SENTENZA
N. 192
ANNO
2015
Commento alla
decisione di
Guglielmo Leo
per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Alessandro
CRISCUOLO
Presidente
-
Giuseppe
FRIGO
Giudice
-
Paolo
GROSSI
”
-
Giorgio LATTANZI
”
-
Aldo
CAROSI
”
-
Marta
CARTABIA
”
- Mario
Rosario MORELLI
”
-
Giancarlo
CORAGGIO
”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana
SCIARRA
”
-
Daria
de
PRETIS
”
-
Nicolò
ZANON
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge
8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici,
interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta
dell’autorità giudiziaria), dell’art. 106-bis del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia −
Testo A), come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), e
dell’art. 1, comma 607, della legge
n. 147 del 2013, promossi dal Tribunale ordinario di Grosseto con ordinanza
del 14 marzo 2014 e dal Tribunale ordinario di Lecce con ordinanze del 21 e del
28 maggio e del 17 giugno 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 121, 177 e 216
del registro ordinanze 2014 e al n. 14
del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 30, 44 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2014 e n. 8,
prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito
nella camera di consiglio
dell’8 luglio 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 14 marzo
2014 (r.o. n. 121 del 2014) il Tribunale ordinario di Grosseto, in composizione
monocratica, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio
2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia − Testo A), come introdotto dall’art.
1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge
di stabilità 2014), nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo
dei compensi spettanti all’ausiliario del magistrato.
Il rimettente riferisce che,
nell’ambito del giudizio a quo, gli imputati erano stati ammessi al
patrocinio a spese dell’Erario. Poiché tuttavia tale ammissione
non risultava al momento dagli atti, il provvedimento di liquidazione dei
compensi in favore di un perito psichiatra era stato adottato, in data 14 febbraio
2014, secondo le tariffe ordinarie, cioè senza tener conto della
diminuzione stabilita dall’art. 106-bis del Testo unico in materia di
spese di giustizia. Il giudice a quo ritiene, di conseguenza, che il
provvedimento di liquidazione dovrebbe essere modificato, riducendo
l’entità del compenso. Prima di procedere in tal senso, tuttavia,
il rimettente solleva l’odierna questione, sul presupposto che
l’obbligatoria riduzione sarebbe prescritta in violazione dell’art.
3 Cost., ed in particolare dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e
proporzionalità.
Data la natura officiosa degli incarichi
loro affidati, gli ausiliari del magistrato non si troverebbero in una
posizione assimilabile a quella dei difensori, dei consulenti di parte o degli
investigatori privati, essendo piuttosto in una condizione analoga a quella dei
pubblici dipendenti che operano nel processo (magistrati, personale di
cancelleria, agenti di polizia giudiziaria), la cui retribuzione non è
certo condizionata, né razionalmente potrebbe esserlo, dall’intervento
dell’Erario per il pagamento delle spese di patrocinio.
Una violazione del principio di
uguaglianza si riscontrerebbe anche riguardo al trattamento discriminatorio
introdotto tra ausiliari chiamati ad identiche prestazioni, in base al dato del
tutto estrinseco dell’intervenuta ammissione di una parte del processo al
patrocinio a spese dello Stato.
Vi sarebbe anche un più generale
connotato di irrazionalità della disciplina, poiché la riduzione
de qua interviene su criteri di computo già comunemente ritenuti
inadeguati, per difetto, all’impegno richiesto per le prestazioni di
perizia o di interpretariato. Sarebbe dunque aggravata la difficoltà,
già molto seria, di coinvolgere soggetti professionalmente affidabili,
nell’interesse della giustizia, al fine di procurare le necessarie
prestazioni di consulenza.
Il giudice a quo sostiene che la
questione sarebbe rilevante, perché dall’esito del giudizio
incidentale discenderebbe la necessità, o non, del prospettato decreto
di riduzione della somma liquidata. Dato il tenore univoco della disposizione
censurata, d’altra parte, non vi sarebbero margini per una
interpretazione adeguatrice che eviti l’effetto lesivo denunciato.
2.– È intervenuto nel
giudizio, con atto depositato il 5 agosto 2014, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
Lo Stato avrebbe valutato nella cifra di
circa 10 milioni di euro il risparmio annuo determinato dalla norma censurata,
la quale dunque sarebbe posta a tutela dell’equilibrio di bilancio, nel
rispetto dei principi di cui agli artt. 81, primo comma, e 117, terzo comma,
Cost. Inoltre, l’indicata riduzione di spese implicherebbe
l’ampliamento delle possibilità di accesso al patrocinio,
assecondando il principio solidaristico fissato all’art. 2 Cost.
La Corte costituzionale avrebbe
già ritenuto infondate questioni poste riguardo ad una
«fattispecie sostanzialmente analoga per materia», concernente
l’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti
per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, con il quale è stata incisa la
disciplina dei compensi liquidati ai difensori dall’autorità
giudiziaria (ordinanza
n. 261 del 2013).
D’altra parte – prosegue
l’Avvocatura generale dello Stato – sarebbe impropria
l’assimilazione, proposta dal rimettente, tra procedimenti nei quali vi
sia stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato e procedimenti diversi,
come la giurisprudenza costituzionale avrebbe stabilito anche con specifico
riferimento ai compensi professionali (sono citate le ordinanze n. 270 del 2012,
n. 203 del 2010
e n. 195 del
2009).
3.– Con ordinanza del 21 maggio
2014 (r.o. n. 177 del 2014) il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione
collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in
rapporto a norme che disciplinano la liquidazione degli onorari spettanti agli
ausiliari del giudice.
In particolare è dedotta, in
riferimento agli artt. 3,
35, 36 e 53 Cost.,
l’illegittimità dell’art. 4, comma 2, della legge 8 luglio
1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e
traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’autorità
giudiziaria) – nella parte in cui determina in euro 14,68 l’importo
liquidabile per la prima vacazione, e in euro 8,15 l’importo per le
vacazioni successive – nonché dell’art. 106-bis del d.P.R.
n. 115 del 2002 – come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera
b), della legge n. 147 del 2013 – nella parte in cui dispone la riduzione
di un terzo dei compensi spettanti all’ausiliario del magistrato.
3.1.– A titolo di premessa, ed in
punto di rilevanza, il rimettente informa che deve procedere alla liquidazione
dei compensi concernenti lo svolgimento di due incarichi di traduzione, e
afferma che, nella specie, andrebbero riconosciute al traduttore tre vacazioni
per ognuno degli incarichi assegnatigli, per un importo complessivo di euro
61,96.
La somma indicata andrebbe ridotta di un
terzo, e quindi fino ad euro 41,30, in applicazione del nuovo art. 106-bis del
d.P.R. n. 115 del 2002. Assume infatti il Tribunale che tale norma si applichi
anche ai traduttori ed interpreti, in quanto ausiliari del giudice, ed a
prescindere dall’essere o non riferita la loro prestazione ad un giudizio
nel quale sia stata accolta una domanda di patrocinio a spese dello Stato.
Nonostante la sua collocazione, infatti, la norma de qua avrebbe portata
generale, dovendosi altrimenti attribuire al legislatore la scelta, incongrua,
di modulare il compenso per prestazioni identiche sulla base di un elemento del
tutto estrinseco, appunto l’intervento dell’Erario per il pagamento
delle spese di patrocinio in favore del non abbiente.
3.2.– L’art. 4 della legge
n. 319 del 1980 e l’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002
contrasterebbero, come accennato, con gli artt. 3, 35, 36 e 53 Cost.
