SENTENZA N. 224
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
- Luca ANTONINI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), promossi dal Tribunale ordinario di Macerata con ordinanze del 5 e del 21 maggio 2015, iscritte rispettivamente ai numeri 180 e 181 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon.
Ritenuto in fatto
1.– Con due ordinanze di analogo contenuto del 5 e del 21 maggio 2015, pervenute nella Cancelleria di questa Corte il 23 novembre 2017 ed iscritte rispettivamente ai numeri 180 e 181 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), nella parte in cui stabilisce che l’onorario dei consulenti tecnici di ufficio, laddove commisurato al tempo impiegato, sia pari ad euro 14,68 per la prima vacazione (composta di due ore) e ad euro 8,15 per quelle successive.
Le questioni di legittimità costituzionale vengono sollevate nell’ambito di due giudizi aventi a oggetto le istanze di liquidazione dei compensi dei consulenti tecnici d’ufficio cui era stato conferito l’incarico di effettuare perizia collegiale in materia di responsabilità medica.
Il giudice rimettente riferisce che, in entrambi i casi, i consulenti erano stati impegnati in una «complessa perizia su un difficile caso di ipotizzata colpa medica sfociata nella morte della paziente» e specifica, nella prima delle citate ordinanze di rimessione, che la «vicenda […] vedeva implicati più medici e diverse strutture sanitarie; fatti sui quali si erano già svolte plurime perizie delle parti con differenti esiti e valutazioni».
2.– Il Tribunale ordinario di Macerata afferma innanzitutto la propria legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale, poiché «la prioritaria giurisprudenza di legittimità configura la attività di liquidazione dei compensi dei consulenti come attività di natura giurisdizionale».
Le questioni sarebbero altresì rilevanti, poiché, non potendosi inquadrare i casi oggetto di giudizio in alcuna delle ipotesi per le quali la legge prevede onorari fissi, dovrebbe applicarsi la disposizione censurata relativa alla liquidazione dell’onorario a tempo.
Viene citato, al proposito, un esteso passaggio della sentenza della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 25 novembre 2011, n. 24992, a chiarimento del fatto che laddove venga in rilievo un’indagine avente a oggetto «la correttezza, dal punto di vista della scienza medica, nelle sue varie fasi, dell’operazione chirurgica» e non «lo stato attuale di salute della persona» andrebbe applicato il sistema di determinazione del compenso fondato sulle vacazioni. In particolare, l’oggetto della consulenza, ossia «l’attività medica e di cura erogata […] e la sua rispondenza ai principi tecnico-scientifici e di diligenza che sovrintendono l’esercizio della relativa professione», non potrebbe essere ricondotto, «nemmeno in forza dell’analogia, alla consulenza medica diagnostica cui si riferisce la previsione tabellare». Non sarebbe pertanto applicabile nessuna delle ipotesi di onorari fissi relative ad accertamenti medici sullo stato di salute della persona di cui agli artt. 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 1983, n. 820 (Approvazione delle tabelle contenenti la misura degli onorari fissi e di quelli variabili dei periti e dei consulenti tecnici, per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale).
3.– Il giudice rimettente ritiene che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l’art. 36 Cost., poiché i consulenti sono stati impegnati in una «complessa perizia su un difficile caso di ipotizzata colpa medica sfociata nella morte della paziente».
Sarebbe di conseguenza del tutto incongruo rispetto a tale previsione costituzionale, secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, riconoscere un compenso pari ad euro 4,075 all’ora, se si tiene conto della veste professionale dei periti e della complessità dell’incarico.
Il carattere sproporzionato per difetto dell’importo emergerebbe, inoltre, se si considera che in entrambi i giudizi erano state disposte perizie collegiali, la cui «retribuzione è integrale per un perito, aumentata del 40% per ciascuno degli altri periti».
Il giudice a quo è consapevole della giurisprudenza costituzionale che ritiene l’art. 36 Cost. parametro male addotto, perché il lavoro dei consulenti tecnici non si presta a rientrare in uno schema di confronto tra prestazione e retribuzione e, dunque, in un giudizio sulla adeguatezza e sulla sufficienza della seconda (vengono in particolare citate le sentenze n. 88 del 1970 e n. 41 del 1996). Ritiene, tuttavia, che la questione sollevata attenga non già all’asserita inadeguatezza della retribuzione al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa, bensì al diverso profilo relativo alla necessità che il consulente possa godere di una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato a favore dello Stato».
