Sentenza n. 20 del 1978
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SENTENZA N. 20

ANNO 1978

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 14 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), promossi con le ordinanze emesse l'11 aprile 1975 dalla Commissione ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti, sui ricorsi della ditta Dr. Madaus & Co., della United States Borax and Chemical Corporation, della Rohm & Haas G.m.b.H., della Fisons Pharmaceutical Ltd., della Lovens Kemiske Fabrik Productionsaktienselkab, della Kyowa Hakko Kogyo Co. Ltd., della I.S.F. spa., della Farbwerke Hoechst Aktiengesellschaft, della Ciba Societé anonyme, della Astra Pharmaceutical Products Inc., della Smith Kline & French Laboratories, della The Upjohn Company, della Beecham Group Limited, della Ugine Kuhlmann, della Rhone-Poulenc s.a., iscritte ai nn. 549, 550, 551, 552, 553, 554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 565 e 566 dell'anno 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1976.

Visti gli atti di costituzione della ditta Dr. Madaus, della Fisons Pharmaceutical, della Lovens Kemiske, della I.S.F., della Farbwerke Hoechst, della Ciba, della Astra Pharmaceutical, della Smith Kline, della The Upjohn Company, della Beecham Group Limited, della Rhone-Poulenc, nonché gli interventi della società Farmaceutica Italia s.p.a. e Soc. Carlo Erba, e dell'Associazione Industrie Chimiche e Farmaceutiche (Assofarma);

udito nell'udienza pubblica del 9 novembre 1977 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi gli avvocati Arturo Carlo Jemolo per l'Astra Pharmaceutical; Remo Franceschelli per la Ciba Socié té anonyme; Enzo Capaccioli per la ditta Dr. Madaus, per la Fisons Pharmaceutical, per la Lovens Kemiske, per la I.S.F., per la Farbwerke Hoechst, per la Smith Kline e per la The Upjohn Company.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Commissione ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti, adita separatamente da ditte di varia nazionalità (Ciba Societé anonyme, Dr. Madaus & Co., Lovens Kemiske Productionsaktienselkab, Rohm & Haas G.m.b.H., Smith Kline & French Laboratories, Ugine Kuhlmann, due volte ricorrente, The Upjohn Company, United States Borax and Chemical Corporation, Beecham Group Limited, Farbwerke Hoechst Aktiengesellschaft, due volte ricorrente, Kyowa Hakko Kogyo Co. Ltd., Fisons Pharmaceutical Ltd., RhonePoulenc s.a., I.S.F. s.p.a., due volte ricorrente, Astra Pharmaceutical Products Inc.), le quali chiedevano riforma di decisione negativa circa la brevettazione di prodotti considerati di uso farmaceutico, sollevava, con diciotto analoghe ordinanze emesse l'11 aprile 1975, questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, che appunto fa divieto di brevettare i medicamenti ed i processi diretti a produrli, con riferimento agli artt. 3, 9, 41, 42 e 43 della Costituzione.

Osservava la Commissione che il sistema legislativo (articoli 7, 23, 27, comma secondo, 35, 38, comma secondo, 39 del regio decreto citato) fa dipendere il pieno riconoscimento dei diritti dell'inventore dal positivo esito del procedimento di brevettazione; prospettava quindi il dubbio di un contrasto fra l'art. 14, il quale appunto esclude la possibilità di brevettare i processi ed i prodotti medicamentosi, e l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificato sacrificio di diritti anche di particolare valore morale che determinerebbe.

Ritenendo poi fondamento del diritto patrimoniale dell'inventore il compenso per il progresso tecnico apportato, secondo un indirizzo largamente accolto, sarebbe evidente il contrasto fra il detto art. 14 e l'art. 9 della Costituzione, atteso che il divieto che il primo stabilisce intralcerebbe la ricerca scientifica e tecnica nel campo dei medicamenti, dissuadendo l'industria farmaceutica dall'effettuarvi i necessari investimenti.

