ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale ordinario di Ivrea, con ordinanza del 12 gennaio 2017, e dal Tribunale ordinario di Pisa, con ordinanza del 30 marzo 2017, iscritte rispettivamente ai numeri 46 e 101 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 14 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 febbraio 2018 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che il Tribunale ordinario di Pisa, in composizione monocratica, con ordinanza del 30 marzo 2017 (r.o. n. 101 del 2017), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il decreto di giudizio immediato debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova entro 15 giorni dalla notifica del predetto decreto a pena di decadenza come previsto dall’art. 458, c. 1, c.p.p.»;
che il giudice a quo premette che, nei confronti dell’imputato, è stato emesso un decreto di giudizio immediato per i reati previsti dagli artt. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), 187, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), e 4 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi);
che in udienza l’imputato ha presentato una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, depositando la richiesta di elaborazione del programma di trattamento, trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE);
che tale richiesta di sospensione, alla stregua dell’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe essere dichiarata inammissibile perché tardiva: nel giudizio immediato, infatti, essa deve essere presentata entro quindici giorni dalla notificazione del decreto che dispone quel giudizio e non nell’udienza dibattimentale;
che le questioni sarebbero rilevanti perché, se accolte, consentirebbero di rimettere in termini l’imputato per chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova;
che le questioni sarebbero inoltre non manifestamente infondate, in primo luogo, in riferimento all’art. 24 Cost., in quanto, cadendo il termine per formulare la richiesta di messa alla prova al di fuori dell’udienza e non essendo contenuto nel decreto di giudizio immediato alcun avviso all’imputato in ordine a questa facoltà, si verificherebbe una lesione irreparabile del diritto di difesa;
che la norma censurata contrasterebbe anche con l’art. 3 Cost., perchè creerebbe una disparità di trattamento «fra coloro che decidano di definire il procedimento con giudizio abbreviato o applicazione della pena su richiesta delle parti e coloro che, invece, volessero accedere al nuovo e assimilabile rito alternativo della “messa alla prova”»: solo i primi, infatti, riceverebbero lo specifico avviso, evitando così di incorrere nella decadenza prevista dall’art. 458, comma 1, cod. proc. pen.;
che un’altra disparità di trattamento si verificherebbe «tra coloro che siano citati a giudizio mediante emissione di citazione diretta o giudizio direttissimo, ben potendo gli stessi accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova fino all’apertura del dibattimento […] e coloro, che per una mera scelta della Pubblica Accusa di procedere con giudizio immediato, senza che sia previsto uno specifico avviso nel relativo decreto, possono incorrere nel termine decadenziale di cui all’art. 458, c. 1, c.p.p.»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate;
che le questioni sarebbero inammissibili, in primo luogo, perché l’ordinanza di rimessione ometterebbe «ogni autonoma valutazione circa i parametri costituzionali che si assumono violati, che non sono nemmeno menzionati», limitandosi a richiamare il contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 201 del 2016 per motivare la non manifesta infondatezza della questioni;
che, inoltre, mancherebbe qualsivoglia descrizione della fattispecie, così da precludere lo scrutinio circa la rilevanza delle questioni sollevate;
che il Tribunale ordinario di Ivrea, in composizione collegiale, con ordinanza del 12 gennaio 2017 (r.o. n. 46 del 2017), ha sollevato un’analoga questione di legittimità costituzionale;
che il giudice a quo premette che, nei confronti dell’imputato, è stato emesso un decreto di giudizio immediato per il delitto di cui agli artt. 73, commi 4 e 5, e 80, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 309 del 1990;
che in udienza «l’imputato ha depositato richiesta di messa alla prova allegando richiesta di elaborazione di programma trasmessa all’UEPE in data 11.1.2017»;
che la richiesta di messa alla prova, alla stregua dell’art. 464-bis, comma 2, cod. proc. pen., dovrebbe essere dichiarata inammissibile perché tardiva: nel giudizio immediato, infatti, essa deve essere presentata entro quindici giorni dalla notificazione del decreto che dispone quel giudizio e non nell’udienza dibattimentale;
che l’accoglimento della questione sollevata consentirebbe, pertanto, di rimettere in termini l’imputato per chiedere la messa alla prova: da qui la sua rilevanza nel giudizio a quo;
che, in relazione alla non manifesta infondatezza, il tribunale rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 201 del 2016 in tema di decreto penale di condanna;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata;
che la questione sarebbe inammissibile perché l’ordinanza di rimessione «omette ogni autonoma valutazione circa i parametri costituzionali che si assumono violati, che non sono nemmeno menzionati», limitandosi a richiamare il contenuto della sentenza n. 201 del 2016 di questa Corte;
che, inoltre, mancherebbe qualsivoglia descrizione della fattispecie, così da precludere lo scrutinio circa la rilevanza della questione sollevata.
