ORDINANZA N. 59
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO’, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, nel procedimento penale a carico di T. B., con ordinanza del 12 dicembre 2017, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilità sia disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna, i parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi dell’art. 459 comma 1 bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione»;
che le questioni di legittimità costituzionale sono sollevate nell’ambito di un procedimento penale nel quale il pubblico ministero ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’emissione di un decreto penale di condanna, a carico di un imputato della contravvenzione di cui all’art. 186, commi 1, 2, lettera b), e 2-sexies, del d.lgs. n. 285 del 1992, rubricato «Guida sotto l’influenza dell’alcool», in una situazione in cui ricorrerebbero i presupposti per la sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità, ai sensi del comma 9-bis del medesimo articolo, secondo il parametro ivi indicato, per cui un giorno di lavoro di pubblica utilità corrisponde a 250 euro di pena pecuniaria;
che il rimettente – richiamando la disciplina del procedimento per decreto, prevista dal Titolo V del Libro VI del codice di procedura penale, dettata per i casi in cui «si debba applicare soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva» – precisa che, in seguito alla riforma introdotta dall’art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), il nuovo art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. stabilisce che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva sia determinata in un ammontare compreso tra 75 e 225 euro per ogni giorno di pena detentiva;
che l’entrata in vigore di tale norma avrebbe «determinato una situazione di notevole incertezza» in relazione alla previsione di cui all’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, che consente al giudice di sostituire la pena detentiva e pecuniaria inflitta, «anche con il decreto di condanna», con la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, secondo parametri differenti, in base ai quali il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e la pena pecuniaria viene convertita ragguagliando 250 euro a un giorno di lavoro di pubblica utilità;
che, ad avviso del giudice a quo, si determinerebbe in tal modo una disparità di trattamento ingiustificata fra situazioni analoghe, in violazione dell’art. 3 Cost., giacché il calcolo per stabilire la durata del lavoro di pubblica utilità avverrebbe con parametri disomogenei rispetto a quelli fissati per la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria;
che la lesione del principio di eguaglianza risulterebbe evidente confrontando i casi in cui la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità è disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna con quelli in cui tale sostituzione è rimessa alla fase, solo eventuale, di opposizione;
che nella prima ipotesi, infatti, il giudice provvede alla sostituzione della pena detentiva, prima con la pena pecuniaria secondo il parametro – che potrebbe anche essere pari a euro 75 per ogni giorno di pena detentiva – indicato nel comma 1-bis dell’art. 459 cod. proc. pen., e successivamente con il lavoro di pubblica utilità secondo il parametro dettato dall’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, ottenendosi in tal modo, a giudizio del rimettente, un risultato sanzionatorio eccessivamente mite, in contrasto con i criteri di ragionevolezza e proporzionalità della pena, e in controtendenza rispetto alle «scelte normative di più recente introduzione» in materia di sicurezza stradale, che si caratterizzerebbero «per interventi improntati ad una sempre maggiore severità»;
che, invece, una volta emesso il decreto penale di condanna senza la sostituzione della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, l’unica possibilità per l’indagato di ottenere tale sostituzione sarebbe quella di proporre opposizione, con conseguente applicazione, in quel giudizio, del medesimo criterio di conversione previsto dal più volte citato art. 186, comma 9-bis, ma in relazione ad una pena detentiva calcolata senza applicare la diminuzione prevista per il rito speciale;
che, secondo il giudice rimettente, il trattamento sanzionatorio applicabile finirebbe così per risultare diverso, per la medesima fattispecie, solo in dipendenza del fatto che la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità sia disposta contestualmente o meno all’emissione del decreto penale di condanna;
che l’assetto normativo delineatosi in seguito alla entrata in vigore dell’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. violerebbe anche il principio della determinatezza della pena, di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., incidendo in particolare sulla esatta individuazione della durata della sanzione sostitutiva, non garantendo al singolo la possibilità di autodeterminarsi liberamente, a fronte di una insuperabile incertezza in ordine al regime sanzionatorio applicabile nei casi in cui l’istituto della sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità operi, o non, contemporaneamente alla conversione della pena di cui all’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate;
che, per l’interveniente, le questioni sarebbero inammissibili, perché la norma del codice di procedura penale e quella del codice della strada operano su piani nettamente distinti, che non potrebbero dar luogo alle interferenze prospettate dal rimettente;
che la disposizione di cui all’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. costituirebbe norma di carattere generale destinata a operare in tutte le fattispecie in cui trovi applicazione l’istituto del decreto penale di condanna, mentre la disposizione contenuta nel comma 9-bis dell’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992 si atteggerebbe quale norma speciale;
che il legislatore del codice della strada, infatti, nel prevedere al terzo periodo dell’art. 186, comma 9-bis, che, «[i]n deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità», avrebbe espressamente inteso creare una disciplina speciale anche per quanto riguarda la conversione della sanzione, in deroga all’istituto generale della conversione in lavoro di pubblica utilità previsto dal decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468);
che l’Avvocatura generale dello Stato ritiene quindi erroneo il presupposto da cui muove il rimettente, dal momento che, anche prima della novella del 2017, al regime generale di conversione delle pene sostitutive si contrapponeva quello speciale previsto dall’art. 186 del d.lgs. n. 285 del 1992.