Considerando invece il brevetto come strumento necessario per l'individuazione di un bene immateriale e per l'attribuzione di esso all'ideatore o ad altri aventi diritto, si dovrebbe concludere che il divieto di brevettare viene ad impedire un conveniente regime giuridico dell'idea innovativa relegandola fra le cose di nessuno, in contrasto con quanto prescrive l'art. 42 della Costituzione, secondo cui i beni aventi rilevanza economica sono pubblici o privati.

Sarebbe inoltre ravvisabile un contrasto con gli artt. 41 e 43 della Costituzione in quanto il sistema legislativo sottrarrebbe all'iniziativa economica privata (da cui sarebbe indissociabile la pertinente attività di ricerca) un intero settore senza devolverlo alla iniziativa pubblica.

Né la normativa impugnata potrebbe trovare fondamento nell'art. 32 della Costituzione medesima atteso che la tutela della salute non potrebbe comportare mancata remunerazione dell'inventore di processi o prodotti medicinali, sia costui lavoratore indipendente o dipendente, ed ancor meno il sacrificio della ricerca scientifica che ne é condizione indispensabile.

2. - Si costituivano in giudizio la ditta Dr. Madaus & Co., la Lovens Kemiske Fabrik Productionsaktienselkab, la Smith Kline & French Laboratories, la Upjohn Company, la Beecham Group limited, la Farbwerke Hoechts Aktiengesellschaft, la Fisons Pharmaceutical Ltd., la I.S.F. s.p.a., presentando analoghe deduzioni. Nel ribadire i motivi di dubbio prospettati nell'ordinanza del giudice a quo, richiamavano i precedenti storici dell'attuale normativa e le proposte di riforma provenienti dal Governo e da singoli parlamentari. Il sistema attuale contrasterebbe con le esigenze della Comunità europea, con molteplici trattati conclusi recentemente dall'Italia ed inoltre con le indicazioni della stessa legge che ha approvato il programma economico nazionale per il quinquennio 1966-1970 e del c.d. "Progetto 80"; creerebbe un'ingiustificata discriminazione ai danni dell'inventore di prodotti e processi produttivi farmaceutici, violando il diritto di scegliere un'attività lavorativa socialmente utile garantita dall'art. 4, secondo comma, della Costituzione.

Si costituiva altresì la S.A. Rhone-Poulenc che, sviluppando gli argomenti già evidenziati nell'ordinanza introduttiva del giudizio, li suffragava con indicazioni storiche, comparatistiche, desunte dal diritto comunitario e dai trattati conclusi dal nostro paese, analoghe a quelle svolte dalle ditte poc'anzi menzionate.

Si soffermava, fra l'altro, sull'esigenza di ritenere la proprietà sul bene immateriale garantita dalla Costituzione, nell'interpretare la quale non si potrebbe prescindere dal sistema legislativo, dai concetti pacificamente accolti nella giurisprudenza e nella dottrina italiana ed europea al momento in cui venne elaborata ed approvata.

Si costituiva anche la ditta Astra Pharmaceutical Products Inc., la quale svolgeva argomentazioni strettamente analoghe a quelle della Rhone-Poulenc, aggiungendo alcuni rilievi sull'inattendibilità della tesi secondo cui la concessione del brevetto comporterebbe un aumento dei costi oltre che sulle distorsioni strettamente connesse al regime attuale.

Il sistema brevettuale sarebbe idoneo a determinare una equa distribuzione dei costi medesimi fra gli imprenditori. Dispiegherebbe ulteriori effetti benefici, stimolando una riduzione delle spese pubblicitarie, attualmente esorbitanti data l'impossibilità di distinguere diversamente che attraverso il marchio il proprio prodotto da quello altrui; consentendo alle imprese che svolgono proficuamente ricerca scientifica di ampliare la produzione e di ridurre quindi l'incidenza delle spese generali.

Tenuto conto del fatto che una certa invenzione può avere diversi impieghi si verificherebbe attualmente, almeno nella prassi, l'assurdo di considerarla brevettabile o non a seconda se viene presentata da una ditta farmaceutica o di altra natura.

