ORDINANZA N.
150
ANNO 2012
Commenti alla decisione di
I. Antonio Ruggeri, La Corte costituzionale, i
parametri "conseguenziali” e la tecnica dell’assorbimento dei vizi rovesciata
(a margine di Corte cost. n. 150 del 2012 e
dell’anomala restituzione degli atti da essa operata con riguardo alle
questioni di costituzionalità relative alla legge sulla procreazione medicalmente
assistita), nella Rubrica Studi e Commenti della
Sezione Studi di questa , 2012
II. Elena
Malfatti, Un
nuovo (incerto?) passo nel cammino "convenzionale” della Corte, per gentile
concessione del Forum di Quaderni
costituzionali
III. Andrea Morrone, Shopping
di norme convenzionali? A prima lettura dell’ordinanza n. 150/2012 della Corte
costituzionale, per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali
IV. Veronica Magrini, La scelta della
restituzione degli atti nell'ordinanza della Corte costituzionale n. 150/2012, per g.c. della Rivista
AIC
V. Irene Pellizzone, Sentenza
della Corte europea sopravvenuta e giudizio di legittimità costituzionale:
perché la restituzione degli atti non convince. Considerazioni a margine dell’ord. n. 150 del 2012 della Corte costituzionale, per g.c. della Rivista
AIC
VI. Benedetta
Liberali, La procreazione medicalmente assistita con
donazione di gameti esterni alla coppia fra legislatore, giudici comuni, Corte
costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, per g.c. della Rivista
AIC
VII. Roberto Romboli, Lo strumento della
restituzione degli atti e l’ordinanza 150/2012: il mutamento di giurisprudenza
della Corte Edu come ius superveniens e la sua incidenza per la
riproposizione delle questioni di costituzionalità sul divieto di inseminazione
eterologa, nella Rubrica Studi e Commenti della
Sezione Studi di questa , 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai
signori:
-
-
- Luigi MAZZELLA "
-
-
-
-
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale
ordinario di Firenze con ordinanza del 6 settembre 2010, dal Tribunale
ordinario di Catania con ordinanza del 21 ottobre 2010 e dal Tribunale
ordinario di Milano con ordinanza del 2 febbraio 2011, rispettivamente iscritte
ai nn. 19, 34 e 163 del registro ordinanze 2011 e
pubblicate nella
Visti gli atti di costituzione di S.B. ed altre, di
P.C. ed altri, della società cooperativa U.M.R. – Unità Medicina della
Riproduzione, nonché gli atti di intervento di B.S. ed altri e del Movimento
per la vita italiano, federazione dei Movimenti per la vita e dei Centri di
aiuto alla vita d’Italia (M.P.V.), dell’Associazione WARM (World Association of Reproductive
Medicine), fuori termine, e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2012 il
Giudice relatore
uditi gli avvocati Carlo Casini per il Movimento per
la vita italiano, federazione dei Movimenti per la vita e dei Centri di aiuto
alla vita d’Italia (M.P.V.), Gian Domenico Caiazza
per S. B. ed altre, Marilisa D’Amico e Massimo Clara per P.C. ed altri, Pietro
Rescigno per
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Firenze, il Tribunale
ordinario di Catania ed il Tribunale ordinario di Milano, rispettivamente con
ordinanze del 6 settembre, del 21 ottobre 2010 e del 2 febbraio 2011, hanno
sollevato, in riferimento agli articoli 117, primo comma, e 3 della
Costituzione – in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in
avanti: CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 –,
nonché agli articoli 2, 3, 31 e 32 della Costituzione (la seconda e la terza
ordinanza) ed all’articolo 29 della Costituzione (la terza ordinanza),
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge
19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente
assistita) (tutte le ordinanze), e degli articoli 9, commi 1 e 3, limitatamente
all’inciso «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3», e 12,
comma 1, di detta legge (la seconda e la terza ordinanza);
che la legge n. 40 del 2004 disciplina
la procreazione medicalmente assistita e, in particolare: l’art. 4, comma 3, stabilisce
che «è vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di
tipo eterologo»; l’art. 9, commi 1 e 3, dispone che, «qualora si ricorra a
tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione
del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui
consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di
disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo
comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo
263 dello stesso codice» e che, «in caso di applicazione di tecniche di tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore
di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non
può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di
obblighi»; l’art. 12, comma 1, stabilisce che «chiunque a qualsiasi titolo
utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia
richiedente, in violazione di quanto previsto dall’articolo 4, comma 3, è
punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da
che, secondo l’ordinanza di rimessione
del Tribunale di Firenze, nel processo principale, introdotto con ricorso ai
sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, S.B. e F.B., coniugati dal 2004, hanno
dedotto di non essere riusciti a concepire un figlio per vie naturali, a causa
della sterilità del marito, provata dalla documentazione medica prodotta, ed
hanno chiesto che sia accertato il loro diritto a «ricorrere alle metodiche di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo», utilizzando «il
materiale genetico di terzo donatore anonimo acquisito direttamente» da essi
istanti, ovvero dal centro medico convenuto in giudizio, nell’osservanza delle
disposizioni dei decreti legislativi 6 novembre 2007, n. 191 (Attuazione della
direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e di sicurezza
per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani) e
25 gennaio 2010, n. 16 (Attuazione delle direttive 2006/17/CE e 2006/86/CE, che
attuano la direttiva 2004/23/CE per quanto riguarda le prescrizioni tecniche
per la donazione, l’approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule
umani, nonché per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità,
la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni
tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la
distribuzione di tessuti e cellule umani), e che, in attesa della definizione
del giudizio di merito e dell’eventuale giudizio di legittimità costituzionale,
sia disposta «la crioconservazione degli embrioni prodotti e destinati al ciclo
di PMA di tipo eterologo»;
che i ricorrenti hanno dedotto che il
centro medico specializzato al quale si sono rivolti (convenuto nel giudizio
principale) ha rifiutato di eseguire tale tecnica di procreazione medicalmente
