SENTENZA N.
247
ANNO 2015
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi
di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 14, comma 3, 15, comma 2,
e 16, comma 3, del decreto
legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione
nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico) e dell’art. 32-bis, comma 3, del decreto
legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media
audiovisivi e radiofonici), promossi dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due ordinanze del 26
settembre 2014, iscritte ai nn. 1 e 2 del
registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di
costituzione di ALTROCONSUMO e altri, di Confindustria Cultura Italia –
Federazione italiana dell’industria culturale, della SIAE – Società italiana
degli autori ed editori, del Nuovo IMAIE – Nuovo istituto mutualistico per la
tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori, dell’ANSO – Associazione
nazionale stampa online e altre, nonché gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 ottobre
2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli
avvocati Alfonso Celotto e Fulvio Sarzana di S.
Ippolito per ALTROCONSUMO e altri, Alessandro Botto per Confindustria Cultura
Italia – Federazione italiana dell’industria culturale e per Nuovo IMAIE –
Nuovo istituto mutualistico per la tutela dei diritti degli artisti interpreti
esecutori, Guido Scorza per ANSO – Associazione nazionale stampa online ed
altre, Massimo Luciani, Maurizio Mandel e Aristide
Police per la SIAE – Società italiana degli autori ed editori, e gli avvocati
dello Stato Angelo Vitale e Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 26
settembre 2014 (reg. ord. n. 1 del 2015), notificata il successivo 14 ottobre,
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 21, 24, 25, primo comma, e 41 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 14, comma 3,
15, comma 2, e 16, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70
(Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei
servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare
riferimento al commercio elettronico) e dell’art. 32-bis, comma 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo
unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici).
Ad avviso del
rimettente le denunciate disposizioni normative consentono all’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni (d’ora innanzi «AGCOM»), quale autorità
amministrativa di vigilanza, di limitare la libera circolazione di un «servizio
della società dell’informazione» e, in particolare, di intervenire anche in via
d’urgenza su attività quali il trasporto o la memorizzazione di informazioni,
attribuendole anche il potere di emanare le disposizioni regolamentari
necessarie a rendere effettiva l’osservanza dei diritti di proprietà
intellettuale da parte dei fornitori di servizi di media.
Le predette
disposizioni, tuttavia, in quanto non prevedono «parametri idonei a garantire
la necessaria ponderazione fra i diversi diritti costituzionali potenzialmente
configgenti ovvero […] criteri che garantiscano che una tale ponderazione
avvenga nell’esercizio delle competenze attribuite all’AGCOM, fin dall’adozione
del regolamento impugnato», violerebbero i «princìpi di riserva di legge e di
tutela giurisdizionale in relazione all’esercizio della libertà di
manifestazione del pensiero e di iniziativa economica, sanciti dagli artt. 2,
21, primo e sesto comma, 24 e 41 Cost.», «nonché» i
«criteri di ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della
discrezionalità legislativa e [… i]l principio del giudice naturale, in
relazione alla mancata previsione di garanzie e di tutele giurisdizionali per
l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno
equivalenti a quelle sancite per la stampa, con conseguente violazione degli
articoli 21, secondo, terzo e quarto comma, 24 e 25, comma 1, della
Costituzione.
1.1.– Più precisamente,
il giudice a quo premette di essere
investito del ricorso proposto da Altroconsumo e
altri contro AGCOM al fine di ottenere l’annullamento della delibera n.
680/13/CONS del 12 dicembre 2013, pubblicata sul sito dell’Autorità in data 18
dicembre 2013, recante l’approvazione del «Regolamento in materia di tutela del
diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative
ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70», nonché dell’Allegato A
alla medesima delibera, contenente il testo del regolamento approvato.
In primo luogo il TAR
ritiene sussistente la legittimazione ad agire delle ricorrenti, in quanto la
delibera di approvazione del regolamento impugnato, nonostante il suo carattere
generale ed astratto, è immediatamente lesiva per intere categorie di
destinatari, così da radicare l’interesse ad agire degli appartenenti alle
predette categorie e, quindi, la legittimazione a ricorrere delle loro
associazioni rappresentative.
Il giudice rimettente
ritiene inoltre che, diversamente da quanto affermato dalle ricorrenti, la
lettura sistematica e coordinata di tutte le disposizioni impugnate delinea in
maniera inequivocabile la competenza dell’AGCOM a reprimere le violazioni del
diritto d’autore perpetrate sulle reti di comunicazione elettronica, e
considera altresì infondate le censure sollevate dalle ricorrenti in ordine a
violazioni procedurali nell’approvazione del regolamento medesimo e nelle
successive comunicazioni alla Commissione dell’Unione europea.
Parimenti destituite di
fondamento vengono considerate dal TAR le censure relative all’illegittimità
del provvedimento impugnato in quanto emanato in violazione della direttiva 29
aprile 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2004/48/CE (Direttiva sul
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale), attuata con il decreto
legislativo 16 marzo 2006, n. 140 (Attuazione della direttiva 2004/48/CE sul
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale) che conferirebbe alla sola
autorità giudiziaria il potere di emanare provvedimenti inibitori, nonché della
direttiva 22 maggio 2001 del Parlamento e del Consiglio n. 2001/29/CE
(Direttiva sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei
diritti connessi nella società dell’informazione), attuata con il decreto
legislativo 9 aprile 2003, n. 68 (Attuazione della direttiva 2001/29/CE
sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti
connessi nella società dell’informazione) che non stabilirebbe regole
applicabili ai prestatori di servizi internet, considerati meri intermediari,
ma solo ai diretti responsabili della diffusione in rete di opere protette. Il
TAR osserva che il procedimento amministrativo di cui all’impugnato regolamento
non riguarderebbe le violazioni primarie del diritto d’autore, il cui accertamento
resterebbe di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, secondo
quanto disposto dalle norme sopra richiamate. Esso si porrebbe, invece, quale
attuazione del d.lgs. n. 70 del 2003, che ha introdotto nell’ordinamento un
doppio binario di tutela, amministrativa e giudiziaria, del diritto d’autore
sulle reti di comunicazione elettronica, in base al presupposto che oggi, a
seguito del processo di dematerializzazione delle opere protette, le violazioni
che nascono sulla rete sono sempre più diffuse rispetto alle forme tradizionali
di contraffazione e, ciò che più rileva, sono più difficili da reprimere
secondo il tradizionale modello di "private enforcement”,
qual è quello dell’azione inibitoria disciplinata dall’art. 156 della legge 22
aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti
connessi al suo esercizio), come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 140 del
2006. La repressione delle violazioni del diritto di autore effettuate tramite
internet richiederebbe, infatti, l’introduzione di ulteriori meccanismi di
"public enforcement”, qual è quello affidato dal
suddetto d.lgs. n. 70 del 2003 all’autorità di vigilanza. Pertanto, la
procedura definita dal regolamento gravato non mirerebbe a definire le singole
controversie tra operatori o tra questi e gli utenti, bensì a regolare il
potere della autorità amministrativa di adottare provvedimenti inibitori
all’esito di «un ordinario procedimento amministrativo» ispirato al «principio
di partecipazione procedimentale» secondo modalità compatibili con le ragioni
d’urgenza, e non informato al più pregnante principio del «contraddittorio»
processuale e del «giusto processo», che contraddistingue i procedimenti di
natura giurisdizionale.