Si costituiva infine la Ciba Societé anonyme aderendo alle censure prospettate nell'ordinanza introduttiva del giudizio; rilevando segnatamente che il divieto di brevettare invenzioni attinenti ai medicinali venne introdotto per la prima volta in legge piemontese del 1855 per motivi del tutto estranei alla presente realtà storica: per il timore cioè che da una eventuale brevettazione (non idonea di per sé a garantire l'effettiva bontà del farmaco) potessero trarre illecito vantaggio i ciarlatani, i segretisti, all'epoca a quel che sembra ancora numerosi ed in grado di nuocere. Non sussistendo ancora tale pericolo non si vedrebbe perché il divieto dovrebbe essere mantenuto; tanto più che le ulteriori giustificazioni addotte (in seguito) a suo sostegno sarebbero contrarie alla realtà. La eliminazione del brevetto non precluderebbe la possibilità di utilizzare in segreto una scoperta e dunque non escluderebbe il monopolio di fatto, tanto più nocivo in quanto non razionalizzato e limitato da norme giuridiche.

Sosteneva, inoltre, che il principio di eguaglianza sarebbe violato non solo per la carente tutela del diritto ad essere riconosciuto inventore, ma anche per il diverso trattamento economico riservato all'inventore di medicinali rispetto a qualsiasi altro; ed inoltre perché lo stesso ritrovato (idoneo a più di un impiego) potrebbe essere o non materia di brevetto anche in base a valutazioni relative alla natura del soggetto richiedente ed alla attività che svolge, con ingiustificato vantaggio per quelle ditte che svolgono attività in settori diversi da quello farmaceutico.

3. - Intervenivano la Società farmaceutica Italia s.p.a. e la Soc. Carlo Erba, estranee ai procedimenti innanzi alla Commissione ricorsi, le quali illustravano e corroboravano con nuovi argomenti i dubbi di incostituzionalità prospettati nell'ordinanza introduttiva del giudizio, evidenziando anche profili e termini ulteriori della questione. Un contrasto fra diritto di sfruttamento esclusivo ed interesse generale potrebbe essere affermato solo fraintendendo la funzione del brevetto, che non si limita a garantire un diritto al singolo ma é innanzi tutto strumento di ripartizione e distribuzione dei costi dellaricerca.

L'inventore di processi o prodotti farmaceutici verrebbe inoltre ad essere svantaggiato ingiustificatamente rispetto a colui che esplica le sue capacità di ricerca in settori diversi e privato del frutto del suo lavoro in evidente contrasto con quanto dispongono gli artt. 4, 35, primo comma, 36, primo comma, della Costituzione. Ne risulterebbe violato anche l'art. 42 della Costituzione medesima secondo cui la proprietà privata é "riconosciuta e garantita" ed alla cui stregua quindi dovrebbero essere tutelate innanzi tutto le sue manifestazioni più naturali fra cui dovrebbe annoverarsi l'appropriazione del frutto del proprio ingegno e della propria attività di ricerca. Interveniva inoltre l'Associazione Industrie Chimiche e Fermaceutiche (Assofarma), anch'essa estranea ai procedimenti innanzi alla Commissione ricorsi, che, aderendo ai rilievi già contenuti nella ordinanza di rimessione, criticava, fra l'altro, alcuni fra gli argomenti più di frequente addotti a sostegno della vigente normativa. Il costo della ricerca inevitabilmente si ripercuoterebbe sul prezzo, pur in regime di non brevettabilità. Per eliminare la rendita del monopolista sarebbe a disposizione dello Stato un preciso e specifico strumento - del resto già in opera - e cioè appunto il controllo dei prezzi. Il sistema attuale, d'altra parte, svantaggerebbe senza motivo valido i ricercatori farmaceutici rispetto agli altri.

4. - Con successive memorie e nella discussione orale - nel corso della quale non predevano la parola gli interventori - le parti costituite ribadivano i rilievi già svolti e le conclusioni prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le diciotto ordinanze propongono questioni attinenti alla stessa normativa. Pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

2. - Deve essere preliminarmente dichiarata - in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte - l'inammissibilità degli interventi proposti per la Società Farmaceutica Italia s.p.a. (Farmitalia), per la Società Carlo Erba s.p.a. e per la Associazione tra Industrie Chimiche e Farmaceutiche (Assofarma).

