SENTENZA N. 78
ANNO 2012
Commento alla decisione di
Cosimo Ferri
(per gentile concessione della Rivista telematica Judicium)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi
di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29
dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10,
comma aggiunto dalla detta legge di conversione, promossi dal Tribunale di
Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con ordinanza del 10 marzo 2011; dal
Tribunale di Benevento con ordinanza del 10 marzo 2011; dal Tribunale di Lecce,
sezione distaccata di Maglie, con ordinanza dell’8 aprile 2011; dal Tribunale
di Potenza con tre ordinanze del 13 aprile 2011; dal Tribunale di Catania con
ordinanza del 26 luglio 2011; dal Tribunale di Nicosia con ordinanza del 30
luglio 2011 e dal Tribunale di Venezia con ordinanza del 13 aprile 2011,
rispettivamente iscritte ai nn. 145, 166, 167, 221,
222, 223, 247, 252 e 258 del registro ordinanze 2011, e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28, 35, 45,
50, 51 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione della Banca Monte dei
Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante della Banca Antonveneta s.p.a. (già
Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.), del San
Paolo Banco di Napoli s.p.a., di C.A., di B.A., dell’Unicredit s.p.a., quale
incorporante della Unicredit Banca di Roma s.p.a., della Unicredit s.p.a.,
quale incorporante del Banco di Sicilia s.p.a. (fuori termine), della Banca
Nazionale del Lavoro s.p.a., della Banca Carime s.p.a. (fuori termine) e del
Banco Popolare soc. coop., quale incorporante della
Banca Popolare di Lodi (fuori termine), nonché gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
del 14 febbraio 2012 e nella camera di consiglio del 15 febbraio 2012 il
Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Antonio
Renato Tanza e Astolfo Di Amato per C.A., Antonio Renato Tanza per B.A., Massimo Luciani e Giorgio Tarzia
per Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., Giorgio Tarzia
per la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., Massimo Luciani e Valerio Tavormina per il San Paolo Banco di Napoli s.p.a., Massimo
Luciani e Michele Sesta per l’Unicredit s.p.a., e l’avvocato dello Stato Maria
Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Il
Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con ordinanza del 10 marzo
2011 (r.o. n. 145 del 2011), ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del
decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di
sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla
legge, 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di
conversione.
1.1.— Il
rimettente premette che S.C. aveva convenuto in giudizio la Banca Antoniana
Popolare Veneta s.p.a., chiedendo – sulla base del
consolidato indirizzo giurisprudenziale in ordine alla nullità della
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di
massimo scoperto – la nuova determinazione del saldo del conto corrente n.
2741/R, aperto l’11 aprile 1994, sino alla data dell’ultima operazione del 29
dicembre 1998, con condanna della banca alla restituzione dell’indebito
versato; che, costituitasi in giudizio, la banca convenuta aveva dedotto la
liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi ed eccepito la
prescrizione estintiva, chiedendo il rigetto della domanda; che, disposta
consulenza tecnica d’ufficio per il ricalcolo del saldo, la causa era stata
ritenuta matura per la decisione e rinviata all’udienza per la discussione
orale, ai sensi dell’ art. 281-sexies codice di procedura civile, con
concessione alle parti dei termini per il deposito di note conclusive.
1.2.— In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma
denunziata, il giudice a quo osserva che la natura dichiaratamente
interpretativa della norma e l’eccezione di prescrizione della parte convenuta
ne impongono l’applicazione nel giudizio principale.
1.3.— Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente ravvisa
la violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla
ammissibilità di una norma interpretativa, nonché la violazione degli artt. 3,
24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Quanto alla
assunta violazione dei limiti interni all’ammissibilità di una norma di
interpretazione autentica, il giudice a quo deduce la irragionevolezza della
norma censurata, sia per l’inesistenza di una norma specifica da interpretare,
quale condizione dell’esercizio del potere di legislazione a fini
interpretativi, sia perché l’interpretazione prospettata non potrebbe essere
inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva
dell’istituto.
In
relazione al primo rilievo, il rimettente osserva che l’art. 2935 del codice
civile – secondo cui il dies a quo, ai fini della
prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare è posto
nelle condizioni di poterlo esercitare – costituisce una regola di carattere
generale, che necessita della etero-integrazione della disciplina speciale
prevista per i singoli tipi contrattuali, nonché dei principi generali in
materia di adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d’indebito. Nel caso
di specie, le norme etero-integratrici sarebbero da individuare nella
disciplina delle operazioni bancarie e nel conto corrente bancario.
Il giudicante
rileva che una legge di interpretazione autentica avrebbe dovuto avere ad
oggetto una norma che disciplinasse di per sé, in maniera specifica, la
decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto di apertura di credito,
regolato in conto corrente, selezionandone una delle possibili opzioni. Invero,
l’inesistenza di una disciplina specifica aveva indotto gli interpreti ad
applicare un principio generale (desumibile dall’art. 2935 cod. civ.), adattato
allo schema e alla funzione del singolo contratto bancario.
Quanto al
secondo rilievo, concernente l’impossibilità d’includere la soluzione
interpretativa prospettata tra quelle legittimamente desumibili dalla
disciplina complessiva dell’istituto, il rimettente osserva che, nel rapporto
di conto corrente bancario, in armonia con i principi generali in materia di
adempimento, di ripetizione d’indebito e con quelli relativi alla causa del
contratto medesimo, il decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione –
come ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza del 2
dicembre 2010, n. 24418 – sarebbe da individuare : a) nella data di un
versamento (nell’ipotesi di conto passivo, senza affidamento, oppure di
superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non
siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento
effettuato in pendenza di rapporto abbia funzione meramente ripristinatoria
dell’affido utilizzabile). Infatti, quando il passivo non abbia superato il
limite dell’affidamento concesso al cliente, i versamenti da questi posti in
essere avrebbero natura di atti ripristinatori della provvista di cui il
correntista può ancora continuare a godere (Corte di cassazione, sezioni unite,
del 2 dicembre 2010, n. 24418; Corte di cassazione, sezione prima civile, del 6
novembre 2007, n. 23107, del 23 novembre 2005, n. 24588 e del 18 ottobre 1982,
n. 5413). In questo caso, la fattispecie dell’adempimento, sub specie di
pagamento, sarebbe configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di
apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal
correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino
comprese somme e competenze non dovute. Ad avviso del rimettente, il
legislatore, con la norma censurata, avendo fatto decorrere la prescrizione dei
diritti nascenti dall’annotazione dal giorno di questa, non avrebbe attribuito
alla norma interpretata un significato compatibile con il novero delle
possibili opzioni ermeneutiche. L’esclusione dell’interpretazione della norma
censurata dal novero di quelle ammissibili si desumerebbe anche dalla
individuazione, ad opera del legislatore, del dies a
quo della decorrenza della prescrizione in una circostanza di fatto, quale
l’annotazione in conto, esulante dalla sfera conoscitiva del cliente, essendo
quest’ultimo edotto delle movimentazioni del conto soltanto con la ricezione
dell’estratto conto.
Con
riferimento all’assunta violazione del principio di azione e di indefettibilità
della tutela giurisdizionale, di cui all’art. 24 Cost.,
il Tribunale censura sia la prima che la seconda parte del citato art. 2, comma
61.
In
particolare, in merito alla prima parte della disposizione secondo cui «In
ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del
codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti
nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno
dell’annotazione stessa», il rimettente denuncia la scelta del legislatore,
diretta ad individuare il dies a quo del decorso
della prescrizione in una circostanza di fatto, l’annotazione, esulante dalla
sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente. Allo stesso modo, assume la
illegittimità della seconda parte della disposizione, secondo cui «In ogni caso
non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto», qualora sia letta –
non nel senso di una clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi
abbia già ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non può essere più eccepita
– ma nel senso di un divieto generalizzato di ripetizione in via stragiudiziale
e giudiziale delle somme indebitamente corrisposte dai clienti del sistema
bancario (come interessi superiori al tasso legale o anatocistici).
In
particolare, tale ultima opzione interpretativa – che, secondo lo stesso
rimettente, sarebbe probabilmente da escludere sulla base di un’esegesi
costituzionalmente orientata della norma – contrasterebbe con il principio di "giustiziabilità” delle posizioni giuridiche.
Il dedotto profilo di illegittimità sarebbe aggravato dalla portata
retroattiva attribuita dal legislatore alla norma de qua, in virtù della prima
parte della stessa. Al riguardo, il rimettente richiama una serie di pronunce
della Corte costituzionale sulla indefettibilità della tutela giurisdizionale,
quale caposaldo dello Stato di diritto (sentenze n. 325 del 1998,
n. 381 del 1997,
n. 152 e n. 54 del 1996, nn. 232, 206 e 49 del 1994, n. 127 del 1977).
Con
riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del
principio di uguaglianza e ragionevolezza, il Tribunale lamenta, in primo
luogo, l’introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra banche e
utenti del sistema bancario, in quanto la norma censurata, nello stabilire il dies a quo della decorrenza della prescrizione dal giorno
della annotazione, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a
danno del contraente debole, qual è l’utente del sistema bancario. Ad avviso
del rimettente, una legge che avesse voluto perseguire l’attuazione del
principio di uguaglianza, sub specie di eliminazione degli ostacoli
all’esercizio dei diritti dell’utente del sistema bancario, avrebbe dovuto far
decorrere il dies a quo, in ogni caso, dalla chiusura
del conto.
Sempre con
riferimento all’assunto contrasto con l’art. 3 Cost.,
il rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza anche sotto
il profilo della introduzione di una disparità di trattamento tra tipologie
contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale. Al riguardo, il
Tribunale rileva come il cosiddetto contratto di conto corrente di
corrispondenza, qualificabile come negozio complesso atipico o come forma di
collegamento negoziale, ricomprenderebbe delle fattispecie, quali, ad esempio,
il mandato o il deposito, la prescrizione dei cui diritti inizierebbe a
decorrere dalla cessazione dei rispettivi rapporti.
In ordine all’assunta
violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo
lamenta, inoltre, l’introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento
tra somme versate indebitamente, rispettivamente prima e dopo l’entrata in
vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010.
In
particolare, in forza della seconda parte della disposizione censurata, la
paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela degli utenti del
sistema bancario opererebbe per le sole somme già versate alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del detto decreto-legge, con ingiustificata
compressione del diritto di ripetizione dell’indebito solo per chi abbia posto
in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale.
Il
Tribunale assume anche il contrasto della citata disposizione con l’art. 111 Cost., in tema di giusto processo, sub specie della parità
delle armi, in quanto, supportata da una previsione di retroattività, verrebbe
a sancire – se non altro nelle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della
banca sia decorso un decennio – la paralisi dei poteri sostanziali e
processuali di chi abbia agito in giudizio esperendo un’azione di ripetizione
dell’indebito.
Il
rimettente deduce, altresì, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della Convezione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Tale
norma convenzionale, nell’interpretazione datane dalla Corte EDU, imporrebbe al
legislatore di uno Stato contraente di non interferire nell’amministrazione
della giustizia, allo scopo di influire sulla singola causa o su di una
determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che,
violando il principio di «parità delle armi», assegnino alla disposizione
interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo
il caso di «ragioni imperative di interesse generale» (sentenza
della citata Corte 21 giugno 2007, Scanner de L’Ouest
Lyonnais e altri contro Francia; 28
ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia).
In alcuni casi, la Corte EDU avrebbe ritenuto legittimo l’intervento del
legislatore, che, per porre rimedio ad una imperfezione tecnica della norma
interpretata, avrebbe inteso, con la legge retroattiva, ristabilire
un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore (sentenza
della citata Corte 23 ottobre 1997, National & Provincial
Building Society e altri contro Regno Unito; nello stesso solco, si pone la
sentenza
27 maggio 2004, Ogis-Institut Stanislas
e altri contro Francia). Nel caso di specie, mancherebbe una specifica
norma da interpretare e il legislatore avrebbe omesso di regolare in modo
espresso la prescrizione di diritti connessi ai rapporti bancari, così
indirettamente rinviando alla norma di carattere generale, ai principi
regolativi della materia delle obbligazioni, nonché alla funzione e struttura delle
singole operazioni bancarie.
Infine, il
Tribunale deduce il contrasto con gli artt. 101, 102 e 104 Cost. sotto il
profilo della possibile incidenza della norma censurata su concrete fattispecie
"sub iudice”,
a vantaggio di una delle due parti del giudizio (ex plurimis: sentenze n. 397 e n. 6 del 1994; n. 429, n. 283 e n. 39 del 1993).
2.— Con memoria depositata in data 18 luglio 2011, si è costituita nel
giudizio di legittimità costituzionale la Banca Monte dei Paschi di Siena
s.p.a., quale incorporante la Banca Antoveneta s.p.a. (già Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
2.1.— In primo luogo, l’istituto di credito deduce la sinteticità della
motivazione del rimettente sulla rilevanza in ordine alla prima parte del
censurato art. 2, comma 61, e l’assenza di motivazione sulla rilevanza in
ordine alla seconda parte di detta norma, concernente la ripetizione di importi
già versati e non già la prescrizione dei diritti nascenti dalla annotazione
nel conto corrente bancario, sulla cui eccezione il Tribunale è chiamato a
pronunciarsi.
In
particolare, qualora dalla consulenza tecnica risultasse che la banca non deve
restituire alcunché perché il conto corrente dell’attrice si è chiuso con un
saldo passivo, non potrebbe esservi rilevanza della questione sulla seconda
parte della norma, in quanto la pretesa restitutoria sarebbe priva di oggetto
e, dunque, inesistente.
2.2.— L’istituto di credito rileva, altresì, che la motivazione dell’ordinanza
di rimessione sulla non manifesta infondatezza della questione si fonda
sull’erroneo presupposto del carattere innovativo della norma censurata.
Invero,
alla luce di due possibili chiavi di lettura costituzionalmente orientate della
disposizione in esame, emergerebbe il carattere della norma effettivamente di
interpretazione autentica.
Secondo una
prima possibile lettura del citato art. 2, comma 61, la norma in questione
avrebbe codificato l’interpretazione espressa dalla Corte di cassazione, a
sezioni unite, nella sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418.
In particolare,
nella detta pronuncia, la Corte di cassazione – dopo avere premesso che, ai
sensi dell’art. 1422 cod. civ., il diritto "prescrittibile”, derivante da
un’annotazione nel conto corrente bancario, altro non potrebbe essere se non il
diritto alla ripetizione da parte del correntista di addebiti operati dalla
banca per una causale affetta da nullità – preciserebbe che, in tal caso, il
termine di prescrizione inizia a decorrere, non già dalla data della sentenza
di accertamento della nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da
quella del pagamento, ovvero, nel caso di operazioni bancarie, dal giorno in
cui la rimessa che ha ripianato un illegittimo addebito viene annotata nel
conto. La Corte distinguerebbe tra rimesse "solutorie”,
costituenti pagamenti ripetibili, se non dovuti, e quelle "ripristinatorie”
della disponibilità accordata dalla banca al correntista mediante apertura di
credito.
Nel primo
caso, la prescrizione della condictio indebiti
decorrerebbe dalla data della annotazione "a credito” successiva
all’illegittimo addebito da parte della banca; nel secondo caso la solutio avverrebbe solo al termine del rapporto e la
prescrizione del diritto nascente da un’annotazione in conto inizierebbe a
decorrere dalla chiusura del conto (sulla nozione di "pagamenti” del
correntista nello svolgimento del conto corrente bancario è richiamata anche la
giurisprudenza di legittimità sulla identificazione di pagamenti suscettibili
di revoca ai sensi dell’art. 67, secondo comma, legge fallimentare, ante
riforma, perché eseguiti da un imprenditore in stato di insolvenza, conosciuto
dalla banca).
Pertanto,
con la norma censurata, il legislatore avrebbe reso vincolante la soluzione
ermeneutica espressa dalla giurisprudenza di legittimità, individuando nella
data della annotazione "a credito”, costituente rimessa "solutoria”
e dunque pagamento "ripetibile”, la data della decorrenza del termine di
prescrizione della condictio indebiti.
Secondo
un’altra possibile lettura della giurisprudenza di merito, il censurato art. 2,
comma 61, potrebbe essere inteso con riferimento al disposto dell’art. 1827
cod. civ. e, dunque, al diritto del correntista di
fare espellere dal conto l’annotazione di crediti della banca basati su titoli
dichiarati nulli, annullati, rescissi o risoluti (Tribunale di Milano, sentenza
del 7 aprile 2011). In particolare, dovendosi considerare il disposto dell’art.
1827 cod. civ. come norma applicativa, nella specifica
materia, dei principi generali di cui all’art. 1422 cod. civ., l’azione ripristinatoria
del corretto saldo del conto corrente, con esclusione delle partite basate su
titoli nulli, andrebbe ricompresa tra le azioni soggette a prescrizione
ordinaria.
