Sentenza n. 127 del 1977
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SENTENZA N. 127

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Leopoldo ELIA

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), promosso con ordinanza emessa il 17 ottobre 1974 dal tribunale di Modena, nel procedimento civile vertente tra Sacchetti Gino e la ditta SERISCREEN, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 62 del 5 marzo 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 maggio 1977 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

adito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Sacchetti Gino conveniva innanzi al tribunale di Modena Corradi Giorgio, titolare della ditta Seriscrecn corrente in Carpi ed operante nel campo delle pellicole rifragenti per segnaletica stradale, e, premesso che egli nel corso del rapporto di lavoro con il detto Corradi aveva elaborato una nuova formula idonea a consentire la produzione di pellicole di elevata e particolare capacità rifrangente, chiedeva che il medesimo fosse condannato nei suoi confronti al pagamento di un premio commisurato all'importanza dell'invenzione.

Il convenuto eccepiva incompetenza del giudice adito, dovendo la controversia essere invece sottoposta al collegio arbitrale previsto dall'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, recante: "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali".

Il tribunale, rilevato che, secondo la costante giurisprudenza, il collegio arbitrale di cui all'art. 25, primo comma, r.d. n. 1127 del 1939 citato é competente non solo in ordine alle questioni inerenti al quantum sibbene anche in ordine a quelle relative all'an, che l'istituto é qualificato dalla giurisprudenza come arbitrato obbligatorio e necessario, sollevava questione di costituzionalità relativamente alla norma suddetta, dubitando contrastasse con quanto dispongono gli articoli 24, primo comma, 25, primo comma, 102, primo comma, della Costituzione.

Il collegio arbitrale in discussione non potrebbe qualificarsi giudice speciale, essendo composto di privati ed esercitando solo occasionalmente le sue funzioni. La sua competenza esclusiva in materia di premi conseguenti ad invenzioni elaborate nel corso di rapporto di lavoro verrebbe allora a contrastare con i principi del giudice naturale sanciti dall'articolo 25, primo comma, della Costituzione. La circostanza poi che i componenti del collegio arbitrale vendono nominati dopo che la controversia é insorta sarebbe incompatibile con il principio di precostituzione del giudice per legge stabilito dalla medesima disposizione.

Sarebbe poi violato l'art. 102, primo comma, della Costituzione, dato che la esclusiva competenza in materia viene attribuita ad organo non composto da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme dell'ordinamento giudiziario. La impossibilità nel procedimento arbitrale di chiedere ed ottenere provvedimenti cautelari, la limitata possibilità di impugnare la sentenza arbitrale medesima costituirebbero infine elementi tali da indurre a dubitare seriamente circa la idonea tutela del diritto di agire.

2. - Interveniva nel giudizio innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura dello Stato il quale chiedeva si pronunziasse sentenza di rigetto. Dovrebbe escludersi la pertinenza del richiamo al divieto di istituire giudici speciali contenuto nell'art. 102 della Costituzione, non potendosi considerare l'arbitrato obbligatorio una forma di giurisdizione speciale. Tale arbitrato, d'altra parte, finirebbe con il convogliare le controversie nell'ambito della giurisdizione ordinaria, attraverso il controllo in sede di omologazione, attraverso l'impugnazione per nullità ed attraverso il possibile intervento della Corte suprema n sede di ricorso avverso le sentenze pronunziate su tale impugnativa.

Il collegio arbitrale, inoltre, dovrebbe considerarsi, come organo, precostituito rispetto alle singole regiudicande che insorgono, anche se la nomina dei componenti avviene successivamente; dovrebbe quindi essere esclusa ogni violazione dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, così come interpretato costantemente dalla Corte costituzionale.

Poiché, infine, il diritto di agire, secondo l'insegnamento della stessa Corte costituzionale, potrebbe essere diversamente regolato in rapporto ai diversi tipi di procedimento, le particolari caratteristiche del processo arbitrale non comporterebbero una violazione della norma costituzionale che lo tutela.

Nell'udienza di discussione l'Avvocatura dello Stato si riportava all'atto di intervento.

Considerato in diritto

1. - Questa Corte esamina per la prima volta una questione di legittimità costituzionale in tema di arbitrato rituale obbligatorio o necessario, e la esamina sulla base di una ordinanza di rimessione che (con compiutezza di riferimenti alle norme costituzionali - parametro) ha indicato la possibilità di contrasto tra l'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 e gli artt. 24, primo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione.

Né potrebbe contestarsi la rilevanza della questione sollevata, poiché, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, il collegio arbitrale previsto dal citato art. 25, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 é competente a decidere le controversie non soltanto sul quantum, ma anche sull'an, vale a dire su qualsiasi controversia giuridica inerente al compenso spettante al dipendente inventore.

La questione, per ciò che concerne il contrasto della norma impugnata con il combinato disposto degli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, Cost., deve ritenersi fondata.