3. - É poi da chiedersi se l'oggetto della questione di legittimità costituzionale, proposta nei confronti dell'art. 14 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (ma che deve intendersi diretta al primo comma di questa disposizione), includa anche il divieto di brevettazione dei procedimenti per la fabbricazione di medicinali. Com'é noto, infatti, l'art. 16 del r.d. 13 settembre 1934, n. 1602, ammetteva la concessione delle privative industriali per i processi usati nella produzione dei medicamenti. Peraltro l'art. 16 e le altre disposizioni di questo regio decreto non entrarono mai in vigore, giacché non fu emanato il regolamento alla cui pubblicazione l'art. 134 del predetto decreto condizionava l'entrata in vigore delle disposizioni in esso contenute. D'altra parte sopravveniva il r.d.l. 24 febbraio 1939, n. 317, che, mentre delegava il governo ad emanare una disciplina organica, tra le altre, in materia di brevetti per invenzioni industriali "integrando, modificando, sopprimendo" le disposizioni del r.d. n. 1602 del 1934, disponeva nell'art. 2 che "fosse differita" l'attuazione dell'art. 16, comma secondo, riguardante le invenzioni dei processi per medicamenti. Questa Corte, chiamata a giudicare della illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma primo, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, per eccesso di delega, dichiarava non fondata la questione con sent. n. 37 del 1957, ritenendo che il divieto di brevettazione previsto dall'art. 14, comma primo, anche per i procedimenti di fabbricazione, costituisse l'immediata e doverosa conseguenza del differimento di attuazione dell'art. 16, comma secondo, del r.d. n. 1602 del 1934 (come é confermato dalla sent. n. 42 del 1958, al punto 4 del considerato in diritto). Tuttavia, secondo la motivazione della sent. n. 37 del 1957, il principio della brevettabilità dei procedimenti industriali per la produzione dei medicamenti ("legislativamente accolto, ma in una legge mai entrata in vigore") non era negato nemmeno dal divieto di brevettazione ex art. 14, comma primo, del r.d. n. 1127 del 1939: e si concludeva che "dato il rinvio di una disciplina definitiva ad un tempo successivo, in base alla riserva contenuta nel più volte citato art. 5 del r.d. 24 febbraio 1939, n. 317 - e riannodandosi appunto a tale riserva - il legislatore potrà riprendere eventualmente in esame l'intera materia".

Si deve ora constatare che malgrado diversi tentativi effettuati nel ventennio trascorso con la presentazione di vari disegni di legge alle Camere, la situazione normativa del settore é rimasta invariata: e che al principio legislativamente accolto nel 1934, e la cui attuazione fu sospesa "sine die" con la legge delega del 1939, n. 317, non può riconoscersi alcuna operatività, nemmeno a livello interpretativo, trattandosi, appunto, di un "principio" rimasto privo dell'atto, che, entrando in vigore, avrebbe potuto immetterlo, sia pure con efficacia differita, nell'ordinamento giuridico italiano.

4. - Nel merito la questione é fondata.

É utile ricordare che l'origine del divieto di brevettazione dei prodotti farmaceutici si trova nelle deliberazioni del Parlamento subalpino sul progetto legislativo in tema di privative industriali, divenuto poi legge 12 marzo 1855, n. 782, più conosciuta attraverso il provvedimento con cui fu estesa alla Lombardia (r.d. 30 ottobre 1859, n. 3731). L'art. 6 di questo testo conteneva una esclusione, introdotta su proposta del deputato Luigi Carlo Farini, secondo la quale non potevano costituire "argomento di privativa... i medicamenti di qualunque specie". Veramente, già nel dibattito della Camera dei deputati, appare difficile cogliere una univoca ratio legis di questa disposizione, che contrastava con la linea del progetto governativo e con quella difesa dalla Commissione parlamentare. I due motivi fatti valere più direttamente dal Farini si fondavano sulla opportunità di evitare che ciarlatani, speziali e "segretisti" profittassero dell'attestato di privativa per smerciare prodotti non utili alla salute, e, meno coerentemente, sulla intenzione di rinviare la disciplina della materia ad un "codice sanitario ed igienico" che già si stava approntando.

