difficile fase congiunturale»
apprestando un rimedio funzionale soprattutto a sostenere i soggetti ritenuti
in maggiore difficoltà.
La scelta adottata dal legislatore si pone
dunque in armonia con i presupposti e le finalità del decreto-legge in esame,
ove si rifletta sul fatto che essa si è tradotta nella eliminazione di un
obbligo tributario posto a carico di una diffusa platea di contribuenti e il
cui adempimento avrebbe acuito le difficoltà derivanti da una situazione di
crisi economica a carattere sistemico. Milita in tal senso anche l’ulteriore
considerazione per cui, allorché è stato adottato il decreto-legge in discorso,
la scadenza per il pagamento della seconda rata dell’IMU era ormai imminente e
si rendeva, pertanto, pressante l’esigenza di intervenire prontamente.
Lo specifico contesto in cui la disposizione è
stata dettata consente quindi di escludere, alla stregua del consolidato
orientamento di questa Corte, che nella specie possa ritenersi con evidenza
insussistente il presupposto della straordinaria necessità e urgenza di
provvedere (ex plurimis, sentenze n. 33 del
2019, n. 137
del 2018 e n.
236 del 2017).
Né tali conclusioni
possono essere contraddette dalla circostanza – sottolineata dalla ricorrente
nel giudizio a quo – per cui l’inizio della congiuntura economica negativa
risalirebbe al 2008, sicché nel 2013 essa sarebbe ormai divenuta «ordinaria»:
proprio la persistenza di tale congiuntura sfavorevole (di cui peraltro ha dato
sostanzialmente conto anche la stessa parte privata nelle sue difese) concorre
difatti a integrare i presupposti fattuali del provvedimento normativo
d’urgenza.
Mette conto, infine, evidenziare che non
contrasta con quanto affermato la dedotta riconducibilità dell’abolizione
dell’IMU a una «scelta politica» rientrante nel programma di Governo. Va,
infatti, precisato, da un lato, che l’abrogazione dell’IMU sull’abitazione
principale è stata disposta, a regime, con un altro provvedimento normativo,
ovvero con la legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità
2014)», e che, con il decreto-legge n. 133 del 2013 è stato eliminato soltanto
l’obbligo di versamento della seconda rata per il 2013; dall’altro, che,
ricorrendone i presupposti, il programma di Governo ben può essere attuato
anche mediante la decretazione d’urgenza.
5.6.– In forza delle ragioni sopra illustrate,
si deve escludere che si sia al cospetto di una evidente carenza dei requisiti
di necessità e d’urgenza; ciò consente di superare, in relazione al parametro
evocato, anche il rilievo, addotto dalla parte privata al fine di sottolineare
la gravità delle conseguenze della prospettata violazione, sulla compressione
del dibattito dovuta alla questione di fiducia posta dal Governo in sede di
conversione in legge del d.l. (sentenza n. 251 del
2014).
6.– I giudici a quibus
ritengono che la norma denunciata violi anche gli artt. 3 e 53 Cost.,
innanzitutto perché riserverebbe un diverso trattamento impositivo a situazioni
che manifestano la medesima capacità contributiva: le imprese incise
dall’«addizionale» non sarebbero, infatti, dotate di una ricchezza maggiore
delle altre imprese egualmente soggette all’IRES ma escluse dal pesante
aggravio fiscale. Essi evidenziano, al riguardo, che non solo il Governo non
avrebbe effettuato «analisi […] empiriche» dalle quali dedurre che i soggetti
colpiti dall’«addizionale» siano «economicamente più forti» degli altri, ma anche
che la sottoposizione a vigilanza pubblica non potrebbe essere ritenuta, in sé
stessa, sintomatica di una maggiore capacità contributiva. La norma impugnata,
pertanto, determinerebbe una irragionevole discriminazione qualitativa dei
redditi rispetto alla generalità degli altri soggetti passivi dell’IRES.
I rimettenti contestano poi che la
disposizione censurata sia ascrivibile a una finalità solidaristica e
redistributiva perché dell’abolizione generalizzata della seconda rata dell’IMU
avrebbero beneficiato tutti i contribuenti interessati a prescindere dal
reddito da essi posseduto.