Infatti, se la Costituzione garantisce ad ogni soggetto il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, ne deriva che, fuori delle ipotesi previste dall'art. 103 Cost., tale diritto deve potersi esercitare dinanzi agli organi giudiziari ordinari. Ciò non toglie che, "rispetto ad una o anche a più controversie determinate o determinabili, i soggetti possono esercitare un potere di disposizione che é strettamente collegato al potere di azione, seppure non ne é addirittura un aspetto e uno svolgimento" convenendo con una controparte di deferire una o più questioni al giudizio di un arbitro o di un collegio arbitrale (sent. n. 35 del 1958).

In altre parole, a seguito del congiunto disposto degli articoli 24, primo comma, Cost. (diritto di azione in giudizio e correlativo esercizio, costituzionalmente garantiti) e 102, primo comma, Cost. (riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all'articolo seguente), il fondamento di qualsiasi arbitrato é da rinvenirsi nella libera scelta delle parti: perché solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, primo comma, Cost.) può derogare al precetto contenuto nell'art. 102, primo comma, Cost. Ciò corrisponde al criterio di interpretazione sistematica del testo costituzionale (nel quale la portata di una norma può essere circoscritta soltanto da altre norme dello stesso testo o da altre ancora ad esse parificate); e corrisponde anche alla garanzia costituzionale dell'autonomia dei soggetti (sottolineata con particolare vigore nella sent. n. 2 del 1963 di questa Corte), autonomia, che, mentre ad altro proposito é tutelata dagli artt. 41-44 Cost., nella materia che ne occupa e per le situazioni di vantaggio compromettibili é appunto garantita dall'art. 24, primo comma, della Costituzione.

Sicché la "fonte" dell'arbitrato non può più ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, più generalmente, in una volontà autoritativa: ed il principio fissato nell'art. 806, primo comma, (prima parte), del codice del rito civile ("Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte..."), assume il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento.

Questa interpretazione ha un chiarissimo riscontro nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, ed in particolare nelle dichiarazioni del Presidente della Commissione incaricata di preparare il progetto di Costituzione, il quale ebbe a distinguere nettamente la sorte dei collegi da riconoscere come vere e proprie giurisdizioni speciali da quella degli arbitrati "in materia civile, che si formano per volontà delle parti, e si basano su loro facoltà e sul loro diritto, che non può essere disconosciuto" (A.C. pag. 2339, seduta del 21 novembre 1947). Dunque o giurisdizioni speciali (quando sia possibile ravvisarne l'esistenza) oppure arbitrato volontario o facoltativo, fondato sulla libera opzione delle parti: non si dà spazio per un terzo tipo di deroga al principio dell'unità della giurisdizione, e cioé per gli arbitrati imposti dalla legge.

Questa conclusione, suggerita dai lavori preparatori, trova saldo fondamento nel testo stesso della Carta costituzionale ed é avvalorata dall'art. 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

2. - La legittimità costituzionale degli arbitrati obbligatori o necessari é stata sostenuta, più o meno esplicitamente, con la ragione del "coinvogliamento" dell'arbitrato rituale obbligatorio nonché di quello volontario, secondo lo schema di disciplina contenuto negli artt. 806 e segg. c.p.c., nell'ambito del giudizio ordinario attraverso l'impugnazione di nullità, oltreché attraverso il controllo in sede di decreto di omologazione.

Senonché la opinione del coinvogliamento, dominante nella giurisprudenza e prevalente in dottrina, appare fondata su un equivoco: e cioé sulla circostanza che leggi, corti e giuristi tendono a fornire, entro certi limiti, talune garanzie fondamentali (quella del contraddittorio in primo luogo) anche alle parti che, in base a clausola compromissoria o a compromesso, scelgono la via della giustizia arbitrale, intendendo di avvalersi del lodo con gli effetti propri della decisione giurisdizionale. Ma ciò non toglie che, malgrado l'exequatur del giudice statale, l'attività degli arbitri non sia fungibile con quella del giudice togato: o meglio, risulti pur sempre irriducibile ad essa, anche se l'ordinamento, rispettoso dell'autonomia dei soggetti per le materie compromettibili, opera ex post assimilazione delle decisioni nella loro efficacia ed i giudici statali, una volta consumatasi la scelta delle parti, considerano valida l'eccezione di incompetenza fondata sulla clausola compromissoria o sul compromesso.