In questa
chiave di lettura, il termine "annotazioni in conto” di cui alla norma censurata
si riferirebbe agli "addebiti” che la banca annota in conto, dai quali, ove
basati su titoli viziati, decorrerebbe il termine di prescrizione dell’azione
esperibile dal correntista per ottenerne la cancellazione.
La
richiamata giurisprudenza di merito ha dichiarato manifestamente infondate le
eccezioni di incostituzionalità della norma in questione, non essendo stato
ravvisato, nel detto intervento legislativo, alcun contenuto innovativo, bensì,
nei termini di cui sopra, di interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ., letto in combinato disposto con gli artt. 1832 e 1422
cod. civ.
La natura
di norma di interpretazione autentica della disposizione in esame
comporterebbe, ad avviso dell’istituto di credito, la infondatezza delle
censure di cui all’ordinanza di rimessione.
In
particolare, non sarebbe ravvisabile alcuna violazione delle attribuzioni del
potere giudiziario, con esclusione dell’assunto contrasto con gli artt. 24, 111
e 117 Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU.
In
considerazione delle interpretazioni rese plausibili dalla norma censurata,
difetterebbe ogni elemento da cui desumere la incidenza sui giudizi in corso.
Invero, una
indicazione interpretativa sul computo del termine di prescrizione entro il
quale vanno fatti valere eventuali diritti in una particolare fattispecie non
inciderebbe sul principio di azione ex art. 24 Cost.,
né tantomeno sul principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost. In
particolare, sotto il profilo della assunta disparità di trattamento, l’istituto
di credito osserva che mancherebbero le fattispecie diverse a confronto,
trattandosi di due contraenti di un medesimo rapporto negoziale. Inoltre, la
decorrenza della prescrizione della condictio
indebiti varrebbe ugualmente per i versamenti indebiti del correntista e della
banca.
3.— Con atto depositato in data 19 luglio 2011, è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale
sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
3.1.— In primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della
questione, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di valutare i profili di
rilevanza delle eccezioni formulate, essendosi limitato a svolgere astratte
considerazioni sulla legittimità della norma censurata, senza spiegare se ed in
quali termini la sua applicazione possa incidere concretamente sull’esito della
causa pendente dinanzi a sé.
Al
riguardo, il rimettente assumerebbe che la norma censurata, nel far decorrere,
in ordine alle operazioni bancarie in conto corrente, la prescrizione del
diritto a ripetere le somme indebitamente versate (ad esempio, a titolo di
interessi anatocistici contabilizzati
trimestralmente) dalla data di annotazione in conto, violerebbe i principi
sull’indebito pagamento espressi dalla Corte di cassazione a sezioni unite,
secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dalla data dei singoli pagamenti
ovvero dalla chiusura del conto a seconda che i versamenti effettuati abbiano
natura solutoria o ripristinatoria. Ad avviso del
Presidente del Consiglio dei ministri, il giudice a quo avrebbe descritto
genericamente la fattispecie del giudizio principale, non specificando se la
domanda formulata nel detto giudizio possa trovare accoglimento in base ai
principi espressi dalla Corte di cassazione e, quindi, se sia rilevante e
decisivo, ai fini del decidere, lo ius superveniens, che individua una diversa decorrenza dei
termini prescrizionali. In particolare, il rimettente non avrebbe precisato
quando sarebbero stati effettuati i versamenti delle somme richieste in
ripetizione, a quale credito siano stati imputati, se si sia trattato di
pagamenti di carattere "solutorio” o
"ripristinatorio”, in quanto inerenti a situazioni extra-fido o eccedenti il
massimo scoperto ovvero a passività rientranti nell’ambito della provvista.
3.2.— La difesa erariale deduce, inoltre, una lettura indifferenziata e confusa
della norma censurata da parte del Tribunale, non essendo stata operata la
necessaria differenziazione tra le diverse disposizioni della prima e della
seconda parte di essa, attinenti rispettivamente alla interpretazione della
disciplina della prescrizione in relazione ai contratti di conto corrente
bancario e all’esercizio delle azioni restitutorie. In particolare, avendo il
Tribunale interpretato la seconda parte della norma denunciata nel senso di una
generale e radicale preclusione del diritto di agire per la restituzione delle
somme versate, sarebbe irrilevante e, dunque, inammissibile la questione di
costituzionalità riferita alla prima parte di essa, relativa al tema della
prescrizione.
3.3.— Il
Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce la inammissibilità della
questione anche sotto il profilo della mancata sperimentazione da parte del
rimettente di una interpretazione della norma censurata conforme a Costituzione
(ordinanze n.
139, n. 101
e n. 15 del 2011;
n. 205 del 2008).
La difesa
erariale sottolinea come molti giudici di merito, abbiano optato per
un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alcuni
riconoscendo ad essa natura innovativa ed escludendone l’applicazione per il
passato (Corte di appello di Ancona, sentenza del 3 marzo 2011), altri
considerando la norma di interpretazione autentica, con conseguente necessità
di fare decorrere la prescrizione decennale dalla data delle singole
annotazioni in conto (Tribunale di Milano, ordinanze del 4 e 7 aprile 2011).
In
particolare, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la mancanza
di una chiara opzione interpretativa sarebbe particolarmente evidente con
riguardo alla seconda parte della disposizione censurata, concernente il
divieto di azioni restitutorie, in quanto il Tribunale, sia pure ipotizzando
una lettura in chiave di clausola di salvaguardia della posizione giuridica di
chi abbia già ricevuto il rimborso cui la prescrizione non può essere più
eccepita, opterebbe per una diversa interpretazione a sfavore del cliente, nel
senso di una preclusione assoluta all’esercizio del diritto di ripetizione
dell’indebito, omettendo di verificare se il divieto di cui trattasi possa
essere riferito solo ai diritti che si debbano ritenere prescritti in base alla
prospettata interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ.
3.4.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, altresì, nel merito la
questione non fondata.
Al riguardo
– dopo avere richiamato le disposizioni del codice civile in tema di contratto
di conto corrente ordinario di cui agli artt. 1823 (in base al quale i crediti
derivanti dalle reciproche rimesse sono inesigibili e indisponibili fino alla
chiusura del conto), 1827 (secondo cui le annotazioni in conto non precludono
l’esercizio delle azioni ed eccezioni relative all’atto da cui deriva il
credito), 1832 (secondo cui l’estratto conto si intende approvato se non è
contestato nel termine pattuito, o in quello usuale, o altrimenti nel termine
che può ritenersi congruo secondo le circostanze, fatto salvo il diritto di
impugnare il conto entro il più ampio termine decadenziale
di sei mesi dalla ricezione dell’estratto, nel caso di errori di scritturazione
o di calcolo, di omissioni o duplicazioni) – la difesa erariale sottolinea
come, secondo consolidata giurisprudenza, l’approvazione e l’incontestabilità
dell’estratto conto si riferiscano soltanto a profili di ordine contabile,
fermo restando il diritto di accertare la nullità, annullabilità, rescissione,
risoluzione delle singole clausole contrattuali o degli atti da cui siano
derivate le specifiche annotazioni in conto.
In base ad
un diffuso orientamento giurisprudenziale, le norme in tema di contratto di
conto corrente ordinario sarebbero applicabili allo specifico contratto di
conto corrente bancario, di cui agli artt. 1852 e seguenti cod. civ., per i
quali, anche per questa fattispecie contrattuale, varrebbe la regola secondo
cui, in caso di mancata contestazione entro il termine decadenziale,
le annotazioni in conto si intendono approvate sotto il profilo contabile,
fermo restando il diritto di contestare, secondo la disciplina propria dei
singoli rapporti, la legittimità delle ragioni da cui derivano le reciproche
posizioni debitorie e creditorie.
Sul punto,
ad avviso di una gran parte della giurisprudenza, in caso di annotazioni
derivanti da clausole negoziali nulle, troverebbero applicazione i principi di
cui all’art. 1422 cod. civ., secondo il quale l’azione di nullità può essere
esercitata in ogni tempo, fatti salvi gli effetti della prescrizione dell’azione
di ripetizione, con la conseguenza che solo dalla chiusura del conto, momento
in cui diventano esigibili i crediti derivanti dal rapporto e si realizzano le
operazioni di pagamento, inizierebbe a decorrere il termine di prescrizione per
la ripetizione di quanto indebitamente versato per effetto delle clausole nulle
(questo indirizzo giurisprudenziale sarebbe stato sostanzialmente avallato
dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 24418 del 2
dicembre 2010, che ha individuato un termine anteriore costituito dal momento
del singolo versamento con riferimento alla sola ipotesi in cui il cliente
provveda a coprire un passivo eccedente i limiti del proprio accreditamento).
La difesa
erariale sottolinea come una diversa giurisprudenza minoritaria non condivida
l’estensione generalizzata al conto corrente bancario della stessa disciplina
prevista per il conto corrente ordinario in quanto: a) nel contratto di conto
corrente ordinario la regola della decorrenza della prescrizione delle
reciproche pretese dal momento della chiusura del conto troverebbe razionale
giustificazione nella breve durata del rapporto (ai sensi dell’art. 1831 cod.
civ. ordinariamente pari ad un semestre), mentre la disciplina codicistica del contratto di conto corrente bancario non
prevedrebbe alcun termine di durata, prolungandosi quest’ultimo per un
indeterminato periodo di tempo, con la conseguenza che la chiusura del conto e
l’esercizio delle azioni derivanti dalle annotazioni da clausole o atti viziati
rischierebbero di essere differiti per tempi estremamente lunghi, con
pregiudizio delle esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici; b)
sotto un profilo strettamente ermeneutico, l’art.1857 cod. civ. si limiterebbe a dichiarare applicabile al conto corrente
bancario le sole disposizioni di cui agli artt. 1826, 1829, 1832 cod. civ., con
la conseguenza che – atteso il mancato richiamo degli artt. 1823 e 1827 cod.
civ. – non risulterebbe certa l’estensione della regola secondo cui
l’approvazione dell’estratto conto redatto periodicamente si riferisce ai soli
aspetti contabili del rapporto, lasciando impregiudicata la possibilità di
contestare la legittimità sostanziale delle singole annotazioni.
Il
Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come il censurato art. 2, comma
61, si sia inserito in questo complesso scenario normativo e giurisprudenziale,
attraverso una ragionevole soluzione interpretativa.
Con
riferimento alla prima parte della citata disposizione, escluso che il
legislatore abbia assunto l’annotazione come termine per l’esercizio
dell’azione di ripetizione – essendo pacifico che tale azione è esperibile solo
per effetto di un pagamento indebito – o che l’annotazione sia la fonte
costitutiva del credito riportato nel conto, secondo una possibile interpretazione
la norma si inserirebbe nel solco della disposizione dell’art. 1832 cod. civ. completandone la disciplina con specifico riferimento ai
contratti di conto corrente bancario. In questa prospettiva, il legislatore si
sarebbe limitato ad aggiungere al termine decadenziale
previsto dall’art. 1832 cod. civ. un ulteriore termine
prescrizionale per l’esercizio dell’azione diretta a contestare, sempre ed
esclusivamente sul piano contabile, l’esattezza delle annotazioni eseguite. Ma
tale interpretazione, ad avviso della difesa statale, sarebbe poco convincente
perché la norma sarebbe sostanzialmente priva di efficacia, non avendo senso
affermare che sia prescritta l’azione dalla quale si sia già decaduti.
Più
convincente sarebbe la tesi secondo cui il legislatore, nel riferirsi ai
«diritti nascenti dalle annotazioni», abbia inteso richiamare il diritto di
contestare giudizialmente non solo i profili contabili, ma anche le ragioni
sostanziali dalle quali è derivata l’annotazione in conto e, perciò, il diritto
di accertare la mancanza di un valido titolo giustificativo della posta
creditoria, annotata in quanto derivante da una clausola negoziale o da un atto
invalido (ad esempio, applicazione di interessi ultra-legali; indebita
capitalizzazione di interessi, fonte di interessi anatocistici)
In
particolare, il legislatore avrebbe voluto affermare che sono soggette a
prescrizione non solo le azioni di ripetizione di quanto eventualmente pagato
in base ad una clausola nulla, ai sensi dell’art. 1422 cod. civ.,
ma anche le azioni di accertamento della illegittimità delle annotazioni
eseguite in base alle predette clausole. In tal modo, si sarebbe chiarito che,
nel contratto di conto corrente bancario, le annotazioni hanno la funzione di
rendere definitivi, se non contestati entro un termine prescrizionale
ordinario, i crediti ed i debiti annotati nel conto sia pure in base ad una
disposizione contrattuale viziata.
Pertanto,
ad avviso della difesa erariale, nell’ottica di un’interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata, si potrebbe ritenere che
con essa il legislatore abbia voluto precisare la portata dell’art. 2935 cod. civ., individuando nella annotazione, cui le parti hanno
inteso dare una particolare valenza in base al sinallagma contrattuale, il
momento di decorrenza della prescrizione del diritto nascente da quella
operazione.
Quanto alla
seconda parte del censurato art. 2, comma 61, il Presidente del Consiglio dei
ministri afferma che debba essere letta ed interpretata in correlazione con la
prima parte di essa, di cui costituisce corollario. In particolare, con detta
disposizione, il legislatore non avrebbe inteso precludere qualsiasi azione
restitutoria derivante dal contratto di conto corrente bancario, bensì chiarire
che non è possibile proporre azioni di ripetizione di indebito qualora risulti
ormai prescritta l’azione per fare valere l’illegittimità delle annotazioni in
conto.
La difesa
erariale ricorda come la Corte costituzionale abbia più volte affermato che il
legislatore può adottare norme che precisano il significato di altre
disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza
nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche
in presenza di un indirizzo omogeneo giurisprudenziale, quando la scelta
imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo
originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore
(sentenze n. 209
del 2010; n.
311 del 1995; n. 397 del 1994;
n. 480 del 1992).
Con
riferimento alla portata retroattiva della norma interpretativa, sono stati,
inoltre, individuati una serie di limiti che attengono alla salvaguardia di
norme costituzionali, tra cui i principi di ragionevolezza, uguaglianza, quello
dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico
e del rispetto delle funzioni riservate al potere giudiziario (sentenze n. 525 del 2000
e n. 397 del
1994).
Nella
fattispecie, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che, pur
dovendosi riconoscere la prevalenza dell’opzione interpretativa favorevole alla
tesi della cosiddetta unitarietà del rapporto di conto corrente, sia pure con
taluni distinguo nell’ambito della stessa (versamenti ripristinatori e
solutori), non può escludersi la possibilità di altre diverse soluzioni
ermeneutiche, sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che, operando
una valutazione del contratto di conto corrente in termini sostanzialmente
autonomi rispetto ai collegati contratti di apprestamento della provvista,
valorizzano la facoltà del correntista di disporre in qualunque momento del
relativo saldo o di richiedere un estratto conto. In questa ottica, si
configurerebbe la possibilità di accertare l’indebita apposizione di interessi,
competenze e spese e di richiederne la restituzione, con conseguente decorrenza
del termine prescrizionale dal momento in cui la banca ha provveduto
all’annotazione della posta in contestazione, in quanto ciascuna di queste
somme costituirebbe autonomamente un indebito, oggetto di specifica domanda di
restituzione (Corte d’appello di Torino, sentenza del 7 maggio 2004, n. 741;
Tribunale di Mantova, sentenza del 2 febbraio 2009; Tribunale di Roma, sentenze
del 26 maggio 1999, del 14 aprile 1999 e del 20 settembre 1996, con riferimento
all’ipotesi di libretti di deposito bancario, Corte di Cassazione, sezione
prima civile, sentenza del 3 maggio1999, n. 4389).
Infine, ad
avviso della difesa erariale, non avrebbe pregio l’osservazione del Tribunale
secondo cui l’annotazione è circostanza di fatto che esula dalla sfera
conoscitiva del cliente, il quale sarebbe edotto delle movimentazioni del
proprio conto con la ricezione dell’estratto conto, in quanto rilevante ai fini
della prescrizione non sarebbe tanto il concreto esercizio del diritto ma
l’astratta possibilità di esercitarlo (Corte di cassazione, sezione prima
civile, sentenza del 22 aprile 2010, n. 9620). Ai sensi dell’art. 1852 cod. civ., il cliente avrebbe certamente la possibilità di
disporre del saldo in qualunque momento, dato che, ancora prima della scadenza
del termine per l’invio dell’estratto, potrebbe avere certezza della esistenza
sul conto delle somme di cui intende disporre nonché delle annotazioni in esso
contenute.
La norma in
questione, limitandosi ad esplicitare regole già desumibili dal sistema, non
lederebbe né l’effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, di cui all’art. 24 Cost., né l’integrità delle attribuzioni costituzionali
dell’autorità giudiziaria, di cui all’art. 102 Cost., né tantomeno l’art. 117
Cost., in relazione all’art. 6 CEDU.