assistita (PMA), esclusivamente in quanto vietata dal citato art. 4, comma 3,
e, per tale ragione, hanno chiesto che il giudice adito, preso atto della sentenza
della Prima Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito:
Corte EDU) del 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria, e tenuto conto
dell’art. 6, comma 2, del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato
e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008, n. 130, che modifica il Trattato
sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea (entrato
in vigore il 1° dicembre 2009), disapplichi detta disposizione, della quale, in
linea gradata, hanno eccepito l’illegittimità costituzionale;
che nel giudizio principale si è
costituito il Centro Demetra s.r.l., in persona del legale rappresentante,
condividendo la tesi dei ricorrenti in ordine al potere del giudice comune di non applicare il citato art. 4,
comma 3, sostenendo la praticabilità della tecnica di procreazione medicalmente
assistita di tipo eterologo, e, inoltre, sono intervenute l’Associazione Luca
Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, l’Associazione Amica Cicogna Onlus, l’Associazione Cerco un bimbo e l’Associazione Liberididecidere, in persona dei legali rappresentanti,
svolgendo argomenti a conforto della tesi dei ricorrenti;
che, secondo il Tribunale di Firenze, i
ricorrenti versano nella condizione prevista dall’art. 5 della legge n. 40 del
2004 e ricorrono i presupposti stabiliti dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 1,
di detta legge, risultando dimostrato che, nella specie, l’unica tecnica di PMA
utilmente praticabile è quella di tipo eterologo, vietata dalla norma
censurata;
che il rimettente svolge ampie
argomentazioni, per sostenere, sulla scorta dei principi enunciati da questa
Corte, che la disposizione nazionale in contrasto con la CEDU viola l’art. 117,
primo comma, Cost. e, anche dopo l’entrata in vigore
dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, nel testo modificato dal Trattato
di Lisbona, il giudice comune non ha il potere di disapplicare la prima, e
tuttavia, ritenendo impossibile porre rimedio a detto contrasto mediante
l’interpretazione convenzionalmente conforme, solleva questione di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 3, della legge n. 40 del
che, secondo l’ordinanza di rimessione
del Tribunale di Catania, i coniugi P.C. e G.R., hanno dedotto che P.C. è
affetta da sterilità assoluta causata da menopausa precoce e, per tale ragione,
si sono rivolti alla società cooperativa U.M.R. – Unità Medicina della
Riproduzione s.c.r.l. (infra: UMR), chiedendo che ella fosse sottoposta ad una terapia di
«bombardamenti ormonali», ritenuta inutile e potenzialmente dannosa dal
responsabile di detta società, che ha indicato quale unica possibilità per essi
istanti di generare un figlio il ricorso alla cosiddetta «ovodonazione», che,
tuttavia, ha rifiutato di praticare, perché vietata dall’art. 4, comma 3, della
legge n. 40 del 2004, e, conseguentemente, detti coniugi hanno chiesto, ai
sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., che sia ordinato
alla UMR di eseguire «secondo l’applicazione delle metodiche della procreazione
assistita, la c.d. fecondazione eterologa e nel caso di specie la donazione di
gamete femminile», eccependo, in linea gradata, l’illegittimità costituzionale
del citato art. 4, comma 3;
che nel processo principale si è
costituita la UMR, dichiarandosi disponibile ad eseguire la tecnica di PMA di
tipo eterologo, qualora sia rimosso il divieto stabilito da detta norma, e sono
intervenute le associazioni HERA O.N.L.U.S., Sos
Infertilità O.N.L.U.S. e Menopausa Precoce, nelle persone dei legali
rappresentanti, svolgendo argomenti a conforto della domanda;
che, secondo il Tribunale di Catania, la
ricorrente è affetta da sterilità assoluta e, sussistendo i presupposti
stabiliti dalla legge n. 40 del 2004 per la PMA, nella specie sarebbe
indispensabile praticare una tecnica di tipo eterologo che, però, è vietata dal
citato art. 4, comma 3;
che, a suo avviso, benché tale
disposizione violi la CEDU, al giudice comune, anche dopo l’entrata in vigore
del Trattato di Lisbona, non spetta il potere di disapplicarla, e, quindi, non
essendo possibile offrire della stessa un’interpretazione costituzionalmente
orientata, censura le norme in esame, in riferimento ai parametri
costituzionali sopra indicati, motivando in ordine alla rilevanza della
sollevata questione di legittimità costituzionale;
che, secondo l’ordinanza di rimessione
del Tribunale di Milano, nel giudizio principale, promosso con ricorso, ai sensi
dell’art. 700 cod. proc. civ., due coniugi (E.P. e
M.M.) hanno chiesto che sia ordinato in via d’urgenza ad un medico-chirurgo di
praticare la PMA di tipo eterologo, mediante donazione di gamete maschile, in
quanto il ricorrente è affetto da azoospermia completa e, quindi, solo mediante
detta tecnica essi potrebbero dare alla luce un figlio, come ha riconosciuto il
medico-chirurgo al quale si sono rivolti che, tuttavia, ha rifiutato di
effettuarla, poiché è vietata dal citato art. 4, comma 3;
che, nella prima fase, la domanda
cautelare è stata rigettata e sono stati dichiarati inammissibili gli
interventi nel giudizio di alcune associazioni, le quali avevano svolto
argomenti a conforto della tesi dei ricorrenti; proposto reclamo avvero il
provvedimento di rigetto, il rimettente ha confermato la dichiarazione di
inammissibilità di detti interventi ed ha reputato, invece, fondate le censure
proposte dai ricorrenti, ritenendoli titolari di «un interesse soggettivo
giuridicamente rilevante ad una eventuale pronuncia di merito azionabile,
consistente in un "fare” (procedere alla PMA eterologa)»;
che, dopo avere indicato le ragioni
della rilevanza e della incidentalità della questione, il rimettente
approfondisce la sentenza della Corte EDU sopra richiamata ed espone
diffusamente gli argomenti in virtù dei quali, a suo avviso, «non può trovare
accoglimento la richiesta interpretazione convenzionalmente e
costituzionalmente orientata» del citato art. 4, comma 3, non potendo, inoltre,
il giudice comune «"disapplicare” la legge nazionale che risulti in contrasto
con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretata dalla Corte
di Strasburgo», dando «diretta applicazione delle norme CEDU» e,
conseguentemente, censura le disposizioni sopra indicate, in riferimento ai
succitati parametri costituzionali;
che i rimettenti, dopo avere riportato
ampi brani della sentenza
della Prima Sezione della Corte EDU 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria,
deducono che le norme da essi rispettivamente censurate violerebbero l’art.