1.2.– Le considerazioni
sopra sintetizzate inducono il remittente a ritenere infondate le censure di
merito dedotte avverso il regolamento AGCOM impugnato; tuttavia, prosegue
l’ordinanza di rimessione, le medesime considerazioni suscitano dubbi quanto
alla legittimità costituzionale delle leggi stesse, che costituiscono il
fondamento legislativo del regolamento impugnato. Ciò induce il TAR a ritenere
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale delle suddette disposizioni di legge, in quanto l’eventuale
declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe l’invalidità
derivata del regolamento adottato in base alle stesse.
1.3.– In punto di non
manifesta infondatezza, il TAR osserva che il diritto d’autore, quale
espressione del diritto di proprietà di cui all’art. 42 Cost., deve essere
bilanciato con altri diritti fondamentali previsti in Costituzione, quali il
diritto alla libera informazione del gestore del sito web, dell’internet service
provider e del fornitore di servizi media audiovisivi; il diritto di
accesso di ogni persona alla libera informazione in rete; il diritto degli
operatori economici a svolgere la propria attività sulla rete; il diritto alla
segretezza della comunicazione intersoggettiva. Ritiene, tuttavia, il
rimettente che la Costituzione abbia posto su un diverso piano i diritti
fondamentali e le libertà economiche, ammettendo, in caso di conflitto, il
sacrificio di quest’ultime a favore dei primi: in questa prospettiva, le
disposizioni di legge impugnate apparirebbero costituzionalmente illegittime,
perché la rimozione dei contenuti illeciti da esse consentita sembrerebbe
ledere le libertà fondamentali di informazione e di comunicazione
sopraindicate, posponendole rispetto al diritto del proprietario dell’opera
d’ingegno e delle società che percepiscono una quota delle relative utilità.
Il rimettente
sottolinea inoltre che la Costituzione presidia i diritti fondamentali con la
garanzia della riserva di legge (artt. 21 e 41 Cost.) e, secondo l’espressione
usata dal TAR, la «riserva di tutela giurisdizionale» (artt. 24 e 25 Cost.),
mentre le disposizioni di legge in esame sembrano determinare la violazione di
entrambe le predette garanzie.
Infatti, secondo il
giudice a quo, la coessenzialità
tra la libertà di espressione usata a fini informativi e la forma di stato
democratico – che la stessa Corte costituzionale ritiene implicare «pluralità
di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di
ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei alla circolazione delle
notizie e delle idee» (sentenza n. 105 del
1972) – avrebbe condotto ad accentuare il carattere fondamentale dell’art.
21 Cost., inteso, secondo l’espressione del rimettente che cita la sentenza n. 94 del
1977 (recte:
n. 84 del 1969),
come «pietra angolare della democrazia» (rectius: «dell’ordine
democratico») e a considerarlo, così come tutti i diritti fondamentali della
persona, diretta emanazione del più generale diritto alla dignità della persona
umana, a base dell’art. 2 Cost., così da portare la Corte costituzionale ad
affermare, sin dalla sentenza n. 9 del
1965 che tutte «le limitazioni sostanziali di queste libertà non possono
essere poste se non per legge […] e devono trovare fondamento in precetti e
princìpi costituzionali».
Ad avviso del rimettente,
poi, la flessibilità del dettato costituzionale ha consentito di arricchire i
princìpi enunciati nell’art. 21 con quelli espressi in altre previsioni
costituzionali, come quelli in tema di libertà economiche, di tal che è
diventata obbligata una lettura congiunta dell’art. 21 con l’art. 41 Cost., nel
quale trova sede il principio di concorrenza in senso oggettivo, come interesse
di rango costituzionale soggetto ai limiti dell’«utilità sociale», di cui al
secondo comma, da attuare attraverso misure ragionevoli e tali da non
realizzare ingiustificate disparità di trattamento, in ossequio all’art. 3
Cost. Il TAR ha sottolineato come si sia posto in questa linea di sviluppo
l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui «[l]e disposizioni recanti divieti,
restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività
economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo,
restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di
interesse pubblico generale, alla stregua dei princìpi costituzionali per i quali
l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza
e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i
limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla
salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità
sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi
comunitari ed internazionali della Repubblica». È in un simile contesto che la
Corte costituzionale ha affermato che le eventuali restrizioni e limitazioni
alla libera iniziativa economica devono trovare puntuale giustificazione in
interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il
legislatore statale ha previsto all’art. 3, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012 (sentenza n. 200 del
2012).
1.4.– Il rimettente ha
tuttavia ritenuto di approfondire ulteriori possibili profili di illegittimità
costituzionale, quanto alla «non conformità dei contenuti del diritto positivo
considerato allo specifico dettato costituzionale concernente la tutela dei
diritti fondamentali» con la conseguente necessità di «approfondire la questione,
anche in relazione al carattere conformativo che, in tal caso, la eventuale
sentenza di annullamento produrrebbe nei confronti del legislatore ordinario
pro tempore».