4.— In data 13 gennaio 2012, la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. in
persona del legale rappresentante pro-tempore ha depositato atto di
costituzione di nuovo di nuovo difensore, in aggiunta a quelli già costituiti.
5.— In data
17 gennaio 2012 la detta banca ha depositato memoria illustrativa, nella quale,
in primo luogo, ribadisce l’inammissibilità della questione, in quanto: a)
sarebbe carente la motivazione sulla rilevanza; b) sarebbe del pari carente la
descrizione dei fatti di causa, perché il rimettente, in presenza di una norma
come quella censurata (recante due disposizioni tra loro connesse, ma con
distinto contenuto precettivo), non avrebbe tenuto conto di tale complessità
normativa, articolando le sue censure in maniera indistinta rispetto ai due
periodi che compongono la norma stessa. Inoltre, il giudice a quo, prendendo le
mosse per le sue argomentazioni dalla sentenza della Corte di cassazione,
sezioni unite civili, n. 24418 del 2010, non avrebbe considerato le ragioni
complessive svolte dalla Corte di legittimità, così incorrendo ancora in omessa
o insufficiente motivazione sulla rilevanza; c) il rimettente si sarebbe
sottratto all’onere di sperimentare la possibilità di pervenire ad una doverosa
interpretazione costituzionalmente orientata, peraltro individuata anche in
alcune pronunzie di Corti territoriali.
Nel merito,
l’istituto di credito ribadisce e sviluppa le argomentazioni già svolte
nell’atto di costituzione.
6.— In data 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla
memoria di intervento.
7.— Il Tribunale di Benevento, con ordinanza del 10 marzo 2011 (r.o. n. 166 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 24, 41, 47, 102, Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione).
7.1.— Il
rimettente premette che U.M. aveva convenuto in giudizio la San Paolo Banco di
Napoli s.p.a. – filiale di Benevento – chiedendo la rideterminazione del saldo
del conto corrente bancario n. 7073 (poi corretto in quello n. 27/90), aperto
il 14-21 settembre 1992 e chiuso il 31 dicembre 2006, con condanna della banca
alla restituzione dell’indebito versato, stante l’addebito, nel corso del
rapporto bancario, di interessi anatocistici e
commissioni di massimo scoperto non dovuti; che, costituitasi in giudizio, la
banca convenuta aveva dedotto la nullità dell’atto di citazione per genericità
e indeterminatezza dei fatti costitutivi posti alla base della domanda ed aveva
eccepito la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito, in
quanto decorrente dalla data di annotazione di ogni singola posta contestata,
nonché la decadenza dalla contestazione degli estratti conto, chiedendo il
rigetto della domanda; che, disposta CTU per il ricalcolo del saldo con
applicazione del criterio della capitalizzazione annuale degli stessi (dalla
quale era emerso un saldo reale a favore dell’attore di euro 26.832,87 al 31
dicembre 2006), la causa veniva riservata in decisione; che, in considerazione
dell’intervenuta sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili n.
24418 del 2010, la causa era rimessa in istruttoria, fissando l’udienza del 10
marzo 2011 per la comparizione del CTU al fine di incaricare quest’ultimo della
ricostruzione del rapporto bancario alla luce dei principi giuridici affermati
nella detta sentenza, con ricalcolo epurato integralmente dall’interesse anatocistico (criterio cosiddetto dell’interesse semplice);
che, nelle more del giudizio, in data 27 febbraio 2011, entrava in vigore il
citato art. 2, comma 61.
7.2.— In punto di rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma
censurata, il giudice a quo osserva di non potere prescindere dalla sua
applicazione ai fini della decisione in ordine al se ed in quali termini
conferire al CTU un incarico integrativo di ricalcolo del rapporto bancario,
avendo la banca convenuta tempestivamente eccepito nella comparsa di
costituzione la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito proposta
dall’attore.
Infatti, ad
avviso del rimettente, se la nuova norma dovesse interpretarsi nel senso che la
prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre non già dalla
data di estinzione del rapporto di conto corrente (come affermato da Corte di
cassazione, sezioni unite civili, n. 2448 del 2010), ma dal giorno della
singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto dell’attore alla ripetizione
degli importi versati a titolo solutorio ed annotati
in data anteriore al 5 marzo 1997, ovvero oltre dieci anni prima della data di
notificazione della richiesta stragiudiziale di restituzione dell’indebito (con
raccomandata notificata alla banca in data 5 marzo 2007).
Inoltre, se
la seconda parte della norma dovesse interpretarsi nel senso che nelle
operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti può non
restituire gli importi, anche non dovuti, già versati alla data dell’entrata in
vigore della legge di conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il
rigetto totale della domanda di restituzione dell’indebito, essendo stato il
rapporto consensualmente chiuso in data 31 dicembre 2006.
7.3.— Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente assume la
violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla
ammissibilità di una norma interpretativa nonché degli artt. 3, 24, 41, 47,
102, Cost.
Riguardo
alla prima parte della norma censurata, rileva la violazione dei limiti interni
all’ammissibilità delle norme interpretative ed in generale alla efficacia
retroattiva delle leggi, sotto il profilo della irragionevolezza, in quanto: 1)
non vi era alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della
prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione delle operazioni bancarie in
conto corrente, perché la Corte di cassazione, nella sentenza n. 24418 del
2010, «per la particolare importanza delle questioni sollevate», ha ribadito
che, nei contratti bancari in conto corrente, il termine di prescrizione
decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito (ad esempio per nullità
della clausola di capitalizzazione degli interessi) decorre, qualora i
versamenti eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto abbiano avuto
funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di
chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; 2)
la norma in questione sotto forma asseritamente
interpretativa, di fatto innova, scontrandosi con la disciplina normativa e la
natura giuridica delle operazioni bancarie in conto corrente, di cui agli artt.
1852-1857 cod. civ., nonché con il principio generale di cui all’art. 2935 cod.
civ. in tema di decorrenza della prescrizione, poiché
la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre ritenuto che nei contratti
bancari, quali contratti unitari, fonti di un unico rapporto giuridico, anche
se articolati in una pluralità di atti esecutivi, solo con il conto finale si
stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti e se ne determina
l’esigibilità.
Inoltre,
ove la norma censurata si applicasse anche per il passato e ai giudizi in
corso, si avrebbe non soltanto una violazione del principio di uguaglianza e
un’ingiustificata disparità di trattamento, ma anche la violazione dell’art. 24
Cost. (in quanto le norme sulla prescrizione, pur
avendo natura sostanziale, producono effetti sul piano processuale, perché,
invocando l’effetto estintivo delle stesse, è possibile impedire ai titolari di
diritti di ottenerne la realizzazione in via giudiziaria) e dell’art. 102
Cost., stante la invasione ingiustificata delle prerogative giudiziarie.
Il giudice
a quo ritiene che la norma censurata violi anche gli artt. 41 e 47 Cost., frustrando i principi di tutela del risparmio delle
famiglie e delle imprese e, dunque, la libera iniziativa economica. Infatti, la
norma in questione, sebbene inserita in una legge titolata «Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia
tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie», inciderebbe
negativamente sulle legittime aspettative di esse, volte ad ottenere in
restituzione ingenti somme indebitamente contabilizzate dalla controparte
durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e percepite in violazione
di norme di ordine pubblico. Inoltre, detta norma rischierebbe di pregiudicare
anche il diritto delle banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai
correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate
prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo
finale di chiusura del conto.
Ad avviso
del rimettente, la seconda parte della norma censurata, nel disporre che «In
ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati alla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge», in
violazione non solo delle principali regole giuridiche e costituzionali sopra
richiamate, ma anche dei canoni di logica e avvedutezza elementari,
irragionevolmente determinerebbe che chi (anche una banca) abbia versato alla
data del 27 febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione
n. 10 del 2011) degli importi a credito in un rapporto regolato in conto
corrente non potrebbe ottenerli "in ogni caso” in restituzione dal suo
debitore.
8.— Con memoria depositata in data 14 luglio 2011, si è costituita in giudizio
il Banco di Napoli s.p.a. (già San Paolo Banco di Napoli s.p.a.), in persona
del legale rappresentante pro-tempore, chiedendo, previa riunione con i
procedimenti r.o. n. 145 del 2011 e n. 167 del 2011 e
con quegli altri che dovessero essere in tempo utile promossi in via
incidentale, che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
8.1.— In
primo luogo, l’istituto di credito eccepisce la inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale per mancata dimostrazione da parte del rimettente
di avere sperimentato interpretazioni "adeguatrici”
ovvero costituzionalmente orientate (sentenza n. 217 del
2010), nonché per indeterminatezza ed oscurità del petitum
dell’ordinanza di rimessione (sentenza n. 91 del
2010).
Inoltre, la
banca deduce la inammissibilità della questione per contraddittorietà ed
insufficienza della motivazione sulla rilevanza, atteso che il rimettente avrebbe
attribuito all’applicazione della norma censurata conseguenze che, viceversa,
discendono dai principi innovativi dettati dalla Corte di cassazione, a sezioni
unite, nella sentenza n. 24418 del 2010. In particolare, la questione di
legittimità costituzionale sarebbe stata sollevata sull’erroneo presupposto che
solo la norma censurata consentirebbe alla banca di opporre l’eccezione di
prescrizione, prima della "data di estinzione del rapporto di conto corrente”,
mentre anche la Corte di cassazione, a sezioni unite, ha ammesso questa
possibilità in tutti i casi di «importi versati a titolo solutorio».
Peraltro, l’istituto di credito evidenzia le scarne indicazioni in ordine al
caso concreto, con conseguente manifesta irrilevanza della questione.
La Banco di
Napoli s.p.a. deduce, altresì, che il rimettente, nell’esporre le ragioni per
le quali la norma "interpretativa” determinerebbe conseguenze irragionevoli o
lesive di principi costituzionali, avrebbe innanzitutto lamentato l’intervento
del legislatore con una "norma interpretativa” in assenza di un dubbio
ermeneutico. Invero, come evidenziato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 71 del
2010), la norma interpretativa non richiederebbe alcun contrasto
giurisprudenziale in ordine alla norma da interpretare. Peraltro, nel caso di
specie, prima dell’intervento della Cassazione, vi sarebbero state in materia
due sole pronunce di legittimità (Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenze del 14 maggio 2005, n. 10127 e del 9 aprile 1984, n. 2262), rispetto
alle quali la Corte avrebbe affermato nuovi principi. Il legislatore, dunque,
ad avviso dell’istituto di credito, sarebbe intervenuto per prevenire nuovi
contrasti sulla materia, indicando una chiave di lettura della normativa, alla
luce dei principi affermati dalla Corte di cassazione.
L’Istituto
di credito sottolinea, poi, come, diversamente da quanto ritenuto dal
rimettente, la norma censurata non innoverebbe né modificherebbe la normativa
in materia, limitandosi ad assegnare alla disposizione interpretata un
significato già in essa contenuto, come una delle possibili letture del testo
originario.
Invero, a
detta del Banco di Napoli s.p.a., con la norma censurata il legislatore, coerentemente
con i principi affermati in materia dalla Corte di cassazione, sezioni unite,
nella sentenza n. 24418 del 2010, avrebbe previsto (ferma l’imprescrittibilità
dell’azione di nullità del negozio che genera l’addebito o l’accredito sul
conto), la decorrenza dalla annotazione della prescrizione relativa all’azione
di rettifica della posta contabile, considerato che l’unitarietà del rapporto
derivante dal contratto bancario non renderebbe necessaria la chiusura del
conto per stabilire l’esatto ammontare dei crediti e debiti delle parti tra
loro.
Pertanto,
la norma censurata non comporterebbe una deroga all’art. 2935 cod. civ., in quanto la decorrenza della prescrizione dalla
annotazione non potrebbe riferirsi ai crediti della banca nascenti dall’apertura
di credito in conto corrente (non potendo la banca esigere il rientro da parte
del correntista fino alla revoca o scadenza dell’apertura di credito), bensì al
diritto di contestare gli eventuali accrediti o addebiti privi di causa.
Il Banco di
Napoli s.p.a. eccepisce, altresì, l’inammissibilità (per mancata motivazione)
e, comunque, la infondatezza delle censure relative agli artt. 3, 24 e 102 Cost., concernenti il primo capoverso del censurato art. 2,
comma 61.
Inoltre,
l’istituto di credito deduce la inammissibilità e/o infondatezza della censura
relativa agli artt. 41 e 47 Cost., in quanto sarebbe
illogico interpretare la norma censurata nel senso che il diritto della banca
al rimborso del finanziamento possa essere fatto valere dall’annotazione dei
singoli utilizzi, poiché il diritto al rimborso dell’apertura di credito
concessa al cliente è esercitabile solo alla chiusura della linea di credito
per scadenza o revoca.
Infine, il
Banco di Napoli s.p.a. eccepisce la inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, secondo capoverso, stante la
assoluta mancanza di motivazione ad essa sottesa.
8.2.— Con atto depositato in data 6 settembre 2011 è intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità
costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
8.3.— In primo luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione
con riguardo alla seconda parte della norma censurata secondo cui «non si fa
luogo alla restituzione degli importi già versati», essendosi il rimettente
limitato a formulare l’ipotesi che essa impedisca la restituzione di quanto
pagato in eccesso, senza sperimentare altre possibili soluzioni ermeneutiche
conformi al dettato costituzionale.
8.4.— Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime
argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all’atto di
intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio r.o.
n. 145 del 2011, cui si fa rinvio.
In
particolare, con riferimento ai giudizi in esame, la difesa erariale sottolinea
che non risultano violati il principio di uguaglianza e il diritto di agire in
giudizio, essendo evidente che la norma interpretativa di cui si tratta si
applica in ugual modo ad entrambe le parti del rapporto e che la norma sulla
prescrizione, avendo natura sostanziale e non processuale, non comporta alcuna
lesione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 102 Cost.
8.5.— In data 13 gennaio 2012, il Banco di Napoli s.p.a., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, ha depositato atto di costituzione di nuovo
difensore, in aggiunta a quelli già costituiti.
8.6.— Il 17 gennaio 2012, l’ente ora detto ha depositato memoria illustrativa,
ribadendo e sviluppando le conclusioni di cui alla memoria di costituzione.
8.7.— In data 17 gennaio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla
memoria di intervento.
9.— Il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, con ordinanza dell’8
aprile 2011 (r.o. n. 167 del 2011), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47, 111, 117 Cost., questione di legittimità
costituzionale della stessa norma già censurata con le ordinanze sopra
richiamate.
9.1.— In punto di rilevanza, il rimettente deduce che, alla luce del primo
capoverso della norma censurata, qualificato dal legislatore di natura
interpretativa, dovrebbero essere dichiarate prescritte tutte le somme
illegittimamente addebitate oltre dieci anni prima della notifica dell’atto di
citazione. Inoltre, in applicazione del secondo capoverso della norma
censurata, tutte le somme indebitamente iscritte nel conto dell’attore non
potrebbero essere ripetute, trattandosi di operazioni anteriori alla data di
entrata in vigore della citata legge di conversione (27 febbraio 2011).
9.2.— Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente esamina
distintamente i due periodi della norma censurata.
Quanto al
primo, concernente l’interpretazione dell’art. 2935 cod. civ.,
il giudice a quo sostiene che detta norma si porrebbe in contrasto con gli
artt. 3, 24, 111, 47 e 117 Cost.
In primo
luogo, il rimettente assume la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo
della irragionevolezza della norma stessa, in quanto: 1) facendo decorrere la
prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito dall’annotazione,
attribuirebbe a quest’ultima un effetto "solutorio” che
l’annotazione non potrebbe per se stessa avere, non essendovi stato il
pagamento, e ciò in contrasto con la ricostruzione operata dalla Corte di
cassazione, da ultimo, a sezioni unite, con la sentenza n. 24418 del 2010,
secondo cui il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione
è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza
di rapporto abbiano avuto funzione ripristinatoria della provvista, dalla data
in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non
dovuti sono stati registrati; 2) se la norma dovesse invece interpretarsi nel
senso che si riferisca all’azione volta a fare dichiarare la nullità della
previsione contrattuale in base alla quale è stata effettuata l’annotazione, si
sarebbe in presenza di una disposizione di carattere eccezionale priva di
qualsiasi giustificazione, essendo principio generale, non suscettibile di
eccezioni, quello secondo cui l’azione di nullità è imprescrittibile; 3) la
norma violerebbe tutti i limiti interni all’ammissibilità delle norme
interpretative e all’efficacia retroattiva della legge, perché introdurrebbe
una deroga al principio generale stabilito dall’art. 2935 cod. civ., che non
trova alcuna ragionevole giustificazione e sarebbe, altresì, lesiva
dell’affidamento dei risparmiatori ingenerato dalla legge vigente e da
consolidata giurisprudenza circa l’aspettativa di ottenere la ripetizione di
quanto illegittimamente addebitato dalle banche, minando la certezza dei
rapporti giuridici e la coerenza del sistema.