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e
14 della CEDU, come interpretati da detta pronuncia, in quanto, secondo il
giudice europeo, nonostante l’ampio margine di discrezionalità degli Stati,
qualora sia disciplinata la PMA, la relativa regolamentazione deve essere
coerente e considerare adeguatamente i differenti interessi coinvolti, in
accordo con gli obblighi derivanti dalla Convenzione, con conseguente
irragionevolezza del divieto assoluto delle tecniche di procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo e lesione delle citate disposizioni
convenzionali, dal momento che lo stesso non costituirebbe l’unico mezzo
possibile per evitare il rischio di sfruttamento delle donne e di abuso di tali
tecniche e per impedire parentele atipiche, non costituendo il diritto del
bambino a conoscere la sua discendenza effettiva un diritto assoluto;
che, ad avviso del Tribunale di Firenze,
dette argomentazioni e la considerazione che la possibilità di effettuare le
più idonee metodiche di PMA è negata ai soggetti completamente sterili,
nonostante che l’art. 1, comma 2, della legge n. 40 del 2004 permetta il
ricorso alla procreazione medicalmente assistita «qualora non vi siano altri
metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità»,
dimostrebbero la lesione anche dell’art. 3 Cost.;
che, secondo il Tribunale di Catania, le
norme censurate si porrebbero, altresì, in contrasto, con gli artt. 3 e 31 Cost., recando vulnus
ai principi di non discriminazione, ragionevolezza, coerenza dell’ordinamento
giuridico ed al diritto fondamentale alla «creazione di una famiglia», in
quanto, tenuto conto che l’esigenza di impedire che vi siano persone con una
madre biologica ed una genetica diverse non è stato ritenuto «degno di pregio»
dalla Corte europea, la disciplina in esame: a) non ragionevolmente, da un
canto, vieta la PMA di tipo eterologo, dall’altro, stabilisce sanzioni
amministrative soltanto in danno dei medici che la praticano (art. 12, comma
1), dall’altro ancora, riconosce gli «effetti dell’eventuale violazione», nel
senso che il citato art. 9 prevede «che il figlio nato in seguito a
procreazione assistita di tipo eterologo sia legittimo» e vieta «la possibilità
del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre da parte dei
genitori biologici ma non genetici, ed esclude qualsiasi legame giuridico
parentale rispetto ai donatori di gameti»; b) realizza una non ragionevole
disparità di trattamento delle coppie che versano nell’impossibilità di
procreare, a seconda del tipo di sterilità che le colpisce, penalizzando quelle
che presentano un quadro clinico più grave, in contrasto con la finalità della
legge, di risolvere i problemi procreativi della coppie, benché la tecnica in
esame non leda «i diritti dichiarati oggetto di tutela (la salute e la dignità
dei soggetti coinvolti)»; c) stabilisce un divieto preordinato ad evitare
parentele atipiche ed a tutelare l’identità genetica del nascituro
sproporzionato rispetto a tali scopi e lesivo del diritto, costituzionalmente
tutelato, «alla formazione di una famiglia e alla maternità/paternità», anche
perché esistono nell’ordinamento istituti giuridici che ammettono la
possibilità di una discrasia tra genitorialità genetica e genitorialità
legittima, in virtù di una concezione dei rapporti di filiazione che pone a
fondamento delle relazioni giuridiche familiari i rapporti affettivi, senza
prevedere come necessaria la relazione biologica; prevede un divieto che «opera
solo sul piano dei principi», in quanto la violazione dello stesso non è
sanzionata ed una coppia può ricorrere alla PMA di tipo eterologo, ottenendo
riconoscimento e tutela degli effetti della stessa, qualora si rivolga a medici
operanti al di fuori del territorio dello Stato, con conseguente ulteriore
discriminazione fra coppie sterili, in danno di quelle che versano in una
condizione economica tale da impedire il ricorso a detti medici;
che, secondo il rimettente, le norme in
esame violerebbero anche l’art. 2 Cost., poiché il
divieto stabilito dal citato art. 4, comma 3, non garantirebbe alle coppie
affette da sterilità o infertilità irreversibile il diritto alla vita privata e
familiare, il diritto di identità e di autodeterminazione, il diritto di
costruire liberamente la propria vita, desumibili da tale parametro
costituzionale, sia se interpretato in modo aperto, sia in quanto tali diritti sono
«previsti dalle norme internazionali convenzionali e comunitarie sui diritti
umani, che non possono non essere considerati quale strumento interpretativo ed
evolutivo dei diritti umani tutelati dalla Costituzione», avendo
che, secondo il Tribunale di Catania, le
norme censurate si porrebbero, infine, in contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., in quanto: aa) il divieto in esame comprometterebbe
«l’integrità fisio-psichica
delle coppie infertili o sterili», inducendole a sottoporsi alle «pratiche
mediche meno indicate, dai risultati più incerti e magari pericolosi per la
salute», con irragionevole limitazione della libertà e del dovere del medico di
suggerire e praticare la cura più
efficace; bb) la scelta del protocollo medico non
potrebbe essere riservata al legislatore, al quale non spetterebbe «stabilire
direttamente e specificatamente (…) le pratiche terapeutiche ammesse»,
identificandone limiti e condizioni, dal momento che in tale materia «la regola
di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il
consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali», costituendo
le tecniche di PMA presidi terapeutici, perché pongono rimedio ad una causa
patologica impeditiva della procreazione ed alle sofferenze provocate dalla
difficoltà della piena realizzazione di colui che ne è affetto, anche
diventando genitore; cc) il divieto potrebbe essere aggirato ricorrendo alla
PMA di tipo eterologo all’estero e, in tal modo, molte coppie sarebbero
costrette ad affrontare «il disagio psicologico ed emotivo di allontanarsi dal
