Ordinanza n. 41 del 2015

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ORDINANZA N. 41

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, nel procedimento vertente tra la Residenze anni azzurri srl e il Ministero della difesa ed altri con ordinanza del 27 giugno 2013, iscritta al n. 242 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013.

         Visti gli atti di costituzione della Residenze Anni Azzurri srl, di C.G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;

         uditi gli avvocati Stefano Claudio Tani per la Residenze Anni Azzurri srl, Alessandro Lucchetti per Campa Giovanni e l’avvocato dello Stato Mario Antonio Scino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza del 27 giugno 2013 (r.o. n. 242 del 2013), il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 41, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che, per i dipendenti pubblici che abbiano svolto incarichi retribuiti non conferiti o previamente autorizzati dalla amministrazione di appartenenza, «il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti»;

che il giudice rimettente premette di essere stato investito da un ricorso in opposizione di terzo, proposto da una società a responsabilità limitata, a norma dell’art. 108 dell’Allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), contro la sentenza che, in accoglimento del ricorso di un sottufficiale della Marina militare, aveva annullato gli atti con i quali era stata a quest’ultimo richiesta, ai sensi della norma ora censurata, la restituzione dei compensi percepiti per prestazioni lavorative di tipo infermieristico svolte in favore della società opponente senza l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza;

che, nel ricorso in opposizione, detta società aveva rilevato di essere stata richiesta, dalla predetta amministrazione, del versamento della somma erogata in favore del militare, in applicazione del principio affermato nella pronuncia impugnata, secondo cui l’amministrazione di appartenenza deve prioritariamente escutere il soggetto che ha ricevuto le prestazioni non autorizzate, senza che a nulla rilevi l’eventuale già avvenuto pagamento a favore del prestatore d’opera;

che la società medesima, lamentando di essere stata pretermessa nel giudizio opposto, ha chiesto l’annullamento della relativa sentenza per violazione della regola del contraddittorio, oltre che per falsa applicazione della disposizione qui denunciata, osservando, a quest’ultimo riguardo, che il principio affermato dal TAR presupponeva la consapevolezza, da parte della società opponente, della sussistenza del rapporto di pubblico impiego, contrastata, nel caso di specie, a vantaggio della buona fede dell’opponente, dalla dichiarazione, da parte del militare, di non trovarsi in situazioni di incompatibilità;

che, secondo il giudice a quo, l’interpretazione della disposizione denunciata adottata nella sentenza opposta si porrebbe in termini di dubbia compatibilità con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., non risultando chiaro come dell’obbligo di esclusività del rapporto di pubblico impiego “possa essere chiamato a rispondere un soggetto estraneo alla P.A. e, quindi, non sottoposto al regime giuridico proprio dei dipendenti pubblici”;

che, peraltro, dal momento che la norma in discorso “sembra prescindere totalmente dal fatto” che le prestazioni siano state o meno pagate, esponendo l’ente a “versare nuovamente all’Amministrazione” somme già erogate al lavoratore, si configurerebbe un contrasto anche con il principio di libertà di iniziativa economica privata, di cui all’art. 41 Cost.;

che, d’altra parte, nel tentativo di rinvenire una soluzione ermeneutica costituzionalmente compatibile, il giudice rimettente individua un “recente orientamento giurisprudenziale” secondo cui andrebbe riconosciuto rilievo dirimente all’avvenuto pagamento delle prestazioni lavorative in assenza della prescritta autorizzazione, consentendo all’amministrazione di agire direttamente nei confronti del proprio dipendente;

che, tuttavia, neppure questa opzione si sottrarrebbe a dubbi di costituzionalità, risultando, in questo caso, in contrasto sia con l’art. 36 Cost. – nella misura in cui, indipendentemente dal doveroso procedimento disciplinare, essa “pone a carico del dipendente pubblico l’obbligo di restituire all’Amministrazione di appartenenza i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali privi della prescritta autorizzazione preventiva”, senza una verifica circa l’incidenza negativa che lo svolgimento di tali incarichi abbia prodotto sugli obblighi istituzionali o, in genere, sul buon andamento dell’azione amministrativa – sia con l’art. 97 Cost., in quanto la restituzione di quanto percepito in assenza di pregiudizio determinerebbe, in capo alla amministrazione, un arricchimento ingiustificato, in violazione del principio di imparzialità e di buon andamento;