6.1.– Le questioni non
sono fondate.
6.2.– Le censure formulate
dai giudici rimettenti rendono tuttavia opportuno precisare preliminarmente la
cornice costituzionale nell’ambito della quale si inserisce l’oggetto del
presente giudizio.
Al riguardo, occorre
osservare che nella Costituzione il dovere tributario, inteso come concorso
alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, è
qualificabile come dovere inderogabile di solidarietà non solo perché il
prelievo fiscale è essenziale – come ritenevano risalenti concezioni che lo
esaurivano nel paradigma dei doveri di soggezione – alla vita dello Stato, ma
soprattutto in quanto esso è preordinato al finanziamento del sistema dei
diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per
divenire effettivi: sia quelli sociali – come, ad esempio, la tutela della
salute, che peraltro deve essere assicurata gratuitamente agli indigenti (art.
32, primo comma, Cost.) – sia gran parte di quelli civili (si pensi alla spesa
necessaria per l’amministrazione della giustizia, che è funzionale a garantire
anche tali diritti).
È infatti da tale
legame, anche in forza della funzione redistributiva dell’imposizione fiscale e
del nesso funzionale con l’art. 3, secondo comma, Cost., che discende la
riconducibilità del dovere tributario al crisma dell’inderogabilità di cui
all’art. 2 Cost., che rende, oltretutto, di immediata evidenza come il
disattenderlo rechi pregiudizio non a risalenti paradigmi ma in particolare al
suddetto sistema dei diritti.
Tale qualifica,
tuttavia, dato il contesto sistematico in cui si colloca, si giustifica solo
nella misura in cui il sistema tributario rimanga saldamente ancorato al
complesso dei principi e dei relativi bilanciamenti che la Costituzione prevede
e consente, tra cui, appunto, il rispetto del principio di capacità
contributiva (art. 53 Cost.).
Sicché quando il
legislatore disattende tali condizioni, si allontana dalle altissime ragioni di
civiltà giuridica che fondano il dovere tributario: in queste ipotesi si
determina un’alterazione del rapporto tributario, con gravi conseguenze in
termini di disorientamento non solo dello stesso sviluppo dell’ordinamento, ma
anche del relativo contesto sociale.
6.3.– Occorre, quindi,
considerare che le censure dei rimettenti si inquadrano nell’ambito delle
cosiddette discriminazioni qualitative dei redditi, uno dei temi più sensibili
del diritto costituzionale tributario: infatti, sebbene il legislatore goda, in
astratto, di ampia discrezionalità, pur con il limite della non arbitrarietà,
nell’identificare gli indici di capacità contributiva, questa discrezionalità
si riduce laddove sul piano comparativo vengano in evidenza, in concreto, altre
situazioni in cui lo stesso legislatore, in difetto di coerenza nell’esercizio
della stessa, ha effettuato scelte impositive differenziate a parità di
presupposti.
In questi casi,
infatti, viene in causa il principio dell’eguaglianza tributaria, desumibile
dal combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., che nella giurisprudenza di
questa Corte è stato all’origine di alcune tra le più significative pronunce di
incostituzionalità in materia tributaria, tra le quali la sentenza n. 10 del
2015, secondo cui «ogni diversificazione del regime tributario, per aree
economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate
giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in
arbitraria discriminazione» (sostanzialmente nello stesso senso, sentenze n. 104 del
1985, relativa agli emolumenti arretrati per lavoro dipendente, e n. 42 del
1980, in tema di imposta locale sui redditi).
6.4.– Tale impostazione
va qui ribadita e pertanto questa Corte è chiamata a verificare se esistano
adeguate giustificazioni a fondamento dell’imposta introdotta con l’art. 2,
comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, che, in via straordinaria
e temporanea, ha incrementato il prelievo fiscale a carico di un’unica,
ristretta, cerchia di soggetti.