Considerato che il Tribunale ordinario di Pisa, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede che il decreto di giudizio immediato debba contenere l’avviso all’imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova entro 15 giorni dalla notifica del predetto decreto a pena di decadenza come previsto dall’art. 458, c. 1, c.p.p.»;
che il Tribunale ordinario di Ivrea, in composizione collegiale, ha sollevato un’analoga questione di legittimità costituzionale;
che i giudizi introdotti dalle due ordinanze di rimessione vertono sulla medesima disposizione, sicché ne è opportuna la riunione, ai fini di una decisione congiunta;
che le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Pisa sono manifestamente inammissibili;
che, infatti, come ha eccepito l’Avvocatura generale dello Stato, l’ordinanza di rimessione non contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo, limitandosi a indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedono i reati contestati all’imputato, senza neppure riportare i relativi capi di imputazione;
che peraltro tra i reati contestati vi è quello previsto dall’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza);
che tale reato, non risultando che il fatto rientri nella previsione del quinto comma dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, è punito con la pena della reclusione da sei a venti anni;
che l’art. 168-bis del codice penale stabilisce che la messa alla prova può essere richiesta nei procedimenti per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva, ancorché congiunta con la pena pecuniaria, non superiore nel massimo a quattro anni;
che pertanto, per il più grave dei reati oggetto del procedimento a quo, la sospensione con messa alla prova non è applicabile;
che la Corte di cassazione ha escluso che, «in tema di sospensione con messa alla prova, la sospensione [possa] essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l’accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalità dell’istituto una rieducazione parziale» (sezione seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112, in massima);
che le questioni sono pertanto manifestamente inammissibili per difetto di motivazione sulla loro rilevanza nel giudizio a quo (ex multis, ordinanze n. 210 e n. 46 del 2017, n. 237 del 2016);
che anche la questione sollevata dal Tribunale ordinario di Ivrea è manifestamente inammissibile, come ha eccepito l’Avvocatura dello Stato;
che, infatti, l’ordinanza di rimessione non contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo e, conseguentemente, non motiva sulla rilevanza della questione, limitandosi ad indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedono il reato contestato all’imputato, senza neppure riportare il relativo capo di imputazione;
che inoltre, in punto di non manifesta infondatezza, il tribunale rimettente si è limitato a richiamare genericamente il contenuto della sentenza n. 201 del 2016 di questa Corte, senza neanche indicare le ragioni dell’asserita violazione dell’art. 24 Cost., parametro, peraltro, evocato solo indirettamente;
che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale non è ammessa la cosiddetta motivazione per relationem: dato il principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, il giudice a quo deve rendere esplicite le ragioni per le quali ritiene la questione non manifestamente infondata, facendole proprie (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2015 e n. 7 del 2014, ordinanze n. 20 del 2014 e n. 175 del 2013);
che, in conclusione, le questioni sollevate da entrambi i rimettenti vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, rispettivamente, dal Tribunale ordinario di Pisa, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, e dal Tribunale ordinario di Ivrea, in riferimento al solo art. 24 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente e Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2018.
Il Direttore della Cancelleria