Il
rimettente assume anche la violazione degli artt. 24 e 111 Cost.,
in quanto 1) la norma censurata consentirebbe alla banca, attraverso
l’annotazione, di precostituire la prova del dies a
quo del termine di prescrizione, così sovvertendo i principi generali in
materia di prova di cui agli artt. 2709 e seguenti cod. civ., che riconoscono
efficacia probatoria alle scritture dell’imprenditore solo "contro” di lui, e
di cui all’art. 634 cod. proc. civ. in materia di procedimento di ingiunzione,
che attribuisce alle scritture contabili in favore dell’imprenditore rilevanza
solo ai fini di una tutela sommaria; 2) la norma si risolverebbe
nell’attribuzione alla banca di un potere di attestazione, attraverso
l’annotazione, in contrasto con la marcata natura privatistica che la più
recente legislazione in materia bancaria ha attribuito agli istituti di
credito; 3) la norma consentirebbe ad una delle parti di godere di una
posizione privilegiata nella costituzione della prova, in contrasto con
l’esigenza che la difesa in giudizio si svolga in modo adeguato e con parità
delle armi tra i contendenti, non solo con riguardo al potere di allegazione,
ma anche al diritto alla prova.
Il giudice
a quo sospetta la illegittimità costituzionale del primo capoverso anche in
riferimento all’art. 47 Cost., sotto il profilo della
tutela dei risparmiatori, in quanto la norma censurata introdurrebbe una
disciplina di privilegio per le banche e quindi di svantaggio per i singoli
risparmiatori.
Infine, il
rimettente lamenta la violazione dell’art.117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 12 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in quanto la
norma censurata, introducendo una disciplina palesemente di favore per le
banche e sfavorevole ai consumatori, violerebbe il fondamentale principio cui
deve essere improntata l’attività legislativa dell’Unione e degli Stati che vi
aderiscono, secondo il quale, nei rapporti contrattuali con le imprese, deve
essere assicurata particolare tutela e protezione al consumatore, in quanto
contraente debole, nell’ottica di un necessario riassetto degli equilibri di
fatto esistenti.
Il secondo
periodo della norma censurata – che, secondo il rimettente, si presterebbe a
due possibili interpretazioni, quella secondo cui per «importi già versati» si
dovrebbero intendere gli importi già annotati, e quella secondo cui per
«importi già versati» si dovrebbero intendere gli importi che, a chiusura del
conto, siano stati determinati ed eventualmente anche corrisposti – sarebbe
invece in contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 111 e 117 Cost.
In
particolare, il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il
profilo della irragionevolezza della norma censurata, in quanto: 1) sia che si
voglia considerare il versamento come annotazione, sia che lo si voglia
intendere come riferito alla chiusura del conto, verrebbero cancellati i
diritti delle parti scaturenti da un eventuale errore di calcolo o da nullità
delle clausole sulla base delle quali i calcoli stessi sono stati effettuati;
2) si tratterebbe di una norma irragionevolmente retroattiva, con incidenza su
posizioni giuridiche già formatesi, anche se non ancora accertate
giudizialmente; 3) la norma, operando retroattivamente, lederebbe l’affidamento
dei cittadini nella legge, lacerando la coerenza dell’ordinamento stesso; 4) il
fatto stesso che si introduca una norma che regola anche per il passato in modo
diverso i rapporti patrimoniali, arrecherebbe un vulnus evidente al principio
della certezza del diritto. Inoltre, ad avviso del rimettente, la disposizione
si porrebbe in contrasto con l’art. 23 Cost., stante
il sostanziale effetto ablativo nei confronti di chi sia stato vittima di un
errore di annotazione ovvero di un’annotazione in forza di una clausola nulla,
senza che sussista alcuna ragione di interesse pubblico che ne giustifichi il
contenuto ablatorio.
Ancora, il
secondo capoverso della norma censurata violerebbe l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo numero 1 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
– come interpretato dalla Corte EDU nel senso che la nozione di "beni” può
ricomprendere sia dei "beni effettivi” che dei valori patrimoniali compresi i
crediti, in virtù dei quali il ricorrente può pretendere di avere almeno una
speranza legittima di ottenere l’effettivo godimento di un diritto di proprietà
– in quanto la norma censurata si risolverebbe in una ingiustificata ablazione
di un diritto di credito.
9.3.— Con memoria depositata il 30 giugno 2011, si è costituito nel giudizio di
legittimità costituzionale A.C. chiedendo l’accoglimento della questione di
legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 61, in riferimento agli
artt. 2, 3, 23, 24, 47, 77, 102, 111 e 117, Cost., parametro quest’ultimo
evocato in relazione all’art. 6 della CEDU.
In primo
luogo, la parte privata sostiene il contrasto della norma censurata con l’art.
77 Cost., mancando, nel caso di specie, i requisiti di
validità costituzionale relativi alla preesistenza dei presupposti di necessità
e urgenza (sentenza
n. 29 del 1995). In particolare, non sarebbe indicato, né individuabile il
collegamento formale delle tematiche urgenti di cui alla premessa del decreto
(misure in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie) con
la norma de qua, oggetto di eccezione.
La detta
parte, poi, deduce la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU, sul diritto all’equo
processo, trattandosi di un intervento legislativo che trova applicazione,
stante l’efficacia retroattiva, anche nei processi in corso, con incidenza
sull’amministrazione della giustizia, in mancanza di motivi imperativi di
carattere generale (ad esempio, come per i motivi di carattere storico epocale
o imperfezioni tecniche della legge interpretata).
Il
deducente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo del
principio di uguaglianza (per disparità di trattamento tra titolari di diritti
restitutori nascenti da rapporti bancari di conto corrente e titolari di
analoghe posizioni soggettive regolate da conto corrente ordinario; tra
correntisti che abbiano chiuso il conto prima del 27 febbraio 2011 e dopo tale
data; tra i versamenti del cliente e gli accrediti della banca); del principio
di ragionevolezza (in quanto irrazionalmente si sarebbe voluto anticipare alla
data dell’annotazione la decorrenza della prescrizione dell’azione di
ripetizione dell’indebito ed, altresì, precludere l’azione giudiziaria per le
somme già versate, discriminando i cittadini sulla base del solo dato
temporale); nonché del principio di affidamento connaturato allo Stato di
diritto.
La parte
privata assume il contrasto della norma in questione anche con l’art. 23 Cost., in quanto non sarebbe dato rinvenire alcuna ragione
di interesse pubblico che possa legittimare il contenuto ablatorio della
previsione.
La norma de
qua violerebbe poi: 1) l’art. 24 Cost., in quanto la
preclusione del diritto di ripetizione delle somme versate inciderebbe sul
diritto dell’individuo alla tutela giurisdizionale; 2) l’art. 102 Cost., in
quanto il carattere retroattivo della norma comporterebbe una incidenza sulla
integrità delle attribuzioni del potere giurisdizionale; 3) l’art. 111 Cost. ,
come diritto ad un giusto processo.
È addotta,
altresì, la violazione dell’art. 47 Cost., in quanto
la norma in questione, impedendo la ripetizione di somme versate (sia dal
correntista che dagli istituti di credito), non sarebbe conforme al principio
della tutela giurisdizionale del risparmio.
Infine, la
norma censurata comporterebbe la violazione dell’art. 2 Cost. in quanto, negando il diritto alla ripetizione di somme
versate e comportando il decorso del termine di prescrizione del diritto alla
ripetizione dell’indebito dall’annotazione, quale atto compiuto dalla banca
(che è la sola a "tenere il conto”) anche nell’ignoranza del correntista,
contrasterebbe con il principio di solidarietà tra le parti del rapporto
contrattuale, sancito anche dalla Corte di cassazione.
9.4.― Con memoria depositata in data 6 settembre 2011, si è
costituita in giudizio la Unicredit s.p.a. – in qualità di società incorporante
la Unicredit Banca di Roma s.p.a. – in persona del legale rappresentante
pro-tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale
sia dichiarata inammissibile o infondata.
In primo
luogo, l’istituto di credito eccepisce la inammissibilità della questione per
difetto di motivazione sulla rilevanza e violazione del principio di
autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, non avendo il rimettente affatto
illustrato la materia del contendere del giudizio principale.
In secondo
luogo, la questione sollevata sarebbe inammissibile per mancata sperimentazione
di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, tanto
più che la giurisprudenza di merito avrebbe già messo in luce come una corretta
interpretazione della detta disposizione sia compatibile con il dettato
costituzionale.
In
particolare, il Tribunale di Milano, con ordinanze del 4 e 7 aprile 2011,
avrebbe ritenuto come, con la norma censurata, il legislatore abbia precisato i
limiti prescrizionali del diritto nascente dall’annotazione a seguito
dell’accertamento della nullità dell’atto sottostante da cui deriva il credito
annotato, in conformità a quanto disposto dall’art. 1422 cod. civ.
Nel merito,
ad avviso dell’istituto di credito, la questione non sarebbe fondata, in quanto
la disposizione avrebbe valenza meramente interpretativa, tenuto anche conto
che l’imprescrittibilità dell’azione di nullità non osta alla salvezza di
determinati atti (pagamenti, annotamenti) compiuti da oltre dieci anni, alla
stregua di quanto disposto dall’art. 1422 cod. civ.
9.5.— Con atto depositato in data 6 settembre 2011, è intervenuto il Presidente
del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale
sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
In primo
luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, per omessa
descrizione dei fatti di causa nonché di motivazione sulla rilevanza, essendosi
limitato il rimettente a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità
della norma censurata, senza spiegare in quali termini la sua applicazione
incida concretamente sulla decisione della fattispecie del giudizio principale.
Ugualmente
inammissibile risulterebbe la questione di legittimità costituzionale relativa
alla seconda parte della norma censurata, avendo il rimettente fornito due
diverse interpretazioni di tale disposizione, tra loro incompatibili, impedendo
di comprendere in quali termini essa contrasterebbe con gli invocati principi
costituzionali.
Nel merito,
il Presidente del Consiglio dei ministri svolge in sostanza le medesime
argomentazioni sulla non fondatezza della questione di cui all’atto di
intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio r.o.
n. 145 del 2011, cui si fa rinvio.
9.6.— In data 15 dicembre 2011, A.C. ha depositato istanza di trattazione
congiunta del procedimento r.o. n. 167 del 2011 con
quello n. 252 del 2011 per ragioni di connessione oggettiva.
Il 13
gennaio 2012 Unicredit s.p.a., quale incorporante Unicredit Banca di Roma
s.p.a., ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore, in aggiunta a
quelli già costituiti.
Il 16
gennaio 2012 A.C. ha depositato atto di costituzione di nuovo difensore e
memoria illustrativa riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di
costituzione.
Il 17
gennaio 2012 Unicredit s.p.a., quale incorporante Unicredit Banca di Roma
s.p.a., ha depositato memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di
cui alla memoria di intervento.
Il 17
gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria
illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di
costituzione.
9.7.― Il Tribunale di Nicosia, con ordinanza del 30 luglio
2011 (r. o. n. 252 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,
102, 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.
2, comma 61, secondo periodo, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di
conversione).
In punto di
fatto, il rimettente espone che, con atto di citazione notificato in data 8
ottobre 2008, A.B. aveva convenuto in giudizio il
Banco di Sicilia s.p.a., chiedendo, previa rideterminazione del saldo dei
diversi rapporti bancari intrattenuti con l’istituto di credito, la condanna di
quest’ultimo alla restituzione delle somme indebitamente versate, stante
l’addebito, nel corso del rapporto bancario, di interessi anatocistici
e commissioni di massimo scoperto non dovuti; che il Banco di Sicilia, nel
costituirsi, aveva dedotto, in primo luogo, la validità delle pattuizioni
relative agli interessi contabilizzati e la legittimità dell’applicazione della
capitalizzazione trimestrale degli interessi, in subordine il versamento da
parte del correntista delle somme in adempimento di un’obbligazione naturale,
ed, in ogni caso, la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito;
che, disposta CTU contabile, era risultato un saldo in favore della
correntista; che, entrato in vigore, nelle more del processo, il citato art. 2,
comma 61, mentre il Banco di Sicilia aveva insistito sulla richiesta di
prescrizione dell’azione di ripetizione, l’attrice aveva chiesto di non
applicare detta norma al giudizio ovvero, in subordine, di sollevare questione
di legittimità costituzionale della stessa.
In punto di
rilevanza, il rimettente ritiene di dovere applicare al giudizio principale
solo il secondo periodo dell’art. 2, comma 61, nei cui confronti avanza i dubbi
di legittimità costituzionale. In particolare, lo stesso osserva che,
applicando la disposizione in questione, la domanda dovrebbe essere rigettata,
atteso che, al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione, le
somme, oggetto di indebito, erano già state versate dal correntista.
Diversamente,
quanto al primo periodo dell’art. 2, comma 61, il giudice a quo (come anche già
il Tribunale di Milano con ordinanza del 7 aprile 2011) ritiene che non debba
porsi un problema di legittimità costituzionale, in quanto, in una lettura
costituzionalmente orientata della norma, per «diritti nascenti
dall’annotazione in conto» si dovrebbero intendere i diritti derivanti
dall’art. 1832, secondo comma, cod. civ., ovvero quelli volti ad ottenere la
rettifica sul piano cartolare delle annotazioni sul conto basate su titoli
invalidi. Questa lettura renderebbe la norma in questione non in contrasto con
quanto affermato dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, nella sentenza n.
24418 del 2010, relativamente alla decorrenza della diversa azione di ripetizione
dell’indebito dalla chiusura del conto o dalla data del pagamento "solutorio” (cui non potrebbe essere equiparata
l’annotazione in conto).
In punto di
non manifesta infondatezza, il rimettente premette che il tenore letterale del
secondo periodo dell’art. 2, comma 61, risulterebbe chiaramente volto a
paralizzare il diritto all’ottenimento della restituzione di somme
indebitamente versate, non consentendo un’interpretazione costituzionalmente
orientata tale da impedire la rimessione alla Corte (sentenze nn. 315, 270 e 26 del 2010).
In primo
luogo, il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il
profilo della irragionevolezza della disposizione censurata, in quanto: 1)
differenziando le posizioni dei correntisti, a seconda che abbiano effettuato
versamenti indebiti prima o dopo l’entrata in vigore della norma censurata, la
norma ammetterebbe o escluderebbe la restituzione dell’indebito unicamente ed
irragionevolmente in base al dato temporale; 2) essa differenzierebbe
irragionevolmente i rapporti regolati in conto corrente bancario dai rapporti
regolati in conto corrente ordinario o maturati in rapporti di altra natura.
Il giudice
a quo assume, altresì, la violazione dell’art. 24 Cost.,
in quanto la norma, nel disporre che non si fa luogo alla restituzione delle
somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione,
impedirebbe di fatto la tutela giurisdizionale del diritto (sia del correntista
che dell’istituto di credito) alla restituzione di somme indebite ed
inciderebbe retroattivamente sul diritto all’effettività della tutela
giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive.
Ad avviso
del rimettente, la disposizione sarebbe in contrasto anche con l’art. 102 Cost., in quanto, data la sua valenza retroattiva,
violerebbe l’integrità delle attribuzioni del potere giurisdizionale, incidendo
sulle pronunce di condanna alla ripetizione dell’indebito cui l’obbligato non
abbia ancora adempiuto e sui giudizi ancora pendenti.
Infine, il
rimettente ritiene che la disposizione censurata violi l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, come diritto ad un giusto processo,
nell’interpretazione datane dalla Corte EDU, in quanto essendo destinata ad
incidere retroattivamente su diritti già maturati in base all’ordinamento
preesistente, interferirebbe, determinando un vantaggio per una delle parti del
giudizio, su singole cause o su determinate tipologie di controversie già
pendenti, in assenza di ragioni imperative di interesse generale.
9.8.— Con memoria depositata in data 18 novembre 2011 si è costituita in
giudizio A.B. chiedendo che il citato art. 2, comma
61, sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt.
2, 3, 23, 24, 47, 77, 102, 111 e 117, Cost., parametro, quest’ultimo, evocato
in relazione all’art. 6 della CEDU.
Le
argomentazioni sottese alle singole censure risultano nella sostanza analoghe a
quelle svolte nella comparsa di costituzione della parte privata A.C.
relativamente al giudizio r.o. n. 167 del 2011.
Pertanto, si rinvia in merito a quanto esposto con riferimento a tale giudizio.
