SENTENZA N. 49
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26, settimo comma, del decreto-legge 7 maggio 1980, n. 153 (Norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980), convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299, promosso con ordinanza emessa il 30 giugno 1992 dal Tribunale di Trani nel procedimento civile vertente tra la S.a.s. A.P.N.A. ed il Comune di Trani, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
l. Nel corso di un procedimento vertente tra la s.a.s. A.P.N.A. ed il Comune di Trani relativa mente ad un'ingiunzione di pagamento emessa da quest'ultimo nei confronti della prima, concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dei diritti sulle pubbliche affissioni, il Tribunale di Trani, con ordinanza emessa il 30 giugno 1992, e pervenuta a questa Corte il 29 aprile 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, settimo comma, del decreto-legge 7 maggio 1980, n. 153 (Norme per l'attività gestionale e finanziaria de gli enti locali per l'anno 1980), convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299, nella parte in cui dispone che in caso di mancato accordo tra il Comune ed il concessionario del servizio di pubbliche affissioni, relativamente alla revisione delle misure dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso convenuti nei contratti in corso, la revisione è demandata alla commissione arbitrale di cui al regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n.36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460.
Rileva il giudice rimettente che la disposizione oggetto del presente giudizio è stata dettata dapprima con l'art. 26 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 662, non convertito in legge; successivamente riprodotta nel decreto-legge 29 febbraio 1980, n. 35, anch'esso non convertito, ed è infine stata riproposta con il decreto-legge 7 maggio 1980, n.153 convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299, il cui art. 2 ha fatto salvi gli atti ed i provvedimenti adottati ed i rapporti giuridici sorti in applicazione dei precedenti decreti-legge.
Essa, pertanto, va applicata alla fattispecie in esame e, tenuto conto della natura finanziaria dei provvedimenti legislativi che la contengono, si sostituisce certamente ad ogni diversa volontà delle parti, ed anche all'art. 18 del capitolato d'oneri della concessione di cui si tratta, che fa divieto assoluto di ricorso all'arbitrato per la soluzione di qualsiasi controversia tra il Comune e la ditta concessionaria.
Circa la non manifesta infondatezza della questione, rileva il giudice rimettente che nella fattispecie si ravvisa un'ipotesi di arbitrato obbligatorio o necessario, essendo esclusa ogni possibilità per le parti di scegliere liberamente di adire il giudice ordinario in luogo degli arbitri: pertanto, sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 2 del 1963; n. 62 del 1968; n. 127 del 1977), la disposizione che lo prevede deve ritenersi contrastante con gli artt. 24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, in quanto è costituzionalmente illegittimo qualsiasi arbitrato che non abbia fondamento nella libera scelta delle parti, intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di agire in giudizio.
Considerato in diritto
l. Il Tribunale di Trani dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.24, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, dell'art.26, settimo comma, del decreto legge 7 maggio 1980, n.153(Norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980), convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299, nella parte in cui dispone che in caso di mancato accordo tra il Comune ed il concessionario del servizio di pubbliche affissioni, relativamente alla revisione delle misure dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso convenute nei contratti in corso, la revisione è demandata alla commissione arbitrale di cui al regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n.36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460.
Ritiene il giudice rimettente che detta disposizione, introducendo una forma di arbitrato obbligatorio, confligga con il diritto di azione in giudizio e correlativo esercizio di cui all'art. 24, primo comma, della Costituzione, e con la riserva della funzione giurisdizionale ai giudici ordinari, di cui all'art. 102, primo comma, della Costituzione.
2. La questione è fondata.
Già con sentenza n. 35 del 1958 questa Corte ebbe a negare la necessità, ai fini della decisione su questione analoga alla presente, di dare soluzione al "problema, tuttora aperto e dibattuto, sui rispettivi caratteri e sui rapporti di somiglianza o di differenza concettuale" fra le figure dell'arbritato obbligatorio e della giurisdizione speciale. "La semplice constatazione (...) che una norma determina necessariamente la esclusione della competenza delle autorità giurisdizionali ordinarie rispetto a tutta una serie di controversie, e pertanto incide sulla giurisdizione, in senso negativo, è più che sufficiente a dimostrare la illegittimità costituzionale di essa".
Con successiva sentenza n. 127 del 1977 è stato ripetuto che il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, perchè "solo questa scelta (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, primo comma, della Costituzione) può derogare al precetto contenuto nell'art. 102, primo comma, della stessa".
Più recentemente (sentenza n. 488 del 1991) questa Corte ha avuto modo di riaffermare gli stessi concetti. Occorre pertanto ribadire anche nella presente occasione che l'arbitrato è costituzionalmente legittimo solo nelle ipotesi in cui la fonte dell'obbligatorietà sia non eteronoma rispetto alle parti, bensì conseguente alla concorde volontà delle stesse di vincolarsi a derogare al fondamentale principio della statualità della giurisdizione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 26, settimo comma, del decreto-legge 7 maggio 1980, n. 153 (Norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980), convertito nella legge 7 luglio 1980, n. 299.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 23/02/94.