ORDINANZA N. 332
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità della sentenza di proscioglimento), promosso con ordinanza del 20 aprile 2006 del Tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di A. G., iscritta al n. 667 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 25 giugno 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Perugia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui prevede che sia dichiarato inammissibile l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, avverso la sentenza di proscioglimento del giudice di pace, anche «nel caso in cui, a seguito della rinnovazione del dibattimento disposta prima di tale entrata in vigore, sia stata acquisita o comunque scoperta, così da poter essere acquisita, una prova nuova e decisiva»;
che il giudice a quo premette di essere investito degli appelli, proposti dal pubblico ministero e dalla parte civile, avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di pace di Perugia, nei confronti di una persona imputata del reato di diffamazione;
che, in accoglimento della richiesta della parte civile appellante, era stata disposta la parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nel corso della quale si era proceduto al nuovo esame di due testi già escussi in primo grado; esame al cui esito era stata ordinata l'acquisizione di un documento e la citazione di un ulteriore testimone, mai sentito in precedenza, indicato da uno testi suddetti come persona «presumibilmente» presente in occasione del fatto oggetto di giudizio;
che, nelle more del giudizio e prima dell'escussione del nuovo teste, era entrata in vigore la legge n. 46 del 2006, il cui art. 1 ha sostituito l'art. 593 del codice di procedura penale, precludendo l'appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento, con la sola eccezione prevista dal comma 2 dello stesso art. 593: quella, cioè, della sopravvenienza o della scoperta di nuove prove decisive dopo il giudizio di primo grado;
che, inoltre, con specifico riferimento al procedimento davanti al giudice di pace, l'art. 9 della legge n. 46 del 2006 ha modificato l'art. 36 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sopprimendo la facoltà, già accordata al pubblico ministero, di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa;
che l'art. 10 della legge di riforma ha stabilito, altresì, che la nuova disciplina si applichi anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore; ed ha previsto, nel comma 2, che gli appelli anteriormente proposti dal pubblico ministero o dall'imputato siano dichiarati inammissibili con ordinanza non impugnabile, salva la facoltà della parte appellante di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado, nel termine di quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilità;
che, ad avviso del rimettente - stando al «tenore letterale» della norma ora ricordata - la dichiarazione di inammissibilità degli appelli pendenti dovrebbe aver luogo in tutti i casi, senza alcuna eccezione; e, tuttavia, detta declaratoria sarebbe palesemente irrazionale con riferimento a quegli appelli che risultassero ammissibili in base alla normativa "a regime";
che si imporrebbe, pertanto, una interpretazione «adeguatrice» - già prospettata, del resto, in dottrina e nella giurisprudenza di merito - la quale faccia salvi gli appelli, anteriormente proposti, con i quali sia stata dedotta una prova nuova e decisiva;
che, ove si acceda a tale interpretazione, non vi sarebbe ragione per trattare diversamente il caso in cui, nella fase del giudizio di appello svoltasi prima dell'entrata in vigore della nuova legge, sia stata già raccolta o comunque individuata, a seguito di rinnovazione del dibattimento, una prova nuova che appaia altresì decisiva;
che, ad avviso del giudice a quo, l'ipotesi da ultimo indicata non potrebbe tuttavia trovare soluzione sul piano interpretativo, poiché «il parametro non è costituito in questo caso dal profilo strutturale dell'appello in precedenza proposto, profilo strutturale che [.] non potrebbe giustificare un trattamento diverso e deteriore»;
che, a fronte di ciò, la norma transitoria di cui all'art. 10, comma 2, della legge n. 46 del 2006 - nella parte cui stabilisce che l'appello sia dichiarato inammissibile anche nell'ipotesi considerata - si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., essendosi al cospetto di una situazione identica, nella sostanza, a quella dell'appello con il quale si deduca direttamente una prova nuova e decisiva;
che, anche in relazione al principio della ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost., risulterebbe dunque irrazionale che nella predetta situazione l'appello non debba seguire il suo corso: e ciò tanto più ove si consideri che, stando al disposto dell'art. 10 della legge n. 46 del 2006, il pubblico ministero non potrebbe neppure proporre un nuovo appello, con il quale far valere la nuova prova conosciuta o acquisita, essendogli consentito solo il ricorso per cassazione; donde la perdita, da parte dell'organo dell'accusa, di una facoltà che pure gli compete nella disciplina "a regime";
che, d'altro canto - anche a prescindere dal confronto con la normativa "a regime" - nell'ipotesi de qua la rinnovazione del dibattimento, seguita dalla concreta assunzione di prove o comunque dalla verifica dell'esistenza di nuove prove da raccogliere, risulterebbe inutilmente effettuata: con conseguente irrazionale dispersione di materiale probatorio legittimamente assunto o acquisibile, sulla base di un atto di appello a sua volta legittimamente proposto;
che le disarmonie dianzi evidenziate assumerebbero, peraltro, una particolare connotazione allorché si discuta - come nel giudizio a quo - dell'appello contro una sentenza del giudice di pace: e ciò avuto riguardo al ricordato disposto dell'art. 9 della legge n. 46 del 2006, che, modificando l'art. 36 del d.lgs. n. 274 del 2000, ha privato il pubblico ministero della facoltà - di cui precedentemente fruiva - di appellare le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa;