Peraltro, sia negli interventi del Farini che in quelli dei deputati consenzienti con la sua proposta, emergeva anche la preoccupazione per il "rincarimento cagionato dalla privativa" e l'idea che allo scopritore - inventore - filantropo, il quale dispensa a tutti gli uomini il frutto delle sue ricerche a rimedio della fisica fragilità, non spetti nessuna forma di remunerazione economica, salvo quei premi che i corpi rappresentativi avrebbero immancabilmente deliberato a favore di chi arrecasse davvero "un segnalato benefizio" in questo campo.

Si sono rievocati i molteplici e, per così dire, giustapposti motivi del voto che ebbe luogo il 5 dicembre 1854 nella Camera dei deputati del regno sardo (ed ebbero qualche peso anche i timori dei farmacisti torinesi per la preparazione dei medicamenti nelle farmacie), perché le incertezze circa la ratio legis, se fino alla entrata in vigore della Costituzione repubblicana ed in particolare del suo art. 3, primo comma, facevano sorgere più di un dubbio circa la saggezza della via prescelta dal legislatore (ed erano perciò argomento di politica legislativa), a partire dal 1 gennaio 1948 potevano dar luogo ad una questione di legittimità costituzionale, risultando inadeguati ad offrire un idoneo fondamento giustificativo alla deroga che la disposizione dell'art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 dispone nei confronti della disciplina generale in tema di brevetti per invenzioni industriali. La possibilità di prospettare in termini di costituzionalità, nell'ambito dell'art. 3, primo comma, Cost., la questione che prima si poneva in termini di opportunità, é confermata dal modo come Antonio Scialoja, commissario regio per il dibattito alla Camera, riassumeva nella sua relazione al progetto governativo l'essenza del problema: "...se egli é vero che l'inventore di un processo acconcio a guarentire dal deperimento una materia qualunque ha diritto a conseguire una privativa, per qual motivo dovrebbe essere spogliato di simil diritto l'inventore di una medicina atta a conservare la vita dell'uomo?".

5. - Nell'ordinanza della Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio centrale brevetti la prima anomalia, che darebbe luogo a violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., consisterebbe nella impossibilità per l'inventore di medicamenti nuovi o di nuovi procedimenti per la fabbricazione di medicinali di vedere formalmente e pienamente riconosciuta "erga omnes" la paternità della sua invenzione ove gli fosse precluso l'ottenimento del brevetto, residuando a vantaggio suo e degli altri aventi diritto forme di tutela di certo meno piene ed appaganti.

In realtà, anche da altri passi dell'ordinanza (vedi nel penultimo periodo il confronto tra gli inventori nel campo farmacologico ed ogni altro operatore economico, dipendente o indipendente) si trae che la violazione del principio del pari trattamento viene eccepita partendo da un profilo più comprensivo, e cioè in rapporto sia alla tutela del diritto personale dell'inventore sia alle situazioni economiche di vantaggio cui dà luogo la esclusiva derivante dal brevetto.

Ammessa come pacifica l'esistenza del tertium comparationis riguardo alle invenzioni nel settore farmaceutico, consistente nel più vasto genere delle invenzioni industriali di cui al r.d. n. 1127 del 1939 ed agli artt. 2584 - 2591 del codice civile, deve dirsi che il motivo di deroga per le invenzioni in materia farmaceutica (carattere ulteriore della specie rispetto al genere, e cioé, in ipotesi, finalizzazione alla tutela sanitaria) non presenta la nota necessaria della esclusività. Non si vede perché, in effetti, avendo presenti le stesse finalità, il legislatore non si sia dato cura di escludere dalla brevettabilità le invenzioni in materia alimentare o, più ancora, quelle relative a presidi medico-chirurgici (dalle incubatrici pediatriche ai pace-maker). In secondo luogo, non appaiono ormai corrispondenti a realtà i motivi più specificamente addotti per la deroga. Non il timore di agevolare ciarlatani, speziali e segretisti da quando la produzione dei medicinali ha superato le arcaiche condizioni che potevano (in ipotesi) facilitare quel tipo di sfruttamento della credulità popolare (senza che si possa escludere l'odierno uso di mezzi più sottili per sviare la pubblica opinione con la pubblicità, uso, tuttavia, favorito, anziché ostacolato, dal divieto di brevettazione).

