Ordinanza n. 46 del 2017

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ORDINANZA N. 46

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Giorgio                        LATTANZI                                        Giudice

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                              ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, come inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», e dell’art. 4 del medesimo decreto legislativo, promossi dal Giudice di pace di Matera, con tre ordinanze del 7 maggio 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 213, 214 e 215 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che, con tre ordinanze del 7 maggio 2015 di identico contenuto (r.o. nn. 213, 214 e 215 del 2015), il Giudice di pace di Matera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, e agli artt. 3 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale e dell’art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», «nella parte in cui manca la previsione che l’imputato possa esprimere al Giudice, e questi ne debba tener conto in maniera vincolante, il proprio dissenso in ordine alla definizione del processo con sentenza declaratoria di non punibilità per tenuità del fatto; sentenza, da cui scaturisce per dettato normativo la iscrizione nel casellario giudiziale»;

che le ordinanze riguardano tre procedimenti penali relativi rispettivamente: al reato di cui all’art. 582 cod. pen. (r.o. n. 213 del 2015); ai reati di cui agli artt. 594 e 612 cod. pen. (r.o. n. 214 del 2015); ai reati di cui agli artt. 81, 612 e 582 cod. pen. (r.o. n. 215 del 2015);

che il giudice rimettente premette che i reati per i quali procede rientrano tutti tra quelli previsti dall’art. 131-bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015, il quale configura la possibilità di definire il processo con la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto «quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale»;

che ad avviso del giudice rimettente la disposizione censurata persegue finalità di deflazione processuale ma si pone in contrasto con «principi e valori di rango costituzionale», soprattutto quando, come nel caso di specie, la definizione del giudizio avviene con sentenza pronunciata prima del dibattimento;

che in questa ipotesi il giudice si troverebbe «a dover verificare, pre-dibattimentalmente (quindi attraverso l’esame dei soli documenti contenuti nel fascicolo del dibattimento – e pertanto attraverso l’esame del capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione a giudizio, il certificato del Casellario giudiziale ed eventuali atti dal contenuto irripetibile) soltanto la particolare tenuità dell’offesa, le modalità della condotta, la esiguità del danno o del pericolo derivato dal reato e la non abitualità del comportamento», così abdicando alle sue «prerogative di accertare il fatto in posizione di estraneità, e quindi di terzietà ed imparzialità, che costituiscono la essenza stessa della Giurisdizione […]»;

che questo procedimento non solo sacrificherebbe il principio del libero convincimento del giudice, «chiamato ad avallare, senza contraddittorio, le prospettazioni e valutazioni del PM», ma pregiudicherebbe anche l’imputato, che, «senza la benché minima possibilità di difendersi, potrebbe vedersi attinto da sentenza di non doversi procedere ex art. 131-bis Cp., per il solo fatto di essere stato rinviato a giudizio»;

che, peraltro, il nuovo istituto introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015 non prevede che l’imputato «possa dissentire da un’eventuale sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità», nonostante questa pronuncia incida negativamente sulla sua sfera giuridica, essendo prevista, ad esempio, la sua iscrizione nel casellario giudiziale;

che ciò comporta una lesione dell’onorabilità dell’imputato e gli impedisce, pur se innocente, di usufruire in un secondo momento, qualora dovesse commettere un fatto penalmente rilevante, della declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto;

che ad avviso del giudice rimettente l’aspetto problematico del nuovo istituto è la «mancata previsione che l’imputato possa esprimere al Giudice, in maniera vincolante, il proprio dissenso in ordine alla definizione del giudizio con sentenza di improcedibilità per lieve entità, in maniera tale che, una volta manifestata tale volontà negativa, debba procedersi all’accertamento del fatto, dibattimentalmente (e solo all’esito, in mancanza di presupposti per l’assoluzione, procedere con la declaratoria di improcedibilità)»;

che la norma censurata violerebbe «il diritto alla difesa (art. 24 Cost.)», «il diritto ad un giusto processo» (art. 111 Cost.)», «il diritto a non essere considerato colpevole fino alla sentenza definitiva di condanna (cd. Presunzione di non colpevolezza – art. 27 Cost. e art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea)», «il diritto alla tutela della propria onorabilità e reputazione ([artt.] 2 e 3 Cost. ed art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea)», nonché il «principio di ragionevolezza in quanto il Giudice irragionevolmente è chiamato ad esprimere una valutazione in ordine alla gravità o tenuità del fatto rimanendo tuttavia vincolato in maniera esclusiva alle valutazioni espresse dal P.M. a seguito delle indagini preliminari»;

che nei tre giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili;

che la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate, in primo luogo perché «le ordinanze (gemelle) di rimessione non specific[ano], se non con indicazione numerica dell’articolo di legge violato, quali siano i fatti per i quali si procede, né circostanzi[ano] la ricorrenza della ipotesi della particolare tenuità del fatto, tanto meno indic[ano] gli elementi che, nella fattispecie, porterebbero a ritenere la insussistenza del fatto o la non colpevolezza dell’imputato (ipotesi di proscioglimento nel merito)»;

che un istituto analogo a quello introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015 era già previsto nel rito speciale davanti al giudice di pace, benchè ancorato a presupposti parzialmente diversi da quelli previsti dall’art. 131-bis cod. pen., tra i quali appunto la non opposizione dell’imputato e della persona offesa;

che il giudice rimettente, pertanto, avrebbe dovuto «valutare la specialità della normativa prevista per il giudizio innanzi al Giudice di Pace, rispetto a quella più recentemente introdotta dall’art. 131-bis c.p.»;

che inoltre da tale specialità potrebbe derivare la conseguenza che «la disciplina della cui legittimità costituzionale si sospetta [non sia] applicabile al giudizio innanzi al Giudice di Pace».