luogo degli affetti per ottenere ciò che in Italia è concesso solo alle coppie
con meno gravi forme d’infertilità», con il rischio di essere contagiate «da
malattie trasmesse dal donatore o dalla donatrice, per carenza di controlli e
di informazioni» e con la conseguenza che sarebbe incentivato un «turismo
procreativo», che «mette a repentaglio la stessa integrità psicofisica della
coppia»;
che, ad avviso del Tribunale di Milano,
le norme in esame violerebbero anche gli artt. 2, 29 e 31 Cost.,
poiché alle coppie colpite da sterilità o infertilità irreversibile non sarebbe
garantito il diritto alla piena realizzazione della vita privata familiare ed
il diritto di autodeterminazione in ordine alla medesima, tutelando l’art. 2 Cost. il diritto alla formazione di una famiglia
(riconosciuto, altresì, dall’art. 29 Cost.);
che, inoltre, sarebbero lesi gli artt. 3
e 31 Cost., poiché, alla luce della finalità della
legge n. 40 del 2004, di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi
derivanti dalla sterilità o dall’infertilità della coppia mediante il ricorso
alla PMA, il divieto in esame avrebbe carattere discriminatorio e non
ragionevolmente comporterebbe che sono «trattate in modo opposto coppie con limiti
di procreazione, risultando differenziate solo in virtù del tipo di patologia
che affligge l’uno o l’altro dei componenti» della stessa, poiché, nonostante
gli elementi di diversità delle tecniche di PMA ammesse e vietate, «l’esame
comparato delle due situazioni evidenzia comunque nel confronto tra le
condizioni delle due categorie di coppie infertili una loro sostanziale
sovrapponibilità, pur in assenza di coincidenza di tutti gli elementi di
fatto»;
che, infine, secondo il Tribunale di
Milano, le norme censurate recherebbero vulnus
agli artt. 3 e 32 Cost., poiché il divieto in esame
«rischia di non tutelare l’integrità fisica e psichica delle coppie in cui uno
dei due componenti non presenta gameti idonei a concepire un embrione» e, nella
regolamentazione delle pratiche terapeutiche, dovrebbe essere lasciato spazio
all’autonomia ed alla responsabilità del medico, il quale, con il consenso del
paziente, deve effettuare le più opportune scelte professionali;
che nel giudizio davanti a questa Corte,
promosso dal Tribunale di Firenze, si sono costituiti i ricorrenti nel processo
principale chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale, previa riunione dello stesso con i giudizi promossi dal
Tribunale di Catania e dal Tribunale di Milano;
che nei giudizi promossi dai Tribunali
di Catania e di Milano si sono costituiti, con separati atti, di contenuto in
larga misura coincidente, i ricorrenti nei processi a quibus, chiedendo l’accoglimento delle
questioni, sviluppando ampie argomentazioni a conforto delle censure proposte
dai rimettenti, dirette a dimostrare che: a1) le situazioni delle coppie che
possono porre rimedio alla causa di sterilità o infertilità mediante le
differenti tecniche di PMA in esame sarebbero omologhe, con conseguente violazione
dell’art. 3 Cost.; a2) il divieto stabilito dal
citato art. 4, comma 3, non sarebbe giustificato da esigenze di tutela di
carattere psicologico del nascituro, basate su presunti, ed inesistenti,
disturbi e sofferenze dello stesso, quando abbia un solo genitore biologico,
potendo essere altrimenti tutelato l’interesse all’identità biologica, al fine
di assicurare la cura di eventuali malattie; a3) le norme censurate sarebbero
viziate da irragionevolezza sia "interna” (a causa dell’incoerenza tra mezzi e
fini, conseguente al difetto di ogni ragionevole giustificazione del divieto in
questione, che impedisce di conseguire la finalità della legge n. 40 del 2004,
non diversamente da quanto ritenuto dalla Corte in relazione al profilo
esaminato dalla sentenza
n. 151 del 2009), sia "esterna”, poiché l’istituto dell’adozione già rende
ammissibile la discrasia tra genitorialità genetica e legittima; le coppie
sarebbero irragionevolmente discriminate in base alla situazione patrimoniale,
dal momento che quelle abbienti possono fare ricorso alla PMA di tipo eterologo
all’estero, risultando in tal modo alimentato una sorta di "turismo
procreativo”; a4) studi scientifici avrebbero dimostrato che il difetto di
parentela genetica non compromette lo sviluppo del bambino (risultando, quindi,
confortate le censure riferite all’art. 31 Cost.),
avendo la sentenza
n. 151 del 2009 fatto emergere un valore costituzionale nuovo, costituito
dalle «esigenze della procreazione»; a5) il divieto assoluto stabilito dal
citato art. 4, comma 3, comprometterebbe l’integrità psichica delle coppie con
più gravi problemi di sterilità o infertilità, in violazione dell’art. 32 Cost., e la disciplina in esame non garantirebbe alle
stesse il proprio diritto all’identità ed autodeterminazione, espresso dal
principio personalistico dell’art. 2 Cost., nella
configurazione offertane dalla sentenza n. 138 del
2010; la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
sarebbe chiaramente dimostrata dalla sentenza
della Prima Sezione della Corte di Strasburgo 1° aprile 2010 S.H. ed altri c.
Austria, correttamente richiamata da entrambi i rimettenti, sostenendo –
nell’atto relativo al giudizio promosso dal Tribunale di Catania – che
sussisterebbe l’obbligo di conformarsi a detta pronuncia, soprattutto qualora
fosse confermata dalla Grande Camera;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Firenze si sono costituite, con un
unico atto, l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica,
l’Associazione Amica Cicogna Onlus, l’Associazione
Cerco un bimbo, nonché, con separato atto, l’Associazione Liberididecidere,
in persona dei rispettivi legali rappresentanti, intervenute nel processo
principale, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Catania si sono costituite, con distinti atti, la UMR, nonché, le
associazioni Sos Infertilità O.N.L.U.S., HERA O.N.L.U.S.