Né corrisponde a realtà la preoccupazione di favorire (o di non impedire) il "rincarimento" dei prezzi dei medicinali come conseguenza dei diritti di esclusiva a profitto di chi detiene il brevetto, perché i prezzi dei prodotti farmaceutici sono determinati e modificati di imperio sia in base alle leggi sanitarie sia per effetto della normativa sul Comitato interministeriale prezzi (cfr. da ultimo per il C.I.P. art. 33 d.l. 26 ottobre 1970, n. 745). Del resto, l'esperienza degli altri paesi, nei quali é ammessa la brevettabilità dei prodotti farmaceutici (o quanto meno dei procedimenti di fabbricazione), dimostra come non sia possibile stabilire un legame di causa-effetto tra brevettabilità e livello dei prezzi, risultando ovunque il mercato dei medicinali largamente corretto da interventi autoritativi, che debbono tener conto non solo del costo delle materie prime e della mano d'opera, del normale profitto e della spesa di confezionamento, ma pure della possibile diffusione del farmaco, dell'incidenza della ricerca, nonché di altri fattori più peculiari.

Quanto alla rarefazione del prodotto, derivante dal calcolo speculativo del titolare della esclusiva, soccorrerebbe comunque l'art. 52 della legge sui brevetti (che prevede un onere di attuazione nel territorio dello Stato "in misura tale da non risultare in grave sproporzione con i bisogni del paese") nonché l'art. 54 della stessa legge nel nuovo testo disposto dall'art. 1 del D.P.R. 26 febbraio 1968, n. 849.

Ma é da chiedersi, da vari punti di vista, se la disciplina derogativa sia congrua rispetto all'interesse generale quale emerge a questo proposito dalla normativa della Costituzione.

Tale interesse deve ravvisarsi nella tutela della salute (art. 32, primo comma) e ad esso devono coordinarsi, quali mezzi al fine, la disciplina del prezzo dei medicinali, la loro presenza sul mercato in quantità sufficiente, ed infine, ma non certo come ultimo fattore, la ricerca scientifica e tecnica organizzata nell'ambito dell'industria farmaceutica. Naturalmente, il coordinamento di questi fattori, perché sia raggiungibile l'obbiettivo di interesse generale rappresentato dalla tutela della salute pubblica, deve risultare equilibrato, non sacrificandosi dunque in misura grave nessuno di essi. Ma la disciplina attuale sacrifica appunto la componente della ricerca scientifica e tecnica, essenziale ormai per assicurare l'ulteriore progresso nel settore della produzione farmaceutica.

La necessità di "promuovere" la ricerca (art.9 Cost.), cioè di predisporre per l'avvenire le condizioni idonee alla sua esplicazione ed al suo sviluppo, é in contrasto radicale con la deroga dell'art. 14, primo comma, della legge n. 1127 del 1939.