3.2.1.– Il giudice a quo assume
che, pur essendo il traduttore chiamato ad una prestazione obbligatoria di
ufficio pubblico (art. 143, comma 4, del codice di procedura penale),
riconducibile ai doveri di solidarietà sociale evocati dall’art. 2
Cost. ed alla nozione di prestazione personale che può essere imposta
dalla legge (art. 23 Cost.), la disciplina censurata eccederebbe i limiti di
ragionevolezza nella individuazione di prestazioni esigibili in nome
dell’interesse comune.
3.2.2.– La disciplina censurata,
in particolare, creando una «classe di operatori economici»
assoggettati ad un sistematico sfruttamento economico (dannoso anche in quanto
limita l’attività libero professionale) – per di più
posto in essere da quello Stato che dovrebbe assicurare invece una
generalizzata tutela dei diritti del lavoro – implicherebbe anzitutto il
denunciato contrasto con l’art. 35 Cost.
I compensi previsti dalla legge, pur
riscontrando la natura pubblicistica dell’incarico, dovrebbero comunque
rapportarsi alle tariffe professionali, e sarebbero tanto più inadeguati
in forza della prescritta riduzione di un terzo.
3.2.3.– Gli anzidetti fattori di
squilibrio tra qualità della prestazione richiesta e relativo compenso
sono richiamati dal Tribunale anche per denunciare la violazione
dell’art. 36 Cost.
Il rimettente afferma di non ignorare
come la Corte costituzionale, con ripetute pronunce (sentenze n. 41 del 1996 e
n. 88 del 1970),
abbia escluso il contrasto tra l’art. 4 della legge n. 319 del 1980 e la
norma costituzionale citata, sul presupposto della differenza tra prestazione
lavorativa ed adempimento dell’ufficio pubblico, che in genere è
solo occasionalmente conferito, con la conseguenza tra l’altro che non
è possibile verificare l’incidenza della prestazione singolarmente
compensata sul reddito nel complesso realizzato dal professionista.
Il Tribunale ritiene però che
sussistano le condizioni per un superamento della giurisprudenza richiamata.
L’aumentata richiesta di assistenza linguistica avrebbe implicato un
forte incremento del ricorso ad interpreti e traduttori, molti dei quali,
d’altra parte, avrebbero raggiunto un elevato grado di specializzazione,
ed avrebbero finanche effettuato investimenti utili ad un più celere
adempimento dell’ufficio. Gli incarichi, dunque, anche in virtù
delle norme in tema di incompatibilità, sarebbero sempre meno saltuari,
con riduzione del tempo disponibile per altre attività, ed un adeguato
compenso per il forte impegno richiesto sarebbe ormai essenziale per assicurare
una retribuzione compatibile con i diritti degli interessati.
La legge stessa – ripete il
Tribunale – farebbe riferimento generale alle tariffe professionali per
la determinazione delle somme dovute agli ausiliari, ed oltretutto ne
imporrebbe un periodico adeguamento al costo della vita, mai attuato. Dal canto
proprio, la Corte costituzionale, con la ordinanza n. 306
del 2012, avrebbe espressamente qualificato i compensi dovuti agli
ausiliari come «retribuzione per il lavoro prestato».
Insomma, prevedendo un compenso
irrisorio per prestazioni altamente qualificate, le norme censurate
contrasterebbero con gli artt. 35 e 36 Cost.
3.2.4.– Le norme in considerazione
implicherebbero anche disparità di trattamento non giustificate, e
quindi illegittime ex art. 3 Cost., non solo tra coloro che prestano opera
professionale sul libero mercato e coloro che svolgono l’identica opera
in quanto ausiliari del giudice. Anche all’interno di quest’ultima
categoria, infatti, sarebbero stati recentemente introdotti trattamenti di
maggior favore, con vacazioni commisurate sullo spazio di un’ora, e con
compensi variabili tra 100 e 400 euro. Il riferimento concerne le fattispecie
regolate dagli artt. 39-quater e seguenti del decreto del Ministro della
giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (Regolamento recante la determinazione dei
parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei
compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della
giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.
1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), come
introdotti con l’art. 3, comma 1, del decreto del Ministro della
giustizia 2 agosto 2013, n. 106.
Per quanto voglia riconoscersi alle
professionalità interessate dalla nuova normativa un valore
particolarmente elevato – osserva il rimettente – anche la
disciplina risultante dall’art. 4 della legge n. 319 del 1980 e dal
decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi
spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le
operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in
materia civile e penale), richiamato dalla legge, è riferita a
prestazioni specialistiche (ad esempio, perizie grafologiche e foniche,
traduzioni, interpretariato), che sarebbero non legittimamente discriminate
rispetto alle altre.
Alla disuguaglianza non potrebbe porsi
rimedio con la disapplicazione del risalente decreto ministeriale, direttamente
richiamato dalla legge. Quand’anche poi si ritenesse possibile il ricorso
al criterio generale di liquidazione dei compensi per prestazioni d’opera
o servizi, fissato nell’art. 2225 del codice civile, la retribuzione
resterebbe incompatibile col principio di uguaglianza, perché
necessariamente ridotta di un terzo in applicazione dell’art. 106-bis del
citato d.P.R. n. 115 del 2002.
Il rimettente sostiene che la disciplina
censurata ostacola il buon andamento dell’amministrazione della
giustizia, poiché incentiva i migliori professionisti a sottrarsi con
ogni possibile espediente all’ufficio loro conferito, e comunque
spingerebbe gli ausiliari ad indicare in eccesso il tempo utilizzato per la
propria prestazione, così aggravando gli oneri di controllo del giudice
e determinando un sistema irrazionale, non compatibile con il principio di
ragionevole durata del processo.
3.2.5.– La congenita inadeguatezza
della disciplina primaria di computo dei compensi – aggravata, come
sostiene il rimettente, per effetto dell’introduzione, nel d.P.R. n. 115
del 2002, del nuovo art. 106-bis, che impone la riduzione di un terzo degli
onorari spettanti, tra l’altro, ai consulenti nominati dal giudice
– determinerebbe altresì la violazione dell’art. 53 Cost.:
verrebbero infatti perseguiti obiettivi di bilancio attraverso
l’imposizione di oneri ad una parte soltanto dei contribuenti, senza
alcun riguardo per la loro capacità contributiva.
4.– È intervenuto nel
giudizio, con atto depositato l’11 novembre 2014, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili ovvero
manifestamente infondate.
Sostiene l’Avvocatura generale
– in primo luogo – che la materia della determinazione dei compensi
da corrispondere per le prestazioni cui sono chiamati gli ausiliari del giudice
sarebbe riservata alla discrezionalità legislativa, e non sarebbe dunque
sindacabile, fuori del caso della manifesta irrazionalità. In tal senso
si sarebbe più volte già pronunciata la stessa Corte
costituzionale (sentenza
n. 88 del 1970 e ordinanza n. 128
del 2002).
Queste stesse decisioni (cui si aggiunge
la sentenza n. 41
del 1996) smentirebbero l’assunto presupposto alle questioni
sollevate ex artt. 3, 35 e 36 Cost., e cioè che l’attività
dell’ausiliario consista di una prestazione di lavoro. Sarebbe dunque
impropria l’evocazione delle tariffe professionali quale metro di
riferimento dei compensi. Resterebbe attuale, d’altra parte,
l’impossibilità di valutare l’effettiva incidenza dei
singoli contributi sull’intera attività professionale degli
interessati, e quindi sui redditi complessivamente ricavati dalla medesima
attività.
Anche la presunta violazione
dell’art. 53 Cost. sarebbe già stata esclusa dalla giurisprudenza
costituzionale (sentenza
n. 2 del 1981), trattandosi di prestazioni di facere prive di ogni
attinenza alla capacità contributiva, e non giustificandosi
l’affermazione del rimettente che la disciplina censurata scaricherebbe
solo su alcune categorie di lavoratori i costi delle politiche di bilancio.