Sul punto il rimettente
ha osservato che l’art. 21 Cost., al primo e all’ultimo comma, pone una tutela
generale del diritto di manifestazione del pensiero (oggi declinabile come
diritto di informare ed essere informati), prevedendo una riserva di legge per
la disciplina degli eventuali limiti; viceversa, ai commi secondo e seguenti,
il medesimo art. 21 detta una speciale disciplina di garanzia per la «stampa»,
prevedendo una stringente riserva giurisdizionale per il suo eventuale
sequestro, che può avvenire, solo nei casi prefissati per legge, e comunque
solo per atto dell’autorità giudiziaria o, in caso di estrema urgenza, con atto
da essa convalidato entro 48 ore. Pur stimando non estensibile la disciplina
prevista per la «stampa» a tutti i prodotti digitali – in quanto ciò può
avvenire solo in presenza dei requisiti espressamente previsti dalla legge 7
marzo 2001, n. 62 (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e
modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416), così come ha riconosciuto la
giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 38 del
1961) e della Corte di cassazione (sentenze, terza sezione penale, 27
settembre 2007, n. 39354, 12 dicembre 2008 – 10 marzo 2009, n. 10535, e quinta
sezione penale, 5 novembre 2013 – 5 marzo 2014, n. 10594) – ciò nondimeno il
TAR ritiene che i commi secondo e seguenti dell’art. 21 Cost. siano dotati di un tale «grado di prescrittività»
da comportare un «limite "intrinseco” alla discrezionalità del legislatore
chiamato a riempire di contenuti la prevista riserva di legge» anche a fronte
di mezzi di comunicazione non immaginabili al tempo in cui fu redatto il testo
costituzionale. Pertanto, il legislatore non potrebbe assicurare garanzie
minori, rispetto a quelle già previste per la "stampa” dai commi secondo e seguenti
dell’art. 21 Cost., per il «"mezzo di comunicazione”
internet», affiancatosi appunto alla "stampa” quanto al rilievo per l’esercizio
delle libertà civili e della partecipazione politica e sociale.
Tali considerazioni,
secondo il rimettente, troverebbero conferma nella giurisprudenza della Corte
di giustizia che – con la sentenza
24 novembre 2011, in causa C-70/10
e con la sentenza
12 luglio 2011, in causa C-324/09 – avrebbe previsto che siano (solo) «gli
organi giurisdizionali nazionali» a poter ingiungere agli intermediari di
adottare provvedimenti «volti a porre fine alle violazioni dei diritti di
proprietà intellettuale».
1.5.– In conclusione,
il Collegio ha ritenuto che debbano essere sollevate questioni di legittimità
costituzionale delle disposizioni censurate – sulla cui base è stata adottata
la impugnata delibera dell’AGCOM recante il regolamento in materia di tutela
del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure
attuative – per violazione dei «princìpi di riserva di legge e di tutela
giurisdizionale in relazione all’esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero e di iniziativa economica, sanciti dagli articoli 2, 21, I [recte: primo]
comma, 24 e 41 della Costituzione, nonché per la violazione dei criteri di
ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa
e per la violazione del principio del giudice naturale, in relazione alla
mancata previsione di garanzie e di tutele giurisdizionali per l’esercizio
della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno equivalenti a
quelle sancite per la stampa, con la conseguente violazione degli articoli 21,
secondo comma e seguenti, 24 e 25, primo comma, della Costituzione».
2.– Con atto depositato il
26 febbraio 2015 si sono costituiti ALTROCONSUMO, ASSOPROVIDER – Associazione
provider indipendenti – Confcommercio, Movimento difesa del cittadino, ASSINTEL
– Confcommercio – Confcommercio associazione nazionale imprese ICT, chiedendo
che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale delle disposizioni
censurate.
Gli intervenienti
ritengono eccessivamente limitativo dei diritti costituzionali consentire ad
AGCOM, quale autorità amministrativa, di disciplinare interventi repressivi che
la legge sul diritto d’autore – segnatamente gli artt. 156, 161, 171, 171-ter e 182-ter della l. n. 633 del 1941 – e, prima ancora il diritto
dell’Unione europea e la Costituzione, riservano al giudice a tutela della
libertà di espressione del pensiero, della libertà di informazione e della
concorrenza.
Più precisamente
vengono ravvisate due «linee di violazione costituzionale»: una per la
creazione di un modello di controllo affidato ad AGCOM in spregio dei princìpi ex artt. 24 e 25 Cost.; l’altro
per la conformazione del controllo mediante una procedura ritenuta sommaria e
poco garantista, che configurerebbe una sorta di «censura» in violazione dell’art. 21 Cost., sulla
quale già si erano appuntate le critiche di diverse istituzioni internazionali
di tutela dei diritti civili, essendo l’Italia l’unico paese europeo che aveva
in tal modo attuato la direttiva
8 giugno 2000, n. 2000/31/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio,
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
– "Direttiva sul commercio elettronico”).
In particolare non
sarebbero garantiti la partecipazione e il pieno contraddittorio delle parti.
Inoltre, i provvedimenti repressivi, impugnabili davanti al giudice
amministrativo, di fatto trasferirebbero a tale giudice le controversie in
materia di diritto d’autore in assenza di una legge che lo preveda, con
violazione della riserva di legge e di giurisdizione e del principio del
giudice naturale precostituito per legge, con una duplicazione e conseguente interferenza
con le attività rimesse alla giurisdizione ordinaria, civile e penale in
materia di diritto d’autore. Le differenti modalità tecniche di attuazione dei
provvedimenti dell’autorità amministrativa e giudiziaria, in relazione al
"blocco” dei siti, dimostrerebbe poi la disfunzionalità del sistema a "doppio
binario” in tal modo realizzato.
Inoltre, consentire ad
AGCOM di poter oscurare i siti senza garanzie giurisdizionali, con il rischio
di offrire ad un’autorità amministrativa la potestà di selezionare i contenuti
diffusi in rete sulla base di segnalazioni unilaterali basate su pretese di
sfruttamento economico, rappresenterebbe una grave violazione dell’art. 21
Cost. ed una seria lesione della libertà di
informazione, coessenziale ad uno Stato democratico, come dimostrerebbero
alcuni casi di oscuramento di siti e contenuti, già avvenuti in base
all’applicazione del regolamento impugnato nel giudizio a quo.
3.– Con atto depositato il
3 marzo 2015 si è costituita Confindustria Cultura Italia – Federazione
italiana dell’industria culturale, chiedendo che le questioni sollevate vengano
dichiarate inammissibili o infondate.
La parte privata
ritiene, in primo luogo, che la questione sollevata sia manifestamente
inammissibile, in quanto la questione di legittimità costituzionale sarebbe
formulata in maniera ipotetica e perplessa. Contraddittoria è, poi, ritenuta
l’ordinanza nella parte in cui, da un lato, afferma di non voler equiparare la
"stampa” a "internet” e, dall’altro, tale equiparazione opera quando giunge
all’assolutizzazione della protezione della rete come mezzo di diffusione del
pensiero ai sensi dell’art. 21, commi secondo e seguenti, della Costituzione.
Nel merito la questione
è ritenuta non fondata, in quanto l’art. 21 Cost. tutela la libera manifestazione del pensiero "proprio” e,
quindi, non potrebbe essere invocato a tutela della diffusione di contenuti in
violazione del diritto dell’autore.