Considerato che, con tre ordinanze del 7 maggio 2015 di identico contenuto (r.o. nn. 213, 214 e 215 del 2015), il Giudice di pace di Matera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, e agli artt. 3 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale e dell’art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», «nella parte in cui manca la previsione che l’imputato possa esprimere al Giudice, e questi ne debba tener conto in maniera vincolante, il proprio dissenso in ordine alla definizione del processo con sentenza declaratoria di non punibilità per tenuità del fatto; sentenza, da cui scaturisce per dettato normativo la iscrizione nel casellario giudiziale»;

che le ordinanze riguardano tre procedimenti penali relativi rispettivamente: al reato di cui all’art. 582 cod. pen. (r.o. n. 213 del 2015); ai reati di cui agli artt. 594 e 612 cod. pen. (r.o. n. 214 del 2015); ai reati di cui agli artt. 81, 612 e 582 cod. pen. (r.o. n. 215 del 2015);

 che i giudizi conseguenti alle tre ordinanze di rimessione vertono sulle medesime disposizioni, sicché ne appare opportuna la riunione, ai fini di una decisione congiunta;

che la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate, perché «le ordinanze (gemelle) di rimessione non specific[ano], se non con indicazione numerica dell’articolo di legge violato, quali siano i fatti per i quali si procede, né circostanzi[ano] la ricorrenza della ipotesi della particolare tenuità del fatto, tanto meno indic[ano] gli elementi che, nella fattispecie, porterebbero a ritenere la insussistenza del fatto o la non colpevolezza dell’imputato (ipotesi di proscioglimento nel merito)»;

che l’eccezione è fondata;

che le tre ordinanze di rimessione non contengono alcuna descrizione dei fatti oggetto dei giudizi a quibus, limitandosi ad indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedono i reati contestati agli imputati, senza neppure riportare i relativi capi di imputazione;

che, secondo la norma censurata, «la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale»;

che dell’esistenza di questi elementi le ordinanze di rimessione non fanno cenno;

che, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato, l’omessa o insufficiente descrizione della fattispecie preclude il necessario controllo in punto di rilevanza e rende la questione manifestamente inammissibile (ex multis, ordinanze n. 237, n. 196 e n. 55 del 2016, n. 162 del 2015);

che ad avviso della difesa dello Stato le questioni sarebbero inammissibili anche perché un istituto analogo a quello introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015 era già disciplinato nel rito speciale davanti al giudice di pace (benchè ancorato a presupposti parzialmente diversi da quelli previsti dall’art. 131-bis cod. pen.) e quindi il giudice rimettente avrebbe dovuto «valutare la specialità della normativa prevista per il giudizio innanzi al Giudice di Pace, rispetto a quella più recentemente introdotta dall’art. 131-bis c.p.»;

che anche questa eccezione è fondata;

che, infatti, l’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), disciplina l’ipotesi di esclusione della procedibilità per la “particolare tenuità del fatto”, stabilendo che «Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato»;

che il legislatore con il d.lgs. n. 28 del 2015 ha poi introdotto, in termini generali, una causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, strutturata diversamente;

che l’art. 131-bis cod. pen., introdotto con il d.lgs. n. 28 del 2015, come già rilevato da questa Corte con riferimento all’art. 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), costituisce «una disposizione sensibilmente diversa da quella dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, perché configura la “particolare tenuità dell’offesa” come una causa di non punibilità, invece che come una causa di non procedibilità, con una formulazione che, tra l’altro, non fa riferimento al grado della colpevolezza, all’occasionalità del fatto (sostituita dalla “non abitualità del comportamento”), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze dell’imputato» (sentenza n. 25 del 2015);

che il giudice rimettente non spiega perché, nei giudizi a quibus, dovrebbe trovare applicazione la nuova causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. e non l’istituto, proprio del processo davanti al giudice di pace, disciplinato dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000;

che nella giurisprudenza della Corte di cassazione esiste un contrasto sull’applicabilità della causa di non punibilità dell’art. 131-bis cod. pen. anche nei giudizi davanti al giudice di pace (in senso negativo, quinta sezione, 15 settembre 2016, n. 47523; quinta sezione, 15 settembre 2016, n. 47518; quinta sezione, 14 luglio 2016, n. 45996; in senso affermativo, quarta sezione, 19 aprile 2016, n. 40699);

che il giudice rimettente non ha spiegato per quale ragione l’art. 131-bis cod. pen. sarebbe applicabile anche nei giudizi davanti al giudice di pace;

che quindi sotto questo aspetto è riscontrabile un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni sollevate (ex plurimis, ordinanze n. 290 e n. 153 del 2016);

che in conclusione le questioni proposte sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale e dell’art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 2015,   n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67», in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, e agli artt. 3 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, sollevate dal Giudice di pace di Matera, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2017.