5.– Con ordinanza del 28 maggio
2014 (r.o. n. 216 del 2014) il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione
collegiale, ha sollevato plurime questioni di legittimità costituzionale
in rapporto a norme che disciplinano la liquidazione degli onorari spettanti
agli ausiliari del giudice.
In particolare, è dedotta
l’illegittimità: 1) dell’art. 4, comma 2, della legge n. 319
del 1980, nella parte in cui determina in euro 14,68 l’importo
liquidabile per la prima vacazione, e in euro 8,15 l’importo per le
vacazioni successive; 2) dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002,
come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge n. 147
del 2013, nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo dei compensi
spettanti all’ausiliario del magistrato; 3) dell’art. 1, comma 607,
della citata legge n. 147 del 2013, nella parte in cui stabilisce che la
disposizione di cui alla lettera b) del precedente comma 606 si applica alle
liquidazioni successive alla entrata in vigore della stessa legge n. 147 del
2013, e dunque anche nei casi in cui la prestazione dell’ausiliario sia
stata completamente espletata in epoca anteriore.
La terza delle norme censurate
contrasterebbe con l’art. 3 Cost., mentre le altre due violerebbero il
disposto degli artt. 3,
35, 36 e 53 Cost.
5.1.– A titolo di premessa, ed in
punto di rilevanza, il rimettente informa che deve procedere alla liquidazione
dei compensi concernenti lo svolgimento di dieci incarichi peritali ad opera di
uno stesso soggetto, tutti consistenti in indagini grafologiche. La richiesta
del perito è stata depositata ampiamente oltre il termine decadenziale
di cui all’art. 71 del d.P.R. n. 115 del 2002. Il Tribunale, tuttavia,
all’esito di una lunga disamina, conclude che il ritardo sarebbe nella
specie dovuto a causa di forza maggiore (la malattia e la morte di un familiare
dell’interessato), il che, anche per effetto di una interpretazione
costituzionalmente orientata della disciplina, dovrebbe escludere
l’intervenuta decadenza dal diritto alla liquidazione, con conseguente
necessità per lo stesso Tribunale di valutare il merito della relativa
domanda, esercitando una funzione propriamente giurisdizionale (idonea dunque
alla proposizione dell’incidente di costituzionalità).
Sempre a titolo di premessa, dopo aver
ricostruito il quadro normativo in materia, il rimettente afferma che nella
specie andrebbero riconosciute al perito 110 vacazioni per ognuno dei dieci
incarichi assegnatigli, per un importo complessivo che, al lordo della
prescritta riduzione di un terzo, assommerebbe a 9.033,00 euro, cui dovrebbe
aggiungersi una piccola somma ulteriore per i tempi di trasferimento e
permanenza presso gli uffici giudiziari.
Il compenso, secondo il rimettente, non
sarebbe adeguato all’impegno profuso dal perito per l’espletamento
degli incarichi. D’altra parte, pur essendosi gli incarichi anzidetti
esauriti (compreso l’esame del perito in sede dibattimentale) prima
dell’entrata in vigore della legge n. 147 del 2013, l’importo
indicato dovrebbe essere ridotto di un terzo, portando la retribuzione oraria
per le vacazioni successive alla prima sotto la soglia dei 3 euro. Assume
infatti il Tribunale che il menzionato art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002
dev’essere applicato «retroattivamente», anche ai periti
d’ufficio in quanto ausiliari del giudice, a prescindere dalla
circostanza che la loro prestazione si riferisca ad un giudizio nel quale sia
stata accolta una domanda di patrocinio a spese dello Stato. Nonostante la sua
collocazione, infatti, la norma de qua dovrebbe essere interpretata nel senso
della sua applicabilità a qualunque giudizio penale, poiché
altrimenti si determinerebbe una ingiusta discriminazione tra gli ausiliari del
magistrato, per prestazioni identiche, sulla base di un elemento del tutto
estrinseco, appunto l’intervento dell’Erario per il pagamento delle
spese di patrocinio in favore del non abbiente.
5.2.– L’art. 4 della legge
319 del 1980 contrasterebbe con gli artt. 3, 35, 36 e 53 Cost., per ragioni che
il rimettente collega, in larga parte, anche agli effetti prodotti dalla
riduzione dei compensi prescritta dall’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del
2002.
Riprendendo gli argomenti esposti nella
propria precedente ordinanza (r.o. n. 177 del 2014), il Tribunale ordinario di
Lecce rileva che l’inadeguatezza strutturale delle tariffe previste dalla
legge sarebbe aggravata da due fattori concorrenti. Il primo consisterebbe
nell’omissione degli adeguamenti periodici al costo della vita, che pur
sono imposti dalla legge (e sono stati sollecitati dalla stessa Corte costituzionale).
Il secondo, nella previsione del nuovo art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002,
dal quale discende la necessità di ridurre di un terzo gli importi
calcolati secondo la già deficitaria disciplina della legge n. 319 del
1980. L’indicata diminuzione non potrebbe giustificarsi per la natura
pubblicistica del rapporto cui accede la prestazione, poiché di tale
natura la legge già terrebbe conto, ex art. 50 del Testo unico, dettando
i criteri di quantificazione primaria dei compensi dovuti agli ausiliari.
Si ribadisce, dunque, dal Tribunale, che
la disciplina censurata darebbe vita ad una «classe di operatori
economici» assoggettati ad un sistematico sfruttamento, proprio da parte
dello Stato, con violazione concorrente degli artt. 35 e 36 Cost.
5.3.– Sempre riprendendo argomenti
già svolti nella precedente ordinanza, il rimettente denuncia anche, e
nuovamente, violazioni dell’art. 3 Cost., poiché l’art. 4,
comma 2, della legge n. 319 del 1980 determinerebbe disparità di
trattamento non giustificate tra coloro che prestano opera professionale sul
libero mercato e coloro che prestano l’identica opera in quanto ausiliari
del giudice. Inoltre, pur essendo applicabile anche a prestazioni di elevato
livello specialistico, la stessa norma prevedrebbe compensi assai minori di
quelli riconosciuti ad altri ausiliari del giudice, ai quali – secondo il
Tribunale – si riferirebbero gli artt. 39-quater e seguenti del d.m. n.
140 del 2012, come introdotti con d.m. n. 106 del 2013.
Il rimettente esclude, anche in questo
caso, la possibilità di disapplicare le tariffe previste dal d.m. 30
maggio 2002, e di nuovo afferma che, del resto, neppure il ricorso ai criteri
di computo dell’art. 2225 cod. civ. garantirebbe agli ausiliari una
retribuzione adeguata, data la necessaria riduzione di un terzo in applicazione
dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002.
5.4.– Il Tribunale insiste
nell’assunto per cui la congenita inadeguatezza della disciplina primaria
di computo dei compensi sarebbe stata aggravata dall’introduzione, nel
d.P.R. n. 115 del 2002, del nuovo art. 106-bis. Tale ultima norma è
posta ad oggetto di autonoma censura, anch’essa per il ritenuto contrasto
con gli artt. 3, 35, 36 e 53 Cost., proprio in quanto non farebbe che aggravare
i profili di illegittimità costituzionale che già connotano
l’art. 4 della legge n. 319 del 1980.
Con specifico riguardo al denunciato
art. 106-bis, il rimettente sottolinea poi l’asserita violazione
dell’art. 53 Cost.: il legislatore avrebbe perseguito risparmi di
bilancio scaricandone il costo su una limitata categoria di lavoratori, senza
alcun riguardo alla loro capacità contributiva.
5.5.– Ancora, il Tribunale deduce
la violazione dell’art. 3 Cost. con riguardo al comma 607 dell’art.
1 della legge n. 147 del 2013, ove sarebbe disposta l’efficacia
retroattiva della prescrizione relativa alla diminuzione degli onorari
peritali.