Il 15
dicembre 2011 A.B. ha depositato istanza di
trattazione congiunta del procedimento iscritto al r.o.
n. 252 del 2011 con quello n. 167 del 2011 per ragioni di connessione
oggettiva.
Con atto
depositato in data 20 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio
del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
In primo
luogo, la difesa erariale osserva come il rimettente abbia erroneamente omesso
di dare una lettura del secondo periodo in correlazione con il primo, finendo
per interpretare la norma in senso puramente letterale, senza coglierne
l’effettivo significato. Al riguardo, la prima disposizione sulla prescrizione
si riferirebbe al diritto di fare valere sotto ogni profilo – sia contabile che
sostanziale – l’erroneità delle annotazioni in conto e la disposizione che
preclude la ripetizione degli importi già versati andrebbe letta in stretta
correlazione con la prima, in modo tale da sottrarsi alle eccezioni di
incostituzionalità.
Nel merito,
il Presidente del Consiglio dei ministri svolge sostanzialmente le medesime
argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all’atto di
intervento del 19 luglio 2011 relativo al giudizio iscritto al r.o. n. 145 del 2011, al quale si fa rinvio.
In data 17
gennaio 2012 e, dunque, fuori termine, Unicredit s.p.a., quale incorporante il
Banco di Sicilia, ha depositato memoria di costituzione, chiedendo che la
questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o,
comunque, infondata.
Il 17
gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria
illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di intervento.
9.9.— Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 13 aprile 2011 (r.o. n. 258 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 24, 47, 101, 102, 104, 111, 117, primo comma, Cost., questione di
legittimità costituzionale della medesima norma censurata dalle ordinanze
precedentemente illustrate.
In punto di
fatto, il rimettente espone che Adria Trading. s.r.l., in liquidazione, aveva
convenuto in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro, s.p.a., agenzia di Mestre,
chiedendo, previa declaratoria di nullità delle clausole di capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi, delle commissioni di massimo scoperto,
delle spese e degli interessi ultralegali, la condanna della banca alla
restituzione delle somme indebitamente percepite in ordine ai diversi rapporti
bancari intercorsi tra le parti dal 1993 al 2003; che, costituitasi in
giudizio, la banca aveva eccepito la genericità della domanda e la prescrizione
decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito, in quanto decorrente dalla
data di annotazione di ogni singola posta; che era stata disposta CTU
contabile, considerando sia l’ipotesi della capitalizzazione annuale che quella
senza capitalizzazione, con scorporo della commissione di massimo scoperto; che,
nelle more del giudizio, era entrata in vigore la legge di conversione n. 10
del 2011, con introduzione dell’art. 2, comma 61.
In punto di
rilevanza, il rimettente osserva che, se la nuova norma dovesse interpretarsi
nel senso che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito
decorre non già dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come
affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 24418 del 2010), ma dal giorno
della singola annotazione, sarebbe prescritto il diritto dell’attore alla
ripetizione degli importi versati a titolo solutorio
ed annotati in data anteriore al 1997, ovvero oltre dieci anni prima della data
di notificazione della richiesta stragiudiziale di restituzione dell’indebito
(con raccomandata notificata alla banca il 19 dicembre 2007). Inoltre, se la
seconda parte della norma dovesse interpretarsi nel senso che, nelle operazioni
bancarie regolate in conto corrente, ciascuna delle parti può non restituire
gli importi, anche non dovuti, già versati alla data dell’entrata in vigore
della legge di conversione n. 10 del 2011, la conseguenza sarebbe il rigetto
totale della domanda di restituzione dell’indebito, essendo stato il rapporto
consensualmente chiuso in data 31 dicembre 2003.
In via
preliminare, il rimettente osserva che, quanto alla prima parte dell’art. 2,
comma 61, la decorrenza della prescrizione dalla data dell’annotazione sarebbe
riferita ai «diritti nascenti dall’annotazione in conto» e non già all’azione
di ripetizione dell’indebito, che presupporrebbe un atto "solutorio”,
non ravvisabile nell’annotazione in conto. Pertanto, la norma non
contrasterebbe con quanto affermato dalla Corte di cassazione, sezioni unite,
nella sentenza n. 24418 del 2010, sulla decorrenza della prescrizione
dell’azione di ripetizione dell’indebito dalla chiusura del conto, se ci siano
stati solo versamenti "ripristinatori”, in quanto l’art. 2, comma 61,
concernerebbe la decorrenza della prescrizione dei diversi «diritti nascenti
dall’annotazione in conto».
In ordine
alla seconda parte dell’art. 2, comma 61, il rimettente osserva che la norma
non assumerebbe alcun carattere interpretativo, perché essa derogherebbe, con
riferimento ai soli rapporti di conto corrente bancario, all’art. 2033 cod.
civ. e, conseguentemente, non potrebbe avere alcuna
valenza retroattiva.
Inoltre, la
sua formulazione lessicale non consentirebbe l’applicazione alle ipotesi
riguardanti la tutela dei diritti alla ripetizione nascenti da "pagamenti” su
conto (e non da annotazioni su conto).
Il
rimettente solleva, quindi, la questione di legittimità costituzionale «in
ipotesi di ritenuta applicabilità tout court della duplice nuova norma anche
alle questioni in esame».
In primo
luogo, il giudice a quo assume la violazione dei limiti costituzionali
all’ammissibilità delle norme interpretative. Infatti, la norma censurata si
porrebbe, in riferimento all’art. 2935 cod. civ., in
funzione "derogativa ed innovativa” – in aperto contrasto con l’orientamento
giurisprudenziale in materia confermato dalla Corte di cassazione, nella
sentenza n. 24418 del 2010 – e, in riferimento all’art. 2033 cod. civ., in
funzione "derogativa”.
In
particolare, il rimettente ritiene la norma in contrasto con il principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto si porrebbe come norma "particolare”
in deroga, senza adeguata giustificazione, a disposizioni dell’ordinamento di
carattere generale, annullando del tutto (con l’esclusione del diritto alla
ripetizione) i diritti che sarebbero conseguiti a tutela degli interessi lesi
in danno del contraente debole e salvando soltanto e paradossalmente il
contraente forte, con incisione, peraltro, sui soli conti correnti bancari.
Il giudice
a quo assume, altresì, la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del
principio di uguaglianza, in quanto la preclusione di ogni azione di
ripetizione delle somme indebitamente versate, alla data della entrata in
vigore della legge di conversione, comporterebbe una ingiustificata
compressione del diritto di ripetere l’indebito, per chi abbia posto in essere
pagamenti fino alla menzionata soglia temporale e non anche per chi non versi
ancora nella predetta situazione giuridica.
Ad avviso
del rimettente sarebbero violati anche gli artt. 24 e 111 Cost., con
riferimento al principio inderogabile della effettività della tutela
giudiziaria e del giusto processo, nonché gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto
il profilo della invulnerabilità delle funzioni proprie, costituzionalmente
riservate al potere giudiziario, in quanto: 1) il legislatore, mediante l’introduzione
di una norma intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie già
sub iudice, porrebbe nel nulla le funzioni
giurisdizionali, intervenendo per annullare gli effetti del giudicato; 2) la
norma censurata, lungi dall’introdurre una disciplina organica diretta a
regolare una molteplicità di rapporti e situazioni, sarebbe manifestamente
diretta ad incidere sul contenzioso pendente tra correntisti e banche, al fine
di sterilizzare i risultati della giurisprudenza di legittimità.
Il giudice
a quo denuncia, altresì, la violazione dell’art. 47 Cost.,
in quanto la riscossione e ritenzione di somme indebite (data l’applicazione di
tassi di interesse ultralegali, illegittimi ed anatocistici), illegittimamente sottratte ai patrimoni e ai
risparmi dei cittadini, implicherebbe grave violazione e compromissione del
principio del risparmio, idoneo ad incidere per le sue proporzioni
sull’economia e sul reddito dell’intera collettività.
Il
Tribunale di Venezia deduce, infine, la violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., attraverso la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in
quanto la norma censurata verrebbe ad interferire con l’amministrazione della giustizia,
in assenza di motivi imperativi di interesse generale, modificando
retroattivamente, in senso sfavorevole agli interessati, le disposizioni di
legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni
giudiziarie ancora pendenti all’epoca della modifica.
9.10.— Con memoria depositata il 25 novembre 2011, si è costituita nel giudizio
di legittimità costituzionale la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., chiedendo
che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile
o, comunque, infondata.
L’istituto
di credito eccepisce, in primo luogo, il difetto di motivazione sulla rilevanza
della questione, non essendosi il rimettente espresso in modo chiaro e puntuale
sulla necessità o meno di applicazione della norma censurata ai fini della
decisione della controversia sottoposta al suo esame. Invero, il giudice a quo,
dopo avere prospettato delle interpretazioni sul primo e sul secondo capoverso
della norma in questione che avrebbero dovuto portare a concludere per
l’irrilevanza dell’art. 2, comma 61, ai fini della decisione della causa, ha
sollevato la questione «in ipotesi di ritenuta applicabilità tout court della
duplice nuova norma anche alle questioni in esame».
Sul piano
della non manifesta infondatezza, la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. osserva
che la natura autenticamente interpretativa della prima parte della norma
censurata risulterebbe da due possibili chiavi di lettura costituzionalmente
orientate della stessa.
L’istituto
di credito prospetta una prima possibile lettura, prendendo le mosse dall’iter
logico sviluppato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 24418 del 2010.
Dopo avere riassunto il percorso argomentativo di tale decisione, la banca
sostiene che la norma censurata si sarebbe posta nel solco interpretativo
tracciato da detta sentenza: «la "prescrizione relativa ai diritti nascenti da
un’annotazione in conto” non può che riferirsi alla prescrizione della condictio indebiti, che presuppone che nello svolgimento
del conto corrente bancario vi sia stato da parte della banca un addebito
illegittimo, e il correntista lo abbia ripianato attraverso la progressiva
compensazione che si verifica con gli annotamenti "in dare” e "in avere” nel
conto corrente bancario, con la annotazione "a credito” successiva
all’illegittimo addebito: sempre sul presupposto che quell’annotazione "a
credito” non fosse invece "ripristinatoria di provvista” nell’ambito di
un’apertura di credito, perché, allora, il "diritto prescrittibile nascente da
un’annotazione in conto” sarà quello che avviene al termine del rapporto,
allorquando il correntista paghi un saldo passivo che, in ipotesi, fosse stato
determinato o almeno influenzato da precedenti addebiti illegittimi». In questo
quadro, la norma in esame avrebbe codificato un’interpretazione espressa dal
giudice di legittimità, «sulla base del diritto vigente, nell’individuare il dies a quo della prescrizione del diritto di ripetere
indebiti pagamenti effettuati nello svolgimento di un contratto di conto
corrente bancario; ed allora non può dubitarsi che si sia trattato di norma
autenticamente interpretativa che ha reso vincolante la ragionevole ed
equilibrata soluzione ermeneutica espressa dalla Magistratura al suo più alto
livello».
Secondo
altra possibile lettura della norma censurata, in combinato con gli artt. 1422
cod. civ. (di cui costituirebbe norma applicativa
nella materia bancaria l’art. 1827 cod. civ.), per prescrizione relativa ai
«diritti nascenti da un’annotazione in conto» si dovrebbe intendere la
prescrizione decennale di un’azione ripristinatoria del corretto saldo del
conto corrente, con esclusione di partite basate su titoli nulli.
In ogni
caso, l’interpretazione data dal legislatore a regole già esistenti
nell’ordinamento non potrebbe contrastare con valori costituzionali.
Infine,
quanto alla seconda parte della norma censurata, la Banca Nazionale del Lavoro
sottolinea come, ammesso che tale disposizione sia destinata ad incidere su
situazioni pregresse, non sarebbero lesi i principi di uguaglianza, considerato
che l’esclusione della ripetizione di pregressi pagamenti riguarderebbe
entrambi i contraenti e che il rapporto di un conto corrente bancario ha una
sua specificità, tale da giustificare una diversità di trattamento sul piano
della condictio indebiti rispetto ad altri rapporti
negoziali, anche se di durata, nonché comportanti un legittimo affidamento.
10.— Con atto depositato in data 27 dicembre 2011 è intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità
costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Al
riguardo, il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime
argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all’atto di
intervento del 19 luglio 2011 relativo al giudizio r.o.
n. 145 del 2011, cui si fa rinvio.
In data 13
gennaio 2012 la Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, ha depositato atto di costituzione di nuovo
difensore in aggiunta a quelli già costituiti. Il 17 gennaio 2012 la Banca
suddetta ha depositato memoria illustrativa, richiamando gli argomenti già
svolti e riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di intervento.
Infine, in
data 17 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato
memoria illustrativa, riportandosi alle conclusioni di cui alla memoria di
costituzione.
11.— Il Tribunale di Potenza, con tre ordinanze del 13 aprile 2011 (r.o. n. 221, 222 e 223 del 2011), ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 61, già censurato dalle ordinanze che precedono.
11.1.— In punto di fatto, nella ordinanza relativa al giudizio r.o. n. 221 del 2011, il rimettente premette che, con atto
di citazione ritualmente notificato, SA.CA. Costruzioni di A. Santarsiere e C. s.n.c., in persona dei legali
rappresentanti, nonché i signori A.S. e A.R.C.,
avevano convenuto in giudizio la Banca Carime s.p.a. (Credem), chiedendo: 1) la
rideterminazione del saldo – risultato passivo – del conto corrente
intrattenuto con la banca, avendo quest’ultima, nel corso del rapporto,
applicato la capitalizzazione trimestrale degli interessi, interessi a tasso usurario,
nonché conteggiato commissioni su massimo scoperto, attribuzioni di valuta e
spese non corrispondenti a quelle pattuite; 2) la condanna della banca alla
restituzione dell’indebito percepito; che la Banca Carime s.p.a. si era
costituita in giudizio, eccependo la prescrizione decennale del diritto alla
ripetizione dell’indebito e contestando nel merito le domande degli attori;
che, disposta CTU per il ricalcolo del saldo, all’udienza del 25 marzo 2011 la
convenuta, nel contestare le risultanze della consulenza contabile, aveva
chiesto l’espletamento di nuovi conteggi, stante l’intervenuta prescrizione del
diritto alla ripetizione delle somme versate alla banca in applicazione
dell’art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011.
11.2.—
Nella ordinanza relativa al giudizio iscritto al r.o.
n. 222 del 2011, il rimettente espone che, con atto di citazione ritualmente
notificato, C.I., titolare di un’impresa individuale, aveva convenuto in
giudizio la Bancapulia s.p.a.
e – premesso che la banca, nel corso di quattro rapporti di conto corrente
intrattenuti tra le parti, aveva applicato interessi ultralegali non pattuiti
per iscritto, interessi usurari, la capitalizzazione trimestrale degli
interessi stessi, addebitato costi, oneri e commissioni di massimo scoperto
senza effettiva causa e specifica pattuizione scritta, gravato i conti sia
attraverso il meccanismo dei cosiddetti giorni valuta, con gli addebiti al
correntista in tempo reale o anticipato e gli accrediti in tempo posticipato,
sia attraverso il sistema di calcolo in linea banca anziché in linea capitale;
che dall’analisi, ad opera di un consulente, della situazione dei quattro
conti, era risultato, per ognuno di essi, un saldo attivo in favore
dell’attrice – aveva chiesto la condanna dell’istituto di credito al pagamento
dei saldi effettivi finali dei quattro conti correnti, ovvero alla restituzione
dell’indebito versato, nonché al pagamento dell’indennizzo per arricchimento
senza causa.
Il giudice
a quo aggiunge che Bancapulia s.p.a.
si era costituita in giudizio, eccependo la prescrizione del diritto per il
periodo precedente al quinquennio o al decennio dalla data di notificazione
dell’atto di citazione e deducendo, nel merito, la pattuizione per iscritto del
tasso di interesse, la legittimità della capitalizzazione degli interessi e il
mancato superamento dei tassi soglia usurari.
Disposta
CTU contabile, all’udienza del 30 marzo 2011, fissata per chiarimenti al CTU,
parte convenuta, contestando le risultanze della perizia contabile, aveva
chiesto, in punto di prescrizione, l’applicazione dell’art. 2, comma 61, della
legge n. 10 del 2011 nonché della sentenza della Corte di cassazione, sezioni
unite, n. 24418 del 2010.
