ORDINANZA N. 243
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», e dell’art. 6, comma 10, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, nel procedimento vertente tra Francesco Mancini e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale – Ufficio controlli di Campobasso, ed altra, con ordinanza del 5 novembre 2015 iscritta al n. 7 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti l’atto di costituzione di Francesco Mancini, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato Francesco Mancini per se medesimo e l’avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 5 novembre 2015 (r.o. n. 7 del 2016), la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», e dell’art. 6, comma 10, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», per violazione degli artt. 24, 53 e 97 della Costituzione;
che il giudice rimettente premette di essere stato adito dall’avvocato Francesco Mancini, in proprio e quale difensore di se stesso, avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale – Ufficio controlli di Campobasso, e dalla Regione Molise all’istanza di restituzione della somma di euro 295, versata dal ricorrente a titolo di addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) per l’anno 2013, addizionale aumentata a norma del censurato art. 2, comma 86, della legge n. 191 del 2009;
che, risolte alcune questioni preliminari e ritenuta inammissibile una delle eccezioni di illegittimità costituzionale del ricorrente, a proposito delle altre eccezioni la Commissione tributaria provinciale osserva, in punto di rilevanza, che lo stesso ricorrente ha avanzato la pretesa al rimborso sul presupposto dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni sopra indicate, chiedendo esplicitamente a tal fine (sia pure in via subordinata) la rimessione degli atti alla Corte costituzionale;
che, espone il giudice a quo, con l’art. 50 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), è stata istituita l’addizionale regionale all’IRPEF, determinata in applicazione dell’aliquota stabilita dalla Regione di residenza di ciascun contribuente, originariamente fissata nello 0,5 per cento con possibilità di incremento fino all’1 per cento;
che, in seguito, l’art. 2, comma 86, della legge n. 191 del 2009 ha disposto che «[l]’accertato verificarsi, in sede di verifica annuale, del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, comporta, oltre all’applicazione delle misure previste dal comma 80 e ferme restando le misure eventualmente scattate ai sensi del comma 83, l’incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF rispetto al livello delle aliquote vigenti, secondo le procedure previste dall’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come da ultimo modificato dal comma 76 del presente articolo»;
che l’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 68 del 2011 dispone che «[r]estano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari»;
che, con riguardo a tale disciplina, sarebbero manifestamente infondate le eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dal ricorrente in relazione al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. (la differenza nei trattamenti impositivi tra i cittadini delle diverse Regioni sarebbe naturale conseguenza dell’autonomo potere di ciascuna Regione di determinare, nei limiti stabiliti dalla legge statale, le aliquote della propria addizionale all’IRPEF) e alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (correttamente la legge dello Stato avrebbe affidato ad organi amministrativi tecnici l’accertamento della sussistenza delle condizioni per la maggiorazione dell’addizionale regionale all’IRPEF, «in considerazione della complessità dell’accertamento per individuare gli adempimenti necessari per il rientro dal deficit sanitario»);
che, invece, non manifestamente infondate sarebbero le eccezioni sollevate in relazione al principio della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., in base al quale ogni cittadino avrebbe il dovere di concorrere alle spese necessarie per la comunità, ma «solo per la soddisfazione del benessere generale e collettivo che si consegue quando i servizi erogati dagli enti preposti a tutti i cittadini posseggono livelli di efficienza e tempestività tali da produrre situazioni di benessere qualitativo diffuso, assicurando una vita dignitosa e decorosa per la persona»; in relazione ai principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., i quali esigerebbero che l’imposizione sia improntata «alla massima semplicità di normazione ed alla agevole conoscenza dei criteri di controllo affinché siano evitati sperperi dannosi e sia sempre perseguito il bene e l’interesse della comunità»; nonché in relazione al diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost. (specificamente attuato, in ambito tributario, dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente»), il quale sancirebbe «la piena contestabilità della pretesa impositiva che deve essere garantita dal rispetto dell’obbligo del contraddittorio, della motivazione dei provvedimenti impositivi e della tutela giurisdizionale»;