6.5.– La risposta a
tale interrogativo, alla luce delle considerazioni che seguono, è positiva, con
la conseguente infondatezza delle censure prospettate dai giudici rimettenti in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
6.5.1.– Innanzitutto, è opportuno precisare
che, nonostante sia stata espressamente qualificata dal legislatore come
«addizionale», la suddetta imposta appare, più correttamente, riconducibile al
novero delle "sovraimposte”: a fronte dell’identità del parametro (il reddito)
con il tributo principale IRES, il prelievo è a carico solo di determinati
soggetti passivi e su una base imponibile in parte differenziata da quella
dell’IRES stessa.
Infatti, il censurato art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, se dispone, al primo periodo, che
«l’aliquota di cui all’articolo 77 del testo unico delle imposte sui redditi,
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è
applicata con una addizionale» di 8,5 punti percentuali», tuttavia, al secondo
periodo precisa che «[l]’addizionale non è dovuta sulle variazioni in aumento
derivanti dall’applicazione dell’articolo 106, comma 3, del suddetto testo
unico».
Viene così disattivata, ai fini del calcolo
della base imponibile della nuova imposta, la "variazione in aumento” derivante
dall’applicazione dell’art. 106, comma 3, del citato decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante «Approvazione del testo
unico delle imposte sui redditi» (TUIR). Norma, questa, che detta, al fine
della determinazione dell’imponibile IRES, una disciplina speciale per gli enti
creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87
(Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE relativa ai conti annuali ed ai conti
consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e della direttiva
n. 89/117/CEE relativa agli obblighi in materia di pubblicità dei documenti
contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed
istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro), in seguito
estesa, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 16, comma 9, del decreto
legislativo 26 maggio 1997, n. 173 (Attuazione della direttiva 91/674/CEE in
materia di conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione), anche
alle imprese di assicurazione.
Tale disciplina speciale prevede in sostanza
che le perdite e le svalutazioni dei crediti verso la clientela, benché in
astratto interamente deducibili alla sola condizione della loro iscrizione in
bilancio a tale titolo, in concreto lo divengano in una misura estremamente
diluita per singolo periodo d’imposta, determinando pertanto una (spesso)
significativa variazione in aumento del risultato del bilancio civilistico e,
quindi, del reddito imponibile ai fini dell’IRES.
In conseguenza della disattivazione di tale
clausola, la nuova imposta è stata dunque originariamente introdotta su una
base imponibile notevolmente ridotta rispetto a quella ordinaria dell’IRES: da
questo punto di vista, non è corretto l’assunto dei giudici a quibus secondo cui l’aliquota dell’IRES sarebbe stata
necessariamente elevata al 36 per cento, per l’effetto congiunto
dell’imposizione ordinaria (nella misura del 27,5 per cento) e di quella
straordinaria (nella misura dell’8,5 per cento).
6.5.2.– La descritta regola di determinazione
della base imponibile non è, tuttavia, idonea, di per sé, a giustificare
l’imposta censurata; essa, piuttosto, assume rilevanza in una diversa ottica,
all’interno della quale viene in causa il complessivo intervento fiscale
disposto dal legislatore, considerato anche nel suo precipuo contesto
temporale, che è quello di una pesante crisi che ha colpito tutti i settori
economici.
A questo riguardo, non appare in sé
censurabile, rimanendo nei limiti che si preciseranno di seguito, che il
legislatore abbia assunto come presupposto dell’imposizione l’appartenenza dei
soggetti passivi della nuova imposta al mercato finanziario (cui questi sono
evidentemente riconducibili), ravvisandovi uno specifico indice di capacità
contributiva.
In proposito, l’Avvocatura generale dello
Stato ha osservato che in tale mercato: a) «sussistono "barriere all’entrata”,
nel senso che le relative imprese possono essere esercitate solo dopo aver
ottenuto specifiche autorizzazioni dalle autorità di vigilanza, basate
sull’accertamento della stabilità patrimoniale e finanziaria delle imprese
interessate»; b) di conseguenza, si determina «una concorrenza che, per quanto
ampia, è limitata ai soli operatori parimenti autorizzati»; c) «il carattere
pressoché necessitato [dei] servizi bancari, assicurativi, finanziari»
favorisce il determinarsi di domanda sostanzialmente «anelastica rispetto alla
curva dei prezzi».