11.3.—
Nell’ordinanza relativa al giudizio r.o. n. 223 del
2011, il rimettente espone che, con atto di citazione ritualmente notificato,
la società Franco Vito & C., s.n.c., aveva convenuto in giudizio la Banca
Credito Emiliano s.p.a. (Credem) e – premesso che la banca, nel corso nel
rapporto di conto corrente di corrispondenza, con apertura di credito, acceso
prima del marzo del 1994, aveva applicato interessi ultralegali non pattuiti
per iscritto, interessi usurari, la capitalizzazione trimestrale degli
interessi, addebitato costi, oneri e commissioni di massimo scoperto senza
effettiva causa e specifica pattuizione scritta, gravato i conti sia attraverso
il meccanismo dei cosiddetti giorni valuta, con gli addebiti al correntista in
tempo reale o anticipato e gli accrediti in tempo posticipato, sia attraverso
il sistema di calcolo in linea banca anziché in linea capitale; che l’attrice
aveva analizzato la situazione del conto corrente dal 30 giugno 1995 al 30
settembre 2008, conteggiando un saldo attivo in suo favore di euro 164.851,36 –
aveva chiesto la condanna dell’istituto di credito al pagamento del saldo
effettivo finale del conto corrente, ovvero alla restituzione dell’indebito
versato, nonché al pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa.
Il giudice
a quo aggiunge che, costituitasi in giudizio, la Banca Credito Emiliano s.p.a.,
aveva eccepito, sul presupposto che il contratto oggetto di causa fosse stato
stipulato il 2 maggio 1995 ed estinto il 21 ottobre 2008 e che la notifica
dell’atto di citazione fosse avvenuta in data 9 febbraio 2009, la avvenuta
prescrizione quinquennale (per il periodo anteriore all’8 febbraio 2004) o
decennale (per il periodo anteriore all’8 febbraio 1999) del diritto; che, nel
merito, aveva dedotto la pattuizione per iscritto del tasso di interesse, la
legittimità della capitalizzazione degli interessi e il mancato superamento dei
tassi soglia usurari.
Disposta
CTU contabile, all’udienza del 30 marzo 2011 la convenuta, contestando le
risultanze della consulenza, aveva chiesto l’applicazione del censurato art. 2,
comma 61, della legge n. 10 del 2011 e la conseguente riconvocazione del CTU
per l’espletamento di nuovi conteggi che tenessero conto dell’intervenuta
prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme versate alla banca. Di
contro, l’attrice aveva chiesto di rinviare la causa per la precisazione delle
conclusioni e, in subordine, sostenendo la illegittimità costituzionale della
norma invocata da controparte, aveva invitato il giudice a sollevare la
questione di legittimità costituzionale.
11.4.— In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, il rimettente
svolge nelle tre ordinanze (r.o. n. 221, 222 e 223
del 2011) le medesime argomentazioni.
Quanto alla
rilevanza, dopo avere riportato il testo della norma censurata, il giudice a
quo osserva che, al fine di decidere se e in quali termini affidare al
consulente l’incarico di effettuare un nuovo conteggio delle somme movimentate
sul conto corrente oggetto di causa, ovvero rinviare la causa per la
precisazione delle conclusioni, non si può prescindere dall’esame della citata
norma.
Sotto il
profilo della non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione
dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla ammissibilità
di una norma interpretativa, nonché degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Ad avviso del
giudice a quo, al citato art. 2, comma 61, non può essere attribuita natura di
norma di interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ.,
né tantomeno efficacia retroattiva. E, invero, la norma censurata violerebbe
tutti i limiti fissati dalla Corte costituzionale in tema di ammissibilità
delle norme di interpretazione autentica e di efficacia retroattiva delle
leggi.
In
particolare, il rimettente ricorda come la Corte costituzionale abbia chiarito
che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica, non solo in
presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti
giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le
possibili varianti di senso del testo originario, vincolando un significato
ascrivibile alla norma anteriore.
Inoltre, la
stessa Corte avrebbe individuato i limiti all’efficacia retroattiva delle leggi
nella salvaguardia del principio di ragionevolezza, del divieto di
ingiustificate disparità di trattamento, di tutela del diritto di azione a
difesa dei propri diritti ed interessi, del principio di affidamento, nonché di
quello di coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico.
Ad avviso
del rimettente, nell’ambito del nostro ordinamento, non sarebbero ravvisabili
incertezze circa la decorrenza della prescrizione del diritto di ripetere le
somme indebitamente trattenute dalla banca nei rapporti regolati in conto
corrente.
Il giudice
a quo ricorda come la Corte di cassazione abbia, più volte, chiarito che il
termine di prescrizione decennale del diritto di ripetizione delle somme
indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un’apertura di
credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto (ex plurimis:
sentenze n. 10127 del 2005 e n. 2262 del 1984). Il rimettente richiama, da
ultimo, la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, 2 dicembre 2010,
n. 24418, con la quale si è precisato che «se, dopo la conclusione di un
contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il
correntista agisce per fare dichiarare la nullità della clausola che prevede la
corresponsione di interessi anatocistici e per la
ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di
prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre,
qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano
avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati». Peraltro, sottolinea il rimettente, l’art. 2935 cod. civ. prevede che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in
cui il diritto può essere fatto valere.
Come
precisato dalla Corte di cassazione, perché possa sorgere il diritto alla
ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve
esistere ed essere ben individuabile.
Ad avviso
del giudice a quo, la statuizione normativa secondo cui la prescrizione decorre
dall’annotazione in conto dell’addebito degli interessi, attribuendo
all’annotazione l’efficacia di un pagamento, introdurrebbe un concetto del
tutto innovativo, ponendosi al di fuori delle possibili varianti interpretative
delle preesistenti norme.
Inoltre,
qualora l’applicazione della norma censurata si estendesse anche ai giudizi in
corso, si violerebbe il principio del legittimo affidamento delle parti in
relazione all’applicazione di un orientamento consolidato in tema di
prescrizione, essendo stato operato, per via legislativa, un vero e proprio overruling.
Infine, il
rimettente osserva che la citata norma, rendendo impossibile la restituzione
degli importi già versati alla data della sua entrata in vigore, oltre ad
impedire ai titolari di un diritto di ottenere la relativa realizzazione per
via giudiziaria, con conseguente violazione dell’art. 24 Cost., non sarebbe
giustificata da alcun ragionevole principio e determinerebbe una inammissibile
disparità di trattamento, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., tra i
debitori che abbiano versato somme prima dell’entrata in vigore della legge e
debitori che dette somme abbiano versato successivamente.
Con atti di
uguale contenuto depositati in data 8 novembre 2011, è intervenuto nei giudizi
il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di
legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
In primo
luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, in quanto
il rimettente avrebbe fornito una interpretazione non univoca della norma
censurata, affermando, da un lato, che alla stessa non può essere attribuita
natura di norma di interpretazione autentica dell’art. 2935 cod. civ. né efficacia retroattiva e, dall’altro, fondando la
questione di costituzionalità proprio sulla natura interpretativa e retroattiva
di tale disposizione.
Ugualmente
inammissibile risulterebbe la censura di illegittimità costituzionale relativa
alla seconda parte della norma censurata, secondo cui «non si fa luogo alla
restituzione degli importi già versati».
Anche in
questo caso il rimettente si sarebbe limitato a formulare l’ipotesi che essa
impedisca la restituzione di quanto pagato in eccesso, senza sperimentare altre
possibili soluzioni ermeneutiche conformi al dettato costituzionale.
Inoltre,
non sarebbe chiara quale sia la disparità di trattamento (con violazione
dell’art. 3 Cost.) che si determinerebbe tra i debitori in considerazione del
momento del versamento da essi effettuato.
Nel merito,
il Presidente del Consiglio dei ministri svolge le medesime argomentazioni
sulla non fondatezza della questione di cui all’atto di intervento del 19
luglio 2011, relativo al giudizio r.o. n. 145 del
2011, cui si fa rinvio.
In
particolare, con riferimento ai giudizi in esame, la difesa erariale sottolinea
che non risulterebbero violati il principio di uguaglianza e il diritto di
agire in giudizio, essendo evidente che la norma interpretativa di cui trattasi
si applicherebbe in ugual modo ad entrambe le parti del rapporto e che la norma
sulla prescrizione, avendo natura sostanziale e non processuale, non
comporterebbe alcuna lesione del principio costituzionale sancito dall’art. 24
Cost.
In data 17
gennaio 2012, con intervento, dunque, fuori termine, nel giudizio iscritto al r.o. n. 221 del 2011, la Banca Carime s.p.a. (Credem), in
persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato atto di
costituzione, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
11.5.— Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con ordinanza del
26 luglio 2011 (r.o. n. 247 del 2011), ha sollevato,
in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 47 e 102, Cost., questione di
legittimità costituzionale della norma già censurata con le precedenti
ordinanze.
In punto di
rilevanza, il giudice a quo osserva che, se la nuova norma dovesse interpretarsi
nel senso che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito
decorre non già dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente (come
affermato dalla Corte di cassazione) ma dal giorno della singola annotazione,
sarebbe prescritto il diritto dell’attore alla ripetizione degli importi
versati a titolo solutorio ed annotati oltre dieci
anni prima della data di notificazione della richiesta stragiudiziale di
restituzione dell’indebito. Inoltre, se la seconda parte della norma dovesse interpretarsi
nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna
delle parti può non restituire gli importi, anche non dovuti, già versati alla
data dell’entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011, la
conseguenza sarebbe il rigetto totale della domanda, essendo stato il rapporto
consensualmente chiuso in data 29 giugno 2010.
Quanto alla
non manifesta infondatezza, il rimettente riproduce testualmente la motivazione
della ordinanza r.o. n. 166 del 2011, di cui sopra.
Con atto
depositato in data 20 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio
del ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
In primo
luogo, la difesa erariale deduce la inammissibilità della questione, per
carente motivazione sulla rilevanza, non avendo il rimettente indicato la
causale della pretesa restitutoria (l’unico indizio fornito al riguardo
dall’ordinanza di rimessione concerne il carattere "solutorio”
dei versamenti effettuati dal correntista).
Ugualmente
inammissibile risulterebbe la censura di illegittimità costituzionale, relativa
alla seconda parte della norma censurata secondo cui «non si fa luogo alla
restituzione degli importi già versati». Anche in questo caso il rimettente si
sarebbe limitato a formulare l’ipotesi che essa impedisca la restituzione di
quanto pagato in eccesso, senza sperimentare altre possibili soluzioni ermeneutiche
conformi al dettato costituzionale.
Nel merito,
il Presidente del Consiglio dei ministri svolge in sostanza le medesime
argomentazioni sulla non fondatezza della questione, di cui all’atto di
intervento del 19 luglio 2011, relativo al giudizio iscritto al r.o. n. 145 del 2011, al quale si fa rinvio.
In
particolare, con riferimento al giudizio in esame, la difesa erariale
sottolinea che non risultano violati il principio di uguaglianza e il diritto
di agire in giudizio, essendo evidente che la norma interpretativa di cui
trattasi si applicherebbe in ugual modo ad entrambe le parti del rapporto e che
la norma sulla prescrizione, avendo natura sostanziale e non processuale, non
comporterebbe alcuna lesione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e
102 Cost.
In data 17
gennaio 2012 e, pertanto, fuori termine, il Banco Popolare Soc. Coop., quale successore della Banca Popolare di Lodi s.p.a.,
in persona del legale rappresentante pro-tempore, ha depositato atto di
costituzione, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Considerato in diritto
1.— Il
Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111 e
117, primo comma, della Costituzione, nonché ai limiti interni individuati da
questa Corte in ordine all’ammissibilità di una legge d’interpretazione, della
legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre
2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di
interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle
famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10
(comma aggiunto dalla legge di conversione), che così dispone: «In ordine alle
operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice
civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione
stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d’importi già versati
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto».
Ad avviso
del rimettente, la norma censurata violerebbe i menzionati parametri
costituzionali, in primo luogo, per contrasto col principio di ragionevolezza
(art. 3 Cost.), in quanto: 1) mancherebbe una norma specifica da interpretare,
quale condizione dell’esercizio del potere di legislazione a fini
interpretativi, cioè una norma che disciplini di per sé la decorrenza della
prescrizione con riguardo al singolo contratto bancario regolato in conto
corrente, essendo la lacuna colmata dagli interpreti con l’applicazione di una
norma generale, qual è l’art. 2935 cod. civ., nonché di principi desumibili
dalla disciplina delle singole operazioni bancarie e di principi in tema di
estinzione del rapporto obbligatorio e di condictio
indebiti; 2) la soluzione interpretativa prescelta dal legislatore non potrebbe
essere inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina
complessiva dell’istituto, perché, come posto in luce dalla Corte di cassazione
a sezioni unite nella sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, in armonia con i
principi generali in materia di adempimento, di ripetizione d’indebito e con
quelli relativi alla causa del contratto di conto corrente bancario, la
decorrenza della prescrizione dovrebbe essere individuata: a) nella chiusura
del rapporto, quando non siano effettuati versamenti in pendenza del rapporto
stesso, oppure allorché il versamento (effettuato in pendenza del rapporto),
abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affidamento; b) nel versamento,
in ipotesi di conto passivo senza affidamento o di superamento del limite
affidato.
Inoltre, la
norma in questione si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e
di uguaglianza, e, quindi, ancora con l’art. 3 Cost., perché: 1) essa, con una
previsione ad hoc, introdurrebbe una disciplina che, menomando i poteri di
reazione processuale dei clienti del sistema bancario, assicurerebbe un
ingiustificato privilegio per le banche, determinando un’inammissibile
disparità di trattamento tra due categorie di soggetti; 2) introdurrebbe un
termine per il decorso della prescrizione diverso, non soltanto dall’unico
coerente (chiusura del conto) con la causa dei contratti bancari regolati in
conto corrente (in particolare, del contratto di apertura di credito), ma anche
dallo statuto normativo dei singoli tipi contrattuali, recanti profili di
affinità con il rapporto de quo (mandato, deposito, per i quali la prescrizione
dei diritti dai medesimi derivanti decorrerebbe dalla cessazione dei contratti
stessi), così creando un’inammissibile disparità di trattamento tra tipologie
contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale; 3) la censurata paralisi
dei poteri sostanziali e processuali volti a tutelare gli utenti del sistema
bancario sarebbe destinata ad operare soltanto per le somme già versate alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del citato d.l., con
ingiustificata compressione del diritto a ripetere l’indebito per chi abbia
posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale.
La norma
censurata si porrebbe, altresì, in contrasto: 1) con l’art. 24 Cost., sotto il
profilo della indefettibilità della tutela giurisdizionale, in quanto la prima
parte di essa farebbe decorrere la prescrizione da una circostanza di fatto,
cioè l’annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del
cliente, mentre la seconda parte – in base ad una possibile opzione
interpretativa, peraltro (ad avviso del rimettente) suscettibile di essere
esclusa con un’esegesi della norma costituzionalmente orientata – introdurrebbe
il divieto di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dal cliente
alla banca, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto-legge n. 225 del 2010; 2) con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il
profilo dell’integrità delle attribuzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario, trattandosi di stabilire «se la statuizione contenuta nella
norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte
legislativa, come tale dotato dei caratteri di generalità e astrattezza, ovvero
sia diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice,
a vantaggio di una delle due parti del giudizio»; 3) con l’art. 111 Cost.,
sotto il profilo del giusto processo, sub specie della parità delle armi, in
quanto la norma censurata, supportata da una espressa previsione di
retroattività, verrebbe a sancire – se non altro dalle ipotesi in cui dalle
indebite annotazioni della banca sia già decorso un decennio – la paralisi
processuale della pretesa fatta valere da chi abbia agito in giudizio,
esperendo un’azione di ripetizione d’indebito.
Infine, la
norma di cui si tratta violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., attraverso la
violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come diritto ad un
giusto processo, in quanto il legislatore nazionale, in presenza di un notevole
contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole alle
banche, avrebbe interferito nell’amministrazione della giustizia, assegnando
alla norma interpretata un significato vantaggioso per una parte del processo,
in assenza di «motivi imperativi di interesse generale», come enucleati dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
2.— Il Tribunale di Benevento, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita,
in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost., della legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di
conversione).
Secondo il
giudice a quo, il primo periodo della norma censurata, «se dovesse
interpretarsi nel senso che la prescrizione decennale (dell’azione di
ripetizione dell’indebito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di
conto corrente – come confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del
2010 – ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto», violerebbe l’art. 3
Cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma stessa, per aver
travalicato i limiti interni all’ammissibilità delle norme interpretative e, in
generale, all’efficacia retroattiva delle leggi, in quanto: 1) non vi sarebbe
stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della prescrizione
dei diritti nascenti dall’annotazione nelle operazioni bancarie in conto
corrente, perché sul punto vi sarebbe stata costante giurisprudenza della Corte
di cassazione, ribadita, da ultimo, dalla medesima Corte a sezioni unite
(sentenza n. 24418 del 2010); 2) la norma in questione, pur qualificandosi
interpretativa, di fatto avrebbe carattere innovativo, ponendosi in contrasto
con la disciplina normativa e la natura giuridica delle operazioni bancarie in
conto corrente, di cui agli artt. 1852-1857 cod. civ., nonché con il principio
generale di cui all’art. 2935 cod. civ., in tema di decorrenza della
prescrizione, «considerato che la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre
ritenuto che nei contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più
prestazioni, quali contratti unitari, fonti di un unico rapporto giuridico
anche se articolati in una pluralità di atti esecutivi, solo con il conto
finale si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti e se ne
determina l’esigibilità».