che, in particolare, l’art. 53 Cost. sarebbe violato, per l’assenza di collegamento tra la capacità contributiva dei cittadini e l’aggravio dell’imposizione, il quale non discenderebbe da una maggiore domanda o necessità di assistenza sanitaria, bensì dal bisogno di ripianare disavanzi dovuti a cattiva amministrazione;
che ciò sarebbe dimostrato sia dalle misure previste come conseguenza dell’inadeguatezza dei piani di rientro dai commi 73 e seguenti dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, le quali sono coerenti con una accertata cattiva gestione, ma non con un aumento della domanda di assistenza, sia dal comma 84 dello stesso art. 2, laddove, per il caso di inadempimento al piano di rientro da parte del commissario ad acta, indipendentemente dalle ragioni dell’inadempimento, attribuisce al Consiglio dei ministri il potere di adottare gli atti necessari;
che, nel caso della Regione Molise, la cattiva amministrazione della sanità sarebbe anche comprovata, in concreto, da alcuni rilievi formulati dal Procuratore regionale della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Molise, nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2015;
che le norme censurate, pertanto, costringerebbero illegittimamente «i cittadini a pagare un maggiore tributo, per la colpa (o il dolo) dei soggetti che amministrano il servizio sanitario, e ad essere, inoltre, penalizzati per le deficienze del servizio ed il maggiore costo dello stesso», attribuendo all’equilibrio finanziario una tutela di cui esso non sarebbe meritevole di per sé, ma «solo in quanto strumentale alla realizzazione della efficienza e continuità dei servizi pubblici che erogano prestazioni di sicurezza sociale, come quello della sanità» (è citata, in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 23 maggio 2000, causa C-104/98, Buchner e altri);
che l’art. 97 Cost. – il quale imporrebbe una amministrazione trasparente del denaro pubblico e, per quanto concerne le norme tributarie, la conoscibilità dei criteri selettivi di controllo e nei controlli – sarebbe violato perché il mancato raggiungimento degli obiettivi dei piani di rientro sarebbe un «parametro del tutto discrezionale», rimesso alla valutazione di organi tecnici, senza contraddittorio;
che, in particolare, la mera disamina del verbale della riunione congiunta del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e del Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, tenutasi (per quanto riguarda la Regione Molise) il 21 novembre 2013, dimostrerebbe il «palese eccesso di tecnicismo» e il «difetto di motivazione», con conseguente violazione dei principi di collaborazione e buona fede nei rapporti tra contribuente e amministrazione, per di più con difetto di imparzialità di quest’ultima, la quale sarebbe partecipe tanto del giudizio tecnico sullo stato di avanzamento del piano di rientro, quanto della gestione commissariale;
che l’art. 24 Cost. sarebbe violato perché il contribuente inciso dalla maggiorazione dell’aliquota non potrebbe intervenire nelle valutazioni dei tavoli tecnici, né contestarle, in violazione del «c.d. diritto di contestare le tasse ingiuste», il quale dovrebbe essere garantito «dagli obblighi della motivazione e del contraddittorio nonché della tutela giurisdizionale», come affermato dalla giurisprudenza europea (sono citate le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropé, e 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics) e da quella italiana di legittimità;
che non sarebbe sufficiente la tutela indiretta assicurata dalla partecipazione dei rappresentanti regionali alle decisioni dei tavoli tecnici, «attesa la evidente incompatibilità degli stessi che, avendo formulato i piani [di rientro], non possono di certo avvertirne i limiti e le inadeguatezze», e inoltre perché la loro condizione di soggetti politici li rende, «in quanto tali, interessati a deresponsabilizzarsi per non esporsi alla impopolarità»;
che, da ultimo, il rimettente cita la «remota, ma pur sempre attuale, affermazione» della Corte costituzionale (nella sentenza n. 111 del 1979, recte: del 1997), secondo cui il controllo della Corte stessa consiste in un giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, «al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione»;
