ORDINANZA N. 162
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo GROSSI Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Trieste nel procedimento penale a carico di C.M. con ordinanza del 28 agosto 2014, iscritta al n. 201 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 giugno 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon.
Ritenuto che, con ordinanza del 28 agosto 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Trieste ha sollevato – in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), il quale esclude dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato «l’indagato, l’imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto»;
che il giudice a quo riferisce d’aver pronunciato, all’esito di un giudizio abbreviato, sentenza di condanna nei confronti di persona accusata del reato di cui all’art. 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), in rapporto all’emissione di fatture per operazioni inesistenti;
che il rimettente riferisce altresì che la difesa dell’imputato – nel corso della discussione finale, dopo aver ricordato come una istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato fosse stata respinta (in fase di indagini preliminari) per il carattere ostativo del reato perseguito – ha eccepito in merito alla legittimità costituzionale della norma preclusiva a tale ammissione;
che, definito dunque nel merito il procedimento, il giudice a quo ha inteso provvedere sull’eccezione mediante l’ordinanza introduttiva del presente giudizio di legittimità costituzionale;
che, a suo avviso, la questione sarebbe rilevante, in quanto la sentenza di condanna, già pronunciata, non sarebbe ancora divenuta irrevocabile, e perciò l’interessato deve ancora considerarsi quale soggetto «imputato», sicché, in caso di accoglimento della questione di legittimità, il provvedimento di rigetto dell’istanza di ammissione «sarebbe perfettamente in tempo per essere revocato […] con effetto retroattivo»;
che, sempre in punto di rilevanza, il giudice a quo precisa che non risulterebbe «alcuna condanna definitiva per reati fiscali» a carico dell’interessato, il quale, d’altra parte, avrebbe ricavato dal reato in contestazione «le briciole necessarie per la sua sopravvivenza», così da doversi escludere che «attraverso il reato fiscale […] possa aver superato la soglia di reddito prevista per l’accesso al beneficio in questione»;
che l’affermazione in base alla quale l’imputato «rientrerebbe tra i beneficiari del patrocinio a spese dello Stato pur tenendo conto dei vantaggi reddituali o patrimoniali eventualmente tratti dall’illecito tributario» è allegata, dal giudice a quo, quale ragione assorbente dell’incompatibilità della norma preclusiva con il terzo comma dell’art. 24 Cost.;
che, a suo avviso, la stessa norma contrasterebbe anche con la presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza irrevocabile, non potendo una persona ancora non condannata in via definitiva «subire le conseguenze di una sorta di presunzione assoluta di arricchimento attraverso una violazione fiscale»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata;
che, per l’Avvocatura erariale, la questione sarebbe inammissibile, anzitutto, per difetto di rilevanza, essendosi ormai reso definitivo, per quanto si desume dalla stessa ordinanza di rimessione, il provvedimento di rigetto della domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
che l’Avvocatura rileva come la difesa dell’imputato avrebbe dovuto impugnare l’indicato provvedimento nei modi e nei termini di cui all’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, mentre l’omissione dell’adempimento, nell’assenza di variazioni sopravvenute delle condizioni di fatto e di diritto valutate in sede di rigetto, avrebbe indotto una «sorta di preclusione pro iudicato»;
che, dunque, la questione di legittimità presenterebbe carattere ipotetico, in vista della solo eventuale presentazione di una nuova istanza, la quale, d’altra parte, non potrebbe essere esaminata nel merito, attesa l’indicata preclusione;
che, infine, sempre ad avviso dell’Avvocatura, il rimettente non avrebbe svolto alcuna notazione sulle condizioni reddituali cui si riferisce l’art. 76 del citato d.P.R. n. 115 del 2002, e neppure avrebbe approfondito, al di là di un’affermazione apodittica, la questione del reddito illecito eventualmente ricavato dal reato;
che la questione, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe comunque manifestamente priva di fondamento;
che, in particolare, l’esclusione del patrocinio nel caso dei reati fiscali sarebbe giustificata dalla particolare difficoltà di accertare, in relazione ai soggetti accusati di tali reati, l’effettiva indisponibilità di mezzi sufficienti per retribuire il difensore, considerata altresì la probabile inattendibilità delle autocertificazioni concernenti il reddito;
che la norma censurata non darebbe perciò luogo ad una inammissibile esclusione di «non abbienti» dalla tutela accordata mediante il terzo comma dell’art. 24 Cost., quanto piuttosto ad una disciplina presuntiva, fondata su indici ragionevoli (dunque compatibili anche con l’art. 3 Cost.), per l’accertamento della condizione di «abbienza»;
che sarebbe infine inconferente il richiamo al secondo comma dell’art. 27 Cost., poiché l’esclusione dal patrocinio non avrebbe natura sanzionatoria, andando così esente dal rilievo di colpire ingiustificatamente un soggetto non ancora giudicato colpevole in via definitiva.
Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Trieste ha sollevato – in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), il quale esclude dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato «l’indagato, l’imputato o il condannato di reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto»;
che, ad avviso del rimettente, la norma preclusiva dell’ammissione al patrocinio sarebbe incompatibile con il terzo comma dell’art. 24 Cost., e contrasterebbe anche con la presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza irrevocabile, non potendo una persona ancora non condannata in via definitiva «subire le conseguenze di una sorta di presunzione assoluta di arricchimento attraverso una violazione fiscale»;
che il giudice a quo dà esplicitamente conto del rigetto disposto, nella fase delle indagini preliminari, di una domanda dell’imputato di accesso al patrocinio a spese dello Stato;
che lo stesso rimettente riferisce altresì di aver pronunciato sentenza di condanna dell’imputato, all’esito di un giudizio abbreviato, ulteriormente ricordando che, in apertura dell’udienza, il difensore aveva depositato memoria con cui lamentava il pregresso rigetto della domanda di accesso al patrocinio ed eccepiva l’incostituzionalità della norma preclusiva posta a base del provvedimento;
che, sotto questo profilo, va accolta l’eccezione d’inammissibilità, per difetto di rilevanza, sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, non sussistendo nel giudizio principale, per quanto si desume dalla stessa ordinanza di rimessione, alcun margine per una legittima modifica del provvedimento reiettivo;
che, infatti, il provvedimento in questione non risulta essere stato impugnato nella forme previste dalla legge (ordinanza n. 54 del 2005), né potrebbe essere oggetto di un provvedimento di revoca, stante la sua natura giurisdizionale e data l’assenza di variazioni sostanziali delle condizioni di fatto valutate al momento della relativa deliberazione (ex multis, ordinanza n. 145 del 2009);
che neppure risulta proposta una nuova istanza di ammissione al patrocinio, la cui valutazione sarebbe stata del resto condizionata dalla preclusione di cui si è appena detto;
che il rimettente, in definitiva, ha completamente omesso qualsiasi considerazione circa l’ammissibilità della procedura di revoca intrapresa, che pure rappresenta condizione essenziale di rilevanza e tempestività della questione sollevata (ordinanze n. 339 del 2000, n. 145, n. 144 e n. 99 del 1999, n. 104 del 1997);
che, inoltre, come pure eccepisce l’Avvocatura generale dello Stato, l’ordinanza non contiene notizie sufficienti sulle condizioni reddituali complessive dell’interessato, neppure con riguardo ai redditi aggiuntivi ricavati dal delitto in contestazione, limitandosi all’apodittica affermazione che, dal reato, costui avrebbe tratto solo «le briciole necessarie per la sua sopravvivenza», così da doversi escludere che «attraverso il reato fiscale […] possa aver superato la soglia di reddito prevista per l’accesso al beneficio in questione»;
che mancano del tutto notizie circa le dichiarazioni eventualmente rese dall’interessato a proposito della disponibilità di redditi ulteriori e, in generale, riguardo al tenore di vita del richiedente, alle sue condizioni personali e familiari, alle eventuali attività economiche svolte (ordinanze n. 136 del 2007 e n. 251 del 2005);
che, pertanto, anche sotto questo profilo, la questione è inammissibile per carente descrizione della fattispecie concreta, cui consegue l’impossibilità di apprezzare la rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale (ex multis, sentenza n. 98 del 2014 e ordinanza n. 147 del 2014).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Trieste, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2015.