e Menopausa precoce, in persona dei
legali rappresentanti (queste ultime intervenute nel processo a quo), chiedendo l’accoglimento delle
questioni;
che in tutti i giudizi è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili
e, comunque, infondate;
che, a suo avviso, la questione
sollevata dal Tribunale di Firenze sarebbe inammissibile, per difetto di
rilevanza, a causa «dell’omesso richiamo» (e cioè della mancata censura) degli
artt. 9, commi 1 e 3, e 12, commi 1 e 9, della legge n. 40 del 2004; tutte le
questioni sarebbero, inoltre, inammissibili, in quanto: i rimettenti avrebbero
affermato la praticabilità della PMA di tipo eterologo, senza esplicitare
«l’elemento fondamentale attinente alle modalità di reperimento dei gameti»
(ovvero «degli ovociti») da «utilizzare per la fecondazione eterologa»,
restando in tal modo «non specificata, assolutamente vaga e indeterminata la
modalità di esecuzione dell’obbligazione»; il settore della procreazione
richiede una disciplina frutto di «un’alta mediazione, un’attenta prudente
composizione dei conflitti di interesse», all’esito di una «delicata opera di
bilanciamento dei valori costituzionali» in gioco, e la legge n. 40 del 2004
sarebbe riconducibile alle leggi ordinarie «la cui eliminazione determinerebbe
la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono
secondo la Costituzione» e «creerebbe incolmabili vuoti normativi e rilevanti
questioni per la tutela dei soggetti coinvolti», in difetto di una disciplina
dei molteplici profili che necessitano di una specifica regolamentazione;
che, secondo l’Avvocatura generale, le
questioni non sarebbero fondate, poiché la suindicata sentenza della Corte di
Strasburgo, richiamata dai rimettenti a conforto delle censure, concernerebbe
una legge della Repubblica d’Austria, censurata per profili non riferibili alle
norme in esame, spettando, inoltre, agli Stati membri della Convenzione un
ampio margine di apprezzamento nella materia in esame e sussistendo l’esigenza
che questi emanino norme «con equilibrio, favorendo la protezione dei diritti e
dell’interesse dei bambini e del diritto alla salute delle persone coinvolte»;
che, ad avviso dell’interveniente, la ratio del divieto stabilito dal citato
art. 4, comma 3, sarebbe identificabile nell’intento di evitare il ricorso ad
una tecnica che può incidere negativamente sull’equilibrio personale e
familiare, a causa della mancanza di un rapporto biologico tra figlio e
genitore, e di favorire il concepimento all’interno della coppia, in virtù di
una scelta non irragionevole ed incensurabile, riconducibile alla
discrezionalità spettante al legislatore ordinario, il quale ha stabilito una
disciplina che tiene conto dei progressi della scienza medica, ma è preordinata
anche a tutelare il diritto all’identità biologica del nascituro e gli
interessi dello stesso, senza che, in contrario, possa essere richiamato
l’istituto dell’adozione, preordinato alla tutela del minore che, orfano o
abbandonato, è accolto in una famiglia in grado di assicurargli benessere
affettivo e materiale;
che nei giudizi conseguenti alle
ordinanze di rimessione del Tribunale di Firenze e del Tribunale di Catania è
intervenuta l’Associazione UDI, Unione donne italiane, in persona del legale
rappresentante, deducendo di «ritenersi legittimata ad intervenire», chiedendo
l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, ma rinunciando
successivamente a detti interventi, con atti depositati a mezzo posta il 16
febbraio 2012 e notificati alle parti ed all’interveniente;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Catania è intervenuto il Movimento per la vita italiano, federazione dei
Movimenti per la vita e dei Centri di aiuto alla vita d’Italia (M.P.V.), in
persona del legale rappresentante, il quale non è parte del processo
principale, ma sostiene che, alla luce degli obiettivi fissati nel proprio
statuto ed in considerazione della asserita peculiarità del processo,
determinata dalla sostanziale assenza di contraddittorio, in quanto il
convenuto non si è opposto alla domanda degli attori, sarebbe titolare di un
interesse idoneo a legittimarlo all’intervento e, nel merito, svolge ampie
argomentazioni per dimostrare l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza
delle questioni;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Milano sono, altresì, intervenuti S.B. ed F.B., nonché, con un unico atto,
l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, l’Associazione
Amica Cicogna Onlus, l’Associazione Cerco un bimbo e
l’Associazione Liberididecidere, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti, parti del processo principale davanti al
Tribunale di Firenze nel quale è stata pronunciata la suindicata ordinanza di
rimessione, che hanno chiesto l’accoglimento delle questioni e, in particolare,
dette associazioni hanno sostenuto di essere legittimate all’intervento anche
in considerazione dell’attività svolta e dei loro scopi statutari;
che, in prossimità dell’udienza
pubblica, nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze, hanno depositato
memorie di contenuto in larga misura coincidente S.B. ed F.B., nonché
l’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica,
l’Associazione Amica Cicogna Onlus, l’Associazione
Cerco un bimbo (con un unico atto) e l’Associazione Liberididecidere,
insistendo per l’accoglimento delle conclusioni svolte negli atti di
costituzione;
che le parti contestano le eccezioni di
inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo che il
d.lgs. n. 191 del 2007, il d.lgs. n. 16 del 2010 ed alcune circolari ed
ordinanze del Ministro della sanità emanate anteriormente all’entrata in vigore
della legge n. 40 del 2004, conterrebbero disposizioni e direttive dalle quali
desumere la disciplina della PMA di tipo eterologo, qualora sia accolta la
questione di legittimità costituzionale;
che, inoltre, dopo avere ribadito ed
ulteriormente sviluppato le
argomentazioni svolte negli atti di costituzione, deducono che la sopravvenuta sentenza
della Grande Camera della Corte di Strasburgo del 3 novembre 2011, S.H. e altri
c. Austria, benché abbia rimeditato il principio enunciato dalla Prima
sezione della Corte con la sentenza del 1° aprile 2010, non influirebbe
sulla fondatezza delle censure, in quanto concerne la disciplina della PMA
vigente nella Repubblica d’Austria, differente da quella stabilita dalla legge
n. 40 del 2004, e che, comunque, sarebbe stata esaminata in riferimento alla
situazione esistente dal 1999, quindi, sarebbe priva di «valore generale ed
attuale», non avrebbe pregiudicato la soluzione che gli Stati possono offrire
alla questione in esame e «più che una presa di posizione a favore del divieto
di eterologa», la sentenza «delega totalmente i paesi a decidere in modo
esclusivo su questioni di tale rilevanza»;
che nei giudizi promossi dal Tribunale
di Catania e dal Tribunale di Milano, in prossimità dell’udienza pubblica, i
ricorrenti nel processo principale hanno presentato distinte memorie, di
contenuto sostanzialmente identico, contestando le eccezioni di inammissibilità
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri ed insistendo per
l’accoglimento delle conclusioni formulate negli atti di costituzione;
che, inoltre, le parti approfondiscono