che, con atto depositato il 9 febbraio 2016, si è costituito l’avvocato Francesco Mancini, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano accolte;
che, ripercorsi i termini delle argomentazioni esposte dalla Commissione tributaria provinciale, in relazione all’art. 53 Cost. la parte privata conviene che è irriducibile al principio di capacità contributiva la «indiscriminata ed automatica applicazione, d’imperio, dell’aliquota massima di addizionale regionale all’Irpef, a carico di cittadini la cui maggiore forza economica sarebbe paradossalmente data dall’inefficienza del sistema sanitario di appartenenza»;
che tale situazione non sarebbe in alcun modo riferibile ai contribuenti, i quali sono anzi penalizzati da un servizio meno efficiente e più costoso, mentre lo stesso art. 2, commi 73 e seguenti, della legge n. 191 del 2009 già contemplerebbe «sanzioni dirette e proprie», le quali incidono sui soggetti dell’apparato amministrativo coinvolti nel grave disavanzo sanitario;
che, pertanto, qualunque interpretazione si dia del concetto della capacità contributiva, l’assenza di quest’ultima, nel caso, risulterebbe altrettanto chiara, che se l’imposizione fosse correlata a fattori quali, ad esempio, «il deficit dei bilanci dei trasporti pubblici regionali, l’inadeguatezza delle entrate derivanti dalla gestione del patrimonio immobiliare locale, oppure il tasso di evasione fiscale o di criminalità di una regione»;
che un’imposizione siffatta non sarebbe compatibile nemmeno con i principi di cui all’art. 97 Cost., anche per il difetto di imparzialità delle amministrazioni coinvolte e, segnatamente, delle strutture commissariali, perché si verifica, anche in Molise, una commistione tra le funzioni di gestione e quelle prodromiche all’imposizione e inoltre perché il mancato raggiungimento degli obiettivi di rientro è sempre anche imputabile, almeno sotto alcuni profili, a queste strutture;
che, a tale ultimo proposito, si determinerebbe, anzi, il risultato paradossale per cui nelle Regioni «più virtuose» gli amministratori, liberi di decidere in merito alle addizionali, sarebbero esposti alla impopolarità di scelte discrezionali non gradite ai contribuenti, mentre nelle Regioni «bocciate dai Tavoli Tecnici» gli amministratori godrebbero «di una sostanziale (irragionevole ed immeritata) deresponsabilizzazione, asimmetrica, antagonistica e contraddittoria rispetto agli obiettivi di prossimità, di decentramento dei poteri e delle responsabilità impositivi, di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione»;
che, in relazione all’art. 24 Cost., la difesa privata osserva, in particolare, che «il cittadino molisano non ha la concreta e compiuta possibilità di contrastare la legittimità e la fondatezza della pretesa [impositiva], in quanto non dispone di alcuno strumento per verificare la fonte dell’obbligazione tributaria, id est, nella fattispecie, l’effettività del mancato raggiungimento degli obiettivi di rientro dal disavanzo sanitario», il che distinguerebbe la situazione in esame da tutte le altre forme di tassazione e dall’intero «panorama tributario»;
che, con atto depositato il 16 febbraio 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate;
che, riassunti i termini delle questioni, la difesa dell’interveniente sottolinea anzitutto come le norme censurate si collochino in un quadro composito, in cui interventi articolati e sistematici, operanti su piani diversi e basati su strumenti eterogenei, convergono verso la finalità di un graduale risanamento dei disavanzi sanitari regionali;
che alcune di queste misure «potrebbero ritenersi ispirate a finalità sanzionatorie, collegate all’esercizio di poteri sostitutivi dello Stato in relazione ai casi di violazione sistematica degli obblighi derivanti dai principi della finanza pubblica», mentre altre, segnatamente di carattere tributario, rispondono all’esigenza di sostenere contemporaneamente il ripianamento del disavanzo e il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza;
che la questione sollevata in relazione all’art. 53 Cost. sarebbe infondata, perché l’aggravio dell’imposizione non sarebbe scollegato da esigenze di assistenza sanitaria della popolazione regionale, ma, essendo previsto per tutti i casi di disavanzo, anche non generati da cattiva amministrazione, servirebbe ad assicurare i livelli essenziali di assistenza e, quindi, la continuità delle prestazioni sanitarie, oltre che comunque alla copertura delle spese derivanti dalla gestione pregressa;