D’altro canto, neppure
sarebbe tutelabile ex art. 41 Cost. chi pretenda di lucrare dalla diffusione dell’opera altrui
in violazione dei suoi diritti.
Né il diritto d’autore
potrebbe ritenersi tutelato soltanto, come reputa invece il rimettente,
dall’art. 41 Cost., essendo questo riconducibile anche alla tutela apprestata
da altre disposizioni della Costituzione, quali gli artt. 2 (in quanto
diritto inviolabile),
3, secondo comma (in quanto non ingiustificatamente discriminabile), 4 (in quanto
attività che concorre al progresso materiale e spirituale della società), 9 (in quanto
strumento di sviluppo della cultura e della tecnica), 21 (in quanto
diretto a proteggere la manifestazione del pensiero), 33 (in quanto tutela
il libero esercizio dell’arte e della scienza) e 35 (in quanto frutto
di lavoro in una delle sue diverse forme).
Inoltre,
l’interveniente ritiene che non potrebbe ravvisarsi alcuna violazione del
diritto alla tutela giurisdizionale e al giudice naturale precostituito per
legge, ai sensi degli artt.
24 e 25 Cost., in quanto la tutela
amministrativa concessa dall’AGCOM si affianca, senza sostituirla, a quella
giurisdizionale.
Lo stesso diritto
d’autore e la repressione delle sue violazioni in rete sono poi ampiamente
disciplinati dal diritto dell’Unione europea, in attuazione del quale le
disposizioni censurate sono state adottate, e ciò troverebbe riscontro anche
nelle decisioni della Corte di Lussemburgo sul punto. Né potrebbe ritenersi
sussistere alcun contrasto tra il predetto diritto dell’Unione e i princìpi
fondamentali della nostra Costituzione, con i quali invece il primo è del tutto
coerente.
Nessuna violazione
sarebbe poi ravvisabile in relazione alla tutela del diritto di espressione
apprestata dall’art. 10 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), che è stato richiamato proprio
nel "considerando” n. 41 della
cosiddetta direttiva e-commerce,
sulla base della quale è stato adottato il sistema del "doppio binario”,
attuato dalle disposizioni nazionali oggi censurate. Aggiunge la parte privata
che, in ogni caso, neppure è stato dedotto come parametro di giudizio l’art. 117, primo comma,
Cost., ciò che preclude
in radice l’esame della questione. Del resto, un sistema inibitorio di
carattere amministrativo a tutela del diritto d’autore in sede di controlli
doganali è apprestato dallo stesso diritto dell’Unione e in particolare dal Regolamento
del Consiglio (CE) 22 luglio 2003, n. 1383/2003 (relativo all’intervento
dell’autorità doganale nei confronti di merci sospettate di violare taluni
diritti di proprietà intellettuale e alle misure da adottare nei confronti di
merci che violano tali diritti).
Parimenti insussistente
dovrebbe ritenersi la violazione della riserva di legge, posto che se il
regolamento non trovasse il suo fondamento proprio nelle disposizioni di legge
impugnate, la questione medesima diverrebbe irrilevante. Inoltre, il sistema "a
doppio binario” realizzato attraverso l’affiancamento e il coordinamento di una
tutela giurisdizionale e di una amministrativa affidata all’AGCOM sarebbe
preordinato proprio ad una più efficace tutela di interessi di rango
costituzionale.
4.– Con atto depositato il
3 marzo 2015, si è costituita la SIAE – Società italiana degli autori e degli
editori, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o
infondate.
In particolare, la
parte privata ritiene inammissibile la questione per difetto di rilevanza, non
avendo il rimettente adeguatamente motivato in ordine alla legittimazione dei
ricorrenti ad impugnare il regolamento. Il difetto di rilevanza sarebbe altresì
riconducibile all’assoluta genericità con la quale il rimettente equipara ogni
attività in rete alla libera manifestazione del pensiero.
Viene poi rilevata la
contraddittorietà dell’ordinanza che, da un lato, ritiene che le disposizioni
di legge oggetto del presente giudizio siano idonee ad escludere che il
regolamento impugnato sia illegittimo per violazione della riserva di legge e
di giurisdizione e, dall’altro, ritiene poi che quelle medesime disposizioni di
legge siano colpite proprio dallo stesso vizio che si è escluso inficiare il
regolamento impugnato.
La questione viene
ritenuta inammissibile anche perché formulata in maniera perplessa, oscura e
del tutto eventuale, ciò che verrebbe confermato anche dalla scarsa
corrispondenza tra la motivazione e il dispositivo dell’ordinanza medesima.
Nel merito le questioni
sono ritenute infondate.
In particolare la parte
privata espone analiticamente il fondamento legislativo del potere regolativo
di AGCOM nella materia in esame, dal quale dovrebbe agevolmente desumersi
l’insussistenza della dedotta violazione della riserva di legge. Si osserva che
la stessa giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che, nei rapporti
tra fonte legislativa e regolamentare, la prima non può predeterminare nel
dettaglio il contenuto della fonte secondaria, proprio per il tecnicismo del
settore che ne giustifica l’intervento. Tuttavia, l’eventuale indebolimento del
principio di "legalità sostanziale” deve – ed è stato, nel caso di specie –
adeguatamente controbilanciato da un corrispondente rafforzamento del principio
di "legalità procedurale”, garantito dall’accentuata partecipazione degli
operatori del settore alla formazione dell’atto normativo regolamentare: nella
specie, il procedimento che ha condotto all’adozione del regolamento impugnato
è stato particolarmente aperto e partecipato, come si può desumere dall’esame
della delibera AGCOM n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, in cui si dà ampio
conto delle posizioni espresse e della ponderazione delle stesse effettuata
dall’autorità procedente.
Parimenti insussistenti
vengono ritenute le violazioni degli ulteriori parametri costituzionali, non
avendo il rimettente adeguatamente considerato l’ampia dimensione
costituzionale del diritto d’autore, non riducibile al solo art. 41 Cost., come
già da tempo ha riconosciuto anche la Corte costituzionale (sin dalla sentenza n. 20 del
1978) e che ormai trova tutela anche nel diritto dell’Unione europea e nel
diritto internazionale. Sarebbe la stessa giurisprudenza costituzionale – in
particolare con la sentenza
n. 108 del 1995 – a riconoscere come sia proprio attraverso la protezione
del diritto d’autore che si assicura la diffusione della cultura e la libera
manifestazione del pensiero. Ciò è, del resto, affermato anche dalla Corte di
giustizia nella sentenza
10 aprile 2014, in causa C-435/12, secondo cui la diffusione della cultura
non può essere veramente promossa se non proteggendo rigorosamente i diritti
degli autori e lottando contro ogni forma di violazione degli stessi, come
avverrebbe appunto, secondo il rimettente, con la lotta contro la pirateria
elettronica. Nel medesimo quadro del resto si inserirebbe anche il diritto
internazionale e segnatamente la Convenzione di Berna per la protezione delle
opere letterarie e artistiche del 9 settembre 1886, completata a Parigi il 4
maggio 1896, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908, completata a Berna il 20
marzo 1914 e riveduta a Roma il 2 giugno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a
Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Parigi il 24 luglio 1971, alla quale la stessa
Unione europea ha aderito.