E ciò per almeno due ragioni, che sarebbero superabili soltanto se si conservasse una concezione non aggiornata della funzione del brevetto. In effetti si é fin qui contrapposto l'interesse dell'inventore a sfruttare in regime di esclusiva il suo ritrovato all'interesse della collettività ad una libera utilizzazione di questo: ma si dimentica con ciò che una delle finalità del conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione é quella di incentivare la ricerca, coprendo innanzitutto le ingenti spese che comporta la sua organizzazione ed il suo svolgimento. Spetterà poi all'autorità che stabilisce i prezzi valutare quale margine di guadagno, al di là della copertura di questi e di altri costi, debba spettare al titolare del brevetto. In altre parole, una volta superata dal progresso tecnico la fase "individualistica" dell'attività inventiva, é chiaro che o la ricerca é finanziata da organismi pubblici (come tendenzialmente avviene nel campo della ricerca pura), o il finanziamento della ricerca scientifico-tecnica si realizza anche mediante i diritti di brevetto, peraltro di temporanea durata. Inoltre, da un secondo punto di vista, il contrasto con l'art. 9 Cost. viene a coincidere con una specifica violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione: in realtà l'art. 14, primo comma, non solo non concorre a promuovere la ricerca, ma pone in condizione di svantaggio le imprese che organizzano la ricerca stessa rispetto a quelle che si avvalgono, puramente e semplicemente, della possibilità di imitare le invenzioni altrui, realizzate in Italia ed all'estero. In definitiva, nell'ambito del nostro ordinamento, si verificano insieme la disincentivazione della ricerca e la violazione dell'art.3, primo comma, Cost., giacché vengono trattate in modo eguale situazioni profondamente diverse. Né si può riparare al trattamento eguale di situazioni diseguali con la fissazione autoritativa dei prezzi, perché questi, per intrinseca necessità, non possono certo essere differenziati a vantaggio dell'impresa che ha organizzato la ricerca da cui é derivata l'invenzione del prodotto farmaceutico o del processo di fabbricazione.

Infine la non congruità con l'interesse generale alla tutela della salute viene in evidenza ove si consideri la sproporzione tra il mezzo prescelto (divieto di brevettazione) e la possibilità di soddisfare quell'interesse con mezzi più rispettosi del principio di eguaglianza. In effetti l'ordinamento italiano non ignora l'espropriazione dei diritti di brevetto per ragioni di pubblica utilità (art. 60, primo comma) nonché il sistema delle licenze obbligatorie (artt. 54 e ss. r.d. n. 1127 del 1939, modificato dal D.P.R. 26 febbraio 1968, n. 849), soluzioni che presuppongono entrambe la brevettabilità dell'invenzione: in ogni caso, specie con riguardo a quest'ultimo istituto, il legislatore ben potrà introdurre i necessari adattamenti, prevedendo, a somiglianza di quanto é disposto in altri paesi europei, forme speciali di licenza obbligatoria non esclusiva, indipendentemente dallo stato di attuazione della invenzione brevettata; e ciò appunto per conseguire, anche con procedure particolarmente celeri, l'interesse primario consistente nella tutela della salute pubblica.

Si potrebbe osservare a questo punto che solo con il divieto stabilito dall'art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 si può anticipare quella situazione di generale utilizzabilità del prodotto farmaceutico o del processo di fabbricazione (c.d. dominio pubblico del bene immateriale) che normalmente segue all'esaurimento del periodo di durata del brevetto. Ma si può replicare che questo é solo un altro modo di porre il problema più generale cui si é fatto cenno: se l'istituto del brevetto é ritenuto socialmente utile in settori assai delicati della vita collettiva, é necessario che risultino ragionevoli motivi di differenziazione per escludere tale utilità nel settore farmaceutico. Al contrario, si é dovuto constatare il venir meno di ogni motivo specifico a tale riguardo; l'attuale normativa anzi, oltre alle disparità segnalate, solleva anche la difficoltà pratica di rendere rapidamente noti (in assenza di pubblicità collegata al brevetto) taluni più delicati procedimenti di fabbricazione.

Va poi precisato che la obsolescenza dei motivi di trattamento derogatorio con riflessi di ordine propriamente costituzionale in relazione al criterio della "corrispondenza a realtà" (giustamente accolto ai fini del controllo del rispetto del principio di eguaglianza), si é verificata ben più tardi della entrata in vigore della Costituzione repubblicana, specie per quanto riguarda la giustificatezza della deroga in ordine ai prodotti medicinali (mentre per i processi di fabbricazione, oltre alle oscillazioni giurisprudenziali in tema di brevettabilità in periodi precedenti la sent. n. 37 del 1957 di questa Corte, si era da tempo rafforzata, anche a livello di iniziativa legislativa, la tendenza ad un allineamento con la soluzione accolta nelle legislazioni di quasi tutti i paesi dell'ONU). In realtà, negli ultimi anni la presa di coscienza della sopravvenuta mancanza di ogni fondamento razionale della deroga é cresciuta di pari passo con l'affermarsi del valore della ricerca scientifico-tecnica e del dovere della Repubblica di promuoverla; con la più elevata capacità dell'industria farmaceutica italiana di organizzare la ricerca, anche in rapporto alle condizioni di competitività con quella degli altri paesi; ed infine con le più intense relazioni con i mercati esteri, particolarmente nell'ambito degli stati appartenenti alla organizzazione del Consiglio d'Europa ed a quella della Comunità economica europea (come é attestato dalle convenzioni stipulate dal governo italiano, tutte orientate a restringere o a eliminare radicalmente la possibilità di vietare la brevettazione in singoli settori).