4.– Il Tribunale ordinario di Macerata, inoltre, prospetta la violazione dell’art. 3 Cost., poiché la disposizione censurata determinerebbe un trattamento economico irragionevolmente uguale per ogni caso di retribuzione oraria del consulente, senza permettere di differenziare, fra le diverse attività espletate, in base al loro livello di complessità.
Per superare tale irragionevolezza non sarebbe sufficiente l’applicazione dell’art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», che consente di raddoppiare le somme liquidate in caso di attività di eccezionale importanza e complessità. Secondo il giudice rimettente, infatti, l’ambito di applicazione della disposizione sarebbe «estremamente rigoroso e specifico, tale da escludere di regola la sua applicabilità».
5.– Da ultimo, il giudice rimettente ritiene che la dichiarazione di «illegittimità costituzionale dell’importo» previsto dall’art. 4 della legge n. 319 del 1980 non determinerebbe alcun vuoto normativo incolmabile, poiché il giudice potrebbe ricorrere alla liquidazione in via equitativa del compenso, «sulla base della entità e del pregio della attività svolta, tenuto conto delle tariffe professionali della categoria o di altre analoghe, nelle more di un intervento del legislatore (a quel punto verosimilmente sollecito) che contemperasse equamente le ragioni delle finanze statali e le lecite aspettative del privato che presta la propria attività a favore dello Stato».
6.– Con atti di identico tenore depositati il 9 gennaio 2018 è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate manifestamente inammissibili o infondate.
6.1.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le questioni siano inammissibili rispetto a entrambi i parametri evocati.
Innanzitutto sarebbe censurata una disciplina che trova la sua fonte sia nella disposizione censurata, sia nel decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), con cui sono stati adeguati i compensi di periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le attività eseguite su incarico dell’autorità giudiziaria. Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’importo previsto per le vacazioni sarebbe determinato dal decreto ministeriale e, dunque, da una disciplina di rango secondario, non sindacabile dalla Corte costituzionale.
Inoltre, la Corte costituzionale con la sentenza n. 41 del 1996 avrebbe ritenuto l’inadeguatezza degli onorari superabile con altri strumenti, ma non attraverso il suo intervento.
Da ultimo, le questioni sarebbero inammissibili anche in ragione della mancata indicazione di una soluzione costituzionalmente vincolata, idonea a colmare l’eventuale lacuna che si determinerebbe a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Sarebbe quindi richiesto un intervento della Corte costituzionale invasivo della sfera di discrezionalità riconosciuta al legislatore.
Con specifico riferimento all’art. 3 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato ritiene la censura inammissibile, poiché non sarebbe indicato alcun tertium comparationis per porre in evidenza l’asserita irragionevole disparità di trattamento.
In riferimento alla censura relativa all’irragionevole uguale trattamento di situazioni differenti fra loro, in virtù del diverso grado di complessità delle prestazioni effettuate, l’Avvocatura osserva inoltre che non sarebbe stata nemmeno compiutamente descritta l’attività richiesta nei due casi oggetto di giudizio, risultando quindi omessa un’adeguata motivazione in punto di rilevanza della questione.
6.2.– Nel merito, sarebbe in ogni caso infondata la censura sollevata rispetto all’art. 3 Cost.
Il giudice rimettente, infatti, non avrebbe considerato che l’attuale disciplina consente di definire la retribuzione in modo diverso a seconda che si tratti di attività semplici o complesse, «pur applicando lo stesso importo unitario previsto per le vacazioni». In particolare, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice potrebbe tenere conto della complessità delle attività per calcolare il numero di vacazioni richieste per l’assolvimento dell’incarico.
La considerazione per cui in entrambi i giudizi i consulenti hanno richiesto la liquidazione del proprio onorario sulla base di un elevato numero di vacazioni pone in particolare evidenza, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, l’assenza di motivazione sull’asserita inadeguatezza del relativo compenso e del numero di vacazioni richieste.
6.3.– Rispetto alla asserita violazione dell’art. 36 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato richiama innanzitutto le sentenze n. 88 del 1970 e n. 41 del 1996 della Corte costituzionale, che sottolineano l’inconferenza del parametro in riferimento a tal genere di questioni. Ricorda, altresì, che la Corte di cassazione, sezione seconda civile, con la sentenza 6 agosto 1990, n. 7905, avrebbe ritenuto manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale, relativa sia al d.P.R. n. 820 del 1983, sia alla legge n. 319 del 1980, in ragione del carattere di munus publicum dell’incarico peritale, non assimilabile perciò all’esercizio della libera professione, dovendosi altresì tener conto del fatto che l’asserita inadeguatezza del compenso sarebbe superabile attraverso il raddoppio della somma.