5.– Con atto depositato il
3 marzo 2015 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, assistito
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o infondata.
In primo luogo, viene
evidenziata la contraddittorietà e la perplessità dell’ordinanza di rimessione,
segnatamente nella parte in cui, da un lato, si ritiene che le disposizioni
censurate garantiscano che il regolamento rispetti i princìpi della riserva di
legge e di giurisdizione e, dall’altro, si considera che, invece, le
disposizioni di legge impugnate siano affette da quegli stessi vizi. Analoga
perplessità e contraddittorietà viene poi ravvisata nella parte dell’ordinanza
in cui prima si distingue la "stampa” da "internet”, per affermare
l’inestensibilità della disciplina normativa della prima alla seconda, e poi le
si equiparano ai fini della deduzione del vizio di legittimità.
Difetterebbe inoltre la
rilevanza per la parzialità e la genericità con la quale le questioni sono
dedotte, omettendo una esauriente valutazione del diritto dell’Unione europea e
qualsiasi riferimento al diritto comparato.
Analogamente si deduce
come il rimettente non tenga conto della più ampia e complessa dimensione
costituzionale del diritto d’autore, non riducibile al solo art. 41 Cost., e che si radica, invece, anche nello stesso art. 21
Cost., dato che la sua disciplina è posta a tutela della stessa libera
manifestazione del pensiero.
Oscuro risulterebbe poi
il nesso istituito dal rimettente tra le norme censurate e l’art. 41 Cost., con riferimento al principio di concorrenza in senso
oggettivo ovvero al principio di liberalizzazione.
Nel merito le censure
sono considerate infondate.
Quanto alla violazione
dei princìpi della riserva di legge e di giurisdizione, si evidenzia come le
disposizioni in esame debbano essere esaminate nel più ampio contesto della
materia. Ad un tale esame, emergerebbe con chiarezza che il d.lgs. n. 70 del
2003 ha introdotto nell’ordinamento un "doppio binario” di tutela, complementare
e non alternativa, amministrativa e giudiziaria, del diritto d’autore sulle
reti di comunicazione elettronica, con recessione e subordinazione di quella
amministrativa, che viene archiviata in caso di instaurazione o pendenza di un
giudizio davanti alla giurisdizione ordinaria. Inoltre si osserva che il citato
decreto legislativo disciplina compiutamente gli obblighi gravanti sui
prestatori di servizi, individuando le autorità che possono esigerne il
rispetto, in piena osservanza quindi dei precetti costituzionali dedotti.
Quanto alla lamentata
illegittima e sproporzionata compressione del diritto di libera manifestazione
del pensiero ex art. 21 Cost., la
difesa statale rimarca la natura morale e personale dello stesso diritto
d’autore – che non solo è ampiamente riconosciuta dalla Corte costituzionale,
ma anche dall’art. 27, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1948 e dall’art. 6-bis della citata Convenzione di Berna –
con la conseguenza che, diversamente da quanto opinato dal rimettente, la
disciplina in esame opererebbe un bilanciamento equilibrato e proporzionato tra
diritti aventi la stessa natura e dignità.
Infine, in ordine
all’estensione delle garanzie specificamente previste per la "stampa” alle
comunicazioni elettroniche in rete, il Presidente del Consiglio dei ministri
rileva che a ciò osta l’inequivoco dettato costituzionale quale interpretato
dalla Corte costituzionale, con piena adesione della Corte di cassazione, che
ha più volte riservato alla stampa le garanzie di cui all’art. 21, secondo
comma e seguenti, Cost. anche dopo che erano emersi
mezzi di comunicazione diversi dalla stampa, quali la televisione, di simile
ampiezza diffusiva.
6.– Con memoria depositata
il 28 settembre 2015, ALTROCONSUMO ha insistito per l’accoglimento della
questione di illegittimità costituzionale ovvero, in quanto occorra, perché
venga sollevata dalla medesima Corte costituzionale, innanzi alla Corte di
giustizia, una questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell’art. 267
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, avente ad oggetto le
direttive attuate con le leggi censurate. L’interveniente ritiene inoltre
infondate le eccezioni di inammissibilità e di merito proposte dal Presidente
del Consiglio dei ministri e ha depositato un documento contenente le
osservazioni della Commissione europea sul progetto di regolamento dell’AGCOM
notificatole.
7.– Con memoria depositata
il 29 settembre 2015, la SIAE ha insistito perché la questione sia dichiarata
inammissibile o infondata, illustrando ulteriormente le argomentazioni già
sviluppate nell’atto di costituzione.
8.– Con memoria depositata
il 29 settembre 2015, Confindustria Cultura Italia ha insistito perché la
questione sollevata sia dichiarata inammissibile o infondata.
In particolare, la
parte privata, nell’illustrare ulteriormente le argomentazioni già sviluppate
nell’atto di costituzione, ha rimarcato che oggetto di censura nel giudizio di
legittimità costituzionale sono le disposizioni di legge e non il regolamento,
con la conseguenza che le doglianze elaborate in riferimento a quest’ultimo
esulano dal giudizio dinanzi alla Corte costituzionale.
In ogni caso, la
medesima parte privata ha rilevato come anche il regolamento fosse del tutto
legittimo e rispettoso dei diritti dei destinatari, evidenziando altresì come
anche nell’applicazione dello stesso nei singoli casi l’Autorità avesse
rispettato pienamente i diritti in parola.
9.– Con ordinanza del 26
settembre 2014 (reg. ord. n. 2 del 2015), notificata il successivo 17 ottobre,
il TAR del Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 21, 24, 25, primo
comma, e 41 Cost., questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5, comma 1, 14, comma 3, 15, comma 2, 16, comma 3
del d.lgs. n. 70 del 2003 e dell’art. 32-bis,
comma 3, del d.lgs. n. 177 del 2005.