In effetti, chi consideri la differenza dei poteri attribuiti ai giudici ed agli arbitri (fanno difetto a questi ultimi quelli coercitivi e quelli cautelari) non può restringere le conseguenze della scelta favorevole all'arbitrato soltanto alla celerità del giudizio, anche in conseguenza della limitazione del contraddittorio, o alle maggiori probabilità di approfondimento degli aspetti tecnici di una questione: salvo a considerare la decisione arbitrale come avulsa dall'attività che la precede, é innegabile che essa rappresenta il risultato di un procedimento che si svolge al di fuori del regime della sovranità statuale. Ed é inutile richiamare i margini di giudizio piuttosto ristretti in cui si muovono il giudice che omologa il lodo ed i giudici investiti a seguito della impugnazione per nullità prevista dall'art. 829 del codice di procedura civile. Né del resto si potrebbero ravvicinare troppo i due tipi di procedimento, senza mettere a rischio il significato, l'originalità e l'utilità stessa della giustizia per arbitri.

É necessario riconoscere che il costituente ha voluto tutelare la concentrazione della funzione giurisdizionale sia nei confronti delle giurisdizioni speciali sia contro altri congegni di sostanziale svuotamento. Sarebbe stato del resto contraddittorio richiedere il ricorso al procedimento di revisione costituzionale per l'istituzione di nuove giurisdizioni speciali e consentire nello stesso tempo che con nuove leggi ordinarie si potessero sottrarre sistematicamente al giudice statuale intere serie di controversie; di guisa che fosse più facile erodere l'unità della giurisdizione con l'istituzione di arbitrati obbligatori ex lege anziché con la creazione di nuovi giudici speciali.

Tanto ciò é vero che l'art. 47 del nuovo capitolato generale di appalto per le opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici (approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063) contiene una normativa che consente sia alla parte attrice che alla parte convenuta di escludere la competenza arbitrale. Si é così affermata, anche su questo piano, la necessità di tutelare l'autonomia delle parti.

D'altro lato la legge sul nuovo processo del lavoro (artt. 4 e 5 della legge 11 agosto 1973, n. 533), mentre consente arbitrati rituali e irrituali nelle già precluse controversie di cui all'art. 409 c.p.c., prescrive che ciò avvenga, in sede di contratti e accordi collettivi "senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria".

Comunque, a seguito del carattere rigido della Costituzione, la legge ordinaria od altri atti autoritativi possono soltanto predisporre, non già disporre gli arbitrati tra le parti.

Spetterà al legislatore, con la previsione di procedure preliminari di carattere amministrativo (sent. n. 62 del 1968), con la istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari (art. 102, secondo comma, Cost.) e con altri modi di intervento non contrastanti con la Costituzione, di ovviare agli eventuali inconvenienti cui si é inteso di far fronte con l'imposizione di arbitrati ex lege.

3. - La questione di legittimità dell'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, é senz'altro da ricomprendere nella più ampia questione della conformità a Costituzione degli arbitrati obbligatori o necessari, poiché, secondo costante giurisprudenza, il collegio arbitrale in esso previsto non potrebbe mai considerarsi una giurisdizione speciale.

Si tratta, anzi, di un arbitrato tra privati particolarmente incongruo, in quanto si applica ad una situazione che può degenerare dall'esercizio di un diritto di prelazione dell'imprenditore ad una effettiva espropriazione a favore di un privato: correndo il rapporto giuridico, che dà occasione all'arbitrato obbligatorio, tra due soggetti di forza economica assai diversa. Mentre, come é noto, la giustizia per arbitri dà risultati particolarmente soddisfacenti quando le parti si trovino in posizione di relativo equilibrio.

É anche opportuno rilevare che, con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, si é creata tra le due disposizioni dell'art. 25 del r.d. n. 1127 del 1939 una rilevante disarmonia: poiché nell'ipotesi prevista dal secondo comma dell'articolo (se l'inventore é un dipendente di Amministrazione statale...), la deliberazione del Ministro, che in luogo del collegio di arbitri, provvede a stabilire il premio, il canone o il prezzo e le relative modalità, non può più considerarsi insindacabile, ma risulta senz'altro e senza limiti impugnabile a norma dell'art. 113 Cost. (la inderogabilità dei rimedi giurisdizionali é riaffermata anche nella citata sent. n. 62 del 1968). Questa interpretazione é poi confermata dal testo dell'art. 34 dello Statuto per gli impiegati civili (approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), il quale, a proposito dei diritti derivanti da invenzione industriale del dipendente statale, non dichiara insindacabile il decreto ministeriale che stabilisce il premio, il canone o il prezzo e le relative modalità di corresponsione. Se dunque l'arbitrato previsto nel primo comma dell'art. 25 non avesse carattere facoltativo, vi sarebbe, nel rapporto tra l'imprenditore e il dipendente, tenuto pur conto della impugnazione per nullità, una comparativamente attenuata tutela giurisdizionale.

Risulta superfluo, a questo punto, l'esame della censura in ordine all'art. 25, primo comma, della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, primo comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali) nella parte in cui non riconosce la facoltà dell'inventore e del datore di lavoro di adire l'autorità giudiziaria ordinaria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Leopoldo ELIA - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 luglio 1977.