Ancora,
sarebbe violato l’art. 3 Cost., per disparità di
trattamento e per contrasto col principio di uguaglianza, qualora «la norma
censurata si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso».
Inoltre, la
norma in questione: a) si porrebbe in contrasto con gli artt. 41 e 47 Cost.,
frustrando i principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese e,
dunque, la libera iniziativa economica, perché verrebbe ad incidere in senso
negativo sulle legittime aspettative, coltivate da queste ultime, di ottenere
in restituzione ingenti somme indebitamente contabilizzate dalla controparte
durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e riscosse in violazione
di norme di ordine pubblico (quale il divieto di anatocismo); b) rischierebbe
di pregiudicare anche il diritto delle banche ad ottenere in restituzione somme
date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente,
se annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di
pagamento del saldo finale di chiusura del conto; c) violerebbe l’art. 24 Cost.,
in quanto, se essa si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso,
impedirebbe ai titolari di diritti di ottenerne la realizzazione in via
giudiziaria, poiché le norme sulla prescrizione, pur avendo natura sostanziale,
produrrebbero effetti sul piano processuale, stante l’efficacia estintiva delle
stesse; d) violerebbe l’art. 102 Cost., perché, se si applicasse anche per il
passato ed ai giudizi in corso, «comporterebbe una invasione ingiustificata
delle prerogative giudiziarie».
Infine, con
riguardo al secondo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi
nel senso che nelle operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna
delle parti può non restituire gli importi già versati alla data del 27
febbraio 2011 – data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del
2011 – anche se non dovuti», sarebbero violate le norme costituzionali sopra
richiamate, nonché i canoni di logica elementare, in quanto la norma
irragionevolmente stabilirebbe che chi (anche una banca) abbia versato alla
data del 27 febbraio 2011 degli importi a credito in un rapporto regolato in
conto corrente, "in ogni caso” non potrebbe ottenerli in restituzione dal suo
debitore.
3.— Il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47, 111 e 117,
primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del già citato art.
2, comma 61.
Ad avviso
del rimettente, il primo periodo della norma censurata violerebbe l’art. 3
Cost., sotto il profilo della irragionevolezza e della lesione del principio di
affidamento, in quanto: 1) facendo decorrere la prescrizione dell’azione di
ripetizione dell’indebito dalla data dell’annotazione, attribuirebbe a
quest’ultima un effetto solutorio che essa non può
avere, non essendovi stato pagamento, e ciò in contrasto con la ricostruzione
operata dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2010; 2) se la
norma, invece, dovesse essere interpretata nel senso che si riferisce
all’azione diretta a far dichiarare la nullità della previsione contrattuale in
base alla quale l’annotazione è stata effettuata, si sarebbe in presenza di una
disposizione di carattere eccezionale, priva di qualsiasi giustificazione,
essendo principio generale, non suscettibile di eccezioni, quello secondo cui
l’azione di nullità è imprescrittibile; 3) la norma violerebbe tutti i limiti
interni all’ammissibilità delle norme interpretative e all’efficacia
retroattiva della legge, perché introdurrebbe una deroga ingiustificata al
principio generale stabilito dall’art. 2935 cod. civ., e cagionerebbe una
lesione all’affidamento dei risparmiatori, ingenerato dalla legge vigente e da
consolidata giurisprudenza in ordine all’aspettativa di ottenere la ripetizione
di quanto illegittimamente addebitato dalle banche, così minando la certezza
dei rapporti giuridici e la coerenza del sistema.
Inoltre, la
norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., perché: a) consentirebbe alla banca, attraverso
l’annotazione in conto, di precostituire la prova della data di decorrenza del
termine di prescrizione, sovvertendo i principi generali in materia di prova,
di cui agli artt. 2709 e seguenti cod. civ. e 634 del
codice di procedura civile; b) attribuirebbe alla medesima banca un potere di
attestazione, in contrasto con la natura privatistica degli istituti di
credito; c) consentirebbe ad una delle parti di godere di una posizione
privilegiata nella costituzione della prova, in contrasto con l’esigenza che la
difesa in giudizio si svolga in modo adeguato e con parità delle armi tra i
contendenti.
Ancora,
sarebbero violati l’art. 47 Cost., in quanto la norma censurata introdurrebbe
una disciplina di privilegio per le banche e, quindi, di svantaggio per i
singoli risparmiatori, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 12 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, perché detta
norma, introducendo una disciplina di palese favore per le banche e sfavorevole
ai consumatori, si porrebbe in contrasto col principio fondamentale secondo
cui, nei rapporti con le imprese, deve essere assicurata particolare tutela e
protezione al consumatore, in quanto contraente più debole, nell’ottica di un
necessario riassetto degli equilibri esistenti.
Quanto al
secondo periodo della norma censurata, esso, ad avviso del rimettente, si
presterebbe a due possibili interpretazioni: quella alla stregua della quale
per "importi già versati” si dovrebbero intendere gli importi già annotati e
quella per cui con la detta espressione si dovrebbe avere riguardo agli importi
che, a chiusura del conto, siano stati determinati ed, eventualmente, anche
corrisposti.
La norma,
comunque, violerebbe gli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché: 1) essa, in modo
irrazionale, determinerebbe un principio di irripetibilità connesso al mero
dato di fatto dell’entrata in vigore della legge, in difetto di ogni esigenza
di ordine pubblicistico; 2) del pari in modo irrazionale sarebbero cancellati i
diritti delle parti, scaturenti da un eventuale errore di calcolo o da nullità
delle clausole sulla cui base i calcoli stessi siano stati effettuati; 3) si
tratterebbe di una norma irragionevolmente retroattiva, con incidenza su
posizioni giuridiche già formatesi, anche se non ancora giuridicamente
accertate; 4) la norma, operando retroattivamente, lederebbe l’affidamento dei
cittadini nella legge; 5) sarebbe altresì violato il principio della certezza
del diritto.
Infine, la
norma censurata si porrebbe in violazione dell’art. 23 Cost., perché avrebbe un
sostanziale effetto ablativo nei confronti di chi sia stato vittima di un
errore di annotazione ovvero di un’annotazione in base a clausola nulla, nonché
in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del
Protocollo numero 1 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo, nel senso che la nozione di "beni” può comprendere sia beni
effettivi, sia valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il
ricorrente potrebbe pretendere di avere almeno la "speranza legittima” di
ottenere l’effettivo godimento di un diritto di proprietà, mentre la norma di
cui si tratta si risolverebbe in una ingiustificata ablazione di un diritto di
credito.
4.— Il Tribunale di Nicosia, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita
della legittimità costituzionale della norma in esame, in riferimento agli
artt. 3, 24, 102 e 117, primo comma, Cost., limitatamente al secondo periodo
della norma stessa.
Il
rimettente ritiene che la norma censurata violi: a) l’art. 3 Cost., sotto il
profilo della irragionevolezza, perché ammetterebbe o escluderebbe la
restituzione dell’indebito unicamente in base al dato temporale, in tal guisa
differenziando senza ragionevole giustificazione i rapporti regolati in conto
corrente bancario dai rapporti regolati in conto corrente ordinario o maturati
in rapporti di altra natura; b) l’art. 24 Cost., in quanto, nel disporre che
non si faccia luogo alla restituzione delle somme già versate alla data di
entrata in vigore della legge di conversione, impedirebbe di fatto la tutela
giurisdizionale del diritto (sia del correntista sia dell’istituto di credito)
alla restituzione di somme non dovute, incidendo retroattivamente sul diritto
all’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche
soggettive; c) l’art. 102 Cost., in quanto la norma, data la sua valenza
retroattiva, si porrebbe in contrasto con le attribuzioni del potere
giurisdizionale, incidendo sulle pronunzie di condanna alla ripetizione
dell’indebito e sui giudizi ancora pendenti; d) l’art. 117, primo comma, in
relazione all’art. 6 CEDU, come diritto ad un giusto processo,
nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in
quanto la norma censurata, essendo destinata ad incidere retroattivamente su
diritti già maturati in base all’ordinamento preesistente, verrebbe ad
interferire, determinando un vantaggio per una delle parti del giudizio, su
singole cause o su determinate tipologie di controversie già pendenti, in
assenza di ragioni imperative d’interesse generale.
5.— Il Tribunale di Venezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo
comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2,
comma 61.
Il
rimettente, con riguardo al primo periodo della norma censurata, «se dovesse
interpretarsi nel senso che la prescrizione decennale (dell’azione di
ripetizione dell’indebito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di
conto corrente – come confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del
2010 – ma dal giorno di ogni singola annotazione in conto», e al secondo
periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che nelle
operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna delle parti può non
restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011 – data di
entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 – anche se non dovuti», e con
riguardo ad entrambi i periodi «in ipotesi di ritenuta applicabilità tout court
della (duplice) nuova norma anche alle questioni in esame», sostiene che la
norma suddetta violerebbe l’art. 3 Cost., perché irragionevole, in quanto: 1)
essa, superando i limiti interni all’ammissibilità di norme interpretative,
derogherebbe all’art. 2935 cod. civ., ponendosi in aperto contrasto con
l’orientamento della giurisprudenza in materia, confermato dalla Corte di
cassazione a sezioni unite con la citata sentenza n. 24418 del 2010; 2) la
norma stessa si porrebbe in funzione "derogativa” in riferimento all’art. 2033
cod. civ. e, senza adeguata giustificazione,
derogherebbe a disposizioni dell’ordinamento di carattere generale, annullando,
con l’esclusione del diritto alla ripetizione, i diritti in danno del
contraente debole, nell’ambito dei rapporti di conto corrente bancario.
Inoltre, la
norma in questione violerebbe: a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo del
principio di uguaglianza, perché la preclusione all’azione di ripetizione di
somme indebitamente versate alla data di entrata in vigore della legge di
conversione darebbe luogo ad una ingiustificata compressione del diritto di
ripetere l’indebito, per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta
soglia temporale, e non anche per chi non versi ancora nella predetta
situazione giuridica; b) gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al principio
inderogabile dell’effettività della tutela giudiziaria e del giusto processo;
c) gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo della invulnerabilità delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario; d) l’art. 47
Cost., perché la ritenzione di somme indebite, illegittimamente sottratte ai
risparmi dei cittadini, implicherebbe una grave compromissione del principio di
tutela del risparmio; e) l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.
6 della CEDU, perché, modificando con efficacia retroattiva, in senso
sfavorevole agli interessati, disposizioni di legge attributive di diritti, la
cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all’epoca
della modifica, verrebbe ad interferire con l’amministrazione della giustizia,
in assenza di motivi imperativi d’interesse generale.
6.— Il Tribunale di Potenza, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate
in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità
costituzionale della normativa più volte indicata.
Il
rimettente ritiene che la norma censurata violi i limiti interni
all’ammissibilità di una legge d’interpretazione autentica e alla efficacia
retroattiva delle leggi, sotto il profilo della irragionevolezza e della
lesione del legittimo affidamento (art. 3 Cost.), in quanto: 1) non vi sarebbe
stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della prescrizione
dei diritti nascenti dall’annotazione nelle operazioni bancarie in conto
corrente, perché, da ultimo, la Corte di cassazione a sezioni unite, con la
sentenza n. 24418 del 2010, avrebbe ribadito che, nei contratti bancari in
conto corrente, il termine di prescrizione decennale dell’azione di ripetizione
dell’indebito (ad esempio, per nullità della clausola di capitalizzazione degli
interessi) decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza
di rapporto abbiano avuto funzione ripristinatoria della provvista, dalla data
di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti
sono stati registrati; 2) la statuizione normativa, secondo la quale la
prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito dovrebbe decorrere
dall’annotazione in conto dell’addebito degli interessi, attribuendo a detta
annotazione l’efficacia di un pagamento, introdurrebbe un concetto del tutto
innovativo, ponendosi al di fuori delle possibili varianti interpretative delle
norme preesistenti, avuto riguardo anche alle risultanze della citata sentenza
della Corte di legittimità; 3) qualora l’applicazione della norma censurata si
estendesse anche ai giudizi in corso, resterebbe violato anche il principio del
legittimo affidamento delle parti, in relazione all’applicazione di un
orientamento consolidato in tema di prescrizione, essendo stato operato, per
via legislativa, un vero e proprio overruling.
L’art. 3
Cost. sarebbe, altresì, violato sotto il profilo della
ragionevolezza e dell’uguaglianza, perché la mancata restituzione degli importi
già versati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione,
creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra debitori che abbiano
versato somme prima dell’entrata in vigore della legge e debitori che abbiano
versato tali somme in epoca successiva.
Infine, sarebbe
violato l’art. 24 Cost., in quanto la norma in
questione, rendendo impossibile la restituzione degli importi già versati alla
data della sua entrata in vigore, impedirebbe ai titolari di un diritto di
ottenerne la realizzazione per via giudiziaria.
7.— Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpasso, con l’ordinanza
indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità costituzionale della
norma già censurata con le precedenti ordinanze, in riferimento agli artt. 3,
24, 41, 47 e 102 Cost., svolgendo considerazioni identiche a quelle contenute
nell’ordinanza del Tribunale di Benevento (punto 2 che precede), alla quale si
rinvia.
8.—Le nove ordinanze di rimessione, qui riassunte, sollevano tutte questione
di legittimità costituzionale della medesima norma (art. 2, comma 61, del d.l.
n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2001 –
comma aggiunto in sede di conversione), adducendo argomenti analoghi o
identici.
Pertanto, i
relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica sentenza.
9.— In
relazione all’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, sezione
distaccata di Ostuni, l’istituto di credito resistente (Banca Monte dei Paschi
di Siena, s.p.a., quale incorporante della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., poi Banca Antonveneta s.p.a.) ha eccepito la
manifesta inammissibilità della questione, sia per carente motivazione sulla
rilevanza, sia perché il rimettente avrebbe articolato in modo indistinto le
sue censure rispetto alle due diverse disposizioni che compongono la norma di
cui si discute, sia perché – pur prendendo le mosse dalla sentenza resa dalla
Corte di cassazione a sezioni unite, n. 24418 del 2010, che aveva avuto
riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario in conto corrente –
egli avrebbe omesso di distinguere tra conti correnti ordinari e conti correnti
con apertura di credito, tra annotazioni per un prelievo e per un versamento,
tra versamenti con cui il correntista "rientra” dal cosiddetto extrafido e versamenti riespansivi
del credito assentito dalla banca, trascurando di dare qualsiasi informazione
in ordine al titolo dedotto dall’attore nel giudizio principale, a sostegno
della sua pretesa restitutoria.
Inoltre, il
giudice a quo avrebbe omesso qualsiasi cenno in ordine alla qualificazione
delle annotazioni per le quali si sarebbe potuto agire per la ripetizione
dell’indebito, se vi fosse un’apertura di credito regolata in conto corrente,
se vi fossero stati versamenti da parte del correntista.
Anche
l’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio in rappresentanza e
difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sostenuto che la questione
sarebbe inammissibile, perché il Tribunale avrebbe omesso di valutarne la
rilevanza, limitandosi «a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità
della norma censurata, senza tuttavia spiegare se e in quali termini la sua
applicazione possa incidere concretamente sull’esito della causa pendente
dinanzi a sé». In particolare, il rimettente avrebbe richiamato i principi
sull’indebito pagamento enunciati dalla Corte di cassazione a sezioni unite
(sentenza n. 24418 del 2010), principi che sarebbero rimasti lesi dalla
censurata norma interpretativa, ma avrebbe omesso di dimostrare le sue affermazioni,
trascurando di specificare se la domanda proposta nel giudizio principale
potesse essere accolta sulla base di quei principi, in modo da far emergere la
rilevanza, ai fini del decidere, della normativa sopravvenuta che, individuando
una diversa decorrenza dei termini di prescrizione, avrebbe precluso
l’esercizio dell’azione restitutoria. Inoltre, il giudice a quo avrebbe
proposto una lettura confusa ed indifferenziata della norma in esame, senza
operare la necessaria distinzione tra le sue diverse disposizioni.
Le suddette
eccezioni non sono fondate.
Il
rimettente, descrivendo lo svolgimento del processo principale, riferisce
quanto segue: «Con atto di citazione notificato il 18.04.2005 il sig. C. S.
conveniva in giudizio la Banca A.P.V. s.p.a. chiedendo
che fosse rideterminato il saldo del conto corrente n. 2741/R, acceso in data
11.04.1994, sino alla data dell’ultima operazione avvenuta il 29.12.1998; in
particolare, chiedeva che i conteggi fossero riformulati tenendo conto
dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la nullità della
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della c. m. s., affinché
la banca fosse condannata alla restituzione dell’indebito versato.