Il giudice rimettente
ha premesso di essere investito del ricorso promosso da ANSO – Associazione
nazionale stampa online – contro AGCOM, al fine di ottenere l’annullamento
della delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, pubblicata sul sito
dell’Autorità in data 18 dicembre 2013, di approvazione del «Regolamento in
materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica
e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70»,
nonché dell’Allegato A alla medesima delibera, contenente il testo del
regolamento approvato.
9.1.– Anche in questo
caso il rimettente ha ritenuto infondate le eccezioni della resistente in
ordine alla carenza di legittimazione e di interesse ad agire della ricorrente,
trattandosi nella specie di associazione che a vario titolo rappresenta web-tv, micro web-tv, micromedia iperlocali, blog
e video blog, portali informativi e
aggregatori di video-contenuti operanti in vari ambiti territoriali, imprese
attive nel settore della cosiddetta «stampa on line» o statutariamente
impegnati nella promozione, nella salvaguardia e nella difesa del diritto alla
libertà d’informazione, alle quali è pertanto riconducibile un interesse
collettivo e omogeneo, immediato e diretto, ad impugnare il regolamento in
epigrafe, che contiene prescrizioni suscettibili di pregiudicare direttamente i
diritti di tutti gli associati, anche anteriormente alla impugnabilità del
(futuro ed eventuale) singolo atto interdittivo da
parte dell’associato specificamente leso.
Lo stesso rimettente ha
ritenuto, poi, non fondate nel merito le doglianze della ricorrente, in quanto
il procedimento amministrativo delineato nel regolamento impugnato non
risulterebbe, in realtà, orientato a perseguire la violazione primaria del
diritto d’autore, il cui accertamento rimane di esclusiva competenza
dell’autorità giudiziaria ordinaria.
Ha eccettuato,
tuttavia, la censura con cui la ricorrente lamenta che il regolamento – cioè un
atto privo di forza di legge – consente che l’autorità amministrativa disponga
una limitazione della libertà di comunicazione (attiva e passiva) mediante un
provvedimento amministrativo, in contrasto con la precedente scelta legislativa
di riservare all’autorità giudiziaria ordinaria, con sue sezioni specializzate,
la competenza a conoscere di ogni controversia connessa alla violazione del
diritto d’autore. Su quest’ultimo punto il rimettente ha osservato che quest’ultimo
motivo di ricorso, relativo all’idoneità di una procedura amministrativa a
disciplinare la compressione di diritti inviolabili dei cittadini, implica una
questione di legittimità costituzionale, comune ad altro contenzioso relativo
all’impugnazione della medesima delibera AGCOM, pure in decisione nella
pubblica udienza del 25 giugno 2014.
Il TAR ha ritenuto
rilevante ai fini della definizione del giudizio a quo, ovvero ai fini della eventuale declaratoria di illegittimità
del regolamento dell’AGCOM impugnato, la «questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 1, e degli artt. 14, comma 3, 15, comma 2, e
16, comma 3, del d.lgs. n. 70 del 2003, nonché del comma 3 dell’art. 32-bis del d.lgs. n. 177 del 2005, come
introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 44 del 2010, sulla cui base è stata
adottata la impugnata delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013, recante il
regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di
comunicazione elettronica e procedure attuative, e l’Allegato A alla predetta
delibera, per la violazione dei «princìpi di riserva di legge e di tutela
giurisdizionale» in relazione all’esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero e di iniziativa economica, sanciti dagli articoli 2, 21, primo e sesto
comma, 24 e 41 della Costituzione, nonché per la violazione dei criteri di
ragionevolezza e proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità
legislativa e per la violazione del principio del giudice naturale, in
relazione alla mancata previsione di garanzie e di tutele giurisdizionali per
l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero sulla rete almeno
equivalenti a quelle sancite per la stampa, con la conseguente violazione degli
articoli 21, secondo, terzo e quarto comma, 24 e 25, primo comma, della
Costituzione».
I motivi di
illegittimità costituzionale sviluppati nell’ordinanza di rimessione articolano
le medesime argomentazioni già esposte nell’ordinanza precedente (reg. ord. n.
1 del 2015).
10.– Con atto depositato il
3 marzo 2015, si è costituita Confindustria Cultura Italia, che ha chiesto che
le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o
infondate, reiterando le argomentazioni di cui al corrispondente atto
depositato nel procedimento di cui al reg. ord. n. 1 del 2015.
11.– Con atto depositato il
3 marzo 2015, si è costituita Nuovo IMAIE chiedendo che le questioni di
legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate.
In particolare la parte
privata ha ritenuto che le questioni dovessero essere dichiarate inammissibili
per il modo ipotetico, perplesso e contraddittorio con il quale le stesse sono
state formulate nell’ordinanza di rimessione.
Nel merito,
l’interveniente ha illustrato come il diritto di autore si basi su un
fondamento costituzionale ben più ampio dell’art. 41 Cost. e
sia ormai riconosciuto anche nel diritto internazionale e in quello dell’Unione
europea e ha sottolineato l’insussistenza di qualsiasi violazione della riserva
di legge. Parimenti infondate sono state considerate le violazioni degli artt.
24 e 25, primo comma, Cost., in quanto la tutela
amministrativa garantita da AGCOM si affiancherebbe, senza sostituirla, a
quella giurisdizionale, attraverso un sistema a doppio binario consentito dal
diritto dell’Unione europea, in armonia con i princìpi costituzionali interni e
con l’art. 10 della CEDU e con l’art. 11 della Carta europea dei diritti
fondamentali. Nessun contrasto, poi, si potrebbe ravvisare con gli artt. 21 e
41 Cost., trattandosi di tutelare le opere da
diffusioni altrui, in violazione del diritto dell’autore.
12.– Con atto depositato il
3 marzo 2015 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, assistito
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate, reiterando le medesime
argomentazioni già indicate nel corrispondente atto depositato in relazione
all’ordinanza di cui al reg. ord. n. 1 del 2015.
13.– Con atto depositato il
3 marzo 2015 si è costituita la SIAE e ha chiesto che vengano dichiarate
inammissibili o infondate le questioni sollevate, reiterando le medesime
argomentazioni già esposte nell’atto depositato in relazione all’ordinanza di
cui al reg. ord. n. 1 del 2015.
14.– Con atto depositato il
3 marzo 2015 si è costituita ANSO, aderendo alle considerazioni del rimettente
e chiedendo la dichiarazione di illegittimità delle disposizioni censurate.
15.– Con memoria depositata
il 29 settembre 2015, Nuovo IMAIE ha insistito perché la questione sia
dichiarata inammissibile o non fondata, ulteriormente illustrando le
argomentazioni già sviluppate nell’atto di costituzione.