che, infine, la questione sarebbe rilevante non apparendo ravvisabile, “oltre a quelle sospettate di incostituzionalità, un’interpretazione alternativa, costituzionalmente orientata” della disposizione oggetto di denuncia;

che nel giudizio si è costituita la Residenze Anni Azzurri srl, chiedendo dichiararsi inammissibile la questione proposta in quanto non rilevante o, in subordine, manifestamente infondata;

che, sul presupposto che la sentenza opposta sia stata pronunciata, con pregiudizio dei diritti della società opponente, in assenza della medesima, sicuramente controinteressata, e che la mancata notificazione integrerebbe un vizio della sentenza rilevabile anche d’ufficio, con conseguente “inammissibilità del giudizio di primo grado, concluso in violazione degli artt. 27 e 42 c.p.a.”, la questione relativa alla norma denunciata non rileverebbe in alcun modo agli effetti della decisione richiesta, potendo semmai riguardare un eventuale successivo giudizio;

che, quanto al merito, in contrasto alla tesi dell’obbligo della “preventiva escussione”, la norma in discorso coinvolgerebbe l’“erogante” solo in quanto il compenso non sia stato corrisposto, dovendo diversamente essere versato dal percettore;

che questa lettura parrebbe avvalorata dalla norma di cui al comma 7-bis dello stesso art. 53 denunciato, che assoggetta a giudizio di responsabilità erariale soltanto il pubblico dipendente “indebito percettore” di quel compenso che abbia omesso di versare alla amministrazione;

che si è anche costituito il militare originario ricorrente nel giudizio opposto, il quale ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale della norma censurata;

che, rievocata diffusamente la vicenda processuale e le considerazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, la memoria di costituzione segnala la rilevanza della questione in quanto, nell’ipotesi del rigetto, il militare si troverebbe esposto all’ingiustificato versamento della somma percepita, sottolineandosi, peraltro, che, in base all’art. 896 del codice dell’ordinamento militare, incomprensibilmente ritenuto ratione temporis inapplicabile dal TAR, la norma denunciata non si applicherebbe al personale militare;

che la questione sarebbe, nel merito, fondata per più ragioni ed in riferimento a vari parametri: in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., in quanto la disciplina della prestazione di lavoro resa in violazione di norme imperative non potrebbe determinare la negazione del compenso; in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto il recupero delle somme, da un lato, sarebbe irragionevole “per difetto di proporzionalità” e, d’altro lato, l’entità del reintegro sarebbe stabilita astrattamente, senza possibilità di prova contraria; in riferimento agli artt. 3, 97, 23 e 53 Cost., in quanto si determinerebbe un ingiustificato arricchimento per l’amministrazione, con introduzione per il dipendente di una sanzione per illecito di “pericolo”, in assenza, inoltre, delle condizioni previste per pretendere prestazioni patrimoniali personali; in relazione agli artt. 3, 24 e 103 Cost., infine, in quanto non sarebbe consentito al lavoratore di dedurre l’inesistenza di un concreto pregiudizio per la pubblica amministrazione;

che, quanto ai princìpi di cui all’art. 36 Cost., la rilevanza disciplinare della condotta serbata dal militare non dovrebbe, comunque, pregiudicare il diritto alla remunerazione per il lavoro svolto, senza che risulti dimostrata la sussistenza di un pregiudizio a danno dell’amministrazione;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;

che, secondo l’Avvocatura, l’ordinanza di rimessione non chiarirebbe l’opzione interpretativa del giudice rimettente e, dunque, la norma sulla quale egli appunta le censure;

