Ordinanza n. 99/99

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ORDINANZA N. 99

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 20 e il 22 aprile 1998 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, nei procedimenti penali a carico di A. V. ed altri e di A. A. ed altri iscritte ai nn. 631 e 654 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 39, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti ha sollevato, con ordinanze del 20 e del 22 aprile 1998, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione;

che il rimettente censura l’art. 6, comma 5, della legge n. 267 del 1997 nella parte in cui non estende la regola della limitata efficacia probatoria delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti indicati nell'art. 513 cod. proc. pen., che si avvalgano a dibattimento della facoltà di non rispondere, anche all’ipotesi in cui il coimputato o l’imputato di reato connesso si avvalgano della facoltà di non rispondere nel corso dell'incidente probatorio disposto ai sensi del comma 1 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997 dopo la chiusura delle indagini preliminari;

che a parere del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti la disciplina impugnata violerebbe gli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost., perchè irragionevolmente non contempera i principi espressi dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dall’art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici - incompatibili con l’automatico utilizzo erga omnes delle dichiarazioni dei chiamanti in correità - con l'esigenza di evitare la dispersione di fondamentali elementi di prova, in relazione a fasi o gradi processuali diversi da quelli indicati ai commi 2, 3 e 4 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997, nonostante tali diverse fasi abbiano in comune la fondamentale circostanza dell’avvenuto esercizio dell’azione penale al momento dell’entrata in vigore della legge;

che, inoltre, la omessa previsione della valutabilità a fini probatori, ex art. 6, comma 5, della legge n. 267 del 1997, delle dichiarazioni precedentemente rese anche da coloro che si avvalgano della facoltà di non rispondere nel corso dell'incidente probatorio disposto ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, determinerebbe, in conseguenza del cambiamento delle regole del processo ad indagini chiuse, uno squilibrio tra le parti processuali a favore della difesa, non bilanciato per il pubblico ministero dalla possibilità - che il rimettente afferma già esistente nella fase dell’udienza preliminare a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 1994 - di richiedere incidente probatorio entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, o di disporre indagini suppletive;

che la questione é stata sollevata, in entrambi i giudizi a quibus, nel corso dell'udienza preliminare, dopo che, essendo stato ammesso su richiesta del pubblico ministero incidente probatorio per l’audizione di coimputati e di imputati in procedimento connesso, solo alcuni avevano consentito all’esame e le difese si erano opposte all’acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese da coloro che si erano avvalsi della facoltà di non rispondere;

  che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi all’atto di intervento prodotto in relazione alla questione iscritta al n. 776 del registro ordinanze del 1997, sollevata dal Tribunale di Bologna e decisa con la sentenza n. 361 del 1998.

  Considerato che, in entrambe le ordinanze di rimessione, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti denuncia la mancata previsione della operatività della regola di cui al comma 5 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997 nell'incidente probatorio assunto, ai sensi del comma 1 del medesimo art. 6, durante l'udienza preliminare;

che i giudizi, attesa la identità delle questioni, vanno riuniti;

che la questione concerne una regola di valutazione probatoria destinata a circoscrivere la utilizzabilità ai fini della decisione di merito delle dichiarazioni rese durante le indagini dai soggetti indicati dall'art. 513 cod. proc. pen.;

  che la normativa censurata attiene alla formazione e valutazione della prova nel giudizio dibattimentale, ed é pertanto estranea alla disciplina della udienza preliminare, nella quale il giudice ha il potere-dovere di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, dai quali può trarre ogni elemento di convincimento ai fini del rinvio a giudizio o della pronuncia di non luogo a procedere;

che, parimenti, deve escludersi che la disposizione censurata possa essere applicata dal giudice che assume anticipatamente, mediante incidente probatorio, una prova la cui valutazione e utilizzazione é comunque riservata al giudice del dibattimento;

  che, di conseguenza, la questione, sollevata da un giudice che non ha alcuna veste per dare applicazione alla regola della quale lamenta la mancanza, difetta di rilevanza e deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1999

Presidente Renato Granata

Redattore Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1999.