16.– Con memoria depositata
il 29 settembre 2015, la SIAE ha insistito perché la questione sia dichiarata
inammissibile o non fondata, illustrando ulteriormente le argomentazioni già
sviluppate nell’atto di costituzione.
17.– Con memoria depositata
il 29 settembre 2015, Confindustria Cultura Italia ha insistito perché la
questione sollevata sia dichiarata inammissibile o non fondata, sulla base
delle medesime argomentazioni già esaminate al precedente paragrafo 8.
18.– Con memoria depositata il 29 settembre 2015, ANSO ha insistito per la
dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate,
illustrando ulteriormente le argomentazioni già sviluppate nell’atto di
costituzione e rimarcando l’infondatezza delle censure sviluppate negli atti
delle altre parti private e del Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.– Con due ordinanze di
analogo tenore (reg. ord. nn.
1 e 2 del 2015), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 21, 24, 25, primo comma, e 41 della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1,
14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3, del decreto legislativo 9 aprile 2003,
n. 70 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti
giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con
particolare riferimento al commercio elettronico) e dell’art. 32-bis, comma 3, del decreto legislativo 31
luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e
radiofonici).
1.1.– In particolare,
il TAR censura le disposizioni che, a suo avviso, consentono all’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni (d’ora innanzi «AGCOM»), quale autorità
amministrativa di vigilanza, di limitare la libera circolazione di un «servizio
della società dell’informazione» e, segnatamente, di intervenire anche in via
d’urgenza su attività quali il trasporto o la memorizzazione di informazioni,
attribuendole anche il potere di emanare le disposizioni regolamentari –
impugnate nei giudizi amministrativi a quibus – considerate necessarie a rendere effettiva
l’osservanza dei diritti di proprietà intellettuale da parte dei prestatori di
servizi sulle reti di comunicazione elettronica.
Ad avviso del
rimettente tali disposizioni violerebbero i «princìpi di riserva di legge e di
tutela giurisdizionale in relazione all’esercizio della libertà di
manifestazione del pensiero e di iniziativa economica, sanciti dagli artt. 2,
21, primo e sesto comma, 24 e 41 Cost.» nonché i «criteri di ragionevolezza e
proporzionalità nell’esercizio della discrezionalità legislativa», in quanto
non prevedono «parametri idonei a garantire la necessaria ponderazione fra i
diversi diritti costituzionali potenzialmente configgenti ovvero […] criteri
che garantiscano che una tale ponderazione avvenga nell’esercizio delle
competenze attribuite all’AGCOM, fin dall’adozione del regolamento impugnato».
Lo stesso rimettente
ritiene, in aggiunta, che tali disposizioni violino gli «artt. 21, commi 2 e
seguenti, 24 e 25, comma 1, della Costituzione» con riferimento al «principio
del giudice naturale», in quanto non contengono la «previsione di garanzie e di
tutele giurisdizionali per l’esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero sulla rete almeno equivalenti a quelle sancite per la stampa».
La questione, oltre che
non manifestamente infondata, sarebbe rilevante, poiché la dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate priverebbe di base
normativa il regolamento dell’Autorità oggetto dei giudizi a quibus, imponendone l’annullamento.
1.2.– Sono intervenuti nel
giudizio dinanzi alla Corte ALTRONSUMO, ASSOPRIVIDER – Associazione provider
indipendenti – Confcommercio, Movimento difesa del cittadino e ASSINTEL –
Confcommercio Associazione Nazionale Imprese ICT, in relazione alla prima
ordinanza (reg. ord. n. 1 del 2015), e ANSO – Associazione nazionale stampa
online, Federazione media digitali indipendenti, Open Media Coalition,
ricorrenti nei rispettivi giudizi amministrativi a quo – insistendo per l’accoglimento della sollevata questione di
legittimità costituzionale.
1.3.– Sono altresì
intervenuti Confindustria Cultura Italia – Federazione italiana dell’industria
culturale, Nuovo IMAIE – Nuovo istituto mutualistico per la tutela dei diritti
degli artisti interpreti esecutori e SIAE – Società italiana degli autori ed
editori – Siae, già intervenuti ad opponendum nei giudizi amministrativi pendenti, nonché
il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo in primo luogo
l’inammissibilità della questione per perplessità, contraddittorietà e oscurità
della motivazione e del petitum,
per mancanza o insufficiente motivazione sulla rilevanza e per mancata
sperimentazione di un’interpretazione conforme, ferma restando nel merito la
ritenuta non fondatezza delle censure.
2.– In via preliminare
deve disporsi la riunione dei procedimenti, in quanto le due ordinanze del TAR
sollevano questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto le medesime
disposizioni legislative, deducono la violazione degli stessi parametri
costituzionali e si fondano su argomentazioni del tutto sovrapponibili.
3.– Sempre in via
preliminare deve osservarsi che tutte le parti private intervenute nel presente
giudizio incidentale erano già parti dei giudizi a quibus, di tal che il loro intervento
in questa sede è pienamente ammissibile (ex
plurimis, sentenze n. 10 del
2015, n. 162
del 2014, n.
237 del 2013, n.
272 del 2012, n.
304, n. 293
e n. 118 del
2011, n. 138
del 2010 e n.
263 del 2009; ordinanze n. 240 del 2014,
n. 156 del 2013
e n. 150 del
2012).
4.– Le questioni sollevate
dal TAR, con le due ordinanze indicate in epigrafe, sono inammissibili, in
quanto entrambe presentano molteplici profili di contraddittorietà, ambiguità e
oscurità nella formulazione della motivazione e del petitum.
4.1.– Occorre
preliminarmente osservare che le disposizioni censurate non attribuiscono
espressamente ad AGCOM un potere regolamentare in materia di tutela del diritto
d’autore sulle reti di comunicazione elettronica; detto potere è, invece,
desunto implicitamente e in via interpretativa dallo stesso rimettente, in base
ad una lettura congiunta di tutte le disposizioni impugnate.
L’art. 5 del d.lgs. n. 70 del 2003 – di attuazione della
direttiva 8 giugno 2000, n. 2000/31/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
– "Direttiva sul commercio elettronico”) – contiene una disposizione generale,
recante i motivi per cui l’autorità giudiziaria o gli organi
amministrativi di vigilanza possono porre limitazioni alla libera circolazione
di servizi della società dell’informazione provenienti da altro Stato membro. I
suddetti motivi includono ragioni di: a) ordine pubblico, per l’opera di
prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, in
particolare la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio
razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché contro la violazione della
dignità umana; b) tutela della salute pubblica; c) pubblica sicurezza, compresa
la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale; d) tutela dei
consumatori, ivi compresi gli investitori.