6. - A quelle già esaminate, l'ordinanza aggiunge un'altra censura concernente l'art. 14, primo comma, r.d. n. 1127 del 1939 per violazione degli artt. 42 e 43, Cost. In particolare, le invenzioni farmaceutiche formalmente non sarebbero in proprietà di alcuno, contravvenendosi così al sistema chiuso ex art. 42, primo comma, Cost., secondo il quale i beni economici sono di proprietà pubblica o privata. Secondo altra interpretazione dell'ordinanza, poi, la violazione dell'art. 42 si riferirebbe alla generale utilizzabilità delle invenzioni non brevettabili ex art. 14, primo comma, r.d. n. 1127 del 1939 (uso indifferenziato da parte di ognuno), perché ciò presupporrebbe in ogni caso la precedente attribuzione del diritto di proprietà ad un soggetto di diritto pubblico.

Ma la peculiarità della categoria dei beni immateriali, suscettibili di simultaneo e plurimo godimento (del resto lo stato di res communis omnium é quello definitivo di tutte le invenzioni, siano esse brevettabili o meno) sconsiglia ogni meccanica inserzione negli schemi della proprietà privata o pubblica ex art. 42, primo comma, Cost. anche se per taluni aspetti l'assimilazione é possibile: così per l'espropriazione dei diritti di brevetto, prevista dagli artt. 60 e ss. del r.d. n. 1127 del 1939.

Ciò premesso, le censure motivate da violazione degli articoli 42 e 43 Cost, debbono comunque considerarsi assorbite.

7. - Dalle considerazioni che precedono emerge pertanto il contrasto tra l'art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 per quanto riguarda la par condicio degli autori di invenzioni industriali, in ordine alla piena tutela del diritto personale al riconoscimento della paternità dell'invenzione; e risulta pure, in parallelo, che la precitata norma viola il combinato disposto degli artt. 3 e 41, Cost., in quanto svantaggia gli imprenditori del settore produttivo farmaceutico (nonché alcuni imprenditori di questo nei confronti dei loro concorrenti) rispetto agli imprenditori di altri comparti, impedendo che operino a loro favore le previsioni normative contenute negli artt. 23, secondo comma, e 24 del r.d. n. 1127 del 1939. Di riflesso sono posti in condizione deteriore gli autori di invenzioni industriali dipendenti dai datori di lavoro nel settore farmaceutico, non potendo essi, a seguito del divieto di brevettazione, acquisire l'equo premio o il corrispettivo che la normativa vigente ricollega all'ottenimento del brevetto.

Resta altresì confermato il contrasto tra l'art. 14, primo comma, del testo unico sui brevetti e l'art. 9 della Costituzione, nella parte in cui prevede il dovere della Repubblica di promuovere la ricerca scientifica e tecnica.

Non spetta, com'é ovvio, a questa Corte suggerire provvedimenti conseguenziali a questa pronunzia; sarà il legislatore a valutare se si renda necessario assicurare in via transitoria una tutela a quegli inventori che, vigendo il divieto di brevettazione, non abbiano nemmeno presentato la relativa domanda, sicché si sia verificata una situazione ammissibile per certi aspetti a quella del preuso; e se occorra, sempre in via transitoria, tutelare in qualche misura coloro che, vigendo la normativa di non brevettabilita, abbiano operato investimenti in strutture dell'industria farmaceutica, sulla base dell'affidamento che nasceva dalla esistenza stessa di quella normativa.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale del comma primo dell'art. 14 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127: "Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali".

Così deciso, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1978.

 

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE

 

Giovanni  VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 marzo 1978.