diffusamente la citata sentenza
dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo del 3 novembre 2011,
deducendo che i giudici europei non avrebbero negato la sindacabilità delle
scelte operate dai legislatori nazionali in tema di PMA, benché questi abbiano
al riguardo «un ampio margine di apprezzamento», sottolineando un profilo di
contraddittorietà che, a loro avviso, caratterizzerebbe la pronuncia, poiché ha
stigmatizzato che il legislatore austriaco non ha tenuto conto dell’evoluzione
scientifica e del monito rivoltogli dal Giudice costituzionale austriaco, ma ha
poi negato la denunciata violazione della CEDU, e, quindi, svolgono ampie
argomentazioni per dimostrare che detta sentenza non permetterebbe di escludere
la fondatezza delle censure svolte dai rimettenti sulla scorta della precedente
pronuncia della Corte EDU;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Catania, in prossimità dell’udienza pubblica, ha depositato memoria la UMR
che, dopo avere contestato le eccezioni dell’Avvocatura generale e
l’ammissibilità dell’intervento del Movimento per la vita italiano, federazione
dei Movimenti per la vita e dei Centri di aiuto alla vita d’Italia (M.P.V.),
ribadisce la tesi svolta nell’atto di costituzione ed anch’essa approfondisce
l’incidenza sulle questioni della citata sentenza
della Grande Camera della Corte EDU, esponendo gli argomenti in virtù dei
quali, a suo avviso, la stessa «non appare idonea a ribaltare le considerazioni
di merito sulle quali si fondava» la pronuncia del 2010, richiamata dal
rimettente a conforto delle sollevate questioni di legittimità costituzionale;
che nel giudizio promosso dal Tribunale
di Milano, in prossimità dell’udienza pubblica, hanno depositato memorie gli
intervenienti S.B. ed F.B., nonché l’Associazione Luca Coscioni per la libertà
di ricerca scientifica, l’Associazione Amica Cicogna Onlus,
l’Associazione Cerco un bimbo e l’Associazione Liberididecidere
(con un unico atto), facendo propri gli argomenti svolti nella memoria
depositata in detto giudizio dai ricorrenti nel processo principale, sopra
sintetizzata;
che in tutti i giudizi l’Avvocatura
generale ha depositato memorie di contenuto sostanzialmente coincidente,
insistendo per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza delle
questioni, reiterando le argomentazioni svolte negli atti di intervento e
deducendo che le censure, in larga misura, erano basate sulla sentenza
della Prima Sezione della Corte EDU del 1° aprile 2010, S.H. e altri c.
Austria, rimeditata dalla Grande Camera, con la sentenza
del 3 novembre 2011, la quale, quindi, incide sulla fondatezza delle
stesse, alla luce del vincolo interpretativo che, secondo la giurisprudenza
costituzionale, connota le pronunce del giudice europeo;
che, infine, con atto depositato il 21
maggio 2012, nel giudizio promosso dal Tribunale di Firenze, è intervenuto il
WARM (World Association of Reproductive
Medicine), chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale anche in riferimento a parametri non evocati dal rimettente.
Considerato
che il Tribunale ordinario di
Firenze, il Tribunale ordinario di Catania ed il Tribunale ordinario di Milano,
con ordinanze del 6 settembre, del 21 ottobre 2010 e del 2 febbraio 2011, hanno
sollevato, in riferimento agli articoli 117, primo comma, e 3 della
Costituzione – in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in
avanti: CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 –,
nonché agli articoli 2, 3, 31 e 32 della Costituzione (la seconda e la terza
ordinanza) ed all’articolo 29 della Costituzione (la terza ordinanza),
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 3, della legge
19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente
assistita) (tutte le ordinanze), e degli articoli 9, commi 1 e 3, limitatamente
all’inciso «in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3», e 12,
comma 1, di detta legge (la seconda e la terza ordinanza);
che, preliminarmente, va ribadito quanto
statuito con l’ordinanza della quale è stata data lettura in udienza, allegata
al presente provvedimento, in ordine alla disposta riunione dei giudizi (aventi
ad oggetto, in parte, le stesse norme, censurate in relazione a parametri
costituzionali, per profili e con argomentazioni in larga misura coincidenti)
ed all’inammissibilità degli interventi: del WARM (World Association
of Reproductive Medicine) nel giudizio promosso dal
Tribunale di Firenze, perché tardivo, essendo stato il relativo atto depositato
oltre il termine stabilito dall’art. 4, comma 4, delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale; del Movimento per la vita italiano,
federazione dei Movimenti per la vita e dei Centri di aiuto alla vita d’Italia
(M.P.V.), nel giudizio promosso dal Tribunale di Catania, nonché
dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica,
dell’Associazione Amica Cicogna Onlus,
dell’Associazione Cerco un bimbo, dell’Associazione Liberididecidere
e di S.B. ed F.B. nel giudizio promosso dal Tribunale di Milano, poiché non
sono parti dei processi principali, né portatori di un interesse qualificato,
immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme
oggetto di censura, essendo altresì irrilevante – ai fini dell’ammissibilità
degli interventi dalle citate associazioni e di S.B. ed F.B. –l’assunzione
della qualità di parte in un giudizio diverso da quello oggetto dell’ordinanza
di rimessione, nel quale sia stata sollevata analoga questione di legittimità
costituzionale, occorrendo, inoltre, dare atto che l’UDI ha rinunciato agli
interventi nei giudizi promossi dal Tribunale di Firenze e dal Tribunale di
Catania;
che, ancora in linea preliminare, va
ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la questione di
legittimità costituzionale può essere sollevata in sede cautelare, qualora il
giudice non abbia provveduto sulla domanda (come accaduto nella specie), ovvero
quando abbia concesso la relativa misura, purché tale concessione non si
risolva nel definitivo esaurimento del potere del quale il giudice fruisce in
tale sede (ex plurimis,
sentenza n. 151
del 2009; ordinanza
n. 307 del 2011) e, quindi, sotto questo profilo, le questioni sono
ammissibili;
che l’eccezione di inammissibilità per
irrilevanza della questione sollevata dal Tribunale di Firenze, proposta
dall’Avvocatura generale sul rilievo che il rimettente non avrebbe censurato
gli artt. 9, commi 1 e 3, e 12, commi 1 e 8, della legge n. 40 del 2004, non è
fondata, poiché la norma della quale il rimettente deve fare applicazione nel
processo principale è soltanto il citato art. 4, comma 3, mentre la mancata
considerazione di quelle ulteriori norme richiamate dall’interveniente neppure
influisce sulla correttezza della ricostruzione del quadro normativo di
riferimento;
che del pari non sono fondate le
ulteriori eccezioni di inammissibilità proposte dal Presidente del Consiglio
dei ministri, deducendo che i rimettenti non avrebbero specificato le modalità
di esecuzione della tecnica di procreazione alla quale intendono accedere i
ricorrenti dei processi principali, mentre la procreazione medicalmente
assistita richiederebbe una disciplina frutto di «un’alta mediazione» e di una
«delicata opera di bilanciamento dei valori costituzionali», poiché la legge n.