Gli artt. 14, comma 3,
15, comma 2, e 16, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 70 del 2003 si limitano a
riprodurre i corrispondenti artt. 12, 13 e 14 della citata direttiva n.
2000/31/CE (cosiddetta "direttiva e-commerce”),
a cui il decreto legislativo dà attuazione. Le tre menzionate disposizioni
stabiliscono una clausola di esenzione dalla responsabilità di alcuni
prestatori di servizi internet – rispettivamente quelli che offrono servizi di mere conduit, caching e hosting – per gli illeciti compiuti
dagli utenti. L’esenzione dalla responsabilità è accompagnata da alcune
condizioni e da una clausola di salvaguardia, che «lascia impregiudicata» la
possibilità per gli Stati membri di attribuire all’autorità giudiziaria o a
quella amministrativa poteri inibitori, da esercitarsi anche in via d’urgenza,
nei confronti dei medesimi prestatori di servizi, al fine di impedire o porre
fine a violazioni di diritti di terzi. Più precisamente, le citate disposizioni
del d.lgs. n. 70 del 2003 prevedono, per ciascuna tipologia di internet service providers sopra
indicati, che «l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni
di vigilanza può esigere [...] che il prestatore [...] impedisca o ponga fine
alle violazioni commesse».
L’art. 32-bis del
d.lgs. n. 177 del 2005, introdotto dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44
(Attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri
concernenti l’esercizio delle attività televisive) prevede un potere
regolamentare da esercitarsi allo scopo di rendere effettiva l’osservanza delle
normative sul diritto d’autore da parte dei «fornitori di servizi di media
audiovisivi» e con riferimento ai «servizi di media audiovisivi». Quest’ultima
disposizione prevede, dunque, un potere regolamentare. L’ambito dei destinatari
e del tipo di servizio copre, tuttavia, solo una parte delle situazioni
disciplinate dal regolamento che viene in rilievo nel presente giudizio, il
quale riguarda, invece, dal punto di vista soggettivo, anche i prestatori di
servizi della società dell’informazione e i gestori di siti o pagine internet
e, dal punto di vista oggettivo, tutti i servizi da essi offerti sulla rete di
comunicazione elettronica.
4.2.– A prescindere da ogni considerazione sulla accuratezza
della ricostruzione del quadro normativo e della interpretazione datane dal
rimettente, è evidente che nessuna delle disposizioni impugnate, in sé
considerata, dispone specificamente l’attribuzione all’autorità di vigilanza di
un potere regolamentare qual è quello esercitato con l’approvazione del
regolamento impugnato nei due giudizi davanti al TAR. Esso è desunto dal
giudice a quo, in forza di una
lettura congiunta delle previsioni sopra esaminate, che non risulta
coerentemente o comunque adeguatamente argomentata.
Ciò che più
rileva è che il contenuto di ciascuna delle previsioni impugnate è per alcuni
aspetti più circoscritto e per altri eccedente rispetto all’oggetto del
regolamento di AGCOM. Sicché, considerato che la Corte giudica su norme, ma
pronuncia su disposizioni (sentenza n. 94 (rectius
84: n.red.) del 1996), una decisione di accoglimento – qual è
quella richiesta dal primo punto del dispositivo dell’ordinanza di rimessione –
non avrebbe l’effetto auspicato dal giudice rimettente, ma finirebbe per
espungere dall’ordinamento disposizioni che riguardano, o aspetti sostanziali
della disciplina delle comunicazioni elettroniche, o l’attribuzione ad AGCOM di
funzioni e poteri che non solo non sono in discussione, ma che devono essere
attribuiti, conformemente a quanto previsto dalla direttiva europea.
4.3.– Deve altresì essere rilevata l’incongruenza tra la
motivazione e il dispositivo dell’ordinanza di rimessione. Il dispositivo si
articola in due richieste. Come si è detto, la prima chiede che la Corte
dichiari l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, con una
pronuncia ablativa. Con la seconda richiesta, il giudice rimettente censura le
disposizioni sopra richiamate nella parte in cui non contengono garanzie
equiparate a quelle previste per la stampa dall’art. 21, secondo, terzo e
quarto comma, Cost.
A
quest’ultimo proposito si deve anzitutto rilevare che la motivazione si svolge
secondo un andamento non coerente. Infatti, dapprima il giudice si sofferma
sulle ragioni che giustificano una più esigente tutela per la stampa rispetto a
quella che assiste la libertà di manifestazione del pensiero con altri mezzi di
comunicazione, tra cui internet; poi, però, si duole della mancanza di una
tutela, nelle comunicazioni elettroniche, di livello pari a quella prevista per
la stampa: ciò che presuppone l’assimilabilità, prima negata, delle due
situazioni.
Peraltro,
questa seconda richiesta mira ad ottenere dalla Corte una pronuncia additiva,
che estenda le garanzie della stampa alle comunicazioni in rete. Tuttavia essa
è collegata alla prima – con la quale si chiede, invece, la pura e semplice
dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate –
con la congiunzione «nonché», che sembra esplicitare una richiesta aggiuntiva,
senza peraltro chiarire se essa sia alternativa o subordinata alla prima,
prospettando a questa Corte una questione ancipite, che non può superare il
vaglio dell’ammissibilità (ex multis
ordinanze n. 41
del 2015, n.
91 del 2014 e n.
265 del 2011).
4.4.– In definitiva,
l’ordinanza nel suo insieme non chiarisce sufficientemente se intende ottenere
una pronuncia ablativa o una pronuncia additivo-manipolativa e, per costante
giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis sentenza n. 228 del
2014; ordinanza
n. 214 del 2011), ciò preclude l’esame nel merito della questione
determinandone l’inammissibilità (ex plurimis ordinanze n. 101 del 2015;
n. 21 del 2011,
n. 91 del 2010
e n. 269 del
2009).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5, comma 1, 14, comma 3, 15, comma 2, e 16, comma 3,
del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70 (Attuazione della direttiva
2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio
elettronico) e dell’art. 32-bis,
comma 3, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei
servizi di media audiovisivi e radiofonici), sollevate, con le ordinanze
indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 21, 24, 25, primo comma, e
41 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21
ottobre 2015.
F.to:
Alessandro
CRISCUOLO, Presidente
Marta CARTABIA,
Redattore
Gabriella Paola
MELATTI, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 3 dicembre 2015.