SENTENZA N. 25
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 529 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Brindisi, in composizione monocratica, sezione distaccata di Fasano, nel procedimento penale a carico di N.G. ed altro, con ordinanza del 5 dicembre 2012, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 gennaio 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Brindisi, in composizione monocratica, sezione distaccata di Fasano, con ordinanza del 5 dicembre 2012 (r.o. n. 122 del 2014), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede una formula di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto”, «simmetrica ed analoga» a quella prevista, per i soli procedimenti penali di competenza del giudice di pace, dall’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
Il Tribunale rimettente premette di essere investito di un procedimento penale a carico di due persone imputate di furto e riferisce che, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, il pubblico ministero ha concluso chiedendo il «proscioglimento di entrambi gli imputati per “tenuità del fatto contestato”».
Il giudice a quo – senza anticipare alcuna valutazione sulla responsabilità degli imputati, ma ritenendo che il reato loro ascritto, sulla base delle prove raccolte in dibattimento, potesse oggettivamente ritenersi «di particolare tenuità e di basso allarme sociale», essendo stata sottratta, dagli scaffali di un supermercato, merce di modico valore economico – osserva che la formula di proscioglimento richiesta dal pubblico ministero, prevista dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 per i reati di competenza del giudice di pace, non è applicabile ai procedimenti penali pendenti davanti al tribunale, non essendo prevista dall’art. 529 cod. proc. pen., né da altra norma del codice di procedura penale, e non potendo essere estesa in via interpretativa.
La questione proposta, pertanto, sarebbe non manifestamente infondata con riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, in quanto «se gli odierni imputati fossero stati giudicati dal Giudice di Pace avrebbero potuto usufruire di una “rosa” di formule di proscioglimento più ampie rispetto a quelle che, ex art. 529 c.p.p., vengono ritenute applicabili […] in seno ai processi celebrati innanzi al Tribunale».
Questa disparità non potrebbe essere giustificata dalla natura bagatellare dei reati di competenza del giudice di pace, in quanto la formula in questione, «sostanzialmente assolutoria», farebbe riferimento «alla natura ontologica ed intrinseca della “tenuità del fatto”» e dovrebbe valere per qualunque tipo di reato. Anche il tribunale – prosegue il giudice a quo – potrebbe effettuare, allo stesso modo del giudice di pace, la valutazione degli elementi che consentono di stabilire la conformità del fatto storico alla fattispecie dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, e, quindi, «tale trattamento diseguale e disomogeneo di situazioni ontologicamente eguali» sarebbe in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., perché troverebbe il suo unico «spartiacque nella diversità della competenza giurisdizionale del relativo procedimento penale attribuita capziosamente dal legislatore».
La questione sarebbe non manifestamente infondata anche con riferimento all’art. 24 Cost.
Ad avviso del rimettente, infatti, l’imputato «vedrebbe ristretto l’esercizio e la spendita del diritto di difesa (rispetto all’ipotetico imputato citato a giudizio innanzi al Giudice di pace) non potendo approntare la sua strategia difensiva in relazione all’obiettivo processuale di riuscire a dimostrare a mezzo della istruttoria dibattimentale la irrisorietà dei fatti per i quali è stato tratto a giudizio e quindi, di poter usufruire della “ulteriore” formula di proscioglimento “per tenuità del fatto” e tutto ciò, in ragione della mancata previsione normativa di tale formula assolutoria».
Infine, la norma censurata – laddove determina una disparità di trattamento e una violazione del diritto di difesa dell’imputato sulla base della sola diversità del giudice procedente – si troverebbe in contrasto anche con il principio del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost., perché non vi sarebbero ragioni per considerare «“più giusto” o “più favorevole” il processo penale di competenza del Giudice di Pace rispetto a quello di competenza del Tribunale tanto da individuare solo nella prima Sede altre formule di proscioglimento, [come] quella della quale il pubblico ministero ha chiesto applicazione agli odierni prevenuti».
2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
Ad avviso della difesa dello Stato, con riferimento all’art. 3 Cost., la norma censurata non presenterebbe i profili di irragionevolezza denunciati dal Tribunale rimettente, in quanto rientrerebbe nella piena discrezionalità legislativa la previsione di un trattamento differenziato, sia sotto il profilo processuale, sia sotto quello sanzionatorio, per i reati di minore offensività, assegnati alla competenza del giudice di pace.
Anche con riferimento agli altri parametri invocati dal giudice a quo la questione sarebbe non fondata, in quanto la previsione di un trattamento differenziato sul piano processuale per i reati di competenza del giudice di pace non determinerebbe alcun vulnus alle situazioni giuridiche che trovano tutela negli artt. 24 e 111 Cost.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Brindisi, in composizione monocratica, sezione distaccata di Fasano, dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 529 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede una formula di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto” «simmetrica ed analoga» a quella prevista, per i soli procedimenti penali di competenza del giudice di pace, dall’art. 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468).