che nel dispositivo dell’ordinanza sarebbe, infatti, enunciato come parametro anche l’art. 41 Cost., richiamato nella motivazione a sostegno dei dubbi che riguardano l’interpretazione cui ha aderito la sentenza opposta, dandosi così vita a due questioni di legittimità costituzionale fra loro alternative, restando, nella sostanza, immotivato il riferimento alla violazione dell’art. 97 Cost.;

che, nel merito, i dubbi sarebbero infondati, atteso che, quanto al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, la norma denunciata mirerebbe a rafforzare la garanzia che il lavoro dei pubblici dipendenti a favore di terzi non si riverberi negativamente sul servizio d’istituto e, quanto alla libertà di iniziativa economica, la stessa prevedrebbe limiti in ragione dell’interesse generale;

che il richiamo dell’art. 36 Cost. si rivelerebbe “palesemente improprio”, dal momento che la norma censurata non inciderebbe in alcun modo sul diritto del pubblico dipendente alla propria retribuzione;

che, infine, “non sembra possa avere diritto di cittadinanza il beneficio dell’escussione a carico dell’erogante disciplinato dall’articolo 53 comma 7, soprattutto nel caso in cui il soggetto obbligato a dover versare per primo il compenso non sia una pubblica amministrazione come nella fattispecie concreta qui all’esame (società opponente)” e tanto più quando i compensi siano stati già erogati;

che, in prossimità dell’udienza, la Residenze Anni Azzurri srl ha depositato una memoria nella quale ha ribadito la richiesta di una declaratoria di inammissibilità della questione, sul fondamento dei rilievi già esposti, sottolineando, peraltro, come, poco dopo la pubblicazione della sentenza opposta, sia entrata in vigore la norma di cui al comma 7-bis dello stesso art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, che stabilisce un’ipotesi di responsabilità contabile per il pubblico dipendente in relazione alle somme indebitamente percepite per attività non autorizzate;

che, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria anche la parte privata ricorrente nell’originario giudizio, insistendo nella richiesta di accoglimento della questione, per gli argomenti già esposti;

che la disposizione denunciata, oltre che imporre il versamento della retribuzione percepita dal pubblico dipendente senza alcun “titolo causale” per l’amministrazione, si rivelerebbe, per il suo “automatismo”, irragionevolmente afflittiva e in contrasto  con la tradizione civilistica, dal momento che: a) si cumulerebbe con le sanzioni disciplinari; b) priverebbe il dipendente di tutti i corrispettivi percepiti senza limiti temporali di recupero; c) prescinderebbe da qualsiasi accertamento in ordine al pregiudizio subìto dall’amministrazione;

che lo ius superveniens, di cui al comma 7-bis dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, avvalorerebbe, d’altra parte, la tesi secondo la quale, al pari di ogni altra ipotesi di responsabilità erariale, sarebbe necessario accertare se la prestazione non autorizzata abbia determinato un danno in concreto alla pubblica amministrazione, diversamente evidenziandosi l’ulteriore irragionevolezza dell’automatismo sanzionatorio, in contrasto con l’art. 36 Cost.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione di Lecce, con ordinanza depositata il 27 giugno 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 41, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che, per i dipendenti pubblici che abbiano svolto incarichi retribuiti non conferiti o previamente autorizzati dalla amministrazione di appartenenza, «il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti»;

 che il giudice rimettente preliminarmente rileva di essere chiamato a pronunciarsi sulla opposizione di terzo proposta, a norma dell’art. 108 dell’Allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo) dalla società Residenze Anni Azzurri srl, intesa ad ottenere la caducazione della sentenza pronunciata dal medesimo giudice, che aveva accolto il ricorso presentato da un sottufficiale della Marina militare avverso il provvedimento con il quale l’amministrazione di appartenenza aveva richiesto, in base alla norma ora censurata, la restituzione dei compensi percepiti per le prestazioni lavorative di tipo infermieristico dal medesimo svolte in favore della società opponente, la quale appunto si doleva, attraverso l’atto di opposizione, di essere stata indebitamente pretermessa da quel giudizio, con conseguente lesione dei propri diritti e interessi;