che - costituendo il citato art. 36 «lex specialis», prevalente, come tale, sulla disciplina generale di cui all'art. 593 cod. proc. pen. - non sarebbe possibile, difatti, «recuperare automaticamente sul piano interpretativo» la previsione di cui al comma 2 dello stesso art. 593, che ammette l'appello allorché venga dedotta una prova nuova e decisiva;
che la scelta legislativa di «modulare diversamente» i poteri di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace sarebbe comprensibile, in effetti, con riguardo alla disciplina "a regime"; ma, in rapporto alla disciplina transitoria, apparirebbe irragionevole che, a fronte di un appello originariamente ammissibile, si escluda la possibilità di valorizzare i risultati probatori già acquisiti prima dell'entrata in vigore della riforma nell'ambito della rinnovazione del dibattimento: e ciò anche quando, per tale via, sia stata raccolta o individuata una nuova prova decisiva;
che, su tale versante, la norma transitoria impugnata risulterebbe dunque «censurabile ex se», e non solo «nei limiti del suo confronto» con l'art. 593 cod. proc. pen., norma non applicabile alle sentenze di proscioglimento del giudice di pace;
che con riguardo, infine, alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che l'ulteriore testimone - del quale, nel caso di specie, è stata disposta l'escussione in sede di rinnovazione del dibattimento, prima dell'entrata in vigore della novella - costituisce una nuova fonte di prova, la cui scoperta è sopravvenuta alla conclusione del giudizio di primo grado; e che tale fonte di prova è, al tempo stesso, idonea a fornire un contributo decisivo ai fini dell'accertamento della sussistenza o meno del reato per cui si procede.
Considerato che il Tribunale di Perugia dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui prevede che l'appello proposto dal pubblico ministero, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, contro una sentenza di proscioglimento del giudice di pace, venga dichiarato inammissibile anche «nel caso in cui, a seguito della rinnovazione del dibattimento disposta prima di tale entrata in vigore, sia stata acquisita o comunque scoperta, così da poter essere acquisita, una prova nuova e decisiva»;
che, nel formulare il quesito di costituzionalità, il rimettente muove dal presupposto interpretativo per cui, nel procedimento davanti al giudice di pace, non sarebbe applicabile la previsione di cui all'art. 593, comma 2, codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006, che consente al pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento nel caso di sopravvenienza o di scoperta di nuove prove decisive dopo il giudizio di primo grado: e ciò in quanto, nel procedimento in questione, l'appello del pubblico ministero risulta autonomamente regolato dalla norma speciale - e, come tale, prevalente - di cui all'art. 36 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274; norma che, nel testo novellato dall'art. 9 della legge di riforma, esclude in assoluto la proponibilità del gravame;
che, alla stregua di tale non implausibile presupposto interpretativo - che implicherebbe un assetto normativo considerato dallo stesso giudice a quo non irragionevole, quanto alla disciplina "a regime" - il dubbio di costituzionalità, prospettato in riferimento alla disciplina transitoria, si palesa peraltro privo di consistenza;
che, per costante orientamento di questa Corte, difatti, il legislatore gode di ampia discrezionalità nel regolare gli effetti, nei processi in corso, di nuovi istituti o delle modificazioni apportate ad istituti già esistenti: discrezionalità il cui esercizio non è suscettibile di sindacato sul piano della legittimità costituzionale, col solo limite della manifesta irragionevolezza delle soluzioni adottate (ex plurimis, sentenze n. 219 del 2004 e n. 381 del 2001; ordinanza n. 455 del 2006);
che, nella specie, la scelta legislativa sottesa alla norma transitoria censurata, nella parte sottoposta a scrutinio - la scelta, cioè, di impedire la prosecuzione degli appelli (contro sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace) introdotti prima dell'entrata in vigore della riforma, anche quando fosse già stata acquisita o «individuata» una nuova prova decisiva, a seguito di rinnovazione del dibattimento - non può reputarsi manifestamente irragionevole: essa trova giustificazione, infatti, nell'intento di evitare che, nei processi in corso, l'imputato, già prosciolto in primo grado, possa essere condannato a seguito di un appello che - alla luce della premessa interpretativa dello stesso Tribunale rimettente - risulterebbe comunque inammissibile in base alla disciplina "a regime";
che del tutto insussistente appare, per altro verso, il denunciato vulnus al principio di ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.): a prescindere, infatti, da ogni altra possibile considerazione, riguardo al necessario contemperamento di tale principio con il complesso delle altre garanzie costituzionali (ex plurimis, con riferimento ad altre questioni di costituzionalità concernenti la legge n. 46 del 2006, sentenze n. 26 e n. 320 del 2007), deve escludersi che la norma transitoria censurata - con l'imporre la declaratoria di inammissibilità degli appelli in corso, indipendentemente dall'attività gi&agrav e; espletata - determini, in via generale, un allungamento dei tempi necessari per la definizione del procedimento;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), sollevata, in riferimento agli artt. 3, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Perugia, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 agosto 2008.