40 del 2004 sarebbe riconducibile nel novero delle leggi ordinarie «la cui
eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni
che tale tutela esigono secondo la Costituzione» e «creerebbe incolmabili vuoti
normativi e rilevanti questioni per la tutela dei soggetti coinvolti»;
che, in particolare, in ordine a tali
eccezioni, va anzitutto confermato che la legge n. 40 del 2004 costituisce la
«prima legislazione organica relativa ad un delicato settore (…) che
indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i
quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi
che assicuri un livello minimo di tutela legislativa» e deve ritenersi
«costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 45 del
2005), ma, in parte qua, non ha
contenuto costituzionalmente vincolato e questa Corte ha, infatti, dichiarato
ammissibile la richiesta di referendum
popolare per l’abrogazione, tra gli altri, dell’art. 4, comma 3, di detta
legge, in quanto l’eventuale accoglimento della proposta referendaria non era
«suscettibile di far venir meno un livello minimo di tutela costituzionalmente
necessario, così da sottrarsi alla possibilità di abrogazione referendaria» (sentenza n. 49 del
2005);
che, superati i suindicati profili
preliminari, va osservato che tutti i rimettenti sollevano anzitutto questione di legittimità costituzionale
delle norme dianzi indicate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, e, dopo
avere sintetizzato la giurisprudenza di questa Corte in ordine al rapporto tra
norme interne e norme della Convenzione, premettono che devono applicare queste
ultime «nell’interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo» con la sentenza
della Prima Sezione del 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria (ordinanza r.o. n. 19 del 2011); inoltre, che, «stante la portata
della pronuncia della CEDU, si pone, allora, un serio problema di
costituzionalità» delle disposizioni censurate (ordinanza r.o.
n. 34 del 2011), spettando a questa Corte «il compito di verificare che detto
contrasto sussista» rispetto «alla norma convenzionale, nella lettura datane»
dal giudice europeo (ordinanza r.o. n. 163 del 2011);
che, a conforto delle censure, i giudici a quibus
riportano ampi brani di detta pronuncia, per sostenere che le norme censurate
violerebbero il suindicato parametro costituzionale, dato che, secondo la Corte
di Strasburgo, nonostante l’ampio margine di discrezionalità spettante agli
Stati nella materia in esame, qualora sia stabilita una disciplina della PMA,
la relativa regolamentazione deve essere coerente e considerare adeguatamente i
differenti interessi coinvolti, in accordo con gli obblighi derivanti dalla Convenzione,
con conseguente irragionevolezza del divieto assoluto delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e violazione degli artt.
8 e 14 della CEDU, dal momento che esso non sarebbe l’unico mezzo possibile per
evitare il rischio di sfruttamento delle donne e di abuso di tali tecniche e
per impedire parentele atipiche, non costituendo il diritto del bambino a
conoscere la sua discendenza effettiva un diritto assoluto;
che, successivamente a tutte le
ordinanze di rimessione,
che la sentenza della Grande Camera,
dopo avere osservato, tra l’altro, che ad essa non spetta «considerare se il
divieto della donazione di sperma e ovuli in questione sarebbe o meno
giustificato dalla Convenzione», ma spetta, invece, decidere «se tali divieti
fossero giustificati», ha affermato che «il legislatore austriaco non ha
all’epoca ecceduto il margine di discrezionalità concessogli né per quanto
riguarda il divieto di donazione di ovuli ai fini della procreazione
artificiale né per quanto riguarda il divieto di donazione di sperma per la
fecondazione in vitro» ed ha escluso
la denunciata violazione dell’art. 8 della Convenzione, reputando che non vi
fosse «alcuna ragione di esaminare separatamente i medesimi fatti dal punto di
vista dell’articolo
che la sopravvenienza della sentenza
della Grande Camera impone di ricordare che la giurisprudenza di questa
Corte è costante nell’affermare che la questione dell’eventuale contrasto della
disposizione interna con la norme della CEDU va risolta, per quanto qui
interessa, in base al principio in virtù del quale il giudice comune, al fine
di verificarne la sussistenza, deve avere riguardo alle «norme della CEDU, come
interpretate dalla Corte di Strasburgo» (tra le molte, sentenza n. 236 del
2011, richiamando le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007
e tutte le successive pronunce che hanno ribadito detto orientamento),
«specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione» (da
ultimo, sentenza
n. 78 del 2012), poiché il «contenuto della Convenzione (e degli obblighi
che da essa derivano) è essenzialmente quello che si trae dalla giurisprudenza
che nel corso degli anni essa ha elaborato» (per tutte, sentenze n. 311 del 2009
e n. 236 del
2011), occorrendo rispettare «la sostanza» di tale giurisprudenza, «con un
margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle
peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è
destinata a inserirsi» (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2011
e n. 317 del
2009), ferma la verifica, spettante a questa Corte, della «compatibilità
della norma CEDU, nell’interpretazione del giudice cui tale compito è stato
espressamente attribuito dagli Stati membri, con le pertinenti norme della
Costituzione» (sentenza
n. 349 del 2007; analogamente, tra le più recenti, sentenze n. 113 e n. 303 del 2011);
che, inoltre, secondo la giurisprudenza
costituzionale, deve essere ordinata la restituzione degli atti al giudice a quo, affinché questi proceda ad un
rinnovato esame dei termini della questione, qualora all’ordinanza di
rimessione sopravvenga una modificazione della norma costituzionale invocata
come parametro di giudizio (tra le tante, ordinanze n. 14, n. 76, n. 96, n. 117, n. 165, n. 230 e n. 386 del 2002),
ovvero della disposizione che integra il parametro costituzionale (per tutte,
ordinanze n. 516
del 2002 e n.