La norma infatti provocherebbe una
discriminazione tra i periti che abbiano ultimato le proprie prestazioni prima
della sua entrata in vigore, a seconda che il giudice abbia o non provveduto
alla valutazione delle relative domande di liquidazione.
Inoltre, si tratterebbe di una
disciplina sostanziale che produce effetti retroattivi su rapporti non di
durata, e per ciò stesso suscettibile di indurre ingiustificate
disparità di trattamento. È vero – osserva il Tribunale
– che il principio della produzione di effetti solo per il futuro non
assume illimitata valenza sul piano costituzionale, quando si tratti di leggi
che incidono su rapporti di natura civile. Occorre tuttavia che l’effetto
retroattivo non produca conseguenze irragionevoli, con frustrazione
dell’aspettativa dei consociati nella stabilità delle situazioni
giuridiche. In particolare, non sarebbe possibile regolare sfavorevolmente per
il privato rapporti intrattenuti con la pubblica amministrazione (è
citata la sentenza
della Corte costituzionale n. 92 del 2013, relativa alla decurtazione con
efficacia retroattiva dei compensi previsti per i custodi giudiziari). E
ciò varrebbe a maggior ragione per i rapporti non di durata, nel cui
ambito il privato abbia già svolto per intero la propria prestazione, e
solo la controparte pubblica sia chiamata ad adempiere la propria obbligazione,
che non potrebbe essere ridotta senza alcuna razionale giustificazione.
L’applicazione della
giurisprudenza sulla tutela dell’affidamento, secondo il giudice a quo,
non sarebbe preclusa dalla natura non negoziale del rapporto tra
l’ausiliario del giudice e l’amministrazione pubblica. Per quanto
obbligatoria, la prestazione non sarebbe del tutto priva di una base
volontaristica, visto che deve essere normalmente richiesta a soggetti iscritti
in appositi albi, nei quali sono stati inseriti su loro domanda: una domanda
che sarebbe determinata, a sua volta, da una ragionevole aspettativa circa la
convenienza economica dell’effettuazione di consulenze professionali in
ambito giurisdizionale. Da questa valutazione, secondo il Tribunale,
scaturirebbe comunque un affidamento tutelabile, pur nell’assenza di un
negozio volontario quale causa prossima della prestazione in favore dello
Stato.
La denunciata irragionevolezza sarebbe
massima una volta riferita, addirittura, a prestazioni già completamente
esaurite, come nella specie, prima della legge retroattiva.
6.– È intervenuto nel
giudizio, con atto depositato il 23 dicembre 2014, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili
ovvero infondate.
6.1.– In primo luogo. le questioni
concernenti i commi 606 e 607 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013
sarebbero prive di rilevanza nel giudizio a quo. Erroneamente si sarebbe
sostenuto, dal Tribunale, che la riduzione (retroattiva) di un terzo dei
compensi riguardi anche i procedimenti non interessati da provvedimenti di
ammissione al patrocinio a spese dell’Erario. La soluzione contraria
sarebbe imposta dalla sede nella quale la nuova norma è stata inserita
(cioè quella della disciplina del patrocinio per i non abbienti nel
processo penale) e dalla stessa ratio dell’intervento di riforma, mirato
a ridurre la spesa pubblica, dunque giustificato nei soli casi in cui le spese
del procedimento, anziché essere poste a carico del condannato,
sarebbero comunque sostenute dall’Erario.
6.2.– La finalità appena
indicata renderebbe comunque conto, secondo l’Avvocatura generale,
dell’infondatezza delle questioni sollevate. Sarebbe stato infatti
perseguito, riducendo i compensi per tutti i soggetti che agiscono
nell’ambito del processo penale concernente persone non abbienti, un
«valore supremo», cioè la necessità di contenere la
spesa pubblica, ed in particolare quella, ormai asseritamente ingentissima, per
il patrocinio a spese dell’Erario, da rendere comunque compatibile in un
quadro di complessiva riduzione delle risorse disponibili per
l’amministrazione della giustizia.
In tale quadro, la clausola di
retroattività per la nuova riduzione del terzo, relativamente a compensi
non ancora liquidati, sarebbe indispensabile per rendere concreto ed immediato
il necessario risparmio di spesa. Non si tratterebbe, quindi, di una deroga
irragionevole al principio di efficacia solo futura della legge.
Quanto alla pretesa sperequazione tra
soggetti che avessero già presentato richiesta di liquidazione dei
compensi nel momento di entrata in vigore della norma censurata, a seconda
della maggiore o minore celerità dei giudici per l’adozione del
relativo provvedimento, si tratterebbe di un inconveniente di mero fatto, non
direttamente riconducibile alla disciplina censurata.
7.– Con ordinanza del 17 giugno
2014 (r.o. n. 14 del 2015) il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione
monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale in
rapporto a norme che disciplinano la liquidazione degli onorari spettanti agli
ausiliari del giudice.
In particolare è dedotta, in
riferimento agli artt. 3,
36 e 53 Cost.,
l’illegittimità dell’art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002
– come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge n.
147 del 2013 – nella parte in cui non subordina
l’applicabilità della prevista riduzione di un terzo dei compensi
spettanti all’ausiliario del giudice «all’effettivo
adeguamento periodico delle tabelle relative […], previsto
dall’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002».
È sollevata, inoltre, in
riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 607, della legge n. 147 del 2013, nella
parte in cui, prevedendo l’applicazione del comma precedente per tutte le
liquidazioni da effettuarsi dopo l’entrata in vigore della medesima
legge, impone la riduzione di un terzo anche con riferimento a prestazioni
professionali in tutto od in parte antecedenti alla legge medesima.
7.1.– A titolo di premessa, ed in
punto di rilevanza, il rimettente informa che deve procedere alla liquidazione
dei compensi concernenti lo svolgimento di una perizia
sull’imputabilità della persona sottoposta a giudizio.
Il rimettente osserva che, nella specie,
deve applicarsi l’art. 24 del d.m. 30 maggio 2002, e che, valutati i
valori minimi e massimi previsti dalla disciplina, ed il pregio concreto
dell’opera svolta dal perito, andrebbe liquidata la somma di 240,00 euro,
oltre ad altri 205,81 euro di rimborso per spese previamente autorizzate (somministrazione
di test psicologici). Sul primo importo dovrebbe applicarsi la riduzione di un
terzo prevista dal nuovo art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, sebbene la
prestazione sia stata svolta per la gran parte (cioè con la sola
eccezione dell’esame dibattimentale) prima dell’entrata in vigore
della legge n. 147 del 2013, poiché la richiesta di liquidazione del
compenso è intervenuta successivamente alla novella, e trova dunque
applicazione il comma 607 dell’art. 1 della stessa legge n. 147 del 2013.
Le norme censurate sarebbero
senz’altro applicabili nel caso di specie, posto che si procede nei
confronti di persona già ammessa al patrocinio a spese
dell’Erario.
7.2.– Il Tribunale ritiene che la
prevista riduzione del compenso non possa trovare giustificazione nella natura
pubblicistica del relativo incarico, posto che di tale natura la legge
già tiene conto a livello di disciplina primaria dei criteri di
determinazione, secondo il disposto dell’art. 50 del d.P.R. n. 115 del
2002.
È motivato dal rimettente, in
primo luogo, il giudizio di non manifesta infondatezza del dubbio concernente
l’efficacia “retroattiva” della previsione. È vero
– si sostiene – che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto
ammissibile la retroattività di disposizioni sopravvenute a regolare
rapporti di natura civile; tuttavia, nella specie, sarebbe stato superato il
limite della ragionevolezza e della necessaria tutela dell’affidamento
nella sicurezza delle situazioni giuridiche (è citata, tra
l’altro, la sentenza
della Corte costituzionale n. 92 del 2013).