Considerato che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), «nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilità sia disposta contestualmente all’emissione del decreto penale di condanna, i parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena imputabile a quella detentiva, rideterminata ai sensi dell’art. 459 comma 1 bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione»;
che le questioni sollevate sono, per plurime ragioni, manifestamente inammissibili;
che, in primo luogo, dall’ordinanza di rimessione non si ricava né l’ammontare della pena detentiva richiesta dal pubblico ministero, né quale specifico valore di conversione della stessa in pena pecuniaria sia stato utilizzato (l’art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale prevede un valore giornaliero variabile da 75 a 225 euro di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva);
che tali elementi sarebbero stati decisivi per conoscere, nel caso di specie, rispetto alla pena applicata in concreto, i termini della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, nonché quelli della sostituzione con il lavoro di pubblica utilità;
che la mancanza degli elementi in parola si traduce in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale (da ultimo, sentenze n. 224 e n. 42 del 2018; ordinanze n. 191 e n. 85 del 2018), sollevate anche sul presupposto di un’asserita disparità di trattamento sanzionatorio confrontando le ipotesi in cui la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità sia disposta contestualmente o meno all’emissione del decreto penale di condanna;
che, inoltre, il rimettente non spiega le ragioni per le quali ritiene di dover disporre, necessariamente e preliminarmente, la conversione della pena detentiva richiesta dal pubblico ministero in pena pecuniaria, e di dover successivamente operare, sull’ammontare risultante dalla somma di quest’ultima con la pena pecuniaria originaria, la sostituzione con il lavoro di pubblica utilità, secondo i parametri di cui all’art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992, considerato che la disposizione censurata prevede espressamente che il lavoro di pubblica utilità ha una «durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità»;
che poi, così operando, il giudice a quo non si confronta realmente con la giurisprudenza di legittimità, che pure cita (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 10 maggio 2017, n. 27519), secondo la quale la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, da una parte, e la sostituzione della pena nel suo complesso con il lavoro di pubblica utilità, dall’altra, costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto e alle caratteristiche personali dell’imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili esigenze afferenti alla funzione rieducativa della pena, sicché, una volta adottata una opzione sanzionatoria, non sarebbe possibile al giudice, per esigenze di coerenza e razionalità del sistema, sovrapporre a quella una scelta diversa e ulteriore;
che, pertanto, le questioni sono manifestamente inammissibili anche per l’erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, che mina irrimediabilmente l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 136 del 2018 e n. 88 del 2017);
che, infine, il giudice a quo neppure considera che – seguendo il percorso interpretativo da lui proposto, secondo il quale si deve necessariamente provvedere prima alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ex art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. e poi alla conversione della stessa in giorni di lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992 – l’auspicata applicazione, anche nell’ipotesi di cui al citato art. 186, comma 9-bis, dei parametri di conversione indicati nel comma 1-bis dell’art. 459 cod. proc. pen. determinerebbe un inammissibile effetto in malam partem in termini di risultato finale di durata dei giorni di lavoro di pubblica utilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 9-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2019.