Sarebbe questo – sempre secondo l’Avvocatura –
il significato da attribuire al «riferimento alla soggezione alla vigilanza
pubblica dei settori bancario, finanziario, assicurativo che si rinviene nei
lavori preparatori del decreto-legge».
In effetti è difficilmente dubitabile che il
mercato finanziario presenti caratteristiche peculiari rispetto a quello
industriale. Si tratta, infatti, di un mercato che, in forza delle descritte
barriere strutturali, assume connotati di tipo oligopolistico, con la conseguenza
che le imprese in esso operanti dispongono di un significativo potere di
mercato, derivante anche da un certo grado (variabile in relazione ai servizi e
ai settori) di anelasticità della domanda.
Non è pertanto implausibile che il
legislatore, nell’ambito di un periodo di crisi e nella comparazione con il
mercato industriale, abbia desunto dall’appartenenza al mercato finanziario uno
specifico e autonomo indice di capacità contributiva, rilevante ai fini di un
temporaneo intervento anticongiunturale.
D’altra parte, su un piano più generale,
questa Corte già in altre occasioni ha giudicato infondate, in presenza di
oggettive giustificazioni, censure riferite a tributi istituiti solo per alcuni
soggetti passivi all’interno di una determinata categoria: nella sentenza n. 201 del
2014 ha ritenuto, infatti, che non fosse ingiustificata la limitazione al
solo «settore finanziario» della platea dei soggetti passivi sottoposti al
prelievo «addizionale» sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options;
in senso analogo, nella sentenza n. 269 del
2017 si è affermato che «non è irragionevole che le spese di funzionamento
dell’autorità preposta al corretto funzionamento del mercato [AGCM] gravino
sulle imprese caratterizzate da una presenza significativa nei mercati di
riferimento [con fatturato superiore a 50 milioni di euro] e dotate di
considerevole capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività
economiche».
Nei termini appena illustrati l’imposta
censurata supera quindi il vaglio della connessione razionale: del resto in un
contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e
multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non
necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il
patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di
capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica.
6.5.3.– Tanto chiarito, occorre, tuttavia,
ulteriormente precisare che il legislatore, quando assume un determinato
presupposto, economicamente valutabile, quale indice di una nuova capacità
contributiva in riferimento solo a determinati soggetti, rimane sottoposto al
vincolo della non arbitrarietà con riguardo alla misura della imposizione, che
deve risultare proporzionata al presupposto stesso. Ciò vale soprattutto
quando, come nel caso di specie, non si può certo ritenere che lo stesso
mercato finanziario, nonostante le sue caratteristiche strutturali, non sia
stato, a sua volta, colpito dalla crisi, come del resto documentato dalle parti
private.
Al riguardo, non può peraltro essere condivisa
la giustificazione, adombrata dalla difesa dello Stato, per cui nel mercato
finanziario è possibile «traslare» sulla clientela i costi fiscali dei relativi
servizi: la traslazione delle imposte dirette, infatti, finisce per colpire una
capacità contributiva diversa da quella del soggetto passivo dell’imposta,
rendendo del tutto aleatoria la verifica dell’idoneità alla contribuzione dei
soggetti terzi che subiscono la traslazione. Spesso, peraltro, soprattutto in
presenza di servizi necessitati, proprio per effetto della traslazione si
determina anche un effetto regressivo dell’imposizione diretta, la cui
compatibilità con l’art. 53 Cost. potrebbe essere tutt’altro che scontata.
È un altro, quindi, il piano sul quale deve
svilupparsi il sindacato di costituzionalità.