che le censure di cui agli artt. 97 e 24 Cost., incentrate sull’assenza di meccanismi di partecipazione dei contribuenti al procedimento di valutazione del mancato raggiungimento degli obiettivi dei piani di rientro, sarebbero inammissibili perché il procedimento suddetto non è regolato dalle norme in questione, ma dall’art. 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)» (come modificato dall’art. 2, comma 76, della legge n. 191 del 2009), il quale non è bersaglio di alcuna censura;
che, comunque, nel merito le censure sono manifestamente infondate, perché, come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (è citata la sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 9 dicembre 2015, n. 24823), il principio del contraddittorio non permea tutti i settori dell’ordinamento nazionale, sicché non esiste un obbligo generalizzato di contraddittorio in seno al procedimento amministrativo, mentre lo stesso diritto dell’Unione europea, che pure prevede un tale obbligo, lo fa solo con riguardo ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti lesivi delle situazioni giuridiche dei singoli individui (art. 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007) e, nel caso, il procedimento per la valutazione del grado di attuazione del piano di rientro non possiede questa finalità, avendo invece come protagonisti gli organi tecnici incaricati di esaminare gli adempimenti regionali e servendo alla verifica di dati e situazioni oggettive, non esclusivamente preordinate all’imposizione fiscale;
che, con atto depositato il 16 maggio 2017, l’avvocato Francesco Mancini ha formulato una «istanza di trattazione della causa»;
che, con memoria depositata il 3 ottobre 2017, l’Avvocatura generale dello Stato ha insistito per il rigetto delle questioni sollevate, riproponendo argomenti e riferimenti sostanzialmente corrispondenti a quelli dell’atto di intervento;
che, con riguardo alla questione sollevata in riferimento all’art. 53 Cost., la difesa dell’interveniente aggiunge che le norme sospettate d’illegittimità costituzionale si limitano a introdurre una maggiorazione dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF, lasciando per il resto inalterata la struttura del tributo;
che il divario tra l’imposizione così incrementata e quella applicabile nelle Regioni “virtuose” sarebbe «insito nello stesso federalismo fiscale», previsto nel vigente Titolo V della Parte seconda della Costituzione, e resterebbe contenuto entro valori compatibili con il principio della capacità contributiva;
che, inoltre, il prelievo in questione non è esclusivamente destinato a coprire un disavanzo finanziario (giacché serve anche ad assicurare la continuità dell’assistenza sanitaria e dei suoi livelli essenziali) e, quand’anche lo fosse, non per questo risulterebbe estraneo al concetto di «spesa pubblica», di cui all’art. 53 Cost., a proposito del quale la difesa statale sottolinea altresì il rilievo costituzionale dell’«interesse fiscale» e la discrezionalità che spetta al legislatore, anche secondo recenti ricostruzioni dottrinali;
che, con riguardo alla censura sollevata in relazione all’art. 97 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato rimarca come la valutazione sul conseguimento degli obiettivi di rientro avvenga in base a parametri oggettivi e misurabili, quali i dati di bilancio, e in contraddittorio con la Regione.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Campobasso, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», e dell’art. 6, comma 10, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», per violazione degli artt. 24, 53 e 97 della Costituzione;
che, alla luce della descrizione del giudizio a quo e degli argomenti sulla rilevanza, nonché dei punti in cui si sovrappongono gli ambiti applicativi delle due disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale, si deve ritenere che esse siano state censurate nella parte in cui, rispettivamente, prevedono e confermano che l’accertamento, in sede di verifica annuale, del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, comporta un incremento di 0,30 punti percentuali dell’addizionale regionale all’IRPEF rispetto al livello delle aliquote vigenti;
che, nei confronti di tale normativa, la Commissione tributaria provinciale solleva tre ordini di questioni;
che, in primo luogo, il giudice rimettente ritiene violato l’art. 53 Cost., perché mancherebbe un collegamento tra la capacità contributiva dei cittadini e l’aggravio dell’imposizione, il quale non discenderebbe da una maggiore domanda o necessità di assistenza sanitaria, bensì esclusivamente dal bisogno di ripianare disavanzi dovuti a cattiva amministrazione;