Non si sarebbe infatti in presenza di un
rapporto di durata, ma di una prestazione già eseguita, completamente o
per la gran parte, da un determinato soggetto, a fronte della quale interviene
una norma che riduce la portata della prestazione dovuta dall’altra
parte. Né la riduzione potrebbe essere giustificata nell’ottica di
un recupero di proporzionalità, poiché anzi sussisterebbe
l’esigenza opposta, visto che lo Stato, pure impegnato dalla legge ad
effettuare adeguamenti triennali delle tabelle per i compensi agli ausiliari,
sarebbe inadempiente in proposito da oltre 12 anni.
Non rileva, secondo il Tribunale, la
fonte non negoziale della prestazione, e del resto quest’ultima non
sarebbe del tutto priva d’un connotato di volontarietà, visto che
gli incarichi peritali devono di norma essere conferiti a soggetti che siano
stati iscritti, su loro domanda, in appositi albi.
7.3.– Riprendendo argomenti
già svolti nelle precedenti ordinanze (r.o. n. 177 e n. 216 del 2014),
il Tribunale ordinario di Lecce assume che la norma con la quale è
imposta la riduzione di un terzo dei compensi per gli ausiliari del giudice
confligge, in particolare, con gli artt. 3 e 36 Cost., anzitutto perché
tali compensi diverrebbero inferiori, in misura non ragionevole, a quelli
spettanti per identiche prestazioni, secondo i criteri di mercato.
D’altra parte, sempre richiamando argomenti già svolti, il
rimettente sostiene che dovrebbe essere superata la risalente giurisprudenza
costituzionale sull’irrilevanza della materia nella prospettiva
dell’art. 36 Cost., poiché, in ragione di mutamenti normativi e
sociali, molti specialisti (anche psichiatri) sarebbero ormai impegnati in
misura esclusiva o prevalente quali ausiliari del giudice, da ciò
dovendo ricavare una retribuzione proporzionata alla qualità e
quantità del lavoro prestato, e tale comunque da assicurare una
esistenza libera e dignitosa.
La legge stessa – ripete il
Tribunale – farebbe riferimento generale alle tariffe professionali per
la determinazione delle somme dovute agli ausiliari, ed oltretutto ne
imporrebbe un periodico adeguamento al costo della vita, mai attuato nonostante
le sollecitazioni in tal senso della Corte costituzionale. Dal canto proprio
quest’ultima, con la ordinanza n. 306
del 2012, avrebbe espressamente qualificato i compensi dovuti agli
ausiliari come «retribuzione per il lavoro prestato».
7.4.– Il Tribunale assume infine
che, considerate insieme, le due norme censurate violerebbero anche
l’art. 53 Cost. perché finalizzate al perseguimento di obiettivi
di bilancio attraverso l’imposizione di oneri ad una parte soltanto dei
contribuenti, senza alcun riguardo per la loro capacità contributiva.
8.– È intervenuto nel
giudizio, con atto depositato il 17 marzo 2015, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque,
infondate.
La finalità delle norme censurate
sarebbe quella di realizzare un risparmio di spesa nell’ambito di
procedimenti ove, in linea di tendenza, le stesse spese processuali si pongono
a carico dell’Erario, invece che dell’eventuale condannato. Il
contenimento della spesa pubblica sarebbe «valore supremo», tale da
legittimare l’intervento legislativo, anche data la dilatazione pregressa
ed incontrollata degli oneri connessi al patrocinio a spese dello Stato.
La retroattività della previsione
censurata non sarebbe irragionevole, in quanto diretta a provocare un risparmio
immediato. Il trattamento eventualmente differenziato di ausiliari che avessero
già richiesto la liquidazione dei compensi alla data di entrata in
vigore della novella, a seconda che il giudice avesse o non provveduto sulle
istanze, rappresenterebbe un inconveniente di fatto, non direttamente
riconducibile alla disciplina denunciata (è citata la sentenza della
Corte costituzionale n. 362 del 2008).
Considerato in diritto
1.– Con quattro distinte
ordinanze, il Tribunale ordinario di Grosseto in composizione monocratica (r.o.
n. 121 del 2014) e il Tribunale ordinario di Lecce in composizione monocratica
(r.o. n. 14 del 2015) e collegiale (r.o. n. 177 e n. 216 del 2014), hanno
sollevato questioni di legittimità costituzionale in relazione a norme
che disciplinano, tra l’altro, la liquidazione degli onorari spettanti
agli ausiliari del magistrato.
Sono censurate, in particolare, tre
distinte disposizioni.
Anzitutto, è in questione
l’art. 4, comma 2, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti
ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni
eseguite a richiesta dell’autorità giudiziaria), nella parte in
cui determina in euro 14,68 l’importo liquidabile per la prima vacazione,
e in euro 8,15 l’importo per le vacazioni successive.
In secondo luogo, è censurato
l’art. 106-bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio
2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia − Testo A), come introdotto dall’art.
1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge
di stabilità 2014), nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo
dei compensi spettanti, tra gli altri, agli ausiliari del magistrato.
Infine, è proposta questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 607, della legge n.
147 del 2013, nella parte in cui stabilisce che la disposizione di cui alla
lettera b) del precedente comma 606 si applica alle liquidazioni successive
all’entrata in vigore della stessa legge n. 147 del 2013, e dunque anche
nei casi in cui la prestazione dell’ausiliario sia stata espletata in
epoca anteriore.
1.1.– Il Tribunale ordinario di
Lecce in composizione collegiale, con entrambe le proprie ordinanze, censura il
citato art. 4, comma 2, della legge n. 319 del 1980 unitamente al pure citato
art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, prospettando la violazione di diversi
parametri costituzionali.
Viene richiamato, anzitutto,
l’art. 35 della Costituzione, poiché contrasterebbe con
l’obbligo della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni l’imposizione di prestazioni officiose remunerate con
compensi modestissimi e comunque insufficienti, anche in quanto non adeguati
periodicamente all’aumento del costo della vita, ed anzi, a partire dal
2014, ridotti nella misura di un terzo.
È poi richiamato l’art. 36
Cost., poiché la previsione censurata non assicurerebbe agli interessati
una retribuzione proporzionata per qualità e quantità al lavoro
prestato, e in ogni caso sufficiente a condurre un’esistenza libera e
dignitosa.
È invocato, inoltre, l’art.
3 Cost., in quanto la previsione degli indicati compensi discriminerebbe
irragionevolmente gli ausiliari del giudice rispetto a coloro che rendano
prestazioni analoghe in base alle tariffe professionali di mercato, ed anche in
quanto, tra gli stessi ausiliari del giudice, discriminerebbe coloro ai quali
è applicabile la norma censurata rispetto alle categorie di consulenti
cui si applica invece la disciplina dell’art. 39-quater e seguenti del
decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (Regolamento
recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un
organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate
dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge
24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
2012, n. 27), come introdotti con l’art. 3, comma 1, del decreto del
Ministro della giustizia 2 agosto 2013, n. 106.
Lo stesso art. 3 Cost. sarebbe violato
sotto un ulteriore profilo, poiché la previsione di onorari gravemente
inadeguati – allontanando le migliori professionalità e rendendo
nel complesso difficoltoso il reperimento di soggetti disponibili –
intralcerebbe l’acquisizione delle prestazioni professionali degli
ausiliari, prolungando i tempi di definizione dei processi e delle stesse
procedure di liquidazione dei compensi (stante la possibile dilatazione dei
tempi indicati per l’espletamento degli incarichi), così
determinando una complessiva «irragionevolezza di sistema».
È richiamato, infine,
l’art. 53 Cost., poiché attraverso la normativa censurata
sarebbero perseguiti obiettivi di bilancio, mediante l’imposizione di
oneri ad una limitata categoria di lavoratori, senza alcun riguardo per la loro
capacità contributiva.
