Ordinanza n. 91 del 2010

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ordinanza N. 91

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

 

- - Ugo                            DE SIERVO                     Presidente

- Paolo                           MADDALENA     Giudice

- Alfio                      FINOCCHIARO   Giudice

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                    MAZZELLA                        "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita                  SAULLE                  "

- Giuseppe                TESAURO                   "

- Paolo Maria            NAPOLITANO             "

- Giuseppe                FRIGO                         "

- Alessandro              CRISCUOLO               "

- Paolo                      GROSSI                       "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c) della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, promosso dal Giudice di pace di San Severino Marche, nel procedimento penale a carico di F.T., con ordinanza del 20 luglio 2009, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Giudice di pace di San Severino Marche, con ordinanza del 20 luglio 2009, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, nella parte in cui non prevedono la «eliminazione» o la trasformazione in illecito amministrativo degli atti contrari alla pubblica decenza, limitatamente all’ipotesi di condotta tenuta per colpa;

che il rimettente procede nei confronti di persona accusata del reato di cui all’art. 726 cod. pen., in quanto sorpresa da agenti di polizia giudiziaria mentre urinava in una pubblica via, esposta alla vista dei passanti e degli abitanti delle case prospicienti;

che il difensore dell’interessato, nelle more dell’udienza dibattimentale, ha depositato un atto contenente «dichiarazioni spontanee» del proprio assistito, ed una memoria nella quale eccepisce l’illegittimità costituzionale della norma cui si riferisce l’imputazione;

che secondo il rimettente «risulta» – tanto dalle relazioni della polizia giudiziaria (acquisite agli atti con il consenso delle parti), quanto dalle dichiarazioni difensive – che l’imputato «ha commesso il fatto per colpa»;

che, sempre secondo l’opinione del giudice a quo, dovrebbe comunque pervenirsi ad una affermazione di responsabilità dell’interessato, poiché la fattispecie contestata, «in base alla sua attuale formulazione», sanzionerebbe anche fatti commessi «per colpa e negligenza»;

che la conclusione pare al rimettente produttiva di conseguenze non compatibili con i principi fissati all’art. 3 Cost.;

che infatti, ed in primo luogo, andrebbe considerato il rapporto di genere a specie esistente tra l’ipotesi contravvenzionale prevista dall’art. 726 cod. pen. e la figura delittuosa delineata all’art. 527 cod. pen. (Atti osceni), la cui condotta tipica «offende più intensamente ed in modo più grave il pudore sessuale»;

che, nonostante la maggior gravità della fattispecie delittuosa, il legislatore, con le censurate norme di depenalizzazione, ha degradato ad illecito amministrativo l’ipotesi colposa di «atti osceni» già sanzionata dal secondo comma dell’art. 527 cod. pen., preservando invece, in assenza di analogo intervento sull’art. 726 cod. pen., la rilevanza penale degli atti «colposi» di offesa alla pubblica decenza;

che dunque, poiché l’autore d’un fatto colposo di atti osceni andrebbe esente da pena, e sarebbe punito invece con sanzione penale l’autore di atti contrari alla pubblica decenza tenuti per colpa, il rimettente censura la scelta legislativa «per irragionevolezza e per disparità di trattamento»;

che, «per gli stessi motivi», sarebbe violato anche l’art. 27 Cost. in relazione ai principi di «colpevolezza» e di «finalità rieducativa della pena»;

che, secondo quanto precisato dal giudice a quo nella parte finale dell’ordinanza di rimessione, l’intervento richiesto alla Corte costituzionale consisterebbe nella «eliminazione della sola ipotesi colposa della contravvenzione per cui è processo», essendo emerso, nel caso di specie, che l’imputato «non ha commesso il fatto con coscienza e volontà»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 1° dicembre 2009;

che, secondo la difesa erariale, la questione dovrebbe essere dichiarata manifestamente inammissibile per l’insufficiente descrizione della fattispecie concreta, posto che il giudice a quo si è limitato ad enunciare la natura colposa del fatto ascritto all’imputato, o la mancanza di «coscienza e volontà» del fatto medesimo (è citata, quale precedente conforme, l’ordinanza della Corte costituzionale n. 228 del 2005, relativa alla stessa questione sollevata dall’odierno rimettente);

che la questione sollevata sarebbe comunque infondata, non potendosi comparare, nella prospettiva del principio di uguaglianza, norme preposte alla tutela di beni giuridici diversi (nel caso degli atti osceni la «verecondia sessuale», e cioè un interesse «più specifico» di quello concernente il sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza).

Considerato che il Giudice di pace di San Severino Marche, con ordinanza del 20 luglio 2009, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, nella parte in cui non prevedono la «eliminazione» o la trasformazione in illecito amministrativo degli atti contrari alla pubblica decenza, limitatamente all’ipotesi di condotta tenuta per colpa;

che sarebbe infatti irragionevole e discriminatorio, dunque in contrasto con l’art. 3 Cost., il perdurante regime di punibilità con sanzione penale delle condotte contrarie alla pubblica decenza che siano tenute per colpa, posto che è stata attuata, invece, la depenalizzazione delle condotte colpose qualificabili come «atti osceni», le quali oltretutto esprimono una maggior capacità offensiva, perché lesive del senso del pudore sessuale;

che, «per gli stessi motivi», sarebbe violato anche l’art. 27 Cost. in relazione ai principi di «colpevolezza» e di «finalità rieducativa» della pena;

che la questione sollevata è manifestamente inammissibile per più ragioni concomitanti;

che il rimettente ha infatti precluso alla Corte qualunque verifica di rilevanza del quesito proposto, omettendo di descrivere la fattispecie concreta e di indicare, in particolare, quali circostanze l’abbiano indotto a qualificare colposa la condotta in contestazione;

che la circostanza è tanto più significativa se si considera che, nel campo dei reati contro la pubblica decenza od il senso comune del pudore, l’atteggiamento negligente od imprudente attiene in genere alla potenziale percezione pubblica del comportamento, più che all’attuazione dello stesso;

che, nondimeno, il rimettente si è limitato ad enunciare la propria valutazione del fatto contestato, esprimendo, per altro, indicazioni contraddittorie;

che infatti il giudice a quo, mentre nella parte iniziale dell’ordinanza di rimessione assume che il fatto sarebbe stato commesso «per colpa», successivamente afferma che l’imputato «non ha commesso il fatto con coscienza e volontà», così evocando una condotta incolpevole, come tale penalmente irrilevante secondo il disposto del primo e del quarto comma dell’art. 42 cod. pen.;

che concorre a determinare la manifesta inammissibilità della questione anche la struttura del quesito sottoposto alla Corte, poiché il rimettente sembra sollecitare sia una pronuncia manipolativa che «trasformi» la fattispecie colposa compresa nell’art. 726 cod. pen. in un illecito amministrativo, sia una pronuncia ablativa che «elimini» il precetto impartito dalla norma codicistica nella sua configurazione colposa, dando vita ad un petitum oscuro o, comunque, segnato dalla prospettazione di soluzioni alternative per il superamento del denunciato vizio di legittimità.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, sollevata – in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione – dal Giudice di pace di San Severino Marche con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 febbraio 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2010.