Da tale punto di vista, è utile ricordare che
nella sentenza
n. 21 del 2005 questa Corte, se da un lato ha affermato che la previsione
di aliquote differenziate per settori produttivi rientra nella discrezionalità
del legislatore (sempre che sia sostenuta da non irragionevoli motivi di
politica redistributiva), ha poi però chiaramente precisato, dall’altro, che
«[l]’aumento provvisorio e calibrato delle aliquote [IRAP] per i settori
bancario, finanziario e assicurativo» risultava giustificato dalla specifica
esigenza di neutralizzare il minore impatto dell’allora nuovo tributo proprio
sui suddetti settori: è pertanto all’interno della considerazione di una
revisione di sistema che si è sviluppata la verifica della non arbitrarietà
della misura dell’imposizione.
6.5.4.– Anche nel presente giudizio è quindi
necessario considerare l’insieme degli interventi legislativi che hanno
complessivamente accompagnato quello censurato, il quale deve essere collocato
nel contesto di una riforma (anch’essa, per certi versi, di carattere
sistemico) che ha prodotto significativi effetti compensativi in riferimento ai
soggetti passivi della nuova imposta.
In proposito, va rilevato non solo che l’art.
2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013 ha, come si è
visto, disattivato, ai fini del calcolo della base imponibile della nuova
imposta, la variazione in aumento di cui all’art. 106, comma 3, del TUIR, ma
anche che l’art. 1, comma 160, lettera c), numero 1, della legge n. 147 del
2013, approvata prima della conversione del suddetto decreto-legge, è
intervenuto sulla medesima disposizione appena citata, in relazione però
all’imposizione ordinaria IRES, modificandola nei seguenti termini: «[p]er gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto
legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni e le perdite su crediti
verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo, diverse da quelle
realizzate mediante cessione a titolo oneroso, sono deducibili in quote
costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi. Le
perdite su crediti realizzate mediante cessione a titolo oneroso sono
deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio. Ai
fini del presente comma le svalutazioni e le perdite deducibili in quinti si
assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio».
Analoga deducibilità è stata introdotta, inoltre, ai fini dell’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP).
Si tratta di modifiche che, con effetto già a
far data dello stesso anno d’imposta 2013 (ferma l’applicazione delle
previgenti disposizioni fiscali alle rettifiche di valore iscritte in bilancio
nei periodi d’imposta precedenti), hanno pertanto: a) considerevolmente
attenuato l’impatto della variazione in aumento; b) ridotto la prociclicità del sistema fiscale, consentendo la deduzione
di importi maggiori in fasi congiunturali avverse; c) generalmente alleviato
l’entità della tassazione sui soggetti del mercato finanziario, in periodi di
perdite elevate (anche se queste ultime hanno normalmente una incidenza
maggiore per il settore bancario rispetto a quello assicurativo).
In tal modo, il legislatore ha dimostrato di
venire incontro a una puntuale esigenza degli specifici settori finanziario,
creditizio e assicurativo, in conseguenza della crisi economica.
6.5.5.– Proprio la indicata specificità del
regime normativo dei suddetti settori produttivi rende evidente che questi non
possono essere confrontati con altri settori, con i quali abbiano in comune
solo la caratteristica, di per sé ininfluente, di collocarsi in un mercato
vigilato. Vanno perciò disattese le osservazioni della Online SIM spa che – nel
denunciare l’ingiustificata disparità di trattamento tra i soggetti passivi
della censurata "addizionale” rispetto a quelli dell’IRES appartenenti ai
settori della distribuzione dell’energia elettrica e del gas, nonché del
trasporto ferroviario o aereo – pone a raffronto termini eterogenei.
6.5.6.− Così
individuato il presupposto della denunciata «addizionale», occorre
conseguentemente escludere, da un lato, che detto prelievo abbia natura di
imposta sugli extra-profitti (ipotesi prospettata, sia pure per negarla, negli
scritti difensivi delle parti); dall’altro, che esso intenda colpire (come
invece erroneamente adombrato dall’Avvocatura generale) la «elevata liquidità
"a breve”» di cui disporrebbero i soggetti operanti nei settori creditizi,
finanziari e assicurativi.