1.2.– Il Tribunale ordinario di
Grosseto (r.o. n. 121 del 2014), dal canto suo, censura il citato art. 106-bis
del d.P.R. n. 115 del 2002, sempre nella parte in cui prescrive la riduzione di
un terzo dei compensi per gli ausiliari del magistrato, in relazione
all’art. 3 Cost., sotto tre diversi profili: da un primo punto di vista,
in quanto irragionevolmente equiparerebbe gli ausiliari del giudice al
difensore e alle parti del processo nella prevista riduzione di un terzo dei
compensi; inoltre, in quanto irragionevolmente differenzierebbe il trattamento
degli ausiliari, a parità di prestazioni, a seconda che prestino o non
la propria opera in procedimenti in cui sia stata disposta l’ammissione
di una parte al patrocinio a spese dell’Erario; infine, in quanto
determinerebbe una complessiva irrazionalità della disciplina delle
consulenze tecniche nel processo penale, aggiungendo una riduzione ai livelli
già inadeguati dei compensi, e determinando quindi gravi
difficoltà nell’acquisizione di prestazioni effettuate con
scrupolo da soggetti professionalmente qualificati.
1.3.– Lo stesso art. 106-bis del
d.P.R. n. 115 del 2002 è censurato anche dal Tribunale ordinario di
Lecce in composizione monocratica (r.o. n. 14 del 2015), per l’asserito
contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto sarebbero perseguiti obiettivi
di bilancio attraverso l’imposizione di oneri ad una limitata categoria
di lavoratori, senza alcun riguardo per la loro capacità contributiva.
Con la medesima ordinanza, la norma in
questione è ulteriormente sospettata d’illegittimità
costituzionale, nella parte in cui dispone la riduzione di un terzo dei
compensi spettanti all’ausiliario del magistrato senza che la previsione
di questa decurtazione sia «subordinata all’effettivo adeguamento
periodico delle tabelle relative ai compensi spettanti agli ausiliari del
giudice, previsto dall’art. 54» dello stesso Testo unico:
ciò avverrebbe in asserito contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., in
quanto discriminerebbe, senza giustificazione, gli ausiliari del giudice
rispetto a coloro che effettuano analoghe prestazioni sul libero mercato
professionale, privando gli stessi ausiliari di una retribuzione proporzionata
alla qualità e quantità del lavoro prestato, e comunque idonea ad
assicurare loro un’esistenza libera e dignitosa.
1.4.– Infine, con due delle
già citate ordinanze del Tribunale ordinario di Lecce (r.o. n. 216 del
2014 e n. 14 del 2015), è censurato l’art. 1, comma 607, della
legge n. 147 del 2013, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni del
precedente comma 606, lettera b), si applichino alle liquidazioni successive
alla data di entrata in vigore della stessa legge, e dunque con riguardo anche
a prestazioni in tutto o in parte eseguite prima della legge medesima.
È qui prospettato, in
particolare, un contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto l’efficacia
retroattiva della disposizione sostanziale che incide sul diritto alla
remunerazione dei consulenti sarebbe disposta in assenza di una ragionevole
giustificazione. La norma, inoltre, distinguerebbe irragionevolmente tra gli
ausiliari che abbiano ultimato la propria prestazione ed avanzato richiesta di
liquidazione dei compensi prima dell’entrata in vigore della legge n. 147
del 2013, a seconda che il giudice abbia o non tempestivamente provveduto sulla
relativa domanda (r.o. n. 216 del 2014).
Infine, vi sarebbe violazione anche
dell’art. 53 Cost., poiché sarebbero perseguiti obiettivi di
bilancio attraverso l’imposizione di oneri ad una limitata categoria di
lavoratori, senza alcun riguardo per la loro capacità contributiva (r.o.
n. 14 del 2015).
2.– La sostanziale comunanza delle
norme censurate, dei parametri costituzionali invocati, nonché dei
profili e delle argomentazioni utilizzate, comporta che i giudizi vengano
riuniti e decisi con unica pronuncia.
3.– Tutte le questioni sollevate
dal Tribunale ordinario di Grosseto (r.o. n. 121 del 2014) vanno dichiarate
inammissibili.
Come risulta dalla stessa ordinanza di
rimessione, il Tribunale aveva già provveduto alla liquidazione
dell’onorario per il perito psichiatra, dopo l’entrata in vigore
della legge n. 147 del 2013, senza operare la diminuzione prescritta dal nuovo
art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, da quella introdotto. Ciò sarebbe
avvenuto per un disguido concernente la formazione del fascicolo processuale,
per effetto del quale, in sostanza, il Tribunale avrebbe ignorato, al momento
della liquidazione, che nel procedimento in corso l’imputato era stato
ammesso al patrocinio a spese dell’Erario.
Muovendo dal presupposto che proprio e
solo tale circostanza implichi l’applicazione necessaria dell’art.
106-bis, il rimettente ritiene di dover procedere ad una revoca o modifica del
provvedimento emesso, che definisce in vario senso, ma che comunque dovrebbe
dar luogo ad una riduzione della somma liquidata. Dalla ritenuta
necessità dell’intervento, il Tribunale desume quella
dell’applicazione della norma censurata, che giudica illegittima per
contrasto con l’art. 3 Cost.
È, tuttavia, manifesto che il
provvedimento ipotizzato dal rimettente, quale condizione di rilevanza della
questione sollevata, sarebbe illegittimo. La giurisprudenza ha da tempo
chiarito che il procedimento di liquidazione dei compensi agli ausiliari
presenta carattere giurisdizionale (il che, del resto, condiziona la
possibilità stessa di sollevare, in tale sede, questioni di
legittimità costituzionale: sentenza n. 88 del
1970). Per tale ragione, non è ammessa la revoca in autotutela dei
provvedimenti considerati illegittimi o infondati, dovendosi invece procedere
all’esperimento dei mezzi di impugnazione previsti dalla legge, ed
altrimenti prendere atto della formazione di una preclusione processuale
(salva, naturalmente, la eventualità che sia la stessa legge a prevedere
la possibilità di revoca). In altri termini, i provvedimenti di
liquidazione non restano nella disponibilità del magistrato che li ha
emessi, e sono emendabili solo in sede di (eventuale) impugnazione.
Pur a fronte di una così vistosa
preclusione del provvedimento programmato, il Tribunale rimettente ha omesso di
proporre una qualsiasi motivazione a sostegno del superamento di
quest’ultima, e, in definitiva, delle ragioni che avrebbero dovuto
condurlo a fare applicazione della norma sospettata
d’illegittimità costituzionale.
Ciò determina
l’inammissibilità delle questioni sollevate, per mancata
illustrazione dei presupposti interpretativi che implicano la necessità di
applicare la disposizione censurata (ex
multis, sentenze n. 18 del 2015
e n. 249 del
2010, ordinanza
n. 95 del 2012).
4.– Tutte le questioni poste dal
Tribunale ordinario di Lecce in composizione collegiale (r.o. n. 177 e n. 216
del 2014) sono a loro volta inammissibili, per difetto di rilevanza.
Come infatti risulta per tabulas dalle
stesse ordinanze di rimessione, nei giudizi a quibus non vi è stata
ammissione di alcuna parte processuale al patrocinio a spese dell’Erario.
Per questo, non si deve fare applicazione della disposizione introdotta
dall’art. 1, comma 606, lettera b) – cioè dell’art.
106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002, che prevede che gli importi spettanti, tra
gli altri, all’ausiliario del magistrato, siano ridotti di un terzo
– né, conseguentemente, del successivo comma 607 dell’art. 1
della legge n. 147 del 2013, il quale stabilisce che la decurtazione ricordata
si applichi alle liquidazioni successive alla data di entrata in vigore della
stessa legge.