Ad avviso del giudice rimettente, la questione sarebbe non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., in quanto «la mancata previsione in seno all’art. 529 c.p.p. della medesima formula di proscioglimento prevista dall’art. 34 Legge 274/2000 (quest’ultima dettata ingiustificatamente e arbitrariamente per i soli procedimenti penali di competenza del Giudice di Pace)» determinerebbe un trattamento diseguale di situazioni ontologicamente uguali, dato che la tenuità del fatto può sussistere per qualunque tipo di reato. La questione sarebbe non manifestamente infondata anche con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.
2.– È intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto una dichiarazione di inammissibilità o di infondatezza della questione.
3.– La questione è inammissibile per mancanza di motivazione sulla sua rilevanza.
Il giudice a quo vorrebbe estendere ai procedimenti penali di competenza del tribunale la formula di esclusione della procedibilità per la “particolare tenuità del fatto”, prevista dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, che detta disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, ma l’ordinanza, che è priva anche di una esauriente descrizione del fatto oggetto del giudizio, non contiene indicazioni sull’esistenza delle condizioni richieste dall’art. 34 per l’applicabilità di tale formula.
Secondo l’art. 34 «Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato».
Inoltre, a norma del comma 3 dello stesso articolo, quando, come è avvenuto nel caso in esame, già «è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono».
A parere del giudice rimettente, il furto per il quale si procede dovrebbe «ritenersi di particolare tenuità e di basso allarme sociale trattandosi di apprensione di merce di modicissimo valore (peraltro in parte regolarmente pagata) dagli scaffali di un supermercato», ma questo non basta per giustificare un proscioglimento a norma dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000. Per la configurabilità di tale causa di esclusione della procedibilità, infatti, non è sufficiente l’esiguità del danno, ma occorre anche valutare l’occasionalità del fatto, il grado di colpevolezza dell’imputato e il pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento gli può arrecare.
Di tutti questi elementi l’ordinanza di rimessione non fa cenno, così come non fa cenno della mancanza di opposizione, oltre che dell’imputato, anche della persona offesa, che nel giudizio costituisce una condizione necessaria della causa di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto”. Sotto questo aspetto, ove fosse mancata un’espressa dichiarazione di non opposizione, il giudice rimettente avrebbe dovuto precisare se gli imputati erano rimasti contumaci o erano comparsi, se la persona offesa era stata ritualmente citata, se era presente, se le parti erano state poste in condizione di interloquire o erano state espressamente interpellate sulla richiesta di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto”, formulata dal pubblico ministero, ovvero da quali elementi, univoci e concludenti, poteva desumersi la loro volontà di non opporsi all’eventuale declaratoria di improcedibilità per tale causa.
Certo, il legislatore ben può introdurre una causa di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto” strutturata diversamente e senza richiedere tutte le condizioni previste dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, ed è quello che ha fatto con la legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili). Con l’art. 1, comma 1, lettera m), di tale legge, infatti, il legislatore ha conferito al Governo una delega per «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento».
Si tratta di una disposizione sensibilmente diversa da quella dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, perché configura la «particolare tenuità dell’offesa» come una causa di non punibilità, invece che come una causa di non procedibilità, con una formulazione che, tra l’altro, non fa riferimento al grado della colpevolezza, all’occasionalità del fatto (sostituita dalla «non abitualità del comportamento»), alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze dell’imputato.
Nella linea della delega il Consiglio dei ministri ha poi approvato, il 1° dicembre 2014, uno schema di decreto legislativo recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1, comma 1, lett. m, della legge 28 aprile 2014, n. 67», il cui art. 1 è diretto ad introdurre nel codice penale l’art. 131-bis, che prevede i requisiti e definisce l’ambito applicativo del nuovo istituto.
È dunque evidente che una causa di proscioglimento per la “particolare tenuità del fatto” può essere basata su una fattispecie diversa da quella prevista dall’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, ma questa possibilità nella specie non rileva, perché il giudice rimettente vorrebbe estendere al procedimento davanti al tribunale proprio la fattispecie dell’art. 34. Considerati i termini della questione, il giudice pertanto avrebbe dovuto dare conto dell’esistenza, nel caso in esame, degli elementi che normativamente integrano tale fattispecie, ma non lo ha fatto.
La mancanza della motivazione sul punto non consente di riconoscere la rilevanza della questione e ne fa conseguentemente escludere l’ammissibilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 529 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Brindisi, in composizione monocratica, sezione distaccata di Fasano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2015.