che la disposizione denunciata era stata interpretata, nella sentenza oggetto di opposizione, nel senso che, “in presenza di incarichi extraistituzionali non autorizzati, l’Amministrazione di appartenenza deve prioritariamente escutere il soggetto che ha ricevuto le prestazioni lavorative non autorizzate da parte del dipendente pubblico e che a nulla rilevi l’eventuale già avvenuto pagamento delle medesime, essendo la restituzione delle somme erogate diretta ad integrare il ‘fondo di produttività’ o ‘fondi equivalenti’”;

che, alla stregua di tale interpretazione, la normativa censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 97, primo comma, Cost., in quanto − considerato che la sua finalità “è quella di tutelare il principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego” – “non si vede perché della violazione di questo obbligo possa essere chiamato a rispondere un soggetto estraneo alla P.A. e, quindi, non sottoposto al regime giuridico proprio dei dipendenti pubblici”;

che inoltre – sottolinea il Tribunale rimettente – “richiedendo al dipendente pubblico sic et simpliciter la restituzione di quanto percepito per incarichi non autorizzati, senza una preventiva verifica dell’incidenza di questi incarichi sullo svolgimento delle prestazioni lavorative che connotano l’oggetto del rapporto di pubblico impiego, l’Amministrazione verrebbe anche a conseguire un arricchimento ingiustificato, di dubbia compatibilità con il principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost.”;

che, in base alla richiamata interpretazione, risulterebbe violato anche  l’art. 41, primo comma, Cost., in quanto “la disposizione in questione sembra prescindere totalmente dal fatto che le prestazioni lavorative siano state o meno pagate, con la conseguenza che l’ente che si sia avvalso” di tali prestazioni, “ignorando in buona fede lo status di pubblico dipendente del soggetto incaricato” e che abbia regolarmente pagato le relative prestazioni, “potrebbe essere costretto a versare nuovamente all’Amministrazione di appartenenza gli importi già erogati al lavoratore”, così configurandosi “una possibile violazione della libertà di iniziativa economica privata”;

che, peraltro, anche a voler aderire ad un diverso recente orientamento giurisprudenziale – secondo cui, in ipotesi di avvenuto pagamento delle prestazioni lavorative del pubblico dipendente non autorizzate, l’amministrazione di appartenenza avrebbe titolo per agire direttamente nei confronti del medesimo, avendo questi disatteso l’obbligo di esclusività del rapporto di pubblico impiego – si incorrerebbe parimenti in censure di illegittimità costituzionale;

che, infatti, alla stregua di tale ultima opzione ermeneutica, la disciplina in discorso contrasterebbe con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto finirebbe per porre “a carico del dipendente pubblico l’obbligo di restituire all’Amministrazione di appartenenza i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali privi della prescritta autorizzazione preventiva”, senza una previa verifica circa la “incidenza negativa dello svolgimento dei predetti incarichi lavorativi sul corretto adempimento degli obblighi istituzionali del dipendente o, in generale, sul buon andamento dell’azione amministrativa”;

che la questione risulta, dunque, proposta sulla base di una duplice e irrisolta prospettiva interpretativa, senza che il giudice rimettente abbia optato per l’una o per l’altra delle segnalate ricostruzioni ermeneutiche, ciascuna delle quali orientata a un proprio petitum e a una differente soluzione decisoria, a seconda della posizione soggettiva che si consideri meritevole di tutela, e in riferimento, oltre che a parametri costituzionali diversi, a interessi sostanziali riferibili a soggetti concretamente posti in posizione antagonistica;

che, di conseguenza, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le pronunce, ordinanze n. 91 del 2014 e n. 265 del 2011), la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), sollevata, in riferimento agli artt. 36, primo comma, 41, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo per la Puglia, sezione di Lecce, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2015.