Sotto il primo aspetto, è qui sufficiente
rilevare che la nuova imposta si applica sull’intero reddito – determinato nei
termini già illustrati – e non solo sulla parte ascrivibile a ipotetiche forme
di extra-profitto. Del resto, non solo manca qualsiasi indice normativo a
sostegno della tesi in oggetto, ma né il legislatore storico (come si evince
dai lavori parlamentari preparatori), né i rimettenti, né l’Avvocatura hanno
mai affermato che l’«addizionale» ha natura di imposta sugli extra-profitti.
Sotto il secondo aspetto, occorre anche qui
osservare che l’«addizionale» non è commisurata alle riserve di liquidità, le
quali, tra l’altro, sono legislativamente richieste dalla normativa di settore
e sottoposte a vigilanza e quindi ben difficilmente esse potrebbero essere
considerate, ai fini dell’IRES, un idoneo, nuovo, indice di capacità
contributiva.
6.5.7.– È solo dopo la premessa di tali
considerazioni che può venire in rilievo, all’interno della complessiva
valutazione del contesto in cui si inserisce la nuova imposta, anche il
carattere della sua transitorietà.
Di per sé, infatti, la temporaneità
dell’imposizione non costituisce un argomento sufficiente a fornire
giustificazione a un’imposta, che potrebbe comunque risultare disarticolata dai
principi costituzionali, con le gravi conseguenze sopra prefigurate in chiusura
del punto 6.2.
Tuttavia, essa assume, nel caso oggetto del
presente giudizio, un senso come argomento aggiuntivo rispetto alla valutazione
sistematica appena svolta, dal momento che dimostra come a fronte di una
attenuazione dell’imposizione ordinaria IRES e IRAP, solo per l’anno 2013 è
stato disposto, attraverso il nuovo tributo, un aggravio del prelievo.
6.5.8.– In virtù di questi elementi – che
contestualizzano, ridimensionandone l’impatto, l’intervento fiscale censurato –
si può quindi concludere che il legislatore non ha travalicato il limite
dell’arbitrarietà dell’imposizione.
7.– L’introduzione dell’imposta censurata, del
resto, è stata finalizzata a fornire copertura, per l’anno 2013, a una
operazione redistributiva diretta ad alleggerire contingentemente, in un
periodo di difficile e critica congiuntura economica, il carico fiscale
incombente soprattutto sui residenti per effetto dell’obbligo di pagamento
della seconda rata dell’IMU, ovvero di una imposta di tipo patrimoniale
gravante principalmente sull’abitazione principale, destinata quindi a essere
assolta con una liquidità normalmente non ricavabile dal cespite colpito
dall’imposizione.
A prescindere da ogni considerazione sulla
significativa destrutturazione del livello di finanza autonoma cui ha poi
condotto la definitiva abolizione dell’IMU sull’abitazione principale, si può
dunque concludere che il bilanciamento operato dal legislatore possa essere
considerato, da questo punto di vista, non irragionevole.
Non contraddice tale conclusione l’argomento
addotto dai giudici rimettenti e rimarcato dalle parti costituite, secondo cui
dovrebbe escludersi ogni connotazione solidaristica dall’intervento fiscale
censurato poiché dall’abolizione della seconda rata dell’IMU avrebbero tratto
beneficio, malgrado l’esclusione degli immobili "di lusso”, anche contribuenti
con un reddito elevato.
In ogni caso, infatti, il suddetto intervento
del legislatore ha comportato uno spostamento della fiscalità dall’imposizione
immobiliare sulle persone fisiche a quella reddituale su determinate persone
giuridiche, avvantaggiando comunque anche le famiglie meno abbienti colpite
dalla difficile fase congiunturale, con un innegabile, per quanto parziale,
effetto redistributivo e solidaristico.
Per Questi
Motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondate
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del
decreto-legge 30 novembre 2013, n. 133 (Disposizioni urgenti concernenti l’IMU,
l’alienazione di immobili pubblici e la Banca d’Italia), convertito, con
modificazioni, nella legge 29 gennaio 2014, n. 5, sollevate, in riferimento
agli artt. 3, 53 e 77, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione
tributaria regionale del Piemonte con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, del d.l. n. 133 del 2013, come convertito, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria di secondo
grado di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre
2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Luca ANTONINI,
Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 23 dicembre 2019.