Sebbene il limite non risulti dal tenore
letterale della norma censurata, la circostanza che l’obbligo di
riduzione dei compensi operi con riguardo ai soli giudizi con patrocinio a
carico erariale, come sostiene anche l’Avvocatura generale dello Stato
nell’atto di intervento per il giudizio r.o. n. 216 del 2014, risulta da
una serie univoca di argomenti.
In primo luogo, la disposizione
censurata è stata inserita nel Titolo II della Parte III del d.P.R. n.
115 del 2002, che riguarda le «Disposizioni generali sul patrocinio a
spese dello Stato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e
tributario», ed in particolare nel capo V, destinato a regolare la
designazione, ad opera della parte ammessa, di «Difensori, investigatori
e consulenti tecnici di parte», e la relativa remunerazione.
In secondo luogo, il carattere peculiare
della disposizione assume coerenza solo in rapporto ad una ratio di
contenimento della spesa pubblica, che a sua volta si manifesta in termini di
massima cogenza con riguardo ai procedimenti nei quali vi sia ammissione al
patrocinio a carico erariale. L’ammissione al beneficio comporta infatti
che alcune spese processuali siano gratuite (e che dunque i costi relativi
siano direttamente sostenuti dall’Erario), e che altre siano anticipate
dallo Stato (art. 107 del d.P.R. n. 115 del 2002), per restare definitivamente
a carico del medesimo, a meno che il provvedimento di ammissione non venga
revocato (art. 111 del Testo unico): ciò che ovviamente differenzia tali
procedimenti rispetto a quelli “ordinari”, nei quali, in caso di
condanna, le spese processuali sono poste a carico dell’imputato.
Si deve aggiungere che la disposizione
censurata accomuna nel medesimo trattamento, da un lato, gli ausiliari del
magistrato e, dall’altro, gli avvocati difensori, gli investigatori
privati autorizzati ed i consulenti tecnici di parte. Per i professionisti del
secondo gruppo un problema di liquidazione dei compensi si pone solo in sede di
patrocinio a spese erariali, giacché, altrimenti, la retribuzione spetta
al privato che richiede le relative prestazioni professionali. L’accostamento
non avrebbe perciò senso, una volta trasportato fuori della peculiare
dimensione data dall’intervento erariale nel procedimento.
Appare, dunque, non plausibile
l’assunto dal quale muove il Tribunale rimettente, secondo cui sarebbe
necessaria una sorta di interpretazione adeguatrice, ad evitare che si
attribuisca al legislatore l’intento, asseritamente assurdo, di
retribuire diversamente la stessa prestazione a seconda che sia intervenuta o
non l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
L’inapplicabilità nei
giudizi a quibus delle norme introdotte con la legge n. 147 del 2013 priva di
rilevanza – e, comunque, di adeguato sostegno argomentativo in punto di
non manifesta infondatezza – anche le censure che il Tribunale rimettente
ha proposto riguardo all’art. 4, comma 2, della legge n. 319 del 1980,
direttamente attribuendo alla medesima la regolazione dei compensi attualmente
corrisposti per le prestazioni remunerate a tempo. Infatti,
l’incompatibilità della disciplina delle vacazioni con i vari
parametri costituzionali evocati è stata prospettata unicamente in
ragione dell’incidenza del nuovo art. 106-bis sui valori in precedenza
fissati.
5.– Restano da esaminare, a questo
punto, le sole questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale
ordinario di Lecce in composizione monocratica (r.o. n. 14 del 2015).
Il più volte citato art. 106-bis
è censurato, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost., nella
parte in cui dispone la riduzione di un terzo dei compensi spettanti
all’ausiliario del magistrato, senza che tale previsione sia
«subordinata all’effettivo adeguamento periodico delle tabelle
relative ai compensi spettanti agli ausiliari del giudice, previsto
dall’art. 54» dello stesso d.P.R. n. 115 del 2002.
5.1.– La questione, sollevata in
questi peculiari termini, è fondata, con esclusivo riferimento
all’art. 3 Cost.
In sede di giudizio di
legittimità costituzionale, la ragionevolezza di un intervento
legislativo ha da essere apprezzata anche alla luce del contesto normativo in
cui avviene e delle condizioni che, di fatto, caratterizzano la materia e il
settore sui quali è operato l’intervento stesso.
Nel caso di specie, è in
questione un significativo e drastico intervento di riduzione dei compensi
spettanti, tra gli altri, all’ausiliario del magistrato.
L’intervento di riduzione è attuato con la legge di
stabilità del 2014, ad opera di un legislatore che non poteva ignorare
come si trattasse di compensi che, a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115
del 2002, avrebbero dovuto essere periodicamente rivalutati.
A fronte di una disposizione
legislativa, appunto l’art. 54 ora citato, che impone
l’aggiornamento della misura degli onorari dei soggetti in questione,
ogni tre anni, in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice
dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, tale adeguamento
non risulta essere intervenuto da oltre un decennio (allo stato, l’ultimo
risulta operato con il decreto ministeriale 30 maggio 2002).
Sicché, dopo un decennio ed oltre
di inerzia amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare i compensi
risulta ormai seriamente sproporzionata per difetto, anche a voler considerare,
come richiede l’art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002, che la misura degli
onorari in esame, rapportata alle vigenti tariffe professionali,
dev’essere contemperata (e quindi ridotta) in relazione alla natura
pubblicistica della prestazione richiesta (riduzione già attuata nella
fissazione dei valori di partenza).
La mancata attuazione, in sede amministrativa,
del vincolo di adeguamento previsto dalla fonte primaria (analoghe
inadempienze, in passato, furono stigmatizzate da questa Corte: sentenze n. 41 del 1996 e
n. 88 del 1970;
ordinanze n. 234
del 2001 e n.
69 del 1979) ben può trovare idonei rimedi in altra sede (sentenza n. 41 del
1996 e ordinanza
n. 234 del 2001).
Tuttavia, per il legislatore della legge
di stabilità per il 2014, tale mancata attuazione costituiva un dato
caratterizzante della materia che si apprestava ad incidere: e il non averne
tenuto conto, nel momento in cui veniva deciso un significativo intervento di riduzione,
induce a concludere, nella prospettiva segnata dall’art. 3 Cost., che la
scelta legislativa abbia superato il limite della manifesta irragionevolezza.
Non è, infatti, riconducibile ai
pur ampi margini spettanti alla discrezionalità legislativa una scelta
attuata senza una preliminare valutazione complessiva della materia, necessaria
per compiere un ragionevole bilanciamento tra esigenze di contenimento della
spesa e remunerazione, sia pure secondo i ricordati criteri di contemperamento,
degli incarichi in questione.
In tale prospettiva, va considerato come
si tratti, nella specie, di prestazioni tendenzialmente non ricusabili
dall’interessato, il quale, in quanto pubblico ufficiale, è
obbligato alla fedele e diligente esecuzione delle proprie competenze
professionali (ed è, questo, un profilo che differenzia
l’ausiliario del magistrato dagli altri soggetti indicati nell’art.
106-bis in esame).
Si aggiunga, infine, che vanno
adeguatamente apprezzate anche le ricadute “di sistema” di una
disciplina che, nelle condizioni descritte, può favorire, per un verso,
applicazioni strumentali o addirittura illegittime delle norme, a fini di
adeguamento de facto dei compensi (ad esempio mediante un’indebita
proliferazione degli incarichi o un pregiudiziale orientamento verso valori
tariffari massimi), e, per l’altro, comportare un allontanamento, dal
circuito dei consulenti d’ufficio, dei soggetti dotati delle migliori
professionalità.