Costituitasi
in giudizio, la banca convenuta contestava le eccezioni e le richieste attoree,
concludendo per il rigetto integrale della domanda ed opponendo,
preliminarmente, la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi
e, quindi, l’eccezione di prescrizione estintiva».
Il giudice
a quo prosegue esponendo che, allo scopo di procedere al ricalcolo del saldo,
aveva disposto una consulenza tecnica; che la relazione del consulente era
stata depositata, con il ricalcolo del saldo compiuto «alla stregua dei criteri
di cui alla ordinanza ammissiva della ctu»; che egli aveva considerato la causa matura per la
decisione ma, entrato in vigore l’art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011,
recante conversione del d.l. n. 225 del 2010, aveva ritenuto sussistenti i
presupposti per sollevare questione di legittimità costituzionale di tale
norma, osservando, sotto il profilo della rilevanza «ai fini del thema decidendum», che senza
dubbio «la natura assertivamente interpretativa della stessa, unitamente
all’eccezione di prescrizione, sollevata da parte convenuta» ne imponevano
l’applicazione nel caso concreto.
Come si
vede, il rimettente, in forma concisa ma sufficiente, si è pronunciato sulla
rilevanza della questione nel caso di specie. Egli ha individuato il rapporto
negoziale (contratto di conto corrente bancario), precisandone l’arco temporale
di operatività, ha chiarito l’oggetto della pretesa azionata dall’attore
(ripetizione d’indebito oggettivo per nullità della clausola di
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo
scoperto, così indicando il titolo dedotto a sostegno della domanda), ha posto
l’accento sull’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto di credito
convenuto e, dovendo pronunciarsi su detta eccezione, ha considerato necessario
lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma sopravvenuta che,
intervenendo sulla decorrenza del termine di prescrizione in ordine alle
operazioni bancarie regolate in conto corrente, evidentemente incide anche sui
risultati del ricalcolo del saldo effettuato dal consulente «alla stregua dei
criteri di cui all’ordinanza ammissiva della ctu». Il che, del resto, si evince con chiarezza
dall’affermazione del giudicante, secondo cui egli, dovendo pronunciarsi
sull’eccezione di prescrizione, non può prescindere dall’esame della norma
censurata.
Quanto,
poi, al rilievo secondo cui il giudice a quo avrebbe svolto argomenti che fanno
indistinto riferimento ad entrambi i periodi di cui si compone il citato art.
2, comma 61, così incorrendo in un vizio di contraddittorietà intrinseca e in
un difetto di motivazione, si deve osservare che la presunta contraddizione non
sussiste, perché il contenuto delle singole censure consente d’individuare la
norma di volta in volta denunziata, mentre, in ordine all’asserito difetto di
motivazione, si deve rinviare alle considerazioni dianzi svolte.
10.— L’istituto bancario e la difesa dello Stato eccepiscono un ulteriore
profilo di inammissibilità, che sarebbe ravvisabile nel fatto che il rimettente
avrebbe omesso di sperimentare la possibilità di pervenire ad una
interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Al riguardo, sono
richiamate alcune recenti pronunzie di giudici di merito che, facendo leva su
tale interpretazione, avrebbero respinto la questione di legittimità costituzionale
qui in esame.
Neppure
tale eccezione è fondata.
Fermo il
punto che alcune pronunzie adottate in sede di merito non sono idonee ad
integrare un "diritto vivente”, si deve osservare che, come questa Corte ha già
affermato, l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale
il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità
costituzionale (sentenza
n. 26 del 2010, punto 2, del Considerato in diritto; sentenza n. 219 del
2008, punto 4, del Considerato in diritto).
Nel caso in
esame, il dettato della norma è, per l’appunto, univoco. Nel primo periodo essa
stabilisce che, in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente
(il richiamo è all’art. 1852 cod. civ.), l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai
diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione
stessa (il principio è da intendere riferito a tutti i diritti nascenti
dall’annotazione in conto, in assenza di qualsiasi distinzione da parte del
legislatore). Il secondo periodo dispone che, in ogni caso, non si fa luogo
alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della
legge di conversione del d.l. n. 225 del 2010; ed anche questa disposizione
normativa è chiara nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole
(art. 12 disposizioni sulla legge in generale), che è quello di rendere non
ripetibili gli importi già versati (evidentemente, nel quadro del rapporto
menzionato nel primo periodo) alla data di entrata in vigore della legge di
conversione.
Questo è,
dunque, il contesto normativo sul quale l’ordinanza di rimessione è
intervenuta. Esso non si prestava ad un’interpretazione conforme a
Costituzione, come risulterà dalle considerazioni che saranno svolte trattando
del merito. Pertanto, la presunta ragione d’inammissibilità non sussiste.
11.— La questione è fondata.
L’art. 2935
cod. civ. stabilisce che «La prescrizione comincia a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Si tratta di
una norma di carattere generale, dalla quale si evince che presupposto della
prescrizione è il mancato esercizio del diritto da parte del suo titolare. La
formula elastica usata dal legislatore si spiega con l’esigenza di adattarla
alle concrete modalità dei molteplici rapporti dai quali i diritti soggetti a
prescrizione nascono.
Il
principio posto dal citato articolo, peraltro, vale quando manchi una specifica
statuizione legislativa sulla decorrenza della prescrizione. Infatti, sia nel
codice civile sia in altri codici e nella legislazione speciale, sono numerosi
i casi in cui la legge collega il dies a quo della
prescrizione a circostanze o eventi determinati. In alcuni di questi casi
l’indicazione espressa della decorrenza costituisce una specificazione del
principio enunciato dall’art. 2935 cod. civ.; in
altri, la determinazione della decorrenza stabilita dalla legge costituisce una
deroga al principio generale che la prescrizione inizia il suo corso dal
momento in cui sussiste la possibilità legale di far valere il diritto (non
rilevano, invece, gli impedimenti di mero fatto).
In questo
quadro, prima dell’intervento legislativo concretato dalla norma qui censurata,
con riferimento alla prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito
nascente da operazioni bancarie regolate in conto corrente, nella
giurisprudenza di merito si era formato un orientamento, peraltro minoritario,
secondo cui la prescrizione del menzionato diritto decorreva dall’annotazione
dell’addebito in conto, in quanto, benché il contratto di conto corrente
bancario fosse considerato come rapporto unitario, la sua natura di contratto
di durata e la rilevanza dei singoli atti di esecuzione giustificavano quella
conclusione.
In
particolare, gli atti di addebito e di accredito, fin dalla loro annotazione,
producevano l’effetto di modificare il saldo, attraverso la variazione quantitativa,
e di determinare in tal modo la somma esigibile dal correntista ai sensi
dell’art. 1852 cod. civ.
A tale
indirizzo si contrapponeva, sempre nella giurisprudenza di merito, un
orientamento di gran lunga maggioritario secondo cui la prescrizione del
diritto alla ripetizione dell’indebito doveva decorrere dalla chiusura
definitiva del rapporto, considerata la natura unitaria del contratto di conto
corrente bancario, il quale darebbe luogo ad un unico rapporto giuridico,
ancorché articolato in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di
versamenti e prelievi, accreditamenti e addebiti, comporterebbe soltanto
variazioni quantitative del titolo originario costituito tra banca e cliente;
soltanto con la chiusura del conto si stabilirebbero in via definitiva i
crediti e i debiti delle parti e le somme trattenute indebitamente
dall’istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripetizione.
Nella
giurisprudenza di legittimità, prima della sentenza n. 24418 del 2 dicembre
2010, resa dalla Corte di cassazione a sezioni unite, non risulta che si
fossero palesati contasti sul tema in esame. Infatti, essa aveva affermato, in
linea con l’orientamento maggioritario emerso in sede di merito, che il termine
di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca
indebitamente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente
decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto
unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in
una pluralità di atti esecutivi, sicché soltanto con la chiusura del conto si
stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Corte
di cassazione, sezione prima civile, sentenza 14 maggio 2005, n. 10127 e
sezione prima civile, sentenza 9 aprile 1984, n. 2262).
Con la
citata sentenza n. 24418 del 2010 (affidata alle sezioni unite per la
particolare importanza delle questioni sollevate: art. 374, secondo comma, cod.
proc. civ.) la Corte di cassazione, con riguardo alla fattispecie al suo esame
(contratto di apertura di credito bancario in conto corrente), ha tenuto ferma
la conclusione alla quale la precedente giurisprudenza di legittimità era
pervenuta ed ha affermato, quindi, il seguente principio di diritto: «Se, dopo
la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in
conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della
clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici
e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine
di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre,
qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano
avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato
estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati».
Rispetto
alle pronunzie precedenti, la sentenza n. 24418 del 2010 ha aggiunto che,
quando nell’ambito del rapporto in questione è stato eseguito un atto giuridico
definibile come pagamento (consistente nell’esecuzione di una prestazione da
parte di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di
altro soggetto), e il solvens ne contesti la
legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò
agendo per la ripetizione dell’indebito, la prescrizione decorre dalla data in
cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò soltanto qualora si sia in
presenza di un atto con efficacia solutoria, cioè per
l’appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento eseguito su un conto
passivo ("scoperto”), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del
correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i
limiti dell’accreditamento (cosiddetto extra fido).
In
particolare, con riferimento alla fattispecie (relativa ad azione di
ripetizione d’indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamentava la
nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi), la
Corte di legittimità non ha condiviso la tesi dell’istituto di credito
ricorrente, che avrebbe voluto individuare il dies a
quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni
singola posta di interessi illegittimamente addebitati al correntista. Infatti,
«L’annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito
del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in
nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi
corrisponde alcuna attività solutoria del correntista
medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell’annotazione, avvedutosi
dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà naturalmente
agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e,
di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del
conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito
bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro
i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un
pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo».
Come si
vede, dunque, a parte la correzione relativa ai versamenti con carattere solutorio, la citata sentenza della Corte di cassazione a
sezioni unite conferma l’orientamento della precedente giurisprudenza di
legittimità, a sua volta in sintonia con l’orientamento maggioritario della
giurisprudenza di merito.
12.— In questo contesto è intervenuto l’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del
2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011.
La norma si
compone di due periodi: come già si è accennato, il primo dispone che «In
ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 cod.
civ. si interpreta nel senso che la prescrizione
relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal
giorno dell’annotazione stessa».
La
disposizione si autoqualifica di interpretazione e,
dunque, spiega efficacia retroattiva come, del resto, si evince anche dal suo
tenore letterale che rende la stessa applicabile alle situazioni giuridiche
nascenti dal rapporto contrattuale di conto corrente e non ancora esaurite alla
data della sua entrata in vigore.
Orbene,
questa Corte ha già affermato che il divieto di retroattività della legge (art.
11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore
fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela
privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del 2012,
n. 236 del 2011,
e n. 393 del 2006).
Pertanto, il legislatore – nel rispetto di tale previsione – può emanare norme
retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi
adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di
interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU).
La norma
che deriva dalla legge di interpretazione autentica, quindi, non può dirsi
costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione
interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle
possibili letture del testo originario (ex
plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011,
n. 209 del 2010
e n. 24 del 2009).
In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire
«situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un
dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del
2009), o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria
volontà del legislatore» (ancora sentenza n. 311 del
2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei
cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale. Accanto a
tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali
all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia, oltre che
dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica,
posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i
quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza,
che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di
trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere
giudiziario (sentenza
n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Considerato in diritto).
Ciò posto,
si deve osservare che la norma censurata, con la sua efficacia retroattiva,
lede in primo luogo il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3
Cost.).
Invero,
essa è intervenuta sull’art. 2935 cod. civ. in assenza di una situazione di
oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del
termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto
corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di
merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta
giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva
condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel
pagamento solutorio il dies
a quo per il decorso del suddetto termine.
Inoltre, la
soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non può sotto
alcun profilo essere considerata una possibile variante di senso del testo
originario della norma oggetto d’interpretazione.
Come sopra
si è notato, quest’ultima pone una regola di carattere generale, che fa
decorrere la prescrizione dal giorno in cui il diritto (già sorto) può essere
fatto legalmente valere, in coerenza con la ratio dell’istituto che postula
l’inerzia del titolare del diritto stesso, nonché con la finalità di demandare
al giudice l’accertamento sul punto, in relazione alle concrete modalità della
fattispecie. La norma censurata, invece, interviene, con riguardo alle
operazioni bancarie regolate in conto corrente, individuando, con effetto retroattivo,
il dies a quo per il decorso della prescrizione nella
data di annotazione in conto dei diritti nascenti dall’annotazione stessa.
In
proposito, si deve osservare che non è esatto (come pure è stato sostenuto) che
con tale espressione si dovrebbero intendere soltanto i diritti di
contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o di eliminazione
delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero
basati su errori di calcolo. Se così fosse, la norma sarebbe inutile, perché il
correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità – con azione
imprescrittibile (art. 1422 cod. civ.) – del titolo su cui l’annotazione
illegittima si basa e, di conseguenza, per ottenere la rettifica in suo favore
delle risultanze del conto. Ma non sono imprescrittibili le azioni di
ripetizione (art. 1422 citato), soggette a prescrizione decennale.
Orbene,
come sopra si è notato l’ampia formulazione della norma censurata impone di
affermare che, nel novero dei «diritti nascenti dall’annotazione», devono
ritenersi inclusi anche i diritti di ripetere somme non dovute (quali sono
quelli derivanti, ad esempio, da interessi anatocistici
o comunque non spettanti, da commissioni di massimo scoperto e così via, tenuto
conto del fatto che il rapporto di conto corrente di cui si discute, come
risulta dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, si è svolto in
data precedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 4 agosto 1999, n.
342, recante modifiche al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia). Ma la ripetizione dell’indebito
oggettivo postula un pagamento (art. 2033 cod. civ.) che, avuto riguardo alle
modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, spesso si rende configurabile
soltanto all’atto della chiusura del conto (Corte di cassazione, sezioni unite,
sentenza n. 24418 del 2010, citata).
Ne deriva
che ancorare con norma retroattiva la decorrenza del termine di prescrizione
all’annotazione in conto significa individuarla in un momento diverso da quello
in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la previsione dell’art. 2935
cod. civ.
Pertanto,
la norma censurata, lungi dall’esprimere una soluzione ermeneutica rientrante
tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 cod. civ.,
ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro
senza alcuna ragionevole giustificazione.
Anzi,
l’efficacia retroattiva della deroga rende asimmetrico il rapporto contrattuale
di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione,
finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per
l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare
pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto
giuridico anteriore all’entrata in vigore della norma denunziata, abbiano
avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente
addebitate.
Sussiste,
dunque, la violazione dell’art. 3 Cost., perché la
norma censurata, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non
rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (sentenza n. 209 del
2010).
13.— L’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010 (primo periodo), convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, è costituzionalmente illegittimo
anche per altro profilo.
È noto che,
a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007,
la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le norme della
CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e
applicazione – integrino, quali "norme interposte”, il parametro costituzionale
espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la
conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi
internazionali (ex plurimis:
sentenze n. 1
del 2011; n.
196, n. 187
e n. 138 del
2010; sulla perdurante validità di tale ricostruzione anche dopo l’entrata
in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del
2011).
La Corte
europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che se, in linea di
principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia
civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da
leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di
processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per
imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo
nell’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito
giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza
sezione seconda, 7 giugno 2011, Agrati ed altri
contro Italia; sezione
seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione
quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia;
sezione
seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro
Italia).
Pertanto,
sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con
efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), se giustificato
da «motivi imperativi d’interesse generale»», che spetta innanzitutto al
legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi,
diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di
apprezzamento riconosciuto dalla giurisprudenza della Cedu
ai singoli ordinamenti statali (sentenza n. 15 del
2012).
Nel caso in
esame, come si evince dalle considerazioni dianzi svolte, non è dato ravvisare
quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare
l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro
costituito dall’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte
di Strasburgo.
Pertanto,
deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61,
del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del
2011 (comma introdotto dalla legge di conversione). La declaratoria di
illegittimità comprende anche il secondo periodo della norma («In ogni caso non
si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto»), trattandosi di
disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue
la sorte.
14.— Ogni altro profilo, emergente dall’ordinanza del Tribunale di Brindisi e
dalle altre ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, resta assorbito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010,
n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi
urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie),
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2
aprile 2012.
F.to:
Alfonso
QUARANTA, Presidente
Alessandro
CRISCUOLO, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 5 aprile 2012.