che tale questione è manifestamente infondata;
che, in proposito, dirimente è il rilievo che la normativa in questione interviene sulla disciplina dell’addizionale regionale all’IRPEF esclusivamente sotto il profilo dell’aliquota, intimamente connesso alla determinazione dell’entità dell’onere tributario e, pertanto, rimesso all’ampia discrezionalità del legislatore, con il limite della non arbitrarietà o irrazionalità delle relative scelte (ex plurimis, sentenze n. 10 del 2015, n. 116 del 2013, n. 223 del 2012 e n. 111 del 1997, nonché le ordinanze n. 23 del 2005, n. 449 del 1998 e n. 352 del 1995);
che, nel caso, tale limite non può ritenersi superato, poiché l’incremento annuale, riferito a una fonte di gettito destinato alla Regione, si colloca nel contesto di una «complessa procedura» (sentenza n. 278 del 2014) e di un’ampia serie di misure, le quali dipendono da una situazione oggettiva di rilevante e perdurante disavanzo nel principale comparto di spesa regionale e mirano a risanare la gestione del servizio per assicurare, contemporaneamente, la tutela della salute e il coordinamento della finanza pubblica e, in ultima analisi, per garantire i livelli essenziali di assistenza (si vedano tra l’altro, oltre a quella già citata, le sentenze n. 192, n. 190, n. 106 e n. 14 del 2017, n. 266 del 2016, n. 110 e n. 85 del 2014, n. 219 e n. 51 del 2013);
che non è condivisibile il rilievo secondo cui il disavanzo dipende esclusivamente da condotte dolose o colpose imputabili ai responsabili del servizio sanitario, giacché ben più complesse possono essere le cause della situazione ed è per questo che, al suo ricorrere, la legge prevede una pluralità di conseguenze, solo alcune delle quali riguardano la sfera dei singoli amministratori, mentre altre, come quella in esame, hanno funzioni di carattere essenzialmente finanziario;
che la Commissione tributaria provinciale denuncia altresì una violazione dell’art. 97 Cost., perché il mancato raggiungimento degli obiettivi dei piani di rientro costituirebbe un parametro del tutto discrezionale, rimesso alla valutazione di organi tecnici, senza possibilità di contraddittorio per il contribuente né garanzie di imparzialità della pubblica amministrazione; nonché dell’art. 24 Cost., perché il contribuente non può intervenire nelle valutazioni dei competenti tavoli tecnici, né contestarle, in assenza di adeguate garanzie di motivazione, contraddittorio, corretto uso delle presunzioni e imparzialità della pubblica amministrazione;
che entrambe le questioni sono manifestamente inammissibili, per plurime ragioni, ivi comprese quelle eccepite dall’Avvocatura generale dello Stato, assorbenti di ogni ulteriore considerazione;
che, infatti, l’ordinanza di rimessione – pur trovandosi di fronte a una materia regolata da un articolato intreccio di provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo (a partire dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2005)») e di atti, ivi richiamati, della Conferenza Stato-Regioni (a partire dall’intesa sancita il 23 marzo 2005) – non si pone il problema di identificare compiutamente le fonti della disciplina, in particolare, degli organi preposti a verificare l’attuazione dei piani di rientro, delle procedure applicabili a tal fine e del regime giuridico dei relativi atti;
che, di conseguenza, l’ordinanza rivolge le proprie censure verso norme che non riguardano alcuno di questi profili, in luogo di chiedersi in quali termini, costituzionalmente obbligati, occorrerebbe intervenire sulla pertinente disciplina organizzativa e procedimentale, per porre rimedio ai difetti lamentati;
che, dunque, la Commissione tributaria provinciale ricostruisce in modo lacunoso il quadro normativo (fra le molte, ordinanze n. 88, n. 55, n. 11 del 2017, n. 247, n. 136 e n. 33 del 2016), con il risultato di indirizzare le proprie censure verso un bersaglio erroneo (fra le molte, sentenza n. 35 del 2017; ordinanze n. 182, n. 153 e n. 140 del 2016) e di formulare un petitum incongruente rispetto alle argomentazioni sviluppate (fra le molte, sentenze n. 32 del 2016, n. 247 e n. 210 del 2015; ordinanza n. 47 del 2016).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», e dell’art. 6, comma 10, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario», sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso in riferimento all’art. 53 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 86, della legge n. 191 del 2009 e dell’art. 6, comma 10, del decreto legislativo n. 68 del 2011, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso in riferimento agli artt. 97 e 24 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 novembre 2017.