Risulta, in definitiva, manifestamente
irragionevole un intervento di riduzione della spesa erariale in materia di
giustizia – pur, come tale, sicuramente riferibile alla
discrezionalità legislativa nel contesto della congiuntura
economico-finanziaria – adottato senza attenzione a che la riduzione
operi su tariffe realmente congruenti con le stesse linee di fondo del d.P.R.
n. 115 del 2002: dunque su tariffe, da un lato, proporzionate (sia pure per
difetto, tenendo conto del connotato pubblicistico) a quelle
libero-professionali (che per parte loro, nell’ambito di una riforma complessiva
dei criteri di liquidazione, sono state aggiornate) e, dall’altro,
preservate nella loro elementare consistenza in rapporto alle variazioni del
costo della vita.
Per queste ragioni, l’art. 106-bis
del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera
b), della legge n. 147 del 2013, è costituzionalmente illegittimo, nella
parte in cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi spettanti
all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 del d.P.R. n. 115
del 2002.
È salva, naturalmente,
l’eventualità che sopravvenga una complessiva ridefinizione della
materia ad opera del legislatore, tale da implicare il superamento del
meccanismo di adeguamento cui si riferisce la norma citata da ultimo.
6.– Quanto all’art. 1, comma
607, della legge n. 147 del 2013, che stabilisce che la decurtazione di un
terzo dei compensi spettanti all’ausiliario del magistrato si applichi
alle liquidazioni successive alla data di entrata in vigore della legge stessa,
sono infondate le censure in proposito sollevate dal Tribunale ordinario di
Lecce in composizione monocratica (le sole che residuano).
6.1.– È infondata la
questione proposta in riferimento all’art. 53 Cost.
Infatti, questa Corte ha già
espressamente escluso che le manovre legislative sulla determinazione degli
onorari da liquidare per prestazioni rese in ambito processuale abbiano
attinenza con la materia regolata dalla norma costituzionale de qua.
In particolare, si è stabilito
che «il principio della capacità contributiva contenuto
nell’art. 53 non può trovare applicazione riguardo a prestazioni
di “facere”, come quelle degli ausiliari del giudice, che non hanno
palesemente alcuna attinenza con gli obblighi tributari» (sentenza n. 2 del
1981). Più recentemente, si è ribadito che «nel
meccanismo attraverso il quale si procede alla liquidazione dei compensi
spettanti al difensore che abbia difeso in giudizi diversi da quelli penali la
parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, e che comporta
l’abbattimento nella misura della metà della somma risultante in
base alle tariffe professionali, non è dato riscontrare alcuna forma di
prelievo tributario, trattandosi semplicemente di una, parzialmente diversa,
modalità di determinazione dei compensi medesimi – giustificata,
per come dianzi dimostrato, dalla diversità, rispetto a quelli penali,
dei procedimenti giurisdizionali cui si riferisce – tale da condurre ad
un risultato economicamente inferiore rispetto a quello cui si sarebbe giunti
applicando il criterio ordinario» (ordinanza n. 270
del 2012).
6.2.– È pure infondata la
questione sollevata in riferimento all’asserita violazione
dell’art. 36 Cost.
Va, sul punto, ribadita la
giurisprudenza di questa Corte, per la quale tale parametro costituzionale
è inconferente rispetto ai compensi per le prestazioni degli ausiliari:
l’art. 36 Cost. «è male addotto, innanzitutto perché
il lavoro svolto dai consulenti tecnici d’ufficio non si presta a
rientrare in uno schema che involga un necessario e logico confronto tra
prestazioni e retribuzione e quindi un qualsiasi giudizio
sull’adeguatezza e sufficienza di quest’ultima». Inoltre,
l’art. 36 Cost. si riferisce alla complessiva percezione di reddito da
parte del lavoratore, che, occupando una porzione ragionevole del proprio tempo
e della propria capacità, deve trarre dalla sua attività il
necessario per sostenere sé e la famiglia. Nel caso degli ausiliari del
magistrato, che svolgono prestazioni occasionali, anche se ripetute, «non
c’è modo di valutare in che misura quel lavoro giochi nella
complessiva attività di coloro che in concreto lo svolgono e come i
compensi per le relative operazioni (a parte l’impossibilità o
difficoltà di coglierne la totale entità) concorrano alla
formazione dell’intero reddito professionale del singolo prestatore»
(sentenza n. 88
del 1970, richiamata dalla sentenza n. 41 del
1996).
Non persuadono le notazioni in senso
contrario del Tribunale ordinario di Lecce (operate, peraltro,
nell’ambito di ordinanze concernenti questioni irrilevanti), tese a
dimostrare che l’attività officiosa sarebbe ormai, di fatto, la
fonte dominante od anche solo prevalente del reddito di tutti gli ausiliari dei
magistrati. Ammesso (ma non concesso) che siano ancorate a linee di tendenza
effettivamente riscontrabili a livello locale e settoriale, esse non assurgono
a dato di comune esperienza, tale da indurre questa Corte a modificare la
giurisprudenza ricordata.
6.3.– Infine, non è fondata
la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
La ragionevolezza della norma va
misurata sulla sua effettiva portata precettiva, come risultante, tra
l’altro, dall’odierno intervento di questa Corte.
In primo luogo, alla luce di tale intervento,
essa sarà dunque destinata ad operare esclusivamente su compensi
aggiornati, secondo un’ordinaria verifica del quadro normativo condotta
dal giudice procedente, che distinguerà, per ciascun caso concreto, tra
compensi liquidabili in base a previsioni tariffarie non adeguate e fattispecie
opposte, salva l’eventuale sopravvenienza di complessivi interventi di
riforma ad opera del legislatore.
Inoltre, il rimettente pone una
questione di legittimità costituzionale che, negli esiti auspicati, mira
a rendere immuni dalla decurtazione le prestazioni professionali «in
tutto od in parte» esaurite prima dell’entrata in vigore della
disposizione censurata.
La questione potrebbe essere
plausibilmente posta per le sole prestazioni del tutto esaurite, e sempreché
non si ritenga applicabile il principio, già affermato dalla
giurisprudenza comune in casi analoghi, della irrilevanza della norma
sopravvenuta per liquidazioni che, pur disposte dopo la norma stessa,
riguardino fattispecie completamente esaurite in precedenza (Corte di
cassazione, sezioni unite civili, sentenza 12 ottobre 2012, n. 17405). Se
invece, come nel caso di specie, si tratta di prestazioni anche solo in parte
rese dopo l’entrata in vigore della novella legislativa, risulta non
certo irragionevole l’applicazione di un solo regime tariffario,
cioè quello vigente al momento della liquidazione, di talché
diverrebbe impropria la stessa attribuzione alla norma di effetti retroattivi (ordinanza n. 261
del 2013).
La questione dunque, considerati i
limiti della sua rilevanza nel giudizio a quo, risulta non fondata in rapporto
al parametro evocato.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 106-bis del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia −
Testo A), come introdotto dall’art. 1, comma 606, lettera b), della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), nella parte in
cui non esclude che la diminuzione di un terzo degli importi spettanti
all’ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell’art. 54 dello stesso
d.P.R. n. 115 del 2002;
2) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4,
comma 2, della legge 8 luglio 1980, n. 319 (Compensi spettanti ai periti, ai
consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a
richiesta dell’autorità giudiziaria), e 106-bis del d.P.R. n. 115
del 2002, sollevate dal Tribunale ordinario di Lecce in composizione collegiale
(r.o. n. 117 e n. 216 del 2014) e dal Tribunale ordinario di Grosseto in
composizione monocratica (r.o. n. 121 del 2014), in relazione agli artt. 3, 35,
36 e 53 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 607, della legge n. 147 del 2013, sollevata dal Tribunale ordinario di
Lecce in composizione collegiale (r.o. n. 216 del 2014), in relazione
all’art. 3 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 607 della legge n. 147 del 2013, sollevate dal Tribunale ordinario di
Lecce in composizione monocratica (r.o. n. 14 del 2015), in riferimento agli
art. 3, 36 e 53 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24
settembre 2015.