216 del 2003), oppure qualora il quadro normativo subisca considerevoli
modifiche, pur restando immutata la disposizione censurata (tra le tante, ordinanza n. 378
del 2008);
che, alla luce di siffatti principi, la
diversa pronuncia della Grande Camera in ordine all’interpretazione accolta
dalla sentenza della Prima Sezione, espressamente richiamata dai rimettenti –
operata all’interno dello stesso giudizio nel quale è stata resa quest’ultima
pronuncia – incide sul significato delle norme convenzionali considerate dai
giudici a quibus
e costituisce un novum
che influisce direttamente sulla questione di legittimità costituzionale così
come proposta;
che siffatta conclusione si impone: in primo
luogo, perché costituisce l’ineludibile corollario logico-giuridico della
configurazione offerta da questa Corte in ordine al valore ed all’efficacia
delle sentenze del giudice europeo nell’interpretazione delle norme della CEDU
che, come sopra precisato, i rimettenti hanno correttamente considerato, al
fine di formulare le censure in esame; in secondo luogo, in quanto una
valutazione dell’incidenza sulle questioni di legittimità costituzionale del novum costituito
dalla sentenza della Grande Camera (la cui rilevanza è, peraltro, resa palese
anche dall’approfondita lettura, significativamente divergente, offertane dalle
parti nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica) svolta per
la prima volta da questa Corte, senza che su di essa abbiano potuto
interloquire i giudici a quibus, comporterebbe un’alterazione dello schema
dell’incidentalità del giudizio di costituzionalità, spettando anzitutto ai
rimettenti accertare, alla luce della nuova esegesi fornita dalla Corte di
Strasburgo, se ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto;
che l’imprescindibilità di tale
conclusione, in relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze,
è resa palese dalla constatazione che questo ha sollevato questione di
legittimità costituzionale esclusivamente in riferimento all’art. 117, primo
comma, Cost., limitandosi ad osservare, in ordine
all’ulteriore parametro costituzionale evocato, che «le stesse considerazioni
esposte dalla Corte EDU in ordine alla irragionevolezza della norma in
questione paiono pertinenti per il rilievo della questione di legittimità
costituzionale anche sotto il profilo dell’art. 3 Cost.»;
che, inoltre, essa si impone anche in
ordine ai restanti provvedimenti di rimessione, poiché i giudici a quibus non
solo hanno proposto la questione di legittimità costituzionale riferita
all’art. 117, primo comma, Cost. in linea preliminare
rispetto alle altre pure sollevate, ma hanno altresì ripetutamente richiamato
la suindicata sentenza della Prima Sezione della Corte di Strasburgo, allo
scopo di trarne argomenti a conforto delle censure proposte in relazione agli
ulteriori parametri costituzionali;
che, in tal senso, sono, infatti,
univocamente significative, tra le altre, le considerazioni svolte dal
Tribunale di Catania, il quale, nel motivare la denunciata violazione degli
artt. 3 e 31 Cost., ha espressamente invocato detta
pronuncia, per sostenere che essa apporta «ulteriori e solidi argomenti a
sostegno della violazione dell’art. 3 Cost., con
riferimento alla violazione del principio di non discriminazione», deducendo,
in relazione alla censura riferita all’art. 2 Cost.,
che la Corte europea «ha chiarito che occorre garantire, in quanto rientrante
nel diritto al rispetto della vita privata e familiare tutelato dalla
convenzione dei diritti dell’uomo, il diritto della coppia di scegliere di
diventare genitori anche ricorrendo alle tecniche di fecondazione assistita»;
che, analogamente, nel censurare le
norme in esame, il Tribunale di Milano: in riferimento all’art. 2 Cost., ha sottolineato che il «processo evolutivo»
nell’interpretazione di detto parametro non può «prescindere da quanto
affermato nei principi della CEDU nei termini in cui gli stessi sono stati
definiti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo», enfatizzando che
quest’ultima, nella citata sentenza della Prima Sezione, «ha affermato – in
sintesi – il diritto di identità e di autodeterminazione della coppia in ordine
alla propria genitorialità», ritenuto «compromesso dal divieto di accesso ad un
determinato tipo di fecondazione», sottolineando «che occorre garantire, in
quanto appartenente al diritto al rispetto della vita privata e familiare
tutelato dall’art. 8 della CEDU, il diritto della coppia di scegliere di
diventare genitori anche ricorrendo alle tecniche di fecondazione assistita»;
mentre in ordine alle censure proposte in relazione agli artt. 3 e 31 Cost., ha dedotto che detta pronuncia della Corte EDU
«offre utili argomenti a sostegno della violazione dell’art. 3 della
Costituzione, con riferimento alla violazione del principio di non
discriminazione, poiché i motivi proposti dai giudici europei circa la
violazione dell’art. 14 della CEDU possono essere contemporaneamente formulati
nell’interpretazione dell’art. 3» Cost., sostenendo
che essa ha «utilizzato argomentazioni traslabili de plano a fondamento della natura discriminatoria del divieto
totale di fecondazione eterologa» e ritenendo, in conclusione, che
«l’interpretazione delle norme costituzionali, applicate alla luce delle
indicazioni offerte dalla Corte EDU» dimostrerebbe la «natura discriminatoria
del divieto di fecondazione eterologa tra coppie sterili ed infertili a seconda
del grado di sterilità o di infertilità evidenziato»;
che, pertanto, alla luce della
sopravvenuta sentenza
della Grande Camera del 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, deve
essere disposta la restituzione degli atti, affinché i rimettenti procedano ad
un rinnovato esame dei termini delle questioni.
PER
QUESTI MOTIVI
riuniti i giudizi,
ordina
la restituzione degli atti al
Tribunale ordinario di Firenze, al Tribunale ordinario di Catania e al
Tribunale ordinario di Milano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio
2012.
F.to:
Depositata in