Considerato in diritto
1.– Con due ordinanze di analogo contenuto del 5 e del 21 maggio 2015, iscritte rispettivamente ai numeri 180 e 181 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), nella parte in cui stabilisce che l’onorario dei consulenti tecnici di ufficio, laddove commisurato al tempo impiegato, sia pari ad euro 14,68 per la prima vacazione (composta di due ore) e ad euro 8,15 per quelle successive.
La disposizione censurata si porrebbe, in primo luogo, in contrasto con l’art. 36 della Costituzione poiché gli importi da essa stabiliti non sarebbero proporzionati alla quantità e qualità del lavoro prestato in favore dello Stato, alla luce della particolare qualificazione dei consulenti e della complessità dell’incarico.
Consapevole della giurisprudenza costituzionale che ritiene l’art. 36 Cost. parametro male addotto in relazione agli onorari degli ausiliari del magistrato – non prestandosi il lavoro dei consulenti tecnici a rientrare in uno schema di confronto tra prestazione e retribuzione e, dunque, in un giudizio sulla adeguatezza e sulla sufficienza della seconda – ritiene, tuttavia, il giudice rimettente che la questione sollevata attenga non già all’asserita inadeguatezza della retribuzione al fine di assicurare un’esistenza libera e dignitosa, bensì al diverso profilo relativo alla necessità che il consulente possa godere di una «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato a favore dello Stato».
Il giudice a quo prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 3 Cost., poiché il meccanismo di determinazione del compenso a tempo verrebbe irragionevolmente applicato a tutte le attività di consulenza da liquidarsi a vacazione, senza alcuna distinzione a seconda del livello di complessità delle attività richieste.
L’incongruità della disciplina censurata verrebbe in particolare rilievo, a suo avviso, nel caso in cui sia conferita perizia collegiale, poiché in tale ipotesi l’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», prevede, in sostanza, una decurtazione del compenso orario per ciascuno dei componenti il collegio, alla luce della stessa collegialità della prestazione.
2.– In considerazione dell’identità della disposizione censurata e dei parametri evocati, i giudizi vanno riuniti, per essere definiti con un’unica decisione.
3. – In via preliminare, va osservato che – sebbene il giudice rimettente riferisca le proprie censure all’intero art. 4 della legge n. 319 del 1980 – si evince agevolmente dalla riferita motivazione che i dubbi di legittimità costituzionale riguardano, in realtà, il solo secondo comma di tale disposizione, che stabilisce l’importo del compenso per la prima vacazione e quello per le successive. A tale comma, dunque, deve limitarsi il giudizio di questa Corte (analogamente, sentenze n. 16 del 2018, n. 268 e n. 203 del 2016).
4.– Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato in relazione all’asserita erronea individuazione della disposizione oggetto delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
È pur vero, infatti, che, attualmente, gli importi a compenso delle vacazioni non risultano direttamente dalla disposizione di legge censurata, ma sono determinati dall’art. 1, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), abilitato, in virtù dell’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, ad aggiornare ogni tre anni la misura degli onorari dei consulenti, siano essi fissi, variabili o a tempo, in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.
Tuttavia, il contenuto normativo della disposizione di legge censurata risulta appunto integrato dal decreto ministeriale, in virtù dell’indicazione contenuta nel citato art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002. La fonte primaria, così, vive nell’ordinamento e vi trova applicazione proprio attraverso le determinazioni quantitative operate in tale decreto.
Può quindi essere richiamata, sia pur solo analogicamente, la giurisprudenza costituzionale secondo la quale laddove venga sollevata una questione di legittimità costituzionale riguardante una disciplina risultante dal raccordo tra la disposizione di legge e una fonte regolamentare – e le specificazioni espresse dalla normativa secondaria siano strettamente collegate al contenuto della prima – la questione non è inammissibile, potendo riguardare la fonte primaria così come integrata dalla disposizione regolamentare (sentenze n. 242 del 2014, n. 34 del 2011, n. 354 del 2008, n. 456 del 1994 e n. 1104 del 1988; ordinanze n. 254 del 2016 e n. 261 del 2013).
5.– Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
5.1.– Il giudice a quo non fornisce, intanto, una sufficiente descrizione delle fattispecie oggetto dei due giudizi. Non è infatti illustrata la natura delle prestazioni richieste ai consulenti e da essi svolte, salvo un rapido ma insufficiente cenno (contenuto in una sola delle due ordinanze) al fatto che la vicenda oggetto di perizia, relativa a un caso di responsabilità medica, avrebbe visto implicati più medici e diverse strutture sanitarie, oltre ad aver comportato lo svolgimento di plurime consulenze di parte con esiti e valutazioni differenti.
Tale carenza impedisce di apprezzare il grado di complessità della consulenza e, conseguentemente, l’asserita inadeguatezza del compenso stabilito dalla disposizione censurata: ciò che si traduce, per costante giurisprudenza costituzionale, in un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate (in questo senso, ex multis, sentenza n. 42 del 2018; ordinanze n. 85, n. 37 e n. 7 del 2018).
5.2.– L’inammissibilità delle questioni discende inoltre dal fatto che il giudice rimettente non ricostruisce in modo corretto ed esaustivo il quadro normativo con il quale è chiamato a confrontarsi, al fine di determinare i compensi dei consulenti nei casi oggetto di entrambi i giudizi.
In primo luogo, non è illustrata la ragione della mancata applicazione dell’art. 52, comma 1, del d.P.R. n. 115 del 2002, il quale prevede che per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari dei consulenti possono essere aumentati fino al doppio. La giurisprudenza della Corte di cassazione, si osservi, riserva alla valutazione discrezionale del giudice di merito l’applicazione di questa disposizione, stabilendo che la scelta di provvedere o meno al raddoppio degli onorari, se congruamente motivata, non può essere sindacata in sede di giudizio di legittimità (da ultimo, ordinanza della Corte di cassazione, sezione seconda civile, 21 settembre 2017, n. 21963). Orbene, pur lamentando che il quantum legislativamente stabilito per ciascuna vacazione risulta inadeguato a compensare consulenze di particolare complessità, il rimettente, senza indicarne compiutamente le ragioni, afferma di non poter raddoppiare i compensi nei casi di specie, sulla base di un asserito e non dimostrato «ambito di applicazione estremamente rigoroso e specifico» del citato art. 52.
In secondo luogo, versandosi in caso di perizie collegiali, il giudice a quo lamenta la prevista diminuzione del compenso orario per ciascuno dei componenti il collegio, a causa della stessa collegialità della prestazione, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. n. 115 del 2002 (decurtazione non più prevista per le consulenze rese in materia di responsabilità sanitaria in base all’art. 15 della legge 8 marzo 2017, n. 24, recante «Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie», disposizione tuttavia non applicabile, ratione temporis, ai casi di specie): ma non considera che lo stesso art. 53 consente al giudice di disporre che ognuno degli incaricati debba svolgere personalmente e per intero la prestazione richiesta, ricevendo così un compenso non ridotto. E non tenendo conto di tale possibilità, non spiega, né contesta, le ragioni che avrebbero indotto a non ricorrervi.
Queste complessive carenze compromettono il percorso argomentativo posto a fondamento della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, determinando a loro volta l’inammissibilità delle stesse (sentenze n. 134 e n. 80 del 2018; ordinanze n. 136 del 2018 e n. 243 del 2017).
6.– Ancora, il giudice rimettente ignora del tutto, nell’iter logico della propria motivazione, il ruolo del già citato art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, a norma del quale «[l]a misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze».
L’ultimo adeguamento intervenuto ai sensi di questa disposizione risale, come si è visto, al d.m. 30 maggio 2002, che all’art. 1, comma 1, contiene la rideterminazione della misura degli onorari da liquidarsi a vacazione e così integra la fonte primaria oggetto delle censure sollevate dal rimettente.
Se il giudice a quo avesse consapevolmente tenuto conto, sia del meccanismo di aggiornamento stabilito dall’appena ricordato art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, sia del lungo tempo trascorso dall’ultimo adeguamento (2002), avrebbe potuto non implausibilmente aggiungere argomenti a sostegno dell’asserita inadeguatezza degli importi previsti, per i compensi da liquidarsi a vacazione, dall’art. 4, secondo comma, della legge n. 319 del 1980, anche considerando che tale mancato adeguamento è stato più volte stigmatizzato da questa Corte (da ultimo sentenze n. 178 del 2017 e n. 192 del 2015).
Invece, il mancato apprezzamento di una delle più rilevanti ragioni che concorrono a determinare tale asserita inadeguatezza riconferma l’inammissibilità delle questioni di cui al presente giudizio, perché evidenzia ulteriormente l’incompletezza dei riferimenti normativi